Ultime pronunce pubblicate deposito del 16/07/2008
 
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Deposito del 16/07/2008 (dalla 277 alla 284)

 
S.277/2008 del 09/07/2008
Udienza Pubblica del 24/06/2008, Presidente BILE, Relatore QUARANTA


Norme impugnate: Legge della Regione Calabria 28/12/2007, n. 27.

Oggetto: Ambiente - Norme della Regione Calabria - Piano regionale dei rifiuti contenente previsione del raddoppio del termovalorizzatore di Gioia Tauro - Temporanea sospensione dei lavori di realizzazione disposta con norma regionale, ripropositiva di una disposizione già dichiarata illegittima con la sentenza n. 284/2006.

Dispositivo: illegittimità costituzionale
Atti decisi: ric. 20/2008
S.278/2008 del 09/07/2008
Camera di Consiglio del 11/06/2008, Presidente BILE, Relatore MAZZELLA


Norme impugnate: Art. 13, c. 8°, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286, come modificato dall'art. 1, c. 2°, del decreto legge 14/09/2004, n. 241, convertito in legge 12/11/2004, n. 271.

Oggetto: Straniero - Espulsione amministrativa - Ricorso in opposizione al decreto di espulsione - Presentazione a mezzo posta - Mancata previsione.

Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale
Atti decisi: ord. 400/2007
S.279/2008 del 09/07/2008
Udienza Pubblica del 10/06/2008, Presidente BILE, Relatore CASSESE


Norme impugnate: Ordinanza e decreto che dispone il giudizio, del G.I.P. del Tribunale di Torino 18/09/2007.

Oggetto: Regione Piemonte - Dichiarazioni asseritamente diffamatorie in danno del dirigente regionale Marco Cavaletto rese dal consigliere regionale Matteo Brigandi nell'ambito del procedimento di interpretazione delle norme giuridiche in materia di risarcimento danni derivanti dall'evento alluvionale dell'ottobre 2000 - Procedimento penale per diffamazione promosso dal dirigente coinvolto nelle dichiarazioni - Delibera della Regione Piemonte di insindacabilità delle opinioni espresse, emessa il 27/2/2007 - Ordinanza del 18/9/2007 emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino di reiezione della istanza difensiva di declarat oria di insindacabilità delle opinioni espresse e contestuale decreto di rinvio a giudizio.

Dispositivo: respinge il ricorso
Atti decisi: confl. enti 5/2008
O.280/2008 del 09/07/2008
Camera di Consiglio del 11/06/2008, Presidente BILE, Relatore FINOCCHIARO


Norme impugnate: Art. della 3 legge 21/02/2006, n. 102.

Oggetto: Procedimento civile - Azione di risarcimento dei danni per morte o lesioni conseguenti ad incidenti stradali - Applicazione delle norme che disciplinano il rito del lavoro (in particolare, dell'art. 415, comma quinto, cod. proc. civ. secondo cui tra la data di notificazione al convenuto del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza e la data dell'udienza medesima deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni) - Omessa previsione, per le cause di risarcimento dei danni per morte o lesioni conseguenti ad incidenti stradali, di termini a comparire pari, se non superiori, a quelli previsti per i giudizi risarcitori concernenti danni a cose, anche se dipendenti da incidenti stradali.

Dispositivo: manifesta inammissibilità
Atti decisi: ord. 19/2008
O.281/2008 del 09/07/2008
Camera di Consiglio del 25/06/2008, Presidente BILE, Relatore TESAURO


Norme impugnate: Art. 26 del decreto legislativo 02/02/2006, n. 40.

Oggetto: Proced imento civile - Impugnazioni - Appellabilità delle sentenze rese nei giudizi di opposizione ad ordinanza ingiunzione di cui agli artt. 22 e ss. della legge n. 689 del 1981 - Previsione introdotta dal decreto legislativo n. 40 del 2006 - Estraneità all'oggetto della delega conferita al Governo per apportare modifiche al codice di procedura civile e concernente la disciplina del processo di cassazione e dell'arbitrato.

Dispositivo: manifesta infondatezza
Atti decisi: ord. 829/2007
O.282/2008 del 09/07/2008
Camera di Consiglio del 09/07/2008, Presidente BILE, Relatore QUARANTA


Norme impugnate: Artt. 126 bis, c. 2°, (introdotto dall'art. 7, c. 1°, del decreto legis lativo 15/01/2002, n. 9, modificato dall'art. 7, c. 3°, lett. b), del decreto legge 27/06/2003, n. 151, convertito con modificazioni in legge 01/08/2003, n. 214) e 180, c. 8°, del codice della strada (d.lgs. 30.4.1992, n. 285).

Oggetto: Circolazione stradale - Obbligo del proprietario del veicolo di comunicare all'organo di polizia i dati personali e della patente del conducente non immediatamente identificato al momento dell'infrazione - Configurazione dell'omessa comunicazione come fattispecie di illecito amministrativo sanzionato pecuniariamente - Disciplina vigente al momento della commessa violazione - Ritenuta inapplicabilità nel giudizio 'a quo' del più favorevole 'jus superveniens'.

Dispositivo: manifesta infondatezza
Atti decisi: ord. 32/2008
O.283/2008 del 09/07/2008
Camera di Consiglio del 09/07/2008, Presidente BILE, Relatore QUARANTA


Norme impugnate: Artt. 15, c. 2°, 18, 20, c. 2° e 6°, 21, 27, c. 2°, 35, 37, 39 e 41 della legge della Regione Toscana 13/07/2007, n. 38.

Oggetto: Appalti pubblici - Norme della Regione Toscana - Procedure di affidamento di contratti pubblici - Verifica di congruità da effettuarsi comunque e limitatamente al costo della manodopera o al costo della sicurezza, ove l'offerta risultata provvisoriamente aggiudicataria non sia soggetta alla valutazione di anomalia di cui agli artt. 86 e seguenti del d.lgs. n. 163/2006;
Subappalto: Pagamento diretto a carico della stazione appaltante delle retribuzioni del personale del subappaltatore in caso di ritardo nel pagamento da parte dell'appaltatore del corrispettivo del subappalto; Divieto per le imprese che hanno partecipato alla gara di rendersi subappaltatrici dell'impresa aggiudicataria, Ricorso al subappalto per le sole prestazioni che rivestono carattere di specializzazione nella categoria di riferimento; Redazione di piani di sicurezza; Divieto di affidamento in economia per i lavori ed i servizi "ad alto rischio", da definirsi con successiva regolamentazione amministrativa; Cause di esclusione dalle gare - Divieto quinquennale di partecipazione alle procedure di affidamento per le imprese che siano incorse in determinati comportamenti, nonché esclusione biennale per le imprese che non abbiano provveduto alla costituzione della cauzione provvisoria; Cauzione - Facoltatività della cauzione provvisoria a corredo dell'offerta; Giustificazioni ai fini della verifica delle offerte anormalmente basse - Prevista presentazione da parte dei soli offerenti da assoggettare a verifica di anomalia, a seguito di specifica richiesta; Facoltà di prevedere nel bando di gara il s ubentro di altro concorrente nel contratto di appalto sciolto per fallimento dell'appaltatore o risolto per suo inadempimento.

Dispositivo: estinzione del processo
Atti decisi: ric. 39/2007
O.284/2008 del 09/07/2008
Camera di Consiglio del 09/07/2008, Presidente BILE, Relatore DE SIERVO


Conflitto: Ammissibilità di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito di:
- sentenza del TAR Lazio 27/02/2008, n. 1855/08;
- sentenza del Consiglio di Stato, Sez. 4., 13/03/2008, n. 1053/08.

Oggetto: Elezioni - Legge elettorale - Attribuzione del premio di maggioranza non vincolato a 'quorum' di voti o di seggi e list e bloccate - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dall'on. avv. Felice C. Besostri quale componente dell'organo costituzionale "corpo elettorale", nei confronti dell'ordine giudiziario e del Parlamento - Denunciata assenza di tutela giurisdizionale nei confronti di legge elettorale incostituzionale, in conseguenza della sentenza del T.A.R. Lazio n. 1855/2008 del 27 febbraio 2008 - dichiarativa dell'incompetenza del giudice amministrativo e del giudice ordinario e della competenza delle Giunte delle Elezioni delle Camere in tema di legittimità della legge elettorale - e della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1053/08 dell'11-13 marzo 2008, dichiarativa dell'inammissibilità del ricorso contro il decreto di convocazione dei Comizi elettorali, in quanto diretto contro atto politico non impugnabile.

Dispositivo: inammissibile
Atti decisi: confl. pot. amm. 6/2008

pronuncia successiva

SENTENZA N. 277

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfio           FINOCCHIARO       "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Sabino          CASSESE           "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Calabria 28 dicembre 2007, n. 27 (Integrazione piano regionale dei rifiuti), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 28 febbraio 2008, depositato in cancelleria il successivo 7 marzo ed iscritto al n. 20 del registro ricorsi 2008.

    Visto l'atto di costituzione della Regione Calabria;

    udito nell'udienza pubblica del 24 giugno 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

    uditi l'avvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Giovanni Pitruzzella per la Regione Calabria.

Ritenuto in fatto

    1.- Con ricorso notificato il 28 febbraio 2008 e depositato il successivo 7 marzo il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato la legge della Regione Calabria 28 dicembre 2007, n. 27 (Integrazione piano regionale dei rifiuti), la quale ha disposto la sospensione della norma contenuta nel piano di gestione dei rifiuti della Regione, che autorizza la realizzazione del raddoppio del termovalorizzatore di Gioia Tauro.

    Il ricorrente premette che l'art. 117, terzo comma, della Costituzione assegna alla competenza ripartita le materie del governo del territorio e della protezione civile, con la conseguenza che le Regioni devono disciplinare la «gestione dei rifiuti» nel rispetto dei principi fondamentali dettati dal legislatore. Tale principi, per quanto attiene all'ambito materiale della protezione civile, sono stati fissati dalla legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del servizio nazionale della protezione civile), che ha, tra l'altro, attribuito allo Stato una specifica competenza a disciplinare gli eventi di natura straordinaria (art. 2, comma 1, lettera c, e art. 5). Tale competenza si sostanzia nel potere del Consiglio dei mi nistri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega, del Ministro per il coordinamento della protezione civile, di deliberare e revocare lo stato di emergenza. Inoltre, per l'attuazione dei predetti interventi di emergenza possono essere adottate ordinanze - anche da parte di Commissari delegati - in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico (art. 5, comma 2, della stessa legge n. 225 del 1992).

    Per quanto attiene alla Regione Calabria, sottolinea ancora la difesa dello Stato, con d.P.C.m. 12 settembre 1997 è stato dichiarato, «fino al 31 dicembre 1998», lo stato di emergenza a causa della crisi socio-economico-ambientale determinatasi nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, prorogato da ultimo al 31 ottobre 2007.

    1.1.- Chiarito ciò, l'Avvocatura generale dello Stato sottolinea che, durante lo stato di emergenza, il Commissario straordinario ha disposto, con ordinanza del 30 ottobre 2007, n. 6294, l'approvazione e la pubblicazione del piano regionale dei rifiuti, che prevede anche la realizzazione del raddoppio del termovalorizzatore di Gioia Tauro. Il ricorrente lamenta che con la legge impugnata la Regione, disponendo la sospensione temporanea dei lavori relativi al suddetto termovalorizzatore, avrebbe vanificato gli interventi posti in essere dal Commissario. Si tratta, si puntualizza nel ricorso, di una norma che riproduce il contenuto d i una precedente disposizione (art. 14, comma 5, della legge della Regione Calabria 17 agosto 2005, n. 13, che reca «Provvedimento generale, recante norme di tipo ordinamentale e finanziario - collegato alla manovra di assestamento di bilancio per l'anno 2005 ai sensi dell'art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8») dichiarata illegittima da questa Corte con la sentenza n. 284 del 2006 per contrasto con i principi fondamentali posti dalla legge n. 225 del 1992.

    Il ricorrente rileva, inoltre, come, da ultimo, sia stata emanata l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 22 gennaio 2008, n. 3645, con cui sono stati protratti i poteri del Commissario delegato, nonostante la conclusione dello stato di emergenza, per il completamento entro il 30 giugno 2008 di tutte le iniziative ancora di propria competenza già programmate ed in corso di attuazione.

    In definitiva, l'Avvocatura assume che la legge impugnata - prevedendo la sospensione della realizzazione del raddoppio del termovalorizzatore fino all'espletamento delle verifiche di compatibilità ambientale, economica e tecnologica dell'impianto, per un periodo massimo di sessanta giorni dall'insediamento della Commissione di verifica e comunque fino al pronunciamento di merito della stessa - derogherebbe a quanto previsto dalla citata ordinanza n. 6294 del 2007, con violazione dei principi fondamentali posti dall'art. 5 della legge n. 225 del 1992 di autorizzazione all'esercizio in via provvisoria dei poteri di ordinanza del Commissario delegato.

    Né varrebbe sostenere, si aggiunge, che la disposizione impugnata sarebbe necessaria per consentire la suddetta verifica di compatibilità ambientale, in quanto «tale verifica si inquadra nel corretto (e già svolto) iter procedimentale propedeutico alla realizzazione dell'opera».

    Alla luce di quanto esposto, il ricorrente chiede che venga dichiarata costituzionalmente illegittima la norma impugnata, con richiesta di sospensione dei suoi effetti ai sensi dell'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, così come modificato dall'art. 9, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

    2.- Si è costituita in giudizio la Regione Calabria, la quale, in via preliminare, sottolinea come da una lettura coordinata degli artt. 108 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59) e 5 del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, emerga l'esistenza di un dovere di «istituire aree di co -governo e procedure di co-decisione delle emergenze territoriali» (si richiama, al riguardo, la sentenza n. 327 del 2003 di questa Corte).

    Nel caso in esame, si sottolinea, non vi sarebbe stata alcuna procedura di codecisione in relazione all'adozione delle ordinanze n. 6294 del 2007 e n. 3645 del 2008. Infatti, sia in occasione dell'approvazione del piano regionale dei rifiuti, sia ai fini della disciplina dello stato di emergenza ambientale regionale, «la competenza della Regione in sede di intesa è stata esautorata». Ne consegue che «l'adozione del provvedimento legislativo di sospensione dei lavori di realizzazione del raddoppio del termovalorizzatore - proprio in quanto funzionale a consentire l'effettuazione delle verifiche di compatibilità ambientale, economica e tecnologia dell'impianto - costituisce una mera espressione, nonché reintegrazione, della suddetta potestà legislativa e, quindi, pienamente com patibile con il riparto di competenze previsto dall'art. 117, terzo comma, Cost.».

    Sotto altro profilo, la difesa regionale sottolinea come l'esercizio dei poteri di ordinanza ha natura eccezionale e non può legittimare il sacrificio illimitato dell'autonomia regionale.

    Le ordinanze in esame non rispetterebbero i suddetti requisiti, con la conseguenza che «la natura intrinsecamente illegittima delle medesime ordinanze esclude in limine (.) che possa essere considerato come parametro (.) di riferimento per dedurne la illegittimità costituzionale della legge regionale, in particolare mediante il giudizio di legittimità costituzionale in via diretta».

    3.- Con memoria depositata nell'imminenza dell'udienza pubblica la Regione Calabria ha ribadito le argomentazioni già contenute nell'atto di costituzione, ribadendo la non contrarietà della legge della Regione Calabria n. 27 del 2007 ai principi fondamentali in materia di protezione civile e di governo del territorio.

Considerato in diritto< o:p>

    1.- Con ricorso notificato il 28 febbraio 2008 e depositato il successivo 7 marzo, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Regione Calabria 28 dicembre 2007, n. 27 (Integrazione piano regionale dei rifiuti), per violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.

    Le disposizioni oggetto di censura prevedono la sospensione dei lavori di realizzazione del raddoppio del termovalorizzatore di Gioia Tauro - per consentire l'espletamento delle verifiche di compatibilità ambientale, economica e tecnologica dell'impianto - per la durata massima di sessanta giorni dall'insediamento della Commissione di verifica e comunque fino alla decisione di merito della stessa.

    2.- In via preliminare, appare opportuno rilevare, ribadendo quanto già sottolineato da questa Corte con la sentenza n. 284 del 2006, che lo Stato, ai sensi dell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), ha una specifica competenza a disciplinare gli eventi di natura straordinaria di cui all'art. 2, comma 1, lettera c), della stessa legge. Più specificamente, tale competenza si sostanzia nel potere del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega, del Ministro per il coordinamento della protezione civile, di deliberare e revocare lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla natura degli eventi. L'esercizio di questi poteri - come è stato specificato dalla normativa successivamente intervenuta - deve avvenire d'intesa con le Regioni interessate, sulla base di quanto disposto dall'art. 107 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), nonché dall'art. 5, comma 4-bis, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343 (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile) convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 9 novembre 2001, n. 401.

    Inoltre, per l'attuazione dei predetti interventi di emergenza, possono essere adottate ordinanze - anche da parte di Commissari delegati (art. 5, comma 4, della legge n. 225 del 1992) - in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto, tuttavia, dei principi generali dell'ordinamento giuridico (art. 5, comma 2).

    2.1.- In applicazione, in particolare, del citato art. 5 della legge n. 225 del 1992, con d.P.C.M. 12 settembre 1997 è stato dichiarato, «fino al 31 dicembre 1998», lo stato di emergenza nella Regione Calabria a causa della grave crisi socio-economico-ambientale determinatasi nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani.

    Tale stato di emergenza, più volte prorogato per periodi variamente determinati, è stato, da ultimo, protratto fino al 31 ottobre 2007 con d.P.C.m. 16 febbraio 2007. Il mancato completamento entro il suddetto termine delle iniziative volte a superare il contesto di criticità ambientale in atto nel territorio della Regione Calabria ha, però, indotto il Presidente del Consiglio dei ministri, con ordinanza del 22 gennaio 2008, n. 3645, ad attribuire al Commissario delegato il compito di portare ad esecuzione gli interventi già programmati ed in corso di attuazione.

    Durante la vigenza della predetta situazione di grave rischio ambientale il Commissario delegato ha adottato, tra l'altro, l'ordinanza 30 ottobre 2007, n. 6294, con cui è stato approvato il nuovo piano di gestione dei rifiuti della Regione Calabria, il quale prevede anche la realizzazione del raddoppio del termovalorizzatore di Gioia Tauro. Sia l'ordinanza n. 3645 del 2008, che la precedente ordinanza n. 6294 del 2007 non sono state impugnate dalla Regione Calabria né in sede di giurisdizione amministrativa, né con ricorso per conflitto di attribuzione davanti a questa Corte.

    In questo contesto si colloca la legge regionale impugnata, la quale, come già precisato, ha disposto la sospensione dei lavori di realizzazione del predetto impianto in attesa dell'effettuazione delle verifiche di compatibilità ambientale, economica e tecnologica.

    2.2.- Nei confronti della suddetta legge si appuntano le critiche del Presidente del Consiglio dei ministri di violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.

    2.3.- Il ricorso è fondato.

    Questa Corte ha già avuto modo di affermare che le previsioni contemplate nei richiamati articoli 5 della legge n. 225 del 1992 e 107 del d.lgs. n. 112 del 1998 - le quali legittimano lo Stato ad adottare specifiche ordinanze di necessità ed urgenza per ovviare a situazioni di emergenza - sono espressive di un principio fondamentale della materia della protezione civile, che assume una valenza particolarmente pregnante quando sussistano ragioni di urgenza che giustifichino un intervento unitario da parte dello Stato (sentenza n. 284 del 2006).

    Detto intervento rinviene, altresì, un ulteriore titolo di legittimazione nella competenza legislativa in materia di tutela dell'ambiente, nel cui ambito si colloca il settore relativo alla gestione dei rifiuti (sentenze n. 284 del 2006; n. 161 e n. 62 del 2005; n. 312 e n. 96 del 2003).

    2.4.- La legge regionale impugnata, disponendo la sospensione, pur essendo ancora in atto la situazione di emergenza, degli effetti prodotti dall'ordinanza n. 6294 del 2007, emanata dal Commissario delegato, ha violato i principi fondamentali posti dall'art. 5 della legge n. 225 del 1992.

    La Corte ha già ritenuto illegittima tale modalità di esercizio della potestà legislativa regionale, dichiarando incostituzionale, tra l'altro, l'art. 14, comma 5, della legge della stessa Regione Calabria 17 agosto 2005, n. 13, che reca «Provvedimento generale, recante norme di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di assestamento di bilancio per l'anno 2005 ai sensi dell'art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8)», che aveva, in attesa dell'approvazione del nuovo «piano regionale dei rifiuti», bloccato "temporaneamente" la realizzazione del raddoppio dello stesso termovalorizzatore di Gioia Tauro.

    In questa sede, pertanto, deve ribadirsi la non conformità a Costituzione di siffatti interventi che, lungi dal costituire svolgimento attuativo dei principi fondamentali posti dal legislatore statale, si pongono l'obiettivo di neutralizzare gli effetti prodotti da ordinanze che rinvengono il proprio fondamento giustificativo nella legge statale e nella potestà di dettare i principi fondamentali in una materia affidata alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni.

    2.5.- Né si può pervenire ad una diversa conclusione sulla base di quanto affermato dalla difesa regionale, e cioè che l'adozione delle norme con cui è stata disposta la sospensione dei lavori costituisca una "reintegrazione" della potestà legislativa violata.

    Sul punto, con la citata sentenza n. 284 del 2006, si è affermato che «il legislatore regionale non può utilizzare (.) la potestà legislativa per paralizzare - nel periodo di vigenza della situazione di emergenza ambientale - gli effetti di provvedimenti di necessità ed urgenza, non impugnati, emanati in attuazione delle riportate disposizioni di legge espressive di principi fondamentali».

    Allo stesso modo, privo di fondamento è il rilievo, svolto sempre dalla difesa regionale, secondo cui l'ordinanza di approvazione del piano regionale dei rifiuti, non essendo stata adottata nel rispetto delle procedure di concertazione previste dall'art. 107 del d.lgs. n. 112 del 1998, non può essere considerata come parametro di riferimento per dedurre la illegittimità costituzionale della legge regionale, in particolare mediante il giudizio di legittimità costituzionale in via principale.

    A prescindere dall'ovvia considerazione che le ordinanze di urgenza, per la loro natura, non potrebbero comunque assurgere al valore di parametro interposto, la infondatezza della suindicata deduzione difensiva discende dalla necessità di mantenere separati i profili di rilevanza costituzionale afferenti al rapporto tra competenze legislative attribuite ai diversi livelli di governo che possono venire in rilievo nei giudizi di impugnazione delle leggi, dagli aspetti relativi alla illegittimità delle ordinanze di necessità ed urgenza. Tale ultimo profilo, in realtà, appartiene al piano dell'esercizio concreto delle funzioni amministrative, e deve essere dedotto nelle competenti sedi giudiziarie ed eventualmente, ricorrendone i necessari presupposti, anche innanzi a questa Cort e mediante ricorso per conflitto di attribuzione. Ed infatti, soltanto in tali sedi la Regione avrebbe potuto contestare la validità dei suddetti provvedimenti anche in relazione alla mancanza di adeguate forme di leale collaborazione e di concertazione ai fini della loro adozione. È evidente, dunque, come non sia consentito alla Regione richiamarsi ad una presunta illegittimità delle ordinanze adottate da autorità dello Stato, che non abbiano formato oggetto di rituale impugnazione nei termini e con le modalità previste dall'ordinamento per la loro contestazione in sede giudiziaria.

    2.6.- Infine, deve rilevarsi come - contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della Regione Calabria - le norme censurate non possano rinvenire la loro giustificazione, sul piano costituzionale, nella natura transitoria, peraltro solo apparente, del precetto in esse contenuto. Infatti, tali norme, pur stabilendo formalmente che la sospensione «avrà la durata massima di 60 giorni dall'insediamento della Commissione di verifica», aggiungono che la stessa permarrà «fino al pronunciamento di merito» da parte della medesima Commissione e quindi senza la predeterminazione di un termine finale di durata della sospensione stessa.

    3.- Alla luce delle considerazioni che precedono, la legge impugnata deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, con assorbimento dell'esame dell'istanza di sospensione ai sensi dell'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Calabria 28 dicembre 2007, n. 27 (Integrazione piano regionale dei rifiuti).

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA
pronuncia precedente< img src="http://www.cortecostituzionale.it/img/ico12.gif" border="0" hspace="3" vspace="0" alt="Pronuncia successiva">

SENTENZA N. 278

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfio           FINOCCHIARO       "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Sabino          CASSESE           "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), modificato dall'art. 1, comma 2, del decreto-legge 14 settembre 2004 n. 241, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 12 novembre 2004 n. 271, promosso con ordinanza del 3 novembre 2006 dal Giudice di pace di Torino sul ricorso proposto da Abdelhamid Ftoutou contro il Prefetto di Torino, iscritta al n. 400 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 2007.

    Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio dell'11 giugno 2008 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

Ritenuto in fatto

      1. - Il Giudice di pace di Torino, con ordinanza del 3 novembre 2006, emessa sul ricorso presentato a mezzo posta da Ftoutou Abdelhamid (al momento trattenuto presso il Centro di Permanenza Temporaneo - C.P.T. «Brunelleschi» di Torino, in forza del provvedimento del Questore di Torino emesso il 1° settembre 2006) avverso il decreto di espulsione n. 3032/06 emesso in pari data dal Prefetto di Torino, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui non consente allo straniero l'utilizzo del servizio postale ai fini del ricorso diretto avverso il decreto prefettizio di espulsione.

      Il rimettente ritiene che, in assenza di una espressa previsione che consenta la presentazione del ricorso a mezzo del servizio postale, dovrebbe ritenersi che l'opposizione al decreto di espulsione sia proposta ritualmente soltanto con il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice territorialmente competente.

      Secondo il giudice a quo, l'impossibilità di utilizzare il mezzo postale nella circostanza, contrasta con i princípi sanciti negli artt. 3 e 24 della Costituzione, per le medesime considerazioni in virtù delle quali la Corte costituzionale, con le sentenze n. 98 del 2004 e n. 520 del 2002, è pervenuta, rispettivamente, alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), a proposito della opposizione ad ordinanza-ingiunzione, e dell'art. 22, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 199 2, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in tema di deposito degli atti ai fini della costituzione nel giudizio tributario.

      Osserva il rimettente che in termini non dissimili da quelli delle pronunce appena richiamate, il procedimento di impugnazione del decreto prefettizio di espulsione, è improntato alla massima semplicità di forme, al punto che il legislatore si limita ad individuare il giudice competente per territorio (il giudice di pace del luogo in cui ha sede l'autorità che ha disposto l'espulsione) e a prevedere esclusivamente il termine entro il quale il ricorso dev'essere presentato, senza dettare alcuna disposizione circa il successivo svolgimento del giudizio.

            Ancor più evidente - secondo il rimettente - è l'esigenza di semplicità e di immediatezza dell'accesso alla giustizia per lo straniero il quale viene raggiunto pressoché contestualmente dall'ordine di espulsione e dall'ordine di allontanarsi dal territorio dello Stato entro cinque giorni dalla notifica dell'espulsione (art. 14, comma 5-bis), termine al cui decorso consegue il reato previsto e punito dall'art. 14, comma 5-ter con la reclusione da uno a quattro anni, ovvero l'adozione di altro provvedimento del questore col quale lo straniero viene ulteriormente trattenuto presso un centro di permanenza temporanea in attesa che siano acquisiti dalle autorità consolari i document i per l'espatrio e si procuri il vettore necessario per il viaggio di rientro (art. 14, comma 1, d.lgs. n. 286 del 1998).

            Orbene, proprio l'estrema ristrettezza di tali termini, nonché la peculiare situazione degli stranieri trattenuti presso il C.P.T. ai quali è di fatto impedito di eseguire il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice di pace, rende l'uso del mezzo postale l'unico modo di presentazione del ricorso stesso, l'omessa previsione del quale si traduce in una limitazione del diritto di difesa tutelato dall'art. 24 Cost.

      Secondo il rimettente, inoltre, l'impossibilità dell'uso del mezzo postale determina una ingiustificata disparità di trattamento tra il ricorrente e la P.A. che, invece, si avvale ampiamente dell'invio degli atti processuali a mezzo posta o addirittura a mezzo fax.

      2. Nell'intervenire a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce la manifesta inammissibilità della questione, osservando che il rimettente, mentre si pone pregiudizialmente il problema della rilevanza della questione al fine di potere o meno introdurre il procedimento giurisdizionale, nello stesso tempo lo considera introdotto, nominando al ricorrente un difensore d'ufficio ai sensi della stessa norma censurata.

            Aggiunge la difesa erariale che il rimettente ha sollevato la questione di legittimità costituzionale ancor prima che scadessero i sessanta giorni previsti per la presentazione del ricorso, mentre, se avesse ritenuto rilevante la questione avrebbe potuto attendere lo spirare del predetto termine entro il quale il ricorrente avrebbe potuto introdurre in modo sicuramente valido il giudizio.

      Nel merito, l'Avvocatura generale dello Stato osserva che la disposizione denunciata garantisce allo straniero l'effettività del diritto di difesa in giudizio sia riconoscendogli il termine di sessanta giorni per impugnare il provvedimento di espulsione, sia prevedendo la possibilità di usufruire della difesa di fiducia, o d'ufficio, nonché del gratuito patrocinio, sia, infine, prevedendo che lo straniero può essere autorizzato dal questore a rientrare in Italia ai fini della difesa processuale.

Considerato in diritto< /o:p>

      1. - Il Giudice di pace di Torino dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 8, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) nel testo dapprima sostituito dall'art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, e poi così modificato dall'art. 1, comma 2, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui non dispone espressamente che lo straniero possa inoltrare il ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione anche a mezzo posta, in alternativa al deposito presso la cancel leria del giudice competente.

      Viene denunciata la violazione dell'art. 3 Cost., sia per la disparità di trattamento tra chi intende impugnare l'indicato decreto prefettizio e la P.A. che, invece, si avvale ampiamente degli strumenti postali o telematici, sia per le ingiustificate difficoltà che lo straniero, destinatario del provvedimento prefettizio di espulsione, incontra per provvedere al deposito del ricorso.

      Quanto all'art. 24 Cost., la previsione, quale unica modalità dell'impugnazione, della presentazione - anche personale - del ricorso nelle mani del cancelliere è, ad avviso del rimettente, incoerente con la struttura semplificata del procedimento e, comunque, tale ostacolare irragionevolmente l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale da parte del destinatario del decreto.

    Il d.lgs. n. 286 del 1998 prevede che l'espulsione del cittadino extracomunitario illegittimamente presente nel territorio nazionale sia disposta dal prefetto con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame da parte dell'interessato (art. 13, comma 3), e viene eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4), salvo i casi di cui all'art. 13, comma 5 (quando, cioè, il permesso di soggiorno è scaduto di validità da oltre sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo).

    L'intero procedimento di espulsione è assistito da apposita tutela giurisdizionale, essendo prevista - dall'art. 1, comma 2, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 12 novembre 2004, n. 271, modificativo dell'art. 13, comma 8, del d.lgs. n. 286 del 1998 - la possibilità di impugnare il decreto di espulsione davanti al giudice di pace, con ricorso «sottoscritto anche personalmente» dall'interessato, e presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di destinazione. La sottoscrizione del ricorso è autenticata dai funzionari delle rappresentanze diplomatiche o consolari che provvedono a certificarne l'autenticità e a curarne l'inoltro all'autorità giudiziaria.

      La norma censurata prevede altresì che lo straniero «è ammesso all'assistenza legale da parte di un patrocinatore legale di fiducia munito di procura speciale rilasciata avanti all'autorità consolare. Lo straniero è pure ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell'ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all'articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete.

            La giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che il ricorso in opposizione previsto dalla norma denunciata non può essere inoltrato al giudice competente a mezzo posta o telefax, ma deve essere depositato presso la cancelleria di detto giudice con consegna a mani del cancelliere, considerato che tale deposito, in difetto di espressa norma derogatrice delle regole generali, costituisce il necessario ed esclusivo strumento per portare all'esame del giudice adito l'atto di impulso processuale (sentenze 10 aprile 2003, n. 5649, e 10 aprile 2003, n. 5667).

            Tale uniforme orientamento preclude la ricerca di una soluzione della questione per via interpretativa.

            2. - Va, preliminarmente, superata l'eccezione di inammissibilità della questione formulata dall'Avvocatura dello Stato sotto il duplice profilo che il rimettente, avendo proceduto alla nomina del difensore di ufficio, nell'interesse del ricorrente, nonostante l'avvenuta ricezione del ricorso per via postale, e avendo sollevato la questione prima della scadenza dei sessanta giorni prescritti per l'impugnazione in esame, sarebbe venuto meno l'interesse alla questione in quanto il ricorso - ancorché presentato nella modalità non consentita - avrebbe raggiunto il suo scopo.

            L'eccezione non può essere condivisa, atteso che l'intervento del giudice rimettente non vale di per sé a superare la perdurante incertezza sulla legittimità costituzionale della norma censurata, potendo l'irregolarità del ricorso inviato per posta riemergere nel successivo corso del processo, minandone l'esito.

      3. - Nel merito, la questione è fondata nei termini che seguono.

      Questa Corte, con la sentenza n. 98 del 2004, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non consentiva l'utilizzo del servizio postale per la proposizione dell'opposizione alla ordinanza-ingiunzione, affermando l'esigenza, di carattere costituzionale, che le norme che determinano cause di inammissibilità degli atti introduttivi dei giudizi siano in armonia con lo specifico sistema processuale cui si riferiscono e non frappongano ostacoli all'esercizio del diritto di difesa non giustificati dal preminente interesse pubblico ad uno svolgimento del processo adeguato alla funzione ad esso assegnata.

      Nell'occasione fu sottolineato che, in relazione alla semplificata struttura processuale, l'esclusione della possibilità di utilizzo del servizio postale al fine della proposizione del ricorso appariva incongrua per il suo formalismo e perciò lesiva del canone di ragionevolezza.

    L'argomento può essere solo in parte riferito alla procedura di impugnazione del decreto di espulsione, la quale, pur essendo improntata alla massima semplicità di forme ed all'obbiettivo di un accesso immediato alla giustizia, si colloca in un contesto del tutto particolare.

    Il sistema delineato dalla norma denunciata, infatti, nel consentire allo straniero di sottoscrivere personalmente il ricorso, prevede che quest'ultimo sia depositato presso la cancelleria del giudice competente, o, in caso di rientro nel Paese d'origine o in altro luogo, che sia presentato per il tramite dell'autorità consolare o diplomatica italiana nel Paese di destinazione.

    La presentazione del ricorso, in altri termini, viene articolata in modo tale da garantire la certezza circa l'identità dello straniero destinatario del provvedimento di espulsione. Nei casi di proposizione del ricorso per mezzo del difensore o della rappresentanza diplomatica, questa garanzia risulta pienamente assicurata. Altrettanto può dirsi nel caso di sottoscrizione personale del ricorso da parte dello straniero e conseguente deposito del medesimo presso la cancelleria del giudice competente con consegna a mani del cancelliere. Nel caso, invece, di trasmissione del ricorso a mezzo posta l'identità del ricorrente potrebbe non risultare garantita. Conseguentemente non potrebbero ritenersi soddisfatte quelle esigenze di certezza perseguite dal legislatore.

    Ovviamente, però, quando, vi sia certezza circa l'identità dello straniero non v'è ragione di escludere l'utilizzabilità del servizio postale per la presentazione del ricorso. In tale ipotesi, infatti, l'esclusione risulterebbe incongrua.

    Nei termini che precedono, quindi, va dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma denunciata, nella parte in cui non consente l'utilizzo del servizio postale al fine del deposito del ricorso in opposizione avverso il decreto prefettizio di espulsione, quando sia stata accertata l'identità del ricorrente in applicazione della normativa vigente.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 8, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo dapprima sostituito dall'art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, e poi così modificato dall'art. 1, comma 2, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui non consente l'utilizzo del servizio postale per la proposizione diretta, da parte del lo straniero, del ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione, quando sia stata accertata l'identità del ricorrente in applicazione della normativa vigente.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

SENTENZA N. 279

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfio           FINOCCHIARO       "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Sabino          CASSESE           "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito del decreto del Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Torino del 18 settembre 2007, con cui veniva disposto il giudizio a norma dell'art. 429 del codice di procedura penale nei confronti del consigliere della Regione Piemonte Matteo Brigandì, promosso con ricorso della Regione Piemonte notificato il 27 marzo 2008, depositato in cancelleria il 28 marzo 2008 ed iscritto al numero 5 del registro conflitti tra enti 2008.

    Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché l'atto di intervento di Cavaletto Marco;

    udito nell'udienza pubblica del 10 giugno 2008 il Giudice relatore Sabino Cassese;

    uditi gli avvocati Stefano Maccioni per Cavaletto Marco, Claudio Maria Papotti per la Regione Piemonte e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

    1. - La Regione Piemonte, con ricorso del 19 marzo 2008, ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, per violazione dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione, in relazione al decreto del Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Torino del 18 settembre 2007, con cui è stato disposto il giudizio a norma dell'art. 429 del codice di procedura penale nei confronti del consigliere della Regione Piemonte Matteo Brigandì.

    1.1. - Espone la Regione ricorrente che il consigliere, all'epoca dei fatti membro del Consiglio regionale del Piemonte e Assessore agli affari legali e contenzioso della stessa Regione, è imputato di reato di diffamazione nei confronti del dirigente, Marco Cavaletto, preposto alla «Direzione Commercio e Artigianato» della Regione Piemonte per aver:

    - stilato e messo a disposizione dell'Assemblea regionale - nel periodo che va dal 18 giugno al 16 luglio 2003 - una relazione sulla «causa bi-alluvionati» (non sottoscritta e composta da 17 pagine) nella quale, tra l'altro, esprimeva le seguenti affermazioni: «l'unica cosa certa è che uno dei due fatti dati per certi dal dirigente è falso» [...] «delle due l'una o il direttore vuole vessare il cittadino o il direttore vuole applicare, essendo alla data delle lettere ormai noto il suo comportamento con la Fasti, una linea di comportamento simile a quella tenuta con la Fasti ma in aperto contrasto con la ci rcolare 3/LAP e con le sue stesse delibere...» «Cavaletto afferma falsamente di avere rimborsato i danni» «strano quindi appare che un solerte dipendente che ha ritenuto di andare di persona a verificare addirittura la costituzione ... non ha visto queste macroscopiche discrasie ...» «ritiene lo scrivente che non vi sia spazio per pensare ad un fatto colposo ... come si può spiegare, se non con la presenza del dolo il fatto ...» «in altri termini il direttore propone delle soluzioni irrazionali ... con l'evidente scopo di affossare l'eventuale transazione ...» «non si può non tenere conto del grave danno che è stato cagionato alla p.a. in quanto la regione ha pagato la somma di lire 2.353.886.942 che proprio in base alla interpretazione della legge n. 365/2000 data dallo stesso direttore non avrebbero dovuto essere spesi ... E' evidente che questi fatti appaiono di rilevante gravità basti pensare alla pervicacia con cui sono state dette cose false, alla prevaricazione cui sono stati sottoposti i cittadini ... il Cavaletto scrive: "la strada politicamente più percorribile per risolvere definitivamente ed in fretta la questione" facendo non solo evidenza di divergenze politiche ma, con il virgolettato sulle parole "in fretta" con una critica che appare anche ingiuriosa. Per tralasciare il fatto riportato in sede di Giunta ove lo stesso Cavaletto avrebbe adombrato interessi privati di alcuni degli assessori»;

    - rilasciato un'intervista al quotidiano «La Repubblica», pubblicata in data 27 luglio 2003, nella quale dichiarava: «Io e i miei colleghi di Giunta abbiamo agito per limitare l'esborso di denaro pubblico. A differenza di quanto aveva fatto nei mesi scorsi Cavaletto che aveva deciso di liquidare i danni di un'altra ditta, la Fasti ... sulla base di un atto notorio, che non è una domanda di risarcimento, e di un nulla osta di liquidazione danni rilasciato da una banca a un'assicurazione per l'alluvione del 1994. Perchè la Fasti aveva diritto al risarcimento e l'Autovallere no?»;

    - rilasciato, infine, un'altra intervista al telegiornale RAI 3 regionale  del Piemonte, diffusa in data 28 luglio 2003, nel corso della quale dichiarava: «la responsabilità della transazione è riconducibile solamente ai direttori, poiché l'Assessore mette firme ad atti da loro preparati».

    La Regione Piemonte riferisce che a seguito delle sopra menzionate dichiarazioni, il direttore Cavaletto ha presentato querela per diffamazione e che la procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, al termine delle indagini preliminari, ha richiesto il rinvio a giudizio del consigliere regionale. Successivamente, il Consiglio regionale ha dichiarato l'insindacabilità delle opinioni espresse dal consigliere regionale ai sensi dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione e, nonostante tale delibera, il Giudice per l'udienza preliminare dello stesso Tribunale, dopo aver respinto con ordinanza del 18 settembre 2007 l'eccezione difensiva di insindacabilità, ha disposto, con decreto emesso nell a stessa data, il rinvio a giudizio del consigliere regionale.

    1.2. - In via preliminare, la Regione ricorrente sottolinea che l'ordinanza del Giudice per l'udienza preliminare in data 18 settembre 2007 ed il contestuale decreto che dispone il giudizio sono stati conosciuti dal Consiglio regionale del Piemonte, che non era parte in causa, solo in data 1 febbraio 2008, poiché comunicati dal consigliere Brigandì con lettera datata 29 gennaio 2008 e che, pertanto, è stato rispettato il termine per la proposizione del ricorso previsto dall'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). Inoltre, la ricorrente insiste per la sussistenza degli elementi soggettivo e oggettivo del conflitto di attribuzioni propost o.

    1.3 - Quanto alle ragioni del conflitto, la Regione Piemonte osserva che, in caso di delibera del Consiglio regionale con la quale si affermi l'immunità del consigliere ai sensi del citato art. 122, quarto comma, della Costituzione, il giudice «non potrebbe più proseguire il processo» dovendo, piuttosto, «affermarne l'improcedibilità» tenuto conto che l'art. 3 della legge regionale 19 novembre 2001, n. 32 (Norme in materia di valutazione di insindacabilità dei Consiglieri regionali, ai sensi dell'articolo 122, comma 4, della Costituzione), sancisce il divieto di chiamare a rispondere i consiglieri regionali per opinioni e voti espressi nell'esercizio delle loro funzioni.

    La Regione insiste affinché l'orientamento giurisprudenziale costituzionale secondo cui «l'identità formale degli enunciati di cui all'art. 68, primo comma, e 122, quarto comma, Cost., non riflette, tuttavia, una compiuta assimilazione tra le assemblee parlamentari ed i consigli regionali» (sentenza n. 301 del 2007) «possa essere oggetto di una nuova riflessione» poiché, secondo la ricorrente, non si giustifica «un'interpretazione restrittiva dell'art. 122 rispetto al suo omologo applicabile ai membri del Parlamento».

    La Regione richiama i caratteri costituzionali dell'autonomia regionale, che, sebbene distinti dal concetto di sovranità riservato allo Stato, assicurano all'ente regionale un'autonomia normativa, organizzatoria e politica. In tale ambito, l'art. 122, quarto comma, della Costituzione ha, secondo la ricorrente, una funzione di «schermo costituzionale» a difesa dell'autonomia normativa e politica delle Regioni.

    1.4. - In relazione alla sussistenza, nel caso in esame, dei presupposti di insindacabilità delle opinioni espresse dal consigliere, la Regione, richiamata la giurisprudenza costituzionale in ordine alla prerogativa prevista dall'art. 122, quarto comma, Cost. in favore dei consiglieri regionali (sentenze n. 276 e n. 76 del 2001), osserva che occorre valutare se, dal punto di vista oggettivo, «l'immunità de qua possa estendersi alle attività dei consiglieri regionali che al contempo rivestano la carica di membro della Giunta regionale». Nel caso di specie, ad avviso della difesa regionale, il consigliere regionale stava conducendo una «battaglia politica» di rinnovament o all'interno del Consiglio regionale e nel corso di questa aveva ritenuto, anche nello svolgimento delle funzioni di Assessore agli affari legali della Giunta regionale, che un dirigente della Regione Piemonte non avesse tenuto un comportamento all'altezza dei suoi doveri di efficienza e trasparenza nel corso della vicenda connessa al risarcimento dovuto alle imprese alluvionate.

    A parere della Regione, «nel complesso procedimento istituzionale di "sindacato ispettivo" che, attraverso il suo legittimo "atto di denuncia politica", ebbe origine con l'interrogazione mossa dai consiglieri Palma e Mellano, proseguì con l'intervento del Presidente della Giunta regionale onorevole Ghigo, per poi snodarsi nella presentazione di altre interpellanze sulla materia e nella istituzione di una Commissione di indagine sulle imprese bi-alluvionate che esaurì i lavori con relazione finale discussa nella seduta n. 490 del 12 ottobre 2004 cui lo stesso Brigandì rese legittimo intervento. La partecipazione del consigliere Brigandì nella instauranda complessa procedura consiliare ispettiva avvenne attraverso la presentazione e consegna al Consiglio di un dossier sulla vicenda "bi-alluvionati"».

    Sostiene, quindi, la Regione che le dichiarazioni del consigliere regionale «possono considerarsi espressione di attività tipica» e, sebbene non ignori la giurisprudenza costituzionale secondo cui non è estensibile agli assessori la guarentigia prevista dall'art. 122 Cost., la Regione tuttavia ritiene che tale garanzia comunque si estenda all'esercizio di funzioni consiliari da parte del consigliere che rivesta anche la carica di assessore.

    2. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il conflitto sia dichiarato inammissibile o infondato, in ogni caso affermando che spetta allo Stato, e per esso alla magistratura, accertare e dichiarare se il fatto imputato al consigliere regionale sia assistito o meno dalla prerogativa prevista dall'art. 122, quarto comma, Cost.

    La difesa erariale sottolinea come il caso in esame sia del tutto equivalente a quello già esaminato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 301 del 2007, nella quale la Corte ha ribadito l'impossibilità di assimilare i Consigli regionali alle Assemblee parlamentari e ha escluso l'estensibilità della disciplina prevista dalla legge n. 140 del 2003 in favore dei consiglieri regionali.

    3. - In prossimità della data fissata per l'udienza, è intervenuto nel giudizio Marco Cavaletto, querelante-persona offesa nel procedimento penale principale, chiedendo dichiararsi «che spetta allo Stato, e per esso al Tribunale di Torino, decidere in merito alla vicenda in oggetto».

    3.1. - In ordine alla propria legittimazione ad intervenire nel giudizio, l'interveniente richiama sia il quadro normativo (artt. 4 e 27, quarto comma, delle «Norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale») sia l'orientamento costituzionale secondo cui nei giudizi per conflitto di attribuzione viene consentito l'intervento del terzo nel giudizio costituzionale atteso che, ove precluso, «finirebbe per risultare in concreto compromessa la stessa possibilità per la parte di agire in giudizio a tutela dei suoi diritti» (sentenza n. 195 del 2007).

    3.2. - In primo luogo, l'interveniente contesta la sequenza fattuale e temporale posta sia a base della proposta della Giunta consiliare delle insindacabilità sia a fondamento del ricorso, precisando che la «Relazione causa bi-alluvionati» non venne distribuita a seguito dell'interrogazione n. 2321 (a firma dei consiglieri Palma e Mellano presentata il 22 luglio 2003), atteso che, al contrario, l'interrogazione venne presentata a seguito della diffusione della Relazione. Sottolinea, inoltre, che il Presidente Ghigo - nel periodo che va dal 18 giugno al 16 luglio 2003 - non intervenne in assemblea sulla questione bi-alluvionati, né, nel periodo successivo, rese interventi il cui contenuto possa essere sovrapposto alle argomentazioni contenute nella predetta Relazione (seduta n. 380 del 29 luglio 2003 e seduta n. 383 del 30 luglio 2003).

    Precisa che il consigliere Brigandì (nella seduta n. 490 del 12 ottobre 2004, dedicata alla Relazione finale della Commissione d'indagine) si limitò ad un intervento su profili formali, senza rendere in alcun modo le affermazioni contenute nella «Relazione causa bi-alluvionati».

    In secondo luogo, l'interveniente richiama quanto stabilito dall'art. 3 della legge della Regione Piemonte 8 agosto 1997, n. 51 (Norme sull'organizzazione degli uffici e sull'ordinamento del personale regionale), secondo cui spetta ai dirigenti regionali la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa dell'ente, mentre è riservata agli organi istituzionalmente preposti quella politica e che, per tale ragione, i dirigenti rispondono direttamente al Presidente della Giunta regionale.

    Infine, quanto al contenuto delle interviste, la difesa del direttore Cavaletto sottolinea come gli stessi giornalisti si siano rivolti al consigliere Brigandì nella sua qualità di assessore e non di componente il consiglio regionale.

    3.3. - Nel merito, l'interveniente sostiene, da un lato, l'infondatezza della tesi sostenuta dalla Regione Piemonte in ordine al preteso parallelismo tra la tutela assicurata dall'art. 68 Cost. e quella prevista dall'art. 122 Cost. e chiede pertanto il rigetto del ricorso. Dall'altro, egli insiste nel ritenere che la «Relazione causa bi-alluvionati» non sia un atto di controllo politico esercitato da un consigliere regionale ma, più semplicemente, una comunicazione ai consiglieri di un documento formato da un membro della Giunta. Secondo l'interveniente tale circostanza troverebbe conferma nel fatto che il soggetto autore del predetto dossier non lo abbia uti lizzato per porre in essere alcuna attività tipica di indirizzo e controllo politico (interrogazioni, interpellanze o mozioni), sebbene, invece, tali attività siano state poste in essere da altri consiglieri e dopo la diffusione del medesimo dossier. L'interveniente aggiunge, infine, che le dichiarazioni rese nelle interviste non potrebbero in alcun modo essere interpretate come frutto dell'esercizio delle funzioni consiliari, in quanto il soggetto intervistato risulta aver risposto alle domande non in qualità di membro del consiglio regionale, ma di membro della Giunta.

    4. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria insistendo per l'infondatezza del ricorso.

Considerato in diritto

    1. - La Regione Piemonte ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, per violazione dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione, in relazione al decreto del Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Torino del 18 settembre 2007, con cui è stato disposto il giudizio a norma dell'art. 429 del codice di procedura penale nei confronti del consigliere della Regione Piemonte Matteo Brigandì.

    In primo luogo, la Regione Piemonte insiste perché l'orientamento giurisprudenziale costituzionale, secondo cui «l'identità formale degli enunciati di cui all'art. 68, primo comma, e 122, quarto comma, Cost., non riflette una compiuta assimilazione tra le assemblee parlamentari ed i consigli regionali in quanto, diversamente dalle funzioni assegnate alle Camere, le attribuzioni dei Consigli si inquadrano, invece, nell'esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite, ma non si esprimono a livello di sovranità» (sentenza n. 301 del 2007), «possa essere oggetto di una nuova riflessione» e chiede che, in caso di delibera di insindacabilità del Consiglio regionale a norma dell'art. 122, quarto comma, Cost., si affermi che l'autorità giudiziaria non può «più proseguire il processo».

    In secondo luogo, la Regione osserva che occorre valutare se, dal punto di vista oggettivo, «l'immunità de qua possa estendersi alle attività dei consiglieri Regionali che al contempo rivestano la carica di membro della Giunta regionale». Ad avviso della Regione, nel caso di specie, il consigliere regionale «stava conducendo una "battaglia politica" di rinnovamento all'interno del Consiglio regionale e nel corso di questa aveva ritenuto che un dirigente della Regione Piemonte non avesse tenuto un comportamento all'altezza dei suoi doveri di efficienza e trasparenza, circostanze apprese in occasione dello "svolgimento delle funzioni di Assessore agli affari legali"». So stiene la Regione che le dichiarazioni del consigliere regionale «possono considerarsi espressione di attività tipica poiché originarono, quale legittimo segmento istituzionale, un complesso sindacato ispettivo che recepì in toto tale forma di esternazione». Sul punto, la Regione, sebbene mostri di non ignorare la giurisprudenza costituzionale secondo cui non è estensibile agli assessori la guarentigia prevista dall'art. 122 Cost., ritiene che essa assista, comunque, lo svolgimento delle funzioni consiliari anche per chi sia assessore. Del resto, la ricorrente sottolinea come la qualità di Assessore agli affari legali del consigliere regionale fu solo l'occasione che permise allo stesso di conoscere più approfonditamente la vicenda in esame. Pertanto, ad avviso della Regione, la diffusione del dossier deve essere interpretata, così come ha fatto la Giunta regionale per le elezioni, le ineleggibilità e le incompatibilità, come atto di controllo ed indirizzo politico esercitato da un consigliere regionale. Sussiste, inoltre, secondo la Regione, il nesso funzionale tra tale attività funzionale e le dichiarazioni successive rese agli organi di stampa e televisione ed il legame temporale tra attività consiliare e attività esterna (sentenza n. 276 del 2001).

    2. - Preliminarmente, va dichiarato ammissibile l'intervento spiegato in giudizio da Marco Cavaletto, parte del giudizio principale che ha originato il conflitto in esame.

    Questa Corte ha più volte ritenuto che nei giudizi per conflitto di attribuzione, sebbene di regola non sia ammesso l'intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resistervi, sia tuttavia ammissibile l'intervento di coloro che, quali parti del giudizio principale la cui decisione è oggetto di conflitto, sarebbero incisi, senza possibilità di far valere le proprie ragioni, dall'esito del giudizio relativo al conflitto. Tale è la situazione dell'interveniente nel giudizio in esame (sentenza n. 195 del 2007).

    3. - Il ricorso non è fondato.

    4. - Va, anzitutto, disattesa la richiesta formulata dalla Regione ricorrente «di una nuova riflessione» in ordine al costante orientamento espresso, anche di recente, da questa Corte sul fatto che «l'identità formale degli enunciati di cui all'art. 68, primo comma, e 122, quarto comma, Cost., non riflette una compiuta assimilazione tra le assemblee parlamentari ed i consigli regionali in quanto, diversamente dalle funzioni assegnate alle Camere, le attribuzioni dei Consigli si inquadrano, invece, nell'esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite, ma non si esprimono a livello di sovranità» (sentenza n. 301 del 2007).

    Va parimenti disattesa la richiesta «di estendere alle Regioni l'efficacia inibitoria delle delibere parlamentari di insindacabilità dei membri delle Camere per le opinioni espresse e per i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni, disciplinata dalla legge n. 140 del 2003».

    Questa Corte, considerata la diversa posizione dei Consigli regionali e delle Assemblee parlamentari nel sistema costituzionale, ha escluso che le delibere di insindacabilità regionali abbiano un'efficacia inibitoria nei confronti degli atti dell'autorità giudiziaria e ha negato l'estensibilità della disciplina prevista dalla legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), in favore dei consiglieri regionali (sentenza n. 195 del 2007).

    Nel merito, si tratta di valutare se la «Relazione causa bi-alluvionati» avente ad oggetto la critica del comportamento del dirigente amministrativo della «Direzione Commercio e Artigianato» della Regione Piemonte, che ha dato origine al procedimento per reato di diffamazione ascritto al consigliere regionale, possa essere considerata come manifestazione di opinioni espresse nell'esercizio di funzioni consiliari assistite dalla prerogativa costituzionale di insindacabilità prevista dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione.

    Va osservato, in via preliminare, da un lato, che è pacificamente riconosciuto nel ricorso che tale «Relazione», sebbene stilata in modo anonimo, sia atto riconducibile all'imputato, e, dall'altro, che la diffusione del documento in sede consiliare suscitò la reazione di due consiglieri regionali, i quali, in data 22 luglio 2003, presentarono l'interrogazione n. 2321 con cui interrogarono la Giunta, tra l'altro, su «quali iniziative abbiano intrapreso su questa materia» e «se quanto riportato dal documento corrisponda al vero».

    Tanto preliminarmente osservato, dalla lettura della menzionata Relazione risulta che il locutore si rivolge alla Giunta regionale in prima persona, talvolta con l'appellativo «questo assessore». E che la Relazione ha ad oggetto non soltanto le problematiche attinenti alla permanenza in carica del menzionato dirigente, ma anche e soprattutto i problemi amministrativi relativi alla concessione delle provvidenze connesse agli eventi alluvionali dell'autunno 2000, spettanti a norma della legge di conversione 11 dicembre 2000, n. 365 (Interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato e in materia di protezione civile, nonché a favore di zone colpite da calamità naturali).

    In ragione delle modalità di diffusione e dei contenuti di tale Relazione, deve ritenersi che tale documento sia atto formato dall'autore in qualità di Assessore agli affari legali della Giunta regionale del Piemonte, qualità rivestita dal consigliere regionale nel luglio 2003, all'epoca dei fatti.

    La Relazione non può essere intesa come attività ispettiva o «atto di denuncia politica» compiuta dallo stesso in qualità di consigliere regionale, né come atto riconducibile ad una procedura consiliare di revoca del dirigente in base ai criteri di revoca delle funzioni dirigenziali fissati dalla legge regionale 8 agosto 1997, n. 51 (Norme sull'organizzazione degli uffici e sull'ordinamento del personale regionale).

    La diffusione della stessa Relazione, infatti, avvenuta nel luglio 2003, non inerisce alla procedura di controllo politico avviata, invece, con l'istituzione di una Commissione di indagine sulle imprese «bi-alluvionate» da parte del Consiglio regionale del Piemonte, avvenuta il 9 dicembre 2003.

    Non vi sono state neanche ulteriori attività funzionali compiute dal consigliere regionale su tale tema; difatti, lo stesso, intervenendo nella seduta consiliare n. 490 del 12 ottobre 2004, dedicata alla approvazione della «Relazione finale della Commissione d'indagine imprese bi-alluvionate», non rese alcuna delle affermazioni contenute nella «Relazione causa bi-alluvionati» diffusa nel luglio precedente. Né risulta che il Consiglio regionale abbia posto in essere atti riconducibili a un procedimento ispettivo.

    Questa Corte ha chiarito che la prerogativa costituzionale di cui all'art. 122, quarto comma, Cost., riguarda soltanto gli atti compiuti dal membro del Consiglio regionale (sentenza n. 195 del 2007). Pertanto, la Relazione in esame non può ritenersi assistita dalla predetta prerogativa costituzionale (dell'art. 122, quarto comma, Cost.). Ne discende l'irrilevanza della verifica circa l'esistenza del nesso funzionale tra la Relazione e le interviste giornalistiche e televisive rilasciate dallo stesso consigliere regionale.

    Infine, gli ulteriori atti funzionali citati nella relazione della Giunta regionale per le elezioni, le ineleggibilità e le incompatibilità a firma di altri consiglieri (interventi del Presidente della Giunta regionale, onorevole Ghigo, nella seduta n. 373 del 15 luglio 2003, nella seduta n. 380 del 29 luglio 2003, nella seduta n. 383 del 30 luglio 2003, l'interrogazione n. 2321 presentata il 22 luglio 2003 dai consiglieri regionali Palma e Mellano, le interpellanze presentate dal consigliere Contu n. 3031, il 22 settembre 2004, e n. 3128, il 12 novembre 2004), sono, per consolidato orientamento di questa Corte, «irrilevanti» ai fini della sussistenza sia della prerogativa costituzionale prevista dall'art. 68 Cost. (sentenza n. 97 del 2008), sia conseguentemente di quella pre vista dall'art. 122 Cost.

    Si deve, quindi, concludere che le dichiarazioni in esame non sono state rese nell'esercizio della funzione consiliare regionale e non sono, pertanto, coperte dalla immunità di cui all'art. 122, quarto comma, Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara che spettava allo Stato e, per esso, al Giudice per l'udienza preliminare presso il Tribunale di Torino, emettere il decreto del 18 settembre 2007, con cui è stato disposto il giudizio nei confronti del consigliere regionale Matteo Brigandì per il reato di diffamazione a lui ascritto.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

ORDINANZA N. 280

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-         Franco         BILE              Presidente

-         Giovanni Maria FLICK               Giudice

-         Francesco      AMIRANTE                "

-         Ugo            DE SIERVO               "

-         Paolo          MADDALENA               "

-         Alfio          FINOCCHIARO             "

-         Alfonso        QUARANTA                "

-         Franco         GALLO                   "

-         Luigi          MAZZELLA                "

-         Gaetano        SILVESTRI               "

-         Sabino         CASSESE                 "

-         Maria Rita     SAULLE                  "

-         Giuseppe       TESAURO                 "

-         Paolo Maria    NAPOLITANO              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102 (Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali), promosso con ordinanza del 14 maggio 2007 dal Giudice di pace di Alcamo nel procedimento civile vertente tra T. P. ed altri n. q. di esercenti la patria potestà sui minori T. G. ed altra e F. G. ed altra, iscritta al n. 19 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 2008.

    Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio dell'11 giugno 2008 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

    Ritenuto che, nel corso di un giudizio per risarcimento di danno alla persona, a séguito di incidente stradale, il Giudice di pace di Alcamo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102 (Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali), nella parte in cui - disponendo che «alle cause relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni, conseguenti a incidenti stradali, si applicano le norme processuali di cui al libro II, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile» - non prevede che i termini a comparire siano pari, se non superiori, a quelli previsti in materia di risarcimento di danni a cose, conseguenti a incidenti stradali, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione;

    che, secondo il rimettente, rendendosi applicabili - in forza del rinvio operato dalla norma censurata - gli artt. 415 e 416 del codice di procedura civile, il convenuto dispone di un termine insufficiente, attesa l'importanza e la delicatezza della materia, per prendere posizione sulle questioni proposte, spiegare tutte le difese, indicare i mezzi di prova e spiegare le eccezioni non rilevabili di ufficio e le domande riconvenzionali;

    che, in base alle norme richiamate, infatti, tra la data di notificazione al convenuto e quella dell'udienza di discussione, deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni, e la costituzione del contenuto deve avvenire almeno dieci giorni prima dell'udienza, sicché il resistente dispone soltanto di venti giorni per esplicare l'attività difensiva di costituzione e cioè di un termine inferiore alla metà di quello per il procedimento innanzi al giudice di pace, e, addirittura, inferiore ad un terzo di quello nei procedimenti innanzi al tribunale;

    che tale disciplina - osserva il giudice a quo - introduce un trattamento differente rispetto al giudizio proposto qualora si sia in presenza di solo danno a cose, senza alcuna valida e plausibile giustificazione al riguardo;

    che il danno a persone - rileva ancora il rimettente - attiene a beni primari della vita e dell'integrità dell'uomo e, quindi, a beni costituzionali di rango ben più elevato di quelli della proprietà di cose;

    che la norma censurata si pone, pertanto, ad avviso del giudice a quo, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione per la violazione del principio di uguaglianza, e con l'art. 24 della Costituzione, dal momento che la concessione di termini a comparire così brevi ai resistenti costituisce una compressione ed un aggravio della loro difesa;

    che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione proposta, sulla base della giurisprudenza costituzionale che riconosce ampia discrezionalità legislativa nella conformazione degli strumenti di tutela processuale, ivi compresa la scelta del rito per determinate controversie.

    Considerato che il Giudice di pace di Alcamo solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102, che in materia di giudizi aventi ad oggetto il risarcimento danni alla persona subiti in incidente stradale, dispone l'applicabilità delle norme sul rito del lavoro, in particolare del termine di comparizione di cui all'art. 415, quinto comma, cod. proc. civ., per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.;

    che in punto di rilevanza il rimettente si limita ad affermare che «a parte l'eccepito mancato rispetto del ridotto termine a comparire» di parte attrice, «anche se solo per un giorno», la convenuta «non è stata nelle condizioni di rispettare il termine di cui all'art. 416, primo comma, c.p.c.»;

    che non è dato sapere se tale vizio sia stato considerato sanato dal giudice a quo a causa della tardività dell'eccezione del convenuto, perché diversamente lo stesso giudice avrebbe dovuto ordinare il rinnovo della notifica per altra udienza all'uopo fissata;

    che il giudice a quo omette di descrivere la fattispecie sottoposta al suo esame, venendo così meno all'obbligo di rendere esplicite le ragioni che lo inducono a sollevare la questione di costituzionalità con una motivazione autosufficiente tale da permettere la verifica della valutazione sulla rilevanza della questione medesima nel giudizio a quo;

    che quanto precede determina la manifesta inammissibilità della questione proposta (ex plurimis: ordinanze nn. 450, 279 e 278 del 2007).

    Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102 (Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Alcamo, con l'ordinanza in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

ORDINANZA N. 281

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfio           FINOCCHIARO       "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Sabino          CASSESE           "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 26 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80), promosso con ordinanza del 12 aprile 2007 dal Tribunale di Reggio Emilia nel procedimento civile vertente tra Zanichelli Patrizia e il Comune di Reggio Emilia, iscritta al n. 829 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2008.

    Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 25 giugno 2008 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

    Ritenuto che il Tribunale ordinario di Reggio Emilia, con ordinanza del 13 aprile 2007, ha sollevato, in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, ed in relazione all'art. 1, commi 2 e 3, della legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali) questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 (rectius, art. 26, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80), che ha abrogato l'ultimo comma dell'art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale);

    che il giudizio a quo ha ad oggetto l'appello avverso una sentenza emessa da un giudice di pace, che ha deciso l'opposizione ad un'ordinanza-ingiunzione, di irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria;

    che, secondo il rimettente, la norma censurata, applicabile nel giudizio principale ratione temporis, abrogando l'ultimo comma dell'art. 23 della legge n. 689 del 1981, ha reso impugnabile con l'appello la sentenza che decide l'opposizione all'ordinanza-ingiunzione, di irrogazione di una sanzione amministrativa;

    che, a suo avviso, l'art. 26, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 40 del 2006 violerebbe gli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1, commi 2 e 3, della legge n. 80 del 2005, in quanto la delega oggetto di quest'ultima disposizione concerneva l'introduzione di modificazioni al codice di procedura civile ed al processo di cassazione, non all'art. 23 della legge n. 689 del 1981;

    che, inoltre, il citato art. 1, comma 3, lettera a), aveva conferito al Governo il potere di modificare il processo di legittimità e di prevedere «la non ricorribilità immediata delle sentenze che decidono di questioni insorte senza definire il giudizio», ipotesi differente da quella disciplinata dalla norma censurata;

    che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

    Considerato che la questione di legittimità costituzionale investe, in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, ed in relazione all'art. 1, commi 2 e 3, della legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), l'art. 26, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80), che ha abrogato l'ultimo comma dell'art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), rendendo in tal modo impugnabile con l'appello la sentenza che decide l'opposizione all'ordinanza-ingiunzione, di irrogazione di una sanzione amministrativa, prima soltanto ricorribile per cassazione;

    che una questione identica, sollevata in riferimento ai medesimi parametri costituzionali e sotto gli stessi profili, è stata già dichiarata non fondata da questa Corte con la sentenza n. 98 del 2008;

    che, in detta sentenza, è stato precisato che la corretta interpretazione dell'art. 1 della legge n. 80 del 2005, in considerazione dello scopo di disciplinare il processo di cassazione in funzione nomofilattica (comma 3, lettera a), ed alla luce del significato assunto da tale espressione, di rafforzamento di detta funzione, rende chiara la facoltà del legislatore delegato di ridurre i casi di immediata ricorribilità per cassazione delle sentenze, anche mediante la modifica di disposizioni non collocate nel codice di rito civile, con conseguente infondatezza del denunciato vizio di eccesso di delega;

    che, non risultando addotti profili o argomenti diversi o ulteriori rispetto a quelli già valutati nella citata sentenza n. 98 del 2008, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale   dell'art. 26, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80), sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, ed in relazione all'art. 1, commi 2 e 3, della legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazion i, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia con l'ordinanza indicata in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

ORDINANZA N. 282

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfio           FINOCCHIARO       "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Sabino          CASSESE           "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), come modificato dall'art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214, e dell'articolo 180, comma, 8 del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, promosso con ordinanza del 9 febbraio 2007 dal Giudice di pa ce di Pisa nel procedimento civile vertente tra la S.R. Termotecnica s.n.c. ed il Comune di Crespina, iscritta al n. 32 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 2008.

    Udito nella camera di consiglio del 9 luglio 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

    Ritenuto che il Giudice di pace di Pisa ha sollevato - in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale del testo originario dell'articolo 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), come modificato dall'art. 7, comm a 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214, nonché dell'articolo 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992;

    che il giudice a quo premette di avere già sollevato analogo incidente di costituzionalità, definito dalla Corte costituzionale con ordinanza - la n. 23 del 2007 - di restituzione degli atti ad esso rimettente, in ragione delle modifiche apportate al testo del censurato art. 126-bis, comma 2, dall'art. 2, comma 164, lettera b), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), introdotto dall'art. 1, comma 1, della relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286;

    che il Giudice di pace di Pisa illustra, nuovamente, le ragioni che deporrebbero per l'illegittimità costituzionale delle norme censurate;

    che esso, nel rilevare che la giurisprudenza costituzionale «ha da tempo riconosciuto la propria competenza a sindacare la "ragionevolezza" di disposizioni normative» (è menzionata la sentenza n. 200 del 1972), osserva che, nel caso di specie, «il difetto di ragionevolezza» - e dunque la violazione dell'art. 3 Cost. - deriverebbe dal fatto che la disciplina in contestazione configurerebbe, in sostanza, «un obbligo di denuncia di violazioni di tipo amministrativo posto a carico della generalità dei cittadini»;

    che a denotare l'irragionevolezza della scelta legislativa rileverebbe, secondo il remittente, la circostanza che «un obbligo di denuncia di tutti i reati, e quindi di fatti quantomeno in astratto configurabili come illeciti di natura più grave rispetto agli illeciti di tipo amministrativo, risulta previsto esclusivamente per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio», visto che al cittadino si fa unicamente carico - sanzionando penalmente soltanto tale omissione - di provvedere alla «denuncia di un delitto contro la personalità dello Stato per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo», e non anche di fattispecie criminose «particolarmente gravi» come «l'omicidio volontario, lo stupro, la partecipazione ad associaz ioni di tipo mafioso, lo spaccio di sostanze stupefacenti»;

    che, pertanto, prosegue il remittente, se «l'omessa denuncia di tali reati, anche gravissimi, non comporta conseguenze per il comune cittadino», del tutto irragionevole è la scelta legislativa consistente nella «previsione di sanzioni per l'omessa denuncia di fatti costituenti semplici illeciti amministrativi»;

    che, inoltre, ove «la norma contestata venga interpretata non tanto come obbligo di denuncia (essendo l'autorità già a conoscenza del fatto, del quale è però sconosciuto l'autore) quanto come un obbligo di rendere testimonianza», essa presenterebbe «un secondo profilo di incostituzionalità», in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost.;

    che, difatti, se è innegabile l'esistenza di un generale obbligo di rendere testimonianza, «è anche vero che nessuno può essere chiamato non solo a testimoniare contro se stesso, ma neppure a rendere dichiarazioni dalle quali potrebbe scaturire un procedimento sanzionatorio a suo carico, e ciò in relazione al principio fondamentale "nemo tenetur se detegere", riconosciuto in giurisprudenza anche in ambito extrapenale»;

    che nella specie, invece, si verrebbe «a configurare un vero e proprio obbligo di testimoniare contro se stessi in tutte le ipotesi in cui il proprietario del veicolo sia stato anche l'effettivo conducente dello stesso al momento del rilievo dell'infrazione», donde l'ipotizzata violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost.;

    che, ciò premesso, il Giudice di pace di Pisa ribadisce che la Corte costituzionale, con la citata ordinanza n. 23 del 2007, nel dare atto delle modifiche apportate dal citato ius superveniens alla prima delle norme anche oggi censurate da esso remittente, gli ha restituito gli atti per una rinnovata valutazione della questione sollevata;

    che il giudice a quo sottolinea, tuttavia, di dover applicare la norma censurata nella sua originaria formulazione, donde la perdurante rilevanza del dubbio di costituzionalità;

    che difatti, in forza di quanto stabilito dall'art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), la nuova formulazione dell'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada non risulta applicabile al caso di specie, giacché in materia di illecito amministrativo vige la regola dell'assoggettamento «della condotta considerata alla legge del tempo del suo verificarsi»;

    che, pertanto, alla violazione amministrativa oggetto del giudizio principale continua ad applicarsi - sottolinea il giudice a quo - il combinato disposto del vecchio testo dell'art. 126-bis, comma 2, e dell'art. 180, comma 8, del codice della strada.

    Considerato che il Giudice di pace di Pisa ha sollevato - in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale del testo originario dell'articolo 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), come modificato dall'art. 7, c omma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214, nonché dell'articolo 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992;

    che, in via preliminare, deve notarsi come il remittente - nel riproporre questione di costituzionalità analoga a quella già decisa da questa Corte con l'ordinanza n. 23 del 2007 (ordinanza di restituzione degli atti al giudice a quo in ragione di ius superveniens) - censuri la prima di tali norme nel suo testo originario, anteriore a quello modificato dall'art. 2, comma 164, lettera b), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), comma aggiunto dall'art. 1, comma 1, della relativa legge di conversione 24 novembr e 2006, n. 286;

    che la questione è rilevante, atteso che il giudice a quo muove dal corretto (ed adeguatamente motivato) presupposto di dover decidere la controversia devoluta al suo esame facendo applicazione dell'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada nel suo testo originario, attesa la vigenza, in materia di illecito amministrativo, della regola dell'assoggettamento «della condotta considerata alla legge del tempo del suo verificarsi»;

    che la questione è manifestamente infondata;

    che in merito, infatti, alla dedotta violazione dell'art. 3 Cost. il remittente effettua un paragone tra la scelta del legislatore di reprimere penalmente l'omissione, da parte del cittadino, dell'obbligo di denuncia soltanto di certi reati, e quella di sanzionare, sul piano amministrativo, l'omessa comunicazione di dati idonei a consentire l'identificazione del soggetto responsabile di talune infrazioni stradali;

    che il giudizio di comparazione tra le due situazioni si rivela impraticabile, attesa la loro eterogeneità (in tal senso, ex multis, ordinanze n. 335 e n. 249 del 2007);

    che, del pari, deve escludersi la violazione dell'art. 24 Cost., ipotizzata sotto il profilo del contrasto con il «principio fondamentale "nemo tenetur se detegere", riconosciuto in giurisprudenza anche in ambito extrapenale»;

     che, sul punto, è sufficiente richiamare quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 165 del 2008;

    che tale pronuncia, oltre a ribadire che il diritto al silenzio «si esplica in ogni procedimento secondo le regole proprie di questo (ordinanza n. 33 del 2002)», ha sottolineato «come la previsione dell'obbligo di comunicazione», risultante dal combinato disposto delle due norme oggi censurate, «risulti chiaramente diretta a provocare - allorché la persona del conducente, autore dell'infrazione stradale, coincida con quella del proprietario del veicolo - una dichiarazione di natura confessoria da parte di un soggetto che risulta legittimato, in ciascuna delle suddette qualità, a proporre opposizione ex art. 204-bis del codice della strada avverso il verbale con cui si è contestata la commessa infrazione»;

    che, pertanto, la citata sentenza n. 165 del 2008 ha sottolineato che «la sola esigenza che viene in rilievo nel presente caso è quella già sottolineata dalla Corte nel comparare "la posizione dell'imputato nel processo penale e la situazione della parte e del legittimato all'intervento nel processo civile", e cioè che "una cosa è: nemo testis in causa propria cui s'ispira l'art. 246 c.p.c., e altra cosa è: nemo tenetur edere contra se" cui si ispira, invece, il codice di rito penale (sentenza n. 85 del 1983)»;

    che la questione è, dunque, manifestamente infondata anche in relazione a tale profilo.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), come modificato dall'art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214, nonché dell'articolo 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata - in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione - dal Giudice di pace di Pisa, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

ORDINANZA N. 283

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfio           FINOCCHIARO       "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Sabino          CASSESE           "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 15, comma 2, 18, 20, commi 2 e 6, 21, 27, comma 2, 35, 37, 39 e 41 della legge della Regione Toscana 13 luglio 2007, n. 38 (Norme in materia di contratti pubblici e relative disposizioni sulla sicurezza e regolarità del lavoro), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 14 settembre 2007, depositato in cancelleria il successivo 20 settembre ed iscritto al n. 39 del registro ricorsi 2007.

    Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;

    udito nella camera di consiglio del 9 luglio 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

    Ritenuto che, con ricorso notificato il 14 settembre 2007 e depositato il successivo giorno 20, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli articoli 15, comma 2, 18, 20, commi 2 e 6, 21, 27, comma 2, 35, 37, 39 e 41 della legge della Regione Toscana 13 luglio 2007, n. 38 (Norme in materia di contratti pubblici e relative disposizioni sulla sicurezza e regolarità del lavoro), per violazione dell'art. 117 della Costituzione;

    che l'Avvocatura generale premette, richiamando la giurisprudenza costituzionale (sentente numeri 303 del 2003 e 345 del 2004), che i lavori pubblici non costituiscono un materia, qualificandosi a seconda dell'oggetto al quale afferiscono: ne conseguirebbe che tutto ciò che attiene alla procedura di gara e alla «vicenda contrattuale» rientrerebbe nella competenza legislativa esclusiva statale, rispettivamente, della tutela della concorrenza e dell'ordinamento civile;

    che, svolta questa premessa, si assume il contrasto con l'art. 117 Cost. delle seguenti disposizioni contenute nella citata legge regionale n. 38 del 2007:

    a) articolo 15, comma 2, il quale impone alla singola stazione appaltante di valutare sempre la congruità delle offerte se già non sottoposta alla verifica di anomalia, con una valutazione, tra l'altro, non effettuata sull'offerta nel suo complesso ma solo sulla componente del costo del lavoro e della sicurezza; la disciplina statale (artt. 86 e 112 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante "Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE"), prevede, invece, che le amministrazioni appaltanti "possono" valutare la congruità di ogni offerta che in base ad elementi specifici si presenti sospetta; tale diversità di regolamentazione determinerebbe, nella prosp ettiva statale, la violazione della tutela della concorrenza;

    b) articolo 18, che stabilisce il pagamento diretto a carico della stazione appaltante delle retribuzioni del personale del subappaltatore in caso di ritardo nel pagamento da parte dell'appaltatore del corrispettivo del subappalto; sul punto l'art. 118 del d.lgs. n. 163 del 2006 lascia, invece, alla stazione appaltante la scelta, da preventivamente esplicitare nel bando, tra il pagamento diretto ai subappaltatori degli importi ad essi spettanti per le prestazioni svolte, e il mero controllo sui pagamenti effettuati dall'appaltatore ai propri subappaltatori tramite la verifica delle quietanze da questi ultimi rilasciate; tale diversità determinerebbe un vulnus alle competenze statali in materia di ord inamento civile;

    c) commi 2 e 6 dell'articolo 20, che prevedono, rispettivamente, il divieto per le imprese che hanno partecipato alla gara di rendersi poi subappaltatrici dell'impresa aggiudicataria, e la possibilità di ricorrere al subappalto unicamente in presenza di prestazioni che rivestono carattere di specializzazione nella categoria di riferimento; l'art. 118 del d.lgs. n. 163 del 2006 non fissa alcun divieto e non prevede alcun limite al ricorso al subappalto, con conseguente violazione della tutela della concorrenza da parte delle suindicate norme regionali;

    d) articolo 21, il quale detta disposizioni in materia di redazione di piani di sicurezza, che non costituiscono attuazione dei principi posti dall'art. 31 del d.lgs. n. 163 del 2006 e dal decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494 (Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili);

    e) articolo 27, comma 2, che prevede un divieto di affidamento in economia per i lavori ed i servizi «ad alto rischio», demandando alla successiva regolamentazione amministrativa la definizione delle prestazioni suscettibili di essere così definite; «nessuna disposizione di questo tipo», sottolinea l'Avvocatura generale dello Stato, si rinviene invece nella disciplina statale posta dall'art. 125 del codice degli appalti; con la conseguenza che se il «rischio», cui si riferisce la norma impugnata, attiene ad una valutazione della prestazione contrattuale in termini di pubblica sicurezza, la stessa incide sulla materia dell'ordine pubblico di spettanza statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera h); in ogni caso, la norma censurata, "condizionando" le regole della gara, invaderebbe la competenza dello Stato in materia di tutela della concorrenza;

    f) articolo 35, il quale pone un divieto quinquennale di partecipazione alle procedure di affidamento per le imprese che siano incorse in determinati comportamenti, mentre l'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 non stabilisce alcun limite di durata; inoltre, sarebbero diversi anche i casi di divieto contemplati a livello regionale e statale; ne deriverebbe anche in questo caso la violazione della competenza dello Stato in materia di tutela della concorrenza;

    g) articolo 37, il quale prevede che la prestazione della cauzione provvisoria a corredo dell'offerta sia facoltativa, restando obbligatoria soltanto la cauzione definitiva; l'art. 75 del codice degli appalti, invece, impone obbligatoriamente la prestazione di una cauzione provvisoria a salvaguardia della serietà dell'offerta; atteso che le disposizioni relative alla predetta cauzione afferiscono alle regole della gara, ne conseguirebbe che la competenza spetti allo Stato ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.;

    h) articolo 39, che stabilisce che non tutti i concorrenti alle gare debbano corredare l'offerta delle giustificazioni necessarie, ma che vi debbano provvedere, a richiesta, soltanto i concorrenti da assoggettare a verifica di anomalia; a livello statale, invece, la presentazione delle giustificazioni a corredo dell'offerta preventiva é imposta a tutti i concorrenti; tale contrasto determinerebbe ancora una volta una violazione della competenza statale in materia di tutela della concorrenza;

    i) articolo 41, che contempla come facoltativa l'ipotesi di subentro di altro concorrente nel contratto di appalto sciolto per fallimento dell'appaltatore o risolto per suo inadempimento; l'art. 140 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede, invece, nel caso di appalto di lavori, come obbligatorio l'inserimento nel bando di gara della possibilità di interpello degli altri concorrenti classificati ai fini del subentro; ne conseguirebbe che se si valuta la norma regionale «sotto l'aspetto della successione del contratto di appalto, la fattispecie appartiene al diritto civile e deve essere regolata necessariamente dalla legge nazionale»; «se invece la si considera sotto l'aspetto dell'affidamento (ad altro concorrente collocato in graduatoria), la fatt ispecie appartiene alle regole della gara, ed ugualmente deve essere regolata necessariamente in via esclusiva dal legislatore statale», con conseguente invasione dell'ambito di competenza spettante al legislatore statale;

    che si è costituita la Regione Toscana, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile ovvero non fondato; ciò in quanto: a) gli artt. 15, comma 2, 37, 39 e 41 disciplinano aspetti organizzativi e procedurali di competenza regionale secondo quanto stabilito dall'art. 4 del d.lgs. n. 163 del 2006; b) gli artt. 18, 21, 27, comma 2, e 35 disciplinano profili attinenti la sicurezza del lavoro, nonché «profili rientranti nell'autonomia organizzativa regionale»; c) l'art. 20, commi 2 e 6, «è conforme ai principi posti dall a legislazione statale in materia di procedure di appalto, di tutela e sicurezza del lavoro».

    Considerato che, con atto notificato alla Regione Toscana il 19 giugno 2008 e depositato presso la cancelleria di questa Corte in pari data, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha dichiarato di rinunziare al ricorso, in quanto, successivamente alla sua proposizione, la Regione Toscana, con la legge 29 febbraio 2008, n. 13, recante «Modifiche alla legge regionale 13 luglio 2007, n. 38 (Norme in materia di contratti pubblici e r elative disposizioni sulla sicurezza e regolarità del lavoro)», ha abrogato le norme impugnate;

    che tale rinunzia è stata formalmente accettata dal legale rappresentante della Regione Toscana, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte in data 24 giugno 2008;

    che, ai sensi dell'art. 25 delle norme integrative per i giudizi dinanzi a questa Corte, la rinuncia al ricorso, seguita dall'accettazione della controparte, comporta l'estinzione del processo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara estinto il processo.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

ORDINANZA N. 284

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco          BILE                     Presidente

- Giovanni Maria  FLICK                      Giudice

- Francesco       AMIRANTE                      "

- Ugo             DE SIERVO                     "

- Paolo           MADDALENA                     "

- Alfio           FINOCCHIARO                   "

- Alfonso         QUARANTA                      "

- Franco          GALLO                         "

- Luigi           MAZZELLA                      "

- Gaetano         SILVESTRI                     "

- Sabino          CASSESE                       "

- Maria Rita      SAULLE                        "

- Giuseppe        TESAURO                       "

- Paolo Maria     NAPOLITANO                    "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della sentenza del TAR del Lazio - sezione II-bis del 27 febbraio 2008, n. 1855 e della sentenza del Consiglio di Stato - sezione IV del 13 marzo 2008, n. 1053, promosso con ricorso di Felice Carlo Besostri, depositato in cancelleria il 10 aprile 2008 ed iscritto al n. 6 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2008, fase di ammissibilità.

      Visti gli atti di intervento di Aldo Bozzi e di Natalina Raffaelli ed altri;

      udito nella camera di consiglio del 9 luglio 2008 il Giudice relatore Ugo De Siervo.

    Ritenuto che con ricorso del 7 aprile 2008, depositato il 10 aprile 2008 (reg. confl. poteri n. 6 del 2008), il signor Felice Carlo Besostri, «quale componente dell'organo costituzionale "corpo elettorale"», ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato «nei confronti dell'ordine giudiziario e del Parlamento»;

    che il ricorrente impugna la sentenza del TAR del Lazio - sezione II-bis, del 27 febbraio 2008, n. 1855, con la quale è stato dichiarato il difetto di giurisdizione in ordine all'impugnazione di provvedimenti relativi alla consultazione elettorale per il rinnovo del Parlamento, fissata per i giorni 13 e 14 aprile 2008;

    che il ricorrente impugna altresì la sentenza del Consiglio di Stato - sezione IV, del 13 marzo 2008, n. 1053, che ha rigettato l'appello avverso la suddetta pronuncia del TAR del Lazio;

    che per il ricorrente le impugnate pronunce appaiono in contrasto con gli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, oltre che con gli articoli 24, 103, 111, 113 e 137 della Costituzione;

    che l'ammissibilità dell'odierno ricorso colmerebbe «la lacuna dell'inesistenza di un accesso diretto alla Corte costituzionale», atteso che nessun organo costituzionale o potere dello Stato può impedire l'esercizio del diritto di voto in modo conforme alla Costituzione;

    che il ricorrente invita questa Corte a sollevare dinanzi a sé questione di legittimità costituzionale del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati) e del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica) nelle parti in cui non subordinano l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti o seggi;

    che, con atto depositato il 29 maggio 2008, è intervenuto ad adiuvandum Aldo Bozzi, il quale, dopo aver riferito che l'adìto Tribunale civile di Milano ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per carenza assoluta di giurisdizione e, quindi, non ha sollevato l'invocata eccezione d'incostituzionalità delle vigenti leggi elettorali, ritiene di avere la legittimazione ad intervenire nel detto giudizio essendo legittimato, nella propria qualità di elettore che ha superato il venticinquesimo anno di età, a promuovere il medesimo confli tto;

    che lo stesso interveniente, in ordine all'ammissibilità del presente conflitto, afferma che al riconoscimento al «corpo elettorale» della natura di organo costituzionale consegue la legittimazione del ricorrente in quanto «frazione del corpo elettorale»;

    che, con istanza depositata il 18 giugno 2008, il ricorrente ha chiesto di essere ascoltato nella camera di consiglio del 9 luglio 2008, «attesa la novità e l'importanza» delle questioni sollevate con il ricorso, nonché per rispetto dei princìpi costituzionali sanciti negli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione;

    che con provvedimento del Presidente, in data 24 giugno 2008, è stata rigettata la suddetta istanza di audizione, posto che, come già statuito in un caso analogo, «la richiesta di audizione in camera di consiglio proposta dalla difesa del ricorrente non è compatibile con il carattere meramente delibatorio di questa fase preliminare» (ordinanza n. 470 del 1995);

    che in prossimità della camera di consiglio, il ricorrente ha depositato una memoria con la quale ha ribadito le argomentazioni già sviluppate nel ricorso in punto di ammissibilità;

    che sempre in prossimità della camera di consiglio, anche l'interveniente ha presentato una memoria per avvalorare ulteriormente l'ammissibilità del conflitto in oggetto;

    che, con atto depositato il 1° luglio 2008, sono intervenuti ad adiuvandum Natalina Raffaelli e altri, «nella propria qualità di elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età», al fine di avvalorare l'ammissibilità del presente conflitto.

    Considerato che in questa fase la Corte è chiamata, ai sensi dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ad accertare se il sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sia ammissibile, val utando, senza contraddittorio tra le parti, se ne sussistano i requisiti soggettivo ed oggettivo, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione anche in punto di ammissibilità;

    che l'intervento di Aldo Bozzi è inammissibile trattandosi di soggetto diverso da quelli legittimati a promuovere il conflitto ed a resistervi (v., tra le altre, le sentenze n. 162 del 1990 e n. 743 del 1988, nonché l'ordinanza n. 240 del 1988);

    che va altresì dichiarata l'inammissibilità dell'intervento di Natalina Raffaelli e altri, in quanto, ancor prima di verificarne la legittimazione a promuovere il conflitto ed a resistervi, il relativo atto è stato comunque depositato tardivamente, cioè oltre i termini perentori previsti dalle norme che disciplinano il giudizio dinanzi alla Corte costituzionale (da ultimo sentenze n. 322 e n. 316 del 2006);

    che, sotto il profilo soggettivo, il conflitto è inammissibile in quanto proposto da un singolo cittadino il quale si autoqualifica «componente dell'organo costituzionale "corpo elettorale"»;

    che, invero, questa Corte ha affermato che «in nessun caso (.) il singolo cittadino può (.) ritenersi investito di una funzione costituzionalmente rilevante tale da legittimarlo a sollevare conflitto di attribuzione ai sensi degli artt. 134 Cost. e 37 legge n. 87 del 1953» (ordinanza s.n. del 27 luglio 1988; dello stesso tenore le ordinanze n. 189 del 2008; n. 296 del 2006; n. 57 del 1971);

    che, inoltre, infondato è l'assunto da cui muove il ricorrente secondo il quale, in virtù di una malintesa percezione del "potere diffuso", ciascun componente del corpo elettorale sarebbe configurato come un organo che ne esercita le funzioni, dal momento che queste ultime sono, invece, attribuite all'intero corpo elettorale o a quelle frazioni dello stesso legittimate a richiedere le procedure referendarie;

    che, per quanto concerne il requisito oggettivo, questa Corte ha più volte precisato che i conflitti aventi ad oggetto atti di natura giurisdizionale non possono risolversi in mezzi impropri di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale, giacché avverso gli errori in iudicando di diritto sostanziale o processuale valgono i rimedi consueti riconosciuti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni (cfr., tra le più recenti, le sentenze n. 290, n. 222, n. 150 e n. 2 del 2007);

    che, comunque, il ricorso risulta rivolto non già a sollevare un conflitto di attribuzione, quanto piuttosto ad ottenere la dichiarazione di illegittimità costituzionale di talune disposizioni legislative, attraverso una sorta di accesso diretto a questa Corte (v. ordinanza n. 189 del 2008).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara inammissibile ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dal signor Felice Carlo Besostri nei confronti del dell'ordine giudiziario e del Parlamento con il ricorso indicato in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA



 
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