Ultime pronunce pubblicate deposito del 13/02/2008
 
25/2008 pres. BILE, rel. QUARANTA   visualizza pronuncia 25/2008
26/2008 pres. BILE, rel. QUARANTA   visualizza pronuncia 26/2008

 
 

Deposito del 13/02/2008 (dalla 25 alla 26)

 
S.25/2008 del 11/02/2008
Udienza Pubblica del 15/01/2008, Presidente BILE, Relatore QUARANTA


Norme impugnate: Art. 2, c. 1°, lett. s), e 2°, lett. e), della legge statutaria della Regione Valle d'Aosta approvata il 18/04/2007.

Oggetto: Regioni - Norme della Regione Valle d'Aosta - Consiglio regionale - Cause di ineleggibilità e incompatibilità con la carica di consigliere regionale - Ineleggibilità del rettore dell'Università della Valle d'Aosta e dei professori, ricercatori in ruolo e titolari di contratti di insegnamento in corsi universitari realizzati in Valle d'Aosta.

Dispositivo: illegittimità costituzionale - no n fondatezza
Atti decisi: ric. 28/2007
S.26/2008 del 11/02/2008
Udienza Pubblica del 29/01/2008, Presidente BILE, Relatore QUARANTA


Conflitto: Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della nota, prot. n. 2005/0001389/SG-CIV del 21/09/2005, nonché dell'atto, prot. n. 3490/ALPI del 17/09/2005, del Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Oggetto: Processo penale - Indagini preliminari sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin - Richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovat in di procedere, eventualmente anche congiuntamente, ad accertamenti tecnici sulla autovettura, presa in carico, previo sequestro, dalla Commissione, a bordo della quale viaggiavano le vittime - Rifiuto opposto con nota del Presidente della Commissione parlamentare - Conferimento da parte di quest'ultimo di incarico peritale volto allo svolgimento di accertamenti tecnici, anche di natura irripetibile, sulla autovettura.

Dispositivo: accoglie il ricorso
Atti decisi: confl. pot. mer. 37/2005

pronuncia successiva

SENTENZA N. 25

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfio           FINOCCHIARO       "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 1, lettera s), e 2, lettera e), della legge della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste 7 agosto 2007, n. 20 (Disciplina delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità con la carica di consigliere regionale, ai sensi dell'articolo 15, comma secondo, dello Statuto speciale), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 28 maggio 2007, depositato in cancelleria il successivo 6 giugno ed iscritto al n. 28 del registro ricorsi 2007.

    Visto l'atto di costituzione della Regione Valle d'Aosta;

    udito nell'udienza pubblica del 15 gennaio 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

    uditi l'avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Francesco Saverio Marini per la Regione Valle d'Aosta.

Ritenuto in fatto

    1.- Sul Bollettino Ufficiale della Regione autonoma Valle d'Aosta del 2 maggio 2007, n. 18, è stato pubblicato il "Testo di legge di cui all'articolo 15, secondo comma, dello Statuto speciale, recante «Disciplina delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità con la carica di consigliere regionale, ai sensi dell'articolo 15, comma secondo, dello Statuto speciale», approvato dal Consiglio regionale nella seduta del 18 aprile 2007, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti".

    Con ricorso notificato il 28 maggio 2007, depositato il successivo 6 giugno ed iscritto al numero 28 del registro ricorsi dell'anno 2007, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera s), e comma 2, lettera e), del suddetto testo di legge.

    Successivamente è stata emanata - non essendo stata presentata alcuna richiesta di referendum - la legge regionale 7 agosto 2007, n. 20 (Disciplina delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità con la carica di consigliere regionale, ai sensi dell'articolo 15, comma secondo, dello Statuto speciale), pubblicata in data 14 agosto 2007 sul Bollettino Ufficiale n. 33.

    Con il ricorso in esame lo Stato lamenta la violazione degli artt. 2, 3 e 51 della Costituzione, quest'ultimo anche in relazione ai princìpi della legislazione statale.

    1.1.- Il ricorrente premette che i commi 1, lettera s), e 2, lettera e), dell'art. 2 della legge regionale in questione, comprendono, rispettivamente, tra coloro che non sono eleggibili alla carica di consigliere regionale «il Rettore dell'Università della Valle d'Aosta/Université de la Vallée d'Aoste» e «i professori, i ricercatori in ruolo ed i titolari di contratti di insegnamento in corsi universitari realizzati in Valle d'Aosta». Le censure proposte derivano dal fatto che, da un lato, l'art. 2 Cost. garantisce i dir itti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità; dall'altro, l'art. 3 Cost. riconosce a tutti i cittadini pari dignità sociale e uguaglianza dinanzi alla legge, senza distinzione alcuna, attribuendo, altresì, alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Infine, la normativa regionale impugnata, secondo il ricorrente, lede sia l'art. 51, primo comma, Cost., per il quale tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, sia l'art. 51, terzo comma, Cost., il quale sancisce che chi è chiamato a ricoprire cariche pubbliche ha diritto di disp orre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il proprio posto di lavoro.

    1.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda - richiamando, in merito, alcune pronunce - come la Corte costituzionale abbia più volte affermato che l'eleggibilità costituisce la regola, mentre l'ineleggibilità è l'eccezione ed abbia dichiarato l'illegittimità costituzionale di numerose norme restrittive del diritto di elettorato passivo. Ed infatti, l'art. 51 Cost., riferendosi ai requisiti per l'accesso alle cariche elettive, sottintende il bilanciamento tra il diritto individuale di elettorato passivo e la tutela delle cariche pubbliche. Deduce l'Avvocatura dello Stato, pertanto, che la non candidabilità non deve essere uno strumento di alterazione dei meccanismi di partecipazione dei cittadini alla vita politica, ma deve assicurare la libera e genuina espressione del voto popolare, nonché la primaria esigenza dell'autenticità della competizione elettorale. Le eccezioni, quindi, non si devono tradurre in ingiustificate discriminazioni, in quanto deroghe alla normativa vigente su tutto il territorio nazionale sono possibili solo nei limiti strettamente necessari alla tutela di altro interesse costituzionalmente protetto e secondo le regole della necessità e della ragionevole proporzionalità.

    1.4.- Detti limiti, ad avviso del ricorrente, valgono anche per le Regioni a statuto speciale, sia in forza del princìpio fondamentale di cui all'art. 51 Cost., sia perché, per esigenze di uniformità su tutto il territorio nazionale, la disciplina regionale sui requisiti di accesso alle cariche elettive deve essere strettamente conforme ai princìpi della legislazione statale.

    1.5.- Conclude la difesa dello Stato che la disciplina ora sottoposta al vaglio di costituzionalità è illegittima in quanto del tutto priva di giustificazione, non ravvisandosi, a fondamento della stessa, motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un preminente interesse generale.

    2.- Con memoria depositata il 15 giugno 2007 si è costituita in giudizio la Regione Valle d'Aosta, la quale ha chiesto che la questione di costituzionalità sia dichiarata inammissibile o non fondata.

    2.1.- Innanzitutto, la Regione deduce che le censure proposte con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. sono prive di motivazione e pertanto inammissibili.

    2.2.- La censura formulata con riguardo all'art. 51 Cost., appare, invece, non fondata in ragione di una pluralità di argomentazioni.

    2.3.- La resistente, in particolare, deduce che nei propri confronti non possono operare, in ragione dell'autonomia speciale costituzionalmente garantita di cui gode, i limiti, invocati dalla difesa dello Stato, costituiti dai princìpi della legislazione statale.

     L'art. 15 dello statuto di autonomia, infatti, stabilisce che «in armonia con la Costituzione e i princìpi dell'ordinamento giuridico della Repubblica» e con l' osservanza di quanto disposto dallo statuto medesimo, «la legge regionale, approvata con la maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati, determina la forma di governo della Regione e, specificatamente, le modalità di elezione del Consiglio della Valle, del Presidente della Regione e degli assessori, i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con le predette cariche, i rapporti tra gli organi della Regione, la presentazione e l'approvazione della mozione motivata di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione, nonché l'esercizio del diritto di iniziativa popolare delle leggi regionali e del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo». Alla luce della richiamata disposizione statutaria, quindi, la Regione Valle d'Aosta, nella materia in questione, incontra i limiti, da un lato, della necessaria «armonia con la Costituzione», e, dall'altro, della osservanza dei «princìpi dell'ordinamento giuridico della Repubblica», ma non anche il limite dei princìpi fondamentali posti dalla legislazione dello Stato. Diversamente, la prevista competenza legislativa piena della Regione diventerebbe di natura concorrente, ed essa resistente risulterebbe sottoposta agli stessi limiti vigenti per le Regioni a statuto ordinario.

    2.4.- Per le medesime ragioni, secondo la difesa regionale, non può trovare accoglimento quanto dedotto dalla difesa dello Stato in merito ad una presunta portata derogatoria della legge in esame rispetto alla normativa primaria statale.

    2.5.- Infine, ad avviso della Regione, è privo di fondamento quanto dedotto dal ricorrente in ordine alla mancanza di un'adeguata e ragionevole giustificazione delle previste limitazioni del diritto di elettorato passivo. Il legislatore regionale ha inteso evitare che l'esercizio delle funzioni di governo dell'Ateneo attribuite al Rettore possa essere strumentalmente utilizzato per ottenere il consenso degli elettori, e ha inteso evitare il pericolo che la candidatura del Rettore possa alterare la competizione elettorale a vantaggio delle forze politiche appartenenti alla maggioranza consiliare in scadenza. Ciò, tenuto conto della peculiare natura dell'Università degli Studi della Valle d'Aosta.

    2.6.- La resistente a questo proposito ricorda come l'istituzione in Valle d'Aosta di una Università non statale promossa e gestita da enti pubblici e da privati, è stata prevista dall'art. 17, comma 120, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo). Sulla base di detta disposizione la Giunta regionale ha intrapreso nel 1998 le attività istruttorie e progettuali per la costituzione del nuovo Ateneo e, con delibera del 18 settembre 2000, ha approvato l'istituzione dell'Università. Lo stesso resistente pone in luce, quin di, che l'art. 10, comma 1, del d.p.g.r. 21 settembre 2000, n. 460 (Approvazione dello statuto e del regolamento didattico dell'Università della Valle d'Aosta - Universitè de la Vallée d'Aoste) prevede che sono organi di governo: il Consiglio dell'Università, il Presidente del Consiglio dell'Università, il Rettore ed il Senato accademico. Il successivo art. 12, a sua volta, attribuisce al Consiglio dell'Università la competenza a stabilire le linee generali di sviluppo dell'Ateneo e a sovrintendere alla gestione amministrativa, finanziaria, economico-patrimoniale dello stesso, nonché a nominare, con decreto del Presidente, il Rettore, su una rosa di tre nominativi promossi dal Senato accademico. La Regione richiama, infine, significativamente, l'art. 13 che stabilisce la composi zione del Consiglio dell'Università (di cui fa parte lo stesso Rettore), il quale è presieduto dal Presidente della Giunta regionale o, in sua assenza, dall'assessore regionale all'istruzione e alla cultura. Il suddetto breve excursus normativo evidenzia, ad avviso della difesa regionale, come la carica di Rettore e l'esercizio delle relative funzioni siano strettamente collegate a scelte operate da organi della Regione, ed in particolare dalla Giunta regionale.

    In definitiva, la disposizione di cui all'art. 2, comma 1, lettera s), della legge regionale in questione, tende a garantire l'autenticità della competizione elettorale nella Regione ed ad evitare indebite influenze sulla par conditio di tale competizione. La suddetta causa di ineleggibilità, in ogni caso, non ha effetto se l'interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dell'incarico o del comando, collocamento in aspettativa non retribuita, non oltre sei mesi dalla data di scadenza naturale della legislatura.

    2.7.- Analoghe ragioni giustificative sarebbero alla base della limitazione dell'elettorato passivo dettata dall'art. 2, comma 2, lettera e), della legge in esame, con riguardo ai professori, ai ricercatori di ruolo ed ai titolari di contratti di insegnamento in corsi universitari realizzati nella Valle. Ferma restando la libertà di insegnamento riconosciuta dall'art. 33 Cost., secondo la resistente, si è inteso così preservare la formazione del libero convincimento elettorale degli studenti ai quali si rivolge l'attività didattica a livello universitario. Il legislatore regionale avrebbe, pertanto, effettuato un corretto bilanciamento tra il diritto dei docenti universitari all'elettorato passivo e il diritto de gli studenti universitari alla formazione del loro libero convincimento elettorale. Detta limitazione sarebbe ragionevole alla luce di quanto previsto dall'art. 3, comma 2, della legge in questione, secondo il quale l'ineleggibilità non ha effetto «se l'interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dell'incarico o del comando, collocamento in aspettativa non retribuita, non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature».

Considerato in diritto

    1.- In data 2 maggio 2007 è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione autonoma Valle d'Aosta n. 18 il "Testo di legge di cui all'articolo 15, secondo comma, dello Statuto speciale, recante «Disciplina delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità con la carica di consigliere regionale, ai sensi dell'articolo 15, comma secondo, dello Statuto speciale», approvato dal Consiglio regionale nella seduta del 18 aprile 2007, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti".

    Il Presidente del Consiglio dei ministri, nel termine di trenta giorni da tale pubblicazione, ha promosso questione di legittimità costituzionale, da un lato, dell'art. 2, comma 1, lettera s); dall'altro, dell'art. 2, comma 2, lettera e), del suddetto testo.

    Successivamente, sul Bollettino Ufficiale 14 agosto 2007, n. 33, è stata pubblicata, secondo quanto previsto dall'art. 5 della legge regionale 22 aprile 2002, n. 4 (Disciplina del referendum previsto dall'articolo 15, quarto comma, dello Statuto speciale) - non essendo stata presentata alcuna richiesta di referendum - la legge della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste 7 agosto 2007, n. 20 (Disciplina delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità con la carica di consigliere regionale, ai sensi dell'articolo 15, comma secondo, dello Statuto speciale), che ha recepito il suddetto testo legislativo.

    1.1.- Va precisato, in proposito, che la disciplina della impugnazione della legge regionale in questione è contenuta nell'art. 15, terzo comma, dello statuto speciale, tenuto conto della possibile sottoposizione della legge stessa a referendum ai sensi del successivo quarto comma.

    1.2. - Poiché il testo approvato dal Consiglio regionale il 18 aprile 2007, nei cui confronti lo Stato ha promosso le questioni di costituzionalità, è stato promulgato con la richiamata legge regionale n. 20 del 2007, è sul corrispondente art. 2, commi 1, lettera s), e 2, lettera e), di quest'ultima che la Corte deve in definitiva pronunciarsi.

    1.3.- Le disposizioni impugnate prevedono, rispettivamente, che non sono eleggibili alla carica di consigliere regionale «il Rettore dell'Università della Valle d'Aosta/Université de la Vallée d'Aoste» e «i professori, i ricercatori in ruolo ed i titolari di contratti di insegnamento in corsi universitari realizzati in Valle d'Aosta».

    Il ricorrente ritiene che ciascuna delle suddette disposizioni leda gli artt. 2, 3 e 51 della Costituzione, quest'ultimo anche in relazione ai princìpi desumibili dalla legislazione statale. In sostanza, ad avviso della difesa dello Stato, le previste cause di ineleggibilità integrerebbero una disciplina ingiustificatamente discriminatoria, in deroga alla normativa vigente su tutto il territorio nazionale, al di fuori dei limiti strettamente necessari alla tutela di un altro interesse costituzionalmente protetto e delle regole della necessità e della ragionevole proporzionalità dell'intervento legislativo.

    2.- In via preliminare, è opportuno ricapitolare il quadro normativo in cui si inseriscono le disposizioni impugnate.

    2.1.- Le norme di cui si tratta sono state adottate dalla Regione Valle d'Aosta, come si è precisato, in applicazione dell'art. 15 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta), come modificato dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l'elezione diretta dei presidenti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano).

    Ai sensi di tale disposizione statutaria sussiste, infatti, la potestà legislativa primaria della Regione in materia di ineleggibilità alla carica di consigliere regionale, nonché di incompatibilità, da esercitarsi in armonia con la Costituzione e i princìpi dell'ordinamento giuridico della Repubblica, nonché in conformità con quanto previsto dallo statuto stesso nel titolo recante la disciplina degli "Organi della Regione".

    In precedenza, l'art. 17, secondo comma, dello statuto speciale - ora abrogato − prevedeva che i casi di ineleggibilità e gli altri casi di incompatibilità fossero stabiliti con legge dello Stato. E la relativa disciplina si rinveniva nella legge statale 5 agosto 1962, n. 1257 (Norme per l'elezione del Consiglio regionale della Valle d'Aosta).

    3.- Pur riguardando la questione oggetto di controversia una Regione a statuto speciale, può essere utile ricordare che, quanto alle Regioni a statuto ordinario, la legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni), ha modificato l'art. 122 Cost., prevedendo che «i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Rep ubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi» (sentenza n. 2 del 2004).

    In attuazione della suddetta novella costituzionale, lo Stato ha adottato la legge 2 luglio 2004 n. 165 (Disposizioni di attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione), la quale ha fissato i princìpi fondamentali che le Regioni a statuto ordinario devono osservare. In particolare, l'art. 2, comma 1, lettera a), della citata legge ha stabilito che le Regioni a statuto ordinario possono prevedere i casi di ineleggibilità «qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle Regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati». Tale statuizione deve essere letta in uno con la previsione di cui all'art. 2, comma 1, lettera b), della stessa legge che stabilisce la «inefficacia delle cause di ineleggibilità qualora gli interessati cessino dalle attività o dalle funzioni che determinano l'ineleggibilità, non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature o altro termine anteriore altrimenti stabilito, ferma restando la tutela del diritto al mantenimento del posto di lavoro, pubblico o privato, del candidato».

    4.- Sotto altro aspetto va osservato che i parametri evocati dal ricorrente sono costituiti dagli artt. 2, 3 e 51 della Costituzione, quest'ultimo anche in relazione ai princìpi della legislazione statale, senza che vi sia alcun riferimento alla previa inapplicabilità di parametri statutari.

    In proposito, deve rilevarsi che lo Stato, lungi dal prospettare nel caso di specie un problema di delimitazione delle rispettive competenze tra Stato e Regione nella materia in esame, denuncia la non conformità delle impugnate disposizioni regionali ai princìpi direttamente desumibili dalle citate norme costituzionali.

    Poiché, quindi, costituisce oggetto di censura non la titolarità della specifica potestà legislativa in capo alla Regione, ma, piuttosto, l'esercizio della stessa, che si assume in contrasto con i princìpi fissati dalla Carta fondamentale, correttamente la difesa dello Stato si è limitata a prospettare la lesione delle sole disposizioni costituzionali e non anche di quelle statutarie.

    4.1.- Ancora in via preliminare, deve rilevarsi che non ha fondamento l'eccezione di inammissibilità delle questioni, proposta dalla Regione con riguardo alla dedotta violazione degli artt. 2 e 3 della Cost., per difetto di motivazione delle censure.

    È pur vero che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che anche nei ricorsi in via principale ogni questione di legittimità costituzionale deve essere definita nei suoi precisi termini e deve essere adeguatamente motivata, al fine di rendere possibile la inequivoca determinazione dell'oggetto del giudizio e di consentire la verifica della eventuale pretestuosità o astrattezza dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati, nonché il vaglio, in limine litis, attraverso l'esame della motivazione e del suo contenuto, della sussistenza in concreto dello specifico interesse a ricorrere in relazione alle disposizioni impugnate (sentenze nn. 248 e 215 del 2006, nn. 450 e 360 del 2005, n. 213 del 2003); tuttavia, deve ricordarsi che questa Corte ha ricondotto il diritto di elettorato passivo di cui all'art. 51 Cost., quale diritto politico fondamentale, alla sfera dei diritti inviolabili riconosciuti dall'art. 2 Cost. (sentenze n. 141 del 1996, n. 571 del 1989, n. 235 del 1988). E, d'altro canto, l'illegittimità costituzionale è prospettata con riguardo all'art. 51 Cost., in relazione all'art. 3, quale norma costituzionale che tende ad evitare, nel caso di specie, discriminazioni fra i soggetti dell'ordinamento in ordine alla possibilità di accedere alle cariche elettive.

    Sussiste, quindi, una oggettiva, intrinseca correlazione tra tutti i parametri costituzionali invocati, per cui le argomentazioni sviluppate con riguardo all'art. 51 Cost. necessariamente investono anche le altre richiamate norme costituzionali.

    5.- Nel merito, le due questioni proposte con il ricorso dello Stato, pur presentando comunanza di materia e tratti, per taluni aspetti, similiari, devono essere esaminate singulatim.

    Con la prima, lo Stato contesta la legittimità costituzionale della norma (art. 2, comma 1, lettera s, della legge regionale n. 20 del 2007) che sancisce la ineleggibilità alla carica di consigliere regionale del Rettore dell'Università della Valle d'Aosta.

    Con la seconda, si censura la prevista ineleggibilità alla carica di consigliere regionale dei professori, dei ricercatori in ruolo e dei titolari di contratti di insegnamento in corsi universitari realizzati nella Valle (art. 2, comma 2, lettera e, della medesima legge regionale).

    6.- Ciò precisato, deve essere ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'art. 51 Cost. assicura in via generale il diritto di elettorato passivo senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadini (sentenze n. 288 del 2007 e n. 235 del 1988). Come ribadito, da ultimo, nella suindicata sentenza n. 288 del 2007, «in realtà è proprio il princìpio di cui all'art. 51 della Costituzione a svolgere il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri dell'inviolabilità (ex art. 2 della Costituzione)».

    Pertanto, le restrizioni del contenuto di tale diritto sono ammissibili solo in presenza di situazioni peculiari ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse generale (così ancora la sentenza n. 288 del 2007).

    Giova ricordare, altresì, che questa Corte ha più volte affermato che le cause di ineleggibilità sono di stretta interpretazione e devono essere contenute entro i limiti rigorosamente necessari al soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse, ricollegantisi alla funzione elettorale, cui sono di volta in volta preordinate (sentenze n. 306 del 2003, n. 132 del 2001, n. 141 del 1996).

    È pur vero, infatti, che l'art. 51 Cost., riferendosi ai requisiti per l'accesso alle cariche elettive, consente che siano previsti i casi di ineleggibilità, ma proprio per tale ragione la norma costituzionale sottintende il bilanciamento di interessi, cui le legislazioni statale e regionale, per quanto di rispettiva competenza, sono direttamente chiamate dalla Costituzione; bilanciamento che deve operare tra il diritto individuale di elettorato passivo e la tutela delle cariche pubbliche, cui possono accedere solo coloro che sono in possesso delle condizioni che tali cariche, per loro natura, appunto richiedono (sentenza n. 306 del 2003).

    7.- Alla luce delle considerazioni che precedono la prima questione, concernente la prevista ineleggibilità del Rettore, non è fondata.

    Al riguardo, deve osservarsi che la disposizione impugnata ha quale presupposto logico-giuridico le peculiarità che caratterizzano la carica di Rettore dell'Università della Valle d'Aosta ed intende evitare che le stesse possano dare luogo ad interferenze sulla consultazione elettorale regionale.

    D'altro canto, concorre a garantire un corretto bilanciamento dei contrapposti interessi che vengono in rilievo la circostanza che la stessa legge regionale preveda che la suddetta causa di ineleggibilità non ha effetto se l'interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dell'incarico o del comando, collocamento in aspettativa non retribuita, non oltre sei mesi dalla data di scadenza naturale della legislatura (art. 3, comma 1, legge reg. n. 20 del 2007).

    8.- Il peculiare statuto giuridico del Rettore dell'Università della Valle, al quale spetta rappresentare l'Università nelle sedi accademiche e della ricerca scientifica, nonché la titolarità di altre rilevanti competenze, emerge dall'esame della disciplina della istituzione universitaria in questione.

    8.1.- Questa è stata prevista dall'art. 17, comma 120, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo), secondo cui, «in deroga alle procedure di programmazione di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 245, e successive modificazioni e integrazioni, è consentita l'istituzione di una università non statale nel territorio rispettivamente della Provincia autonoma di Bolzano e della Regione autonoma della Valle d'Aosta, promosse o gestite da enti e da privati». La suddetta disposizione ha avuto, poi, attuazione con la delibera della Giunta regionale 18 settembre 2000, n. 3134, e con il d.p.g.r. 21 settembre 2000, n. 460 (Approvazione dello statuto e del regolamento didattico dell'Università della Valle d'Aosta - Université de la Vallée d'Aoste).

    8.2.- L'esame della composizione degli organi dell'Università, nonché, in particolare, le modalità di nomina del Rettore evidenziano, anche tenuto conto delle rispettive funzioni, una significativa influenza dell'ente Regione, nonché, seppure in minor misura, degli enti locali, nell'organizzazione dell'Università stessa.

    Oltre al Rettore, ad un dirigente del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica e ad un membro nominato dalla Consulta permanente per la salvaguardia della lingua e della cultura Walser, fanno parte del Consiglio dell'Università − che sovrintende alla gestione amministrativa, finanziaria ed economico-patrimoniale dell'Ateneo ed è presieduto dal Presidente della Giunta regionale − l'Assessore regionale all'istruzione e alla cultura, il Sindaco della città di Aosta o un suo delegato, il Presidente del Consiglio permanente degli enti locali o un suo delegato, un membro nominato dall'Associazione dei sindaci dei comuni della Valle d'Aosta, nonché tre membri nominati ancora dalla Giunta regionale tra persone di alta qualificazione culturale e di riconosciuta competenza gestionale-amministrativa.

    Possono, altresì, fare parte del Consiglio rappresentanti di enti e soggetti privati che si impegnino a contribuire, per tutta la durata in carica del Consiglio, al bilancio dell'Università con l'erogazione di fondi non finalizzati. Tali membri, in numero complessivamente non superiore a tre, sono nominati dalla Giunta regionale su designazione degli enti e soggetti privati che si impegnano alla contribuzione.

    Di significativo rilievo è poi la disposizione del suindicato statuto secondo cui spetta al Consiglio dell'Università nominare, con decreto del Presidente della Giunta regionale, il Rettore, scelto in una rosa di tre nominativi proposta dal Senato accademico.

    8.3.-Tale disciplina si differenzia − in ragione della autonomia speciale della Valle d'Aosta, nonché di quanto previsto dall'art. 1 della legge 29 luglio 1991, n. 243 (Università non statali legalmente riconosciute), secondo cui «le università e gli istituti superiori non statali legalmente riconosciuti operano nell'ambito delle norme dell'articolo 33, ultimo comma, della Costituzione e delle leggi che li riguardano, nonché dei princìpi generali della legislazione in materia universitaria in quanto compatibili» − da quanto previsto dalla legge 9 maggio 1989, n. 168 (Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica), la quale, all'art. 16, comma 4, lettera a), stabilisce che gli statuti adottati dalle Università devono prevedere la nomina del Rettore su base elettiva.

    8.4.- Orbene, proprio le modalità di nomina del Rettore, in relazione alla composizione del Consiglio dell'Università, di cui egli fa parte, nonché la stretta contiguità tra la carica di Rettore e la posizione del Presidente della Giunta regionale, rendono non irragionevole la disposizione impugnata, la quale è volta, attese le peculiarità della complessiva disciplina che sovrintende all'organizzazione dell'Università in questione, a garantire che la consultazione elettorale si svolga senza condizionamenti o interferenze non consentiti.

    9.- La seconda ulteriore questione, concernente la legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2, lettera e), della legge regionale n. 20 del 2007, è, invece, fondata.

    Proprio le considerazioni innanzi svolte circa la posizione del Rettore, sia per le funzioni che è chiamato ad esercitare, sia per le modalità della sua nomina, nonché per le interazioni con gli altri organi dell'Università, inducono a ritenere che, per quanto concerne i professori, i ricercatori in ruolo ed i titolari di contratti di insegnamento in corsi universitari realizzati in Valle d'Aosta, proprio in ragione del ruolo e delle funzioni degli stessi, non sussistono analoghe esigenze di interesse pubblico o adeguate motivazioni che siano idonee a legittimare restrizioni al diritto di elettorato passivo dei soggetti sopra indicati.

    Né, in ragione della funzione e del «valore sociale della docenza universitaria» (sentenza n. 158 del 1985), il contatto con il mondo studentesco può essere considerato idoneo a determinare, per i soggetti cui la norma censurata si riferisce, situazioni di metus publicae potestatis o di captatio benevolentiae, né può essere causa di turbative della libertà di voto degli studenti e, di riflesso, di altri elettori, con il pericolo di alterazione del risultato elettorale.

    Deve essere, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale del solo art. 2, comma 2, lettera e), della legge della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste n. 20 del 2007, per contrasto con gli evocati parametri costituzionali.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2, lettera e), della legge della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste 7 agosto 2007, n. 20 (Disciplina delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità con la carica di consigliere regionale, ai sensi dell'articolo 15, comma secondo, del lo Statuto speciale);

    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera s), della suddetta legge regionale n. 20 del 2007, promossa, in riferimento agli artt. 2, 3 e 51 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedente

SENTENZA  N. 26

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfio           FINOCCHIARO       "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della nota del 21 settembre 2005 (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV) emessa dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, nonché dell'atto del 17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI) del Presidente della medesima Commissione, onorevole Carlo Taormina, promosso con ricorso della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma notificato il 10 marzo 2006, depositato in cancelleria il 22 marzo 2006 ed iscritto al n. 37 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di merito.

    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;

    udito nell'udienza pubblica del 29 gennaio 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

    uditi il dott. Franco Ionta per la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma e l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

    1.¾ La Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma ha promosso, con ricorso depositato pressa la cancelleria della Corte il 5 ottobre 2005, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

    1.1.¾ La ricorrente premette di aver appreso da organi di stampa «dell'arrivo in Italia della vettura Toyota a bordo della quale, presumibilmente, furono uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, il 20 marzo 1994», e di aver pertanto avviato - nel settembre del 2005 - uno scambio di corrispondenza con la citata Commissione parlamentare, segnalando «l'opportunità dello svolgimento congiunto degli accertamenti tecnici» sul predetto veicolo, necessari a ciascuna delle due autorità per l'espletamento dell'attività di indagine di rispettiva competenza.

    Deduce, tuttavia, la ricorrente che il Presidente della predetta Commissione - dopo aver informato la Procura che l'organo parlamentare in questione aveva «preso in carico, previo sequestro, l'autovettura», disponendo «anche a norma dell'art. 360 c.p.p.» «accertamenti tecnici», taluni dei quali «di natura irripetibile» - comunicava, con nota (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV) pervenuta alla stessa Procura il 21 settembre 2005, di non potere «aderire alla richiesta» formulata, «significando che, tra l'altro, l'atto deliberativo di istituzione della Commissione», dal medesimo presieduta, «impone accertamenti non solo sul fatto e sui responsabili, ma anche sulle carenze istituzionali, comprese quelle attribuibili ai m olteplici passaggi giudiziari che hanno interessato la vicenda».

    Per l'annullamento di tale nota - e dell'atto, adottato dal Presidente della citata Commissione parlamentare in data 17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI), con il quale è stato conferito «incarico peritale» al dott. Alfredo Luzi, «volto allo svolgimento di accertamenti tecnici, anche di natura irripetibile, sulla vettura in questione» - la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma ha proposto il presente conflitto di attribuzione, svolgendo le seguenti considerazioni.

    1.2.¾ La ricorrente evidenzia, innanzitutto, come la possibilità di configurare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato postuli - ex art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 - che esso insorga «tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono». < /o:p>

    Tra detti organi sono stati inclusi - prosegue la ricorrente - tanto i «singoli giudici, in considerazione segnatamente del carattere "diffuso" che contrassegna il potere giudiziario», quanto gli «organi requirenti», relativamente «all'attribuzione, costituzionalmente individuata, dell'esercizio dell'azione penale» (vengono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 150 del 1981 e n. 231 del 1975, nonché l'ordinanza n. 132 del 1981).

    Egualmente indubbia - secondo la Procura ricorrente - è la legittimazione passiva della Commissione parlamentare di inchiesta, avendo precisato la Corte, «fin dal 1975», che «a norma dell'art. 82 Cost., la potestà riconosciuta alle Camere di disporre inchieste su materie di pubblico interesse non è esercitabile altrimenti che attraverso la interposizione di Commissioni a ciò destinate, delle quali può ben dirsi perciò che, nell'espletamento e per la durata del loro mandato, sostituiscono ope constitutionis lo stesso Parlamento, dichiarandone perciò e definitivamente la volontà ai sensi del primo comma dell'art. 37» della legge n. 87 d el 1953 (sono richiamate la sentenza n. 231 del 1975 e le ordinanze n. 229 e n. 228 del 1975).

    Alla stregua, quindi, delle considerazioni che precedono «è possibile concludere» - si legge ancora nel ricorso - che la Procura di Roma e la Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin «sono soggetti legittimati, rispettivamente dal lato attivo e dal lato passivo, ad essere parti di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato».

    1.3.¾ «Quanto ai requisiti di ordine oggettivo», prosegue la ricorrente, deve rilevarsi come la Corte costituzionale abbia «da tempo superato la restrittiva nozione di conflitto di attribuzione come vindicatio potestatis, riconoscendo l'ammissibilità del cosiddetto "conflitto per interferenza " o "conflitto da menomazione"» (sono richiamate le sentenze n. 126 del 1994, n. 473 del 1992, n. 204 del 1991 e n. 731 del 1988), ipotizzabile «quando un organo, pur non rivendicando a sé la competenza a compiere un determinato atto, denuncia che un atto oppure un comportamento omissivo di un altro organo abbiano menomato la sua competenza o ne abbiano impedito l'esercizio».

    Orbene, siffatta evenienza - nella prospettiva della ricorrente - sussisterebbe proprio nel caso di specie, in quanto, se è innegabile che la Commissione parlamentare ha «il potere di compiere atti di indagine» (ex art. 82, secondo comma, della Costituzione), la decisione dalla stessa assunta «di procedere autonomamente ad accertamenti sul veicolo», con esclusione della possibilità di analogo intervento dell'autorità giudiziaria, «provoca un pregiudizio alla Procura perché le impedisce di esercitare le funzioni che le attribuisce la Costituzione», e segnatamente di orientare quell'indagine tecnica in modo da poter «raccogliere tut ti gli elementi necessari ai fini delle proprie determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale», con palese violazione del principio della obbligatorietà della stessa, «sancito dall'art. 112 della Costituzione», oltre che di quelli «di indipendenza ed autonomia della magistratura» (ex artt. 101, 104 e 107 Cost.).

    Risulta, in particolare, preclusa la possibilità «di sottoporre a sequestro l'autovettura a bordo della quale viaggiavano Ilaria Alpi e Miran Hrovatin», e con essa quella «di effettuare rilevamenti ed accertamenti sul veicolo stesso ai fini dell'esatta ricostruzione della dinamica dei fatti, attività queste tutte essenziali nell'ambito del procedimento penale in oggetto e la cui mancata effettuazione ha determinato una vera e propria paralisi» del procedimento medesimo.

    In tal modo, oltretutto, si contravviene a quella «opportunità di un effettivo coordinamento tra la Commissione e le strutture giudiziarie» presa in considerazione «all'atto dell'istituzione della stessa Commissione con Deliberazione della Camera dei Deputati del 31 luglio 2003 (art. 6, comma 3) nonché nel regolamento interno approvato dalla Commissione nella seduta del 4 febbraio 2004 (art. 22, comma 1)».

    1.4.¾ Su tali basi, pertanto, la suindicata Procura ha proposto il presente conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, chiedendo - previa declaratoria di non spettanza, alla pre detta Commissione, del potere di adottarla - l'annullamento della nota del 21 settembre 2005 (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV) emessa dalla medesima Commissione (con la quale quest'ultima ha rifiutato di aderire alla richiesta della ricorrente di valutare «l'opportunità dello svolgimento congiunto di accertamenti tecnici»), nonché l'annullamento, per l'effetto, anche dell'atto del 17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI) con cui la stessa - in persona del suo Presidente - ha conferito incarico peritale al dott. Alfredo Luzi.

    2.¾ All'esito della camera di consiglio del 20 febbraio 2006, il conflitto è stato dichiarato ammissibile con l'ordinanza n. 73 del 24 febbraio 2006.

    In data 10 marzo 2006 il ricorso introduttivo e la predetta ordinanza sono stati notificati - come da richiesta del giorno 1° marzo della Procura della Repubblica di Roma - alla Commissione parlamentare di inchiesta, in persona del suo Presidente.

    3.¾ Con memoria depositata presso la cancelleria della Corte il 29 marzo 2006 si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, dichiaratamente allo scopo di «far constatare l'avvenuta cessazione della Commissione parlamentare d'inchiesta» suddetta (essendosi svolta in data 23 febbraio 2006 l'ult ima sua seduta, all'esito della quale è stata approvata la relazione finale e sono state date disposizioni per gli incombenti amministrativi del caso), nonché per «fare emergere le circostanze in virtù delle quali sembrano essere ormai venute meno le ragioni stesse del conflitto», su tali basi, dunque, chiedendo che il proposto conflitto sia «dichiarato irricevibile, improcedibile ovvero inammissibile».

    4.- La Camera dei deputati, nell'imminenza dell'udienza pubblica di discussione del 5 giugno 2007, ha depositato un'ulteriore memoria, ribadendo le conclusioni già rassegnate.

    5.- In tale udienza pubblica è comparsa - ai sensi dell'art. 37, ultimo comma, della legge 11 marzo del 1953, n. 87 - la ricorrente autorità giudiziaria, in persona del dott. Franco Ionta, all'uopo delegato dal Procuratore della Repubblica.

    Ribadite le ragioni a sostegno dell'iniziativa assunta, la ricorrente ha replicato alle eccezioni preliminari svolte dalla Camera dei deputati.

    6.- Con sentenza n. 241 del 2007, questa Corte ha dichiarato «non fondate le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità del conflitto per nullità assoluta della notificazione, nonché di improcedibilità dello stesso per sopravvenuta carenza di interesse, sollevate dalla Camera dei deputati».

    La predetta sentenza ha assegnato, nel contempo, «alla Camera dei deputati ed alla ricorrente Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma il termine di giorni sessanta» - decorrente dalla data della pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale - «per la eventuale presentazione di memorie difensive», ravvisandone la necessità proprio in ragione della «scelta operata dalla Camera dei deputati, in relazione alla novità ed alla particolarità della vicenda, di non svolgere difese di merito in ordine al thema decidendum», scelta compiuta «sul presupposto di non rivestire la qualità di contraddittore necessario nel presen te giudizio».

    7.- In data 27 luglio 2007 la Camera dei deputati ha depositato una memoria, chiedendo che il ricorso sia «dichiarato improcedibile e inammissibile», ovvero, in subordine, che lo stesso sia rigettato.

    7.1.- Sul presupposto che «eccezioni in rito possono essere formulate in ogni stato del processo costituzionale», nonché evidenziando come quelle sollevate con la suddetta memoria si fondino sul «verificarsi di fatti nuovi, successivi ai primi scritti difensivi», ovvero sulle stesse domande di merito della ricorrente, le quali - come riconosciuto dalla stessa sentenza n. 241 del 2007 - «non erano state vagliate nelle precedenti difese», la Camera dei deputati eccepisce, gradatamente, «l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse», nonché l'inammissibilità dello stesso «per la contraddizione del petitum e della causa petendi».

    Ed invero, dal momento che la medesima autorità giudiziaria ricorrente ha chiesto - successivamente alla pronuncia della sentenza n. 241 del 2007 - «l'archiviazione del procedimento penale relativo all'individuazione dei mandanti dell'uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin», appare evidente che l'eventuale «annullamento degli atti impugnati sarebbe inutiliter datum», tenuto conto che il giudizio per conflitto di attribuzione deve vertere «su conflitti non astratti o ipotetici, ma attuali e concreti» (viene citata la sentenza della Corte costituzionale n. 404 del 2005). Infatti, la descritta evenienza, specie se si considera che è proprio il ricorso ad istituire «un nesso di logica consequenzialità tra il fatto che le indagini sian o in corso» (o meglio, che lo fossero) «ed il vulnus subíto» dalla ricorrente, denoterebbe la sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del giudizio.

    Un profilo, invece, di inammissibilità del ricorso è ravvisato in relazione all'individuazione dell'oggetto del conflitto de quo.

      Premesso, infatti, che esso ruota «tutto e solo intorno al tema se quegli accertamenti» - effettuati sulla vettura a bordo della quale si trovavano la Alpi ed il Hrovatin - «dovessero essere sottoposti ad uno "svolgimento almeno congiunto", così come richiesto dalla Procura della Repubblica di Roma», risulterebbe evidente come le considerazioni svolte dalla ricorrente - e con esse anche la domanda di annullamento che integra il petitum dell'atto di promovimento del presente conflitto - non possano «avere ingresso in un conflitto da menomazione», come è stato qualificato dalla ricorrente. Ed invero, è quest'ultima ad affermare e spressamente «che solo un suo provvedimento di sequestro avrebbe potuto soddisfare le esigenze di giustizia», atteso che, unicamente grazie ad esso, essa «avrebbe potuto "effettuare rilevamenti e accertamenti"» indispensabili alle indagini. In tal modo, però, la ricorrente «svolge argomenti e, nel merito, formula domande che avrebbero senso solo in un conflitto da vindicatio potestatis».

    7.2.- In via di subordine, per quanto attiene al merito del ricorso, la Camera dei deputati ha concluso per il rigetto dello stesso sulla base dei seguenti rilievi.

    Si evidenzia, in primo luogo, come gli atti compiuti dalle Commissioni parlamentari d'inchiesta siano «perfettamente utilizzabili dall'Autorità giudiziaria», e ciò in conseguenza del pieno «parallelismo tra i poteri e le limitazioni» che le prime come la seconda incontrano nell'esercizio delle rispettive funzioni (è citata, in proposito, la sentenza n. 231 del 1975).

    Nella specie, poi, la Commissione parlamentare d'inchiesta «non solo non ha opposto ostacoli» alla trasmissione delle risultanze dell'indagine peritale espletata, «ma ha messo a disposizione della ricorrente la stessa vettura sulla quale gli accertamenti erano stati eseguiti», senza che, dunque, si rendesse necessario gravare il veicolo di un provvedimento di sequestro «per compiere tutti i rilievi e gli accertamenti supplementari ritenuti utili dalla stessa ricorrente». A tal fine, infatti, sarebbe stata sufficiente - secondo la Camera dei deputati - la semplice «messa a disposizione» del bene, atto idoneo a "conservare" in capo alla ricorren te «i propri poteri giurisdizionali» (è citata la sentenza n. 149 del 2007), e dunque a salvaguardare le «attribuzioni costituzionali in campo».

    Né, d'altra parte, a conclusioni diverse potrebbe pervenirsi - contrariamente a quanto assume la ricorrente - attraverso l'evocazione del principio di leale collaborazione, giacché, assecondando l'impostazione del ricorso, si finirebbe con il conferire a tale principio un contenuto costituzionalmente vincolato, laddove, invece, il suo funzionamento dipende da «scelte che il legislatore può operare fra diversi modelli in astratto possibili», purché dirette a conseguire un «equilibrio razionale e misurato» tra «le istanze dello Stato di diritto, che tendono ad esaltare i valori connessi all'esercizio della giurisdizione», e «la salvaguardia di ambiti di autonomia sottratti al diritto comune, che valgono a conservare alla rappresentanza politica un suo indefettibile spazio di li bertà» (è citata, sul punto, la sentenza n. 149 del 2007; sono richiamate anche le sentenze n. 451 del 2005, n. 263 del 2003, n. 225 del 2001).

    Del resto, se l'esistenza di «svariate misure di raccordo o di coordinamento paritario», finalizzate a dare concreta attuazione al principio di leale collaborazione, è stata affermata in termini generali dalla giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 214 del 1998), quando, addirittura, manchino - come nella specie - delle regole da integrare, «la flessibilità dei modelli di leale collaborazione è ancora più evidente e necessaria», non potendo la Corte costituzionale - sottolinea la Camera dei deputati - introdurre «in via interpretativa un complesso di regole procedurali del tutto nuovo». A tale esito, per contro, si perverrebbe nel ca so in esame, giacché l'accoglimento delle domande della ricorrente finirebbe con l'imporre «una ed una sola forma di leale collaborazione» e ciò, appunto, «in assoluta carenza di regole che dettino anche semplicemente un quadro di riferimento».

    Pertanto, contrariamente a quanto ipotizzato dalla ricorrente Procura della Repubblica presso il Tribunale, deve escludersi che, nel caso di specie, «il principio di leale collaborazione potesse essere osservato solo con la rinuncia della Commissione a procedere "autonomamente", ben potendo essere seguite - invece - altre strade, esse pure capaci di salvaguardare le prerogative di entrambi i poteri a confronto». Del resto, anche in quello che la Camera dei deputati indica come il leading case in materia (la sentenza n. 231 del 1975), si è riconosciuta l'ammissibilità di «accertamenti svolti o direttamente disposti dalla Commissione», ovvero di «atti da questa formati o direttamente disposti ai propri fini e secondo i propri metodi di lavoro». Diversamente opinando, e dunque imponendo alla Camera (e per essa alla Commissione d'inchiesta) «di declinare il principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato non già nei termini dell'informazione e della trasmissione o messa a disposizione di atti, documenti e beni», bensì «in quelli della congiunta esecuzione degli eventuali accertamenti», si finirebbe con il confondere tale principio «con l'interferenza in corso d'opera di un potere sull'altro».

    8.¾ La Camera dei deputati ha depositato il 16 gennaio 2008 un'ulteriore memoria difensiva, e ciò sul presupposto che la sentenza n. 241 del 2007 «non precluda alle parti la produzione di scritti difensivi nell'imminenza dell'udienza», ai sensi di quanto previsto dagli artt. 10 e 26, comma 4, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

    Ciò premesso, la Camera rammenta di aver formulato eccezione di improcedibilità del conflitto per sopravvenuta carenza di interesse, e ciò in ragione del fatto che la ricorrente Procura della Repubblica risultava aver formulato una richiesta di archiviazione del procedimento finalizzato all'individuazione dei mandanti dell'omicidio della Alpi e del Hrovatin.

    Orbene, le argomentazioni addotte a sostegno di tale eccezione - prosegue la Camera - debbono essere confermate, sebbene risulti da notizie di stampa che il Giudice per le indagini preliminari abbia «respinto la richiesta di archiviazione, concedendo sei mesi per lo svolgimento di ulteriori accertamenti». Difatti, nei giudizi per conflitto di attribuzione «l'interesse alla pronuncia sul conflitto si può desumere solo ed unicamente dagli atti e dai comportamenti delle parti del conflitto stesso».

    Rilevante, invece, è la circostanza - sempre ad avviso della Camera dei deputati - che il G.i.p. romano sia stato indotto ad assumere la propria decisione sulla base degli elementi raccolti - all'esito dell'indagine tecnica espletata dal dr. Luzi - dalla Commissione parlamentare d'inchiesta. In tal modo il G.i.p. avrebbe, infatti, confermato quanto affermato dalla Camera - a sostegno della richiesta di rigetto del ricorso - in ordine alla piena utilizzabilità, nel procedimento penale, degli atti posti in essere dalla Commissione stessa.

    All'udienza del 29 gennaio 2008 le parti hanno ribadito le rispettive conclusioni. In particolare, la ricorrente Procura della Repubblica ha chiesto che sia disposta l'acquisizione del provvedimento adottato dal G.i.p., a norma dell'art. 409, comma 4, del codice di procedura penale, ed ha chiesto, altresì, la secretazione del documento limitatamente a taluni punti.

    La Corte costituzionale si è riservata di decidere in ordine all'acquisizione di tale documento, del quale ha disposto, comunque, la conservazione in plico presso la Cancelleria.

Considerato in diritto

    1.- Viene nuovamente all'esame di questa Corte il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, già dichiarato ammissibile con ordinanza n. 73 del 2006, nonché oggetto di decisione non definitiva, adottata con sentenza n. 241 del 2007, quanto alle pregiudiziali eccezioni, sollevate dalla Camera dei deputati, di inammissibilità del conflitto «per nullità assoluta della notificazione, nonché di improcedibilità dello stesso per sopravvenuta carenza di interesse». Il conflitto è stato promosso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

    Oggetto del giudizio è la richiesta di declaratoria di non spettanza alla predetta Commissione parlamentare - e per essa, ormai, alla Camera dei deputati, essendosi riconosciuto, nella citata sentenza n. 241 del 2007, che «nell'ipotesi di cessazione, per qualsiasi causa, del funzionamento della Commissione (quali, ad esempio, la scadenza del suo termine di durata o l'esaurimento della sua funzione), la legittimazione processuale ad agire o a resistere è riassunta dalla Camera medesima» - del potere di interferire nell'esercizio delle attribuzioni demandate dalla Costituzione alla ricorrente autorità giudiziaria, in particolare precludendole lo svolgimento congiunto degli accertamenti tecnici non ripetibili sulla vettura a bordo della quale la Alpi ed il Hrovatin si trovavano in occasione dell'attentato nel quale persero la vita.

    La ricorrente, difatti, promuovendo un conflitto da menomazione, assume che il predetto organismo parlamentare abbia interferito - negandole la possibilità di partecipare all'accertamento tecnico non ripetibile disposto sulla vettura costituente "corpo di reato" - nell'attività ad essa istituzionalmente demandata e consistente nel «raccogliere tutti gli elementi necessari ai fini delle proprie determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale», con palese violazione del principio della obbligatorietà della stessa, «sancito dall'art. 112 della Costituzione», oltre che di quelli «di indipendenza ed autonomia della magistratura» (ex artt. 101, 104 e 107 Cost.).

    Su tali basi, quindi, la ricorrente ha chiesto l'annullamento degli atti con i quali la predetta Commissione, in persona del suo Presidente, dopo aver conferito - con atto del 17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI) - incarico peritale per l'espletamento di accertamenti tecnici anche non ripetibili sulla autovettura, ha rifiutato di acconsentire alla partecipazione della ricorrente, agli accertamenti tecnici da espletarsi sulla stessa autovettura (nota del 21 settembre 2005, prot. n. 2005/0001389/SG-CIV).

    2.- Così ricostruito l'oggetto del contendere, devono essere preliminarmente esaminate le ulteriori eccezioni pregiudiziali sollevate in questa fase di giudizio dalla Camera dei deputati.

    La resistente assume, per un verso, che, dopo la richiesta della Procura della Repubblica di archiviazione del procedimento penale relativo all'individuazione dei mandanti del duplice omicidio (e ciò indipendentemente dal fatto che tale richiesta sia stata rigettata, a norma dell'art. 409, comma 4, del codice di procedura penale, dal Giudice per le indagini preliminari, giacché nei giudizi per conflitto di attribuzione «l'interesse alla pronuncia sul conflitto si può desumere solo ed unicamente dagli atti e dai comportamenti delle parti del conflitto stesso»), l'eventuale «annullamento degli atti impugnati sarebbe inutiliter datum». Ciò tenuto conto sia del fatto che il giudizio per conflitto di attribuzione deve riguardare «conflitt i non astratti o ipotetici, ma attuali e concreti» (è citata, sul punto, l'ordinanza n. 404 del 2005), sia della circostanza che la Commissione parlamentare ha, comunque, messo a disposizione della ricorrente le risultanze dell'espletata consulenza.

    Per altro verso, poi, è eccepita l'inammissibilità del ricorso in ragione di una presunta «contraddizione del petitum e della causa petendi», atteso che la ricorrente - sebbene lamenti di essere stata ostacolata nell'esercizio delle proprie attribuzioni costituzionalmente rilevanti - «svolge argomenti e, nel merito, formula domande che avrebbero senso solo in un conflitto da vindicatio potestatis», e non da menomazione, come lo stesso è stato invece espressamente qualificato nel ricorso.

    3.- Entrambe le eccezioni sono destituite di fondamento.

    3.1.- Quanto alla prima, infatti, è sufficiente osservare che, costituendo oggetto del conflitto proprio il riconoscimento della non spettanza alla Commissione parlamentare di inchiesta di interferire - attraverso la negazione della possibilità della ricorrente di partecipare agli accertamenti tecnici non ripetibili sulla vettura - nell'esercizio delle funzioni di indagini istituzionalmente spettanti all'autorità giudiziaria, le vicende successive all'assunzione di tale determinazione da parte dell'organo parlamentare si presentano prive di rilevanza rispetto al thema decidendum. E ciò vale tanto per la scelta compiuta dalla Procura della Repubblica di chiedere l'archiviazione a norma dell'art. 415, comma 1, cod. proc. pen. (e che gi ustifica la determinazione di questa Corte di non prendere neppure visione, attesa la sua irrilevanza ai fini della decisione, dell'ordinanza adottata dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma ex art. 409, comma 4, cod. proc. pen., atto di cui va disposta la restituzione in plico chiuso alla ricorrente), quanto per quella assunta dalla Commissione parlamentare di mettere a disposizione della Procura le risultanze della indagine tecnica autonomamente disposta.

    In relazione, in particolare, a questa seconda circostanza, deve nuovamente ribadirsi che attraverso il presente conflitto la ricorrente autorità giudiziaria si duole di essere stata privata del potere di partecipare allo svolgimento dell'accertamento tecnico disposto dalla Commissione parlamentare (ciò che avrebbe permesso alla Procura di orientarne lo svolgimento anche verso temi d'indagine più immediatamente riconducibili a quelli oggetto delle proprie attribuzioni costituzionalmente rilevanti); sicché la possibilità di avvalersi ex post delle risultanze dell'indagine svolta dal tecnico nominato dall'organo parlamentare non può ritenersi idonea a soddisfare la pretesa fatta valere con il ricorso.

    Sotto questo profilo è, quindi, evidente la diversità che intercorre tra la fattispecie ora in esame e quella in relazione alla quale è intervenuta l'ordinanza di questa Corte n. 404 del 2005, richiamata nelle sue difese dalla Camera dei deputati. In tale pronuncia, difatti, si è rilevato che «il compimento dell'ispezione, ai sensi dell'art. 244 e seguenti del codice di procedura penale, da parte dell'autorità giudiziaria ricorrente» - atto al quale il Presidente del Consiglio dei ministri si era inizialmente opposto, salvo successivamente mutare avviso, consentendo in via espressa al «Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania di accedere all'area già oggetto del provvedimento di apposizione del segreto di Stato» - «ha rimosso l'ostacolo frapposto al l'esercizio del potere d'indagine spettante alla stessa autorità giudiziaria, così da far venir meno, allo stato, l'oggetto del conflitto».

    Un'evenienza differente è, viceversa, quella verificatasi nel caso di specie, atteso che, pur a seguito della messa a disposizione dei risultati dell'accertamento espletato e della vettura oggetto dello stesso (recte: di ciò che resta di essa all'esito dell'indagine tecnica, anche in ragione della sua natura irripetibile), l'atto con cui la Commissione parlamentare ha rifiutato di accogliere la richiesta della ricorrente conserva inalterata la sua idoneità a menomare le attribuzioni della ricorrente.

    3.2.- Né, d'altra parte, sussiste - con riferimento all'altra eccezione pregiudiziale sollevata dalla Camera dei deputati - alcuna «contraddizione» tra petitum e causa petendi del ricorso: la Procura della Repubblica di Roma non mira, infatti, né a contestare la competenza della Commissione di inchiesta, né a "rivendicare" per sé una competenza esclusiva, bensì solo a far accertare la menomazione delle proprie attribuzioni costituzionali derivante dalla scelta della Commissione parlamentare di negarle qualunque forma di partecipazione allo svolgimento di accertamenti tecnici che (anche) la ricorrente avrebbe potuto effettuare ai sensi dell'art. 360 cod. proc. pen.

    4.- Nel merito il ricorso è fondato, nei limiti di seguito precisati.

    4.1.- La Commissione d'inchiesta - certamente legittimata a disporre lo svolgimento di accertamenti tecnici non ripetibili, potendo nell'espletamento delle indagini e degli esami ad essa demandati esercitare gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria ex art. 82, secondo comma, Cost. (ciò che, quindi, esclude l'annullabilità della nota adottata il 17 settembre 2005 dal Presidente della predetta Commissione parlamentare e relativa al conferimento dell'incarico peritale) - avrebbe dovuto, però, salvaguardare le prerogative della ricorrente autorità giudiziaria, anch'essa titolare di un paral lelo potere d'investigazione, costituzionalmente rilevante.

    Del resto, non è senza significato - in tale prospettiva - che a norma dell'art. 371 cod. proc. pen., in caso di indagini collegate svolte da uffici diversi del pubblico ministero (e dunque da soggetti ordinariamente titolari di poteri investigativi), sia previsto non solo un reciproco coordinamento, al fine di assicurare «la speditezza, economia ed efficacia delle indagini medesime», ma anche la possibilità di «procedere, congiuntamente, al compimento di singoli atti». E alla suddetta disposizione del codice di rito penale deve essere, per certo, riconosciuta valenza di principio generale, come tale, applicabile ben oltre l'àmbito specifico suo proprio.

    Che poi l'espletamento congiunto dell'atto di indagine fosse addirittura doveroso, nel caso di specie, è conclusione imposta dalla necessità di rispettare il principio di leale collaborazione.

    4.2.- Rilevano in tale prospettiva, innanzitutto, le previsioni contenute sia nell'atto istitutivo della Commissione (art. 6, comma 3, della deliberazione della Camera 31 luglio 2003), sia nel suo regolamento interno (art. 22, comma 1, reg. interno approvato dalla Commissione nella seduta del 4 febbraio 2004), le quali, nel contemplare un «opportuno coordinamento» della Commissione «con le strutture giudiziarie», in particolare proprio per quanto concerne la nomina di consulenti ed esperti, hanno inteso confermare la necessità che anche le attività di indagine peritale dovessero essere espletate in applicazione del suddetto principio.

    L'osservanza dello stesso avrebbe, dunque, imposto di accogliere la richiesta avanzata dalla Procura della Repubblica di Roma; ciò al fine evidente di consentire il più ampio spettro di indagine nella ricerca della verità dei fatti.

    D'altronde, detta soluzione appariva come la sola conforme anche alla diversità di àmbiti e di funzioni che caratterizza i poteri d'indagine delle Commissioni parlamentari d'inchiesta e degli organi giudiziari; diversità che fa sì che, se anche il loro esercizio possa sovrapporsi, restino tuttavia sempre distinte le finalità al perseguimento delle quali i poteri stessi sono preordinati.

    Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di chiarire che il compito delle Commissioni parlamentari d'inchiesta «non è di "giudicare", ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l'esercizio delle funzioni delle Camere», attingendo così «lo scopo di mettere a disposizione delle Assemblee tutti gli elementi utili affinché queste possano, con piena cognizione delle situazioni di fatto, deliberare la propria linea di condotta, sia promuovendo misure legislative, sia invitando il Governo a adottare, per quanto di sua competenza, i provvedimenti del caso» (così, incisivamente, la sentenza n. 231 del 1975).

    Orbene, è appunto la diversità degli scopi propri dei poteri d'indagine spettanti, rispettivamente, alle Commissioni parlamentari d'inchiesta ed agli organi della magistratura requirente, che impone di ritenere che l'esercizio degli uni non possa mai avvenire a danno degli altri (e viceversa); e dunque impone, altresì, di ribadire quanto già affermato da questa Corte, ovvero che «il normale corso della giustizia (.) non può essere paralizzato a mera discrezione degli organi parlamentari» (come, invece, avvenuto nel presente caso), «potendo e dovendo arrestarsi unicamente nel momento in cui l'esercizio di questa verrebbe illegittimamente ad incidere su fatti soggettivamente ed oggettivamente ad essa sottratti e in ordine ai quali sia stata ritenuta la competenza degli organi p arlamentari» (sentenza n. 13 del 1975).

    4.3.- Né, d'altra parte, può sostenersi - come invece ipotizzato dalla resistente Camera dei deputati - che l'accoglimento della richiesta di partecipazione agli accertamenti tecnici, formulata dalla Procura della Repubblica, equivarrebbe a snaturare il principio di leale collaborazione, finendo con il legittimare una «interferenza in corso d'opera di un potere sull'altro».

    Se è vero, infatti, che il principio di leale collaborazione «per la sua elasticità consente di avere riguardo alla peculiarità delle singole situazioni» (sentenza n. 50 del 2005), deve rilevarsi come proprio le specifiche caratteristiche della presente fattispecie - e segnatamente il fatto che la Commissione di inchiesta avesse tra i propri compiti (art. 1 dell'atto istitutivo) anche quello, tipicamente investigativo, di «verificare la dinamica dei fatti» che «portarono all'omicidio» della Alpi e del Hrovatin - imponessero di accogliere la richiesta avanzata dalla Procura di semplice partecipazione agli accertamenti tecnici, non essendo la richiesta stessa diretta a "rivendicare" alcuna potestà esclusiva d i indagine (interferendo, così, sulle prerogative costituzionali della Commissione), bensì solo a garantire l'integrità delle attribuzioni che, per dettato costituzionale, spettano all'autorità giudiziaria.

    Alla luce delle considerazioni che precedono risulta violato il principio di leale collaborazione che deve sempre permeare di sé il rapporto tra poteri dello Stato e violati, di conseguenza, anche i parametri costituzionali, evocati nel ricorso, di cui agli artt. 101, 104, 107 e 112 Cost. Si deve pertanto riconoscere che non spettava alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin precludere lo svolgimento - che, come richiesto dalla ricorrente, avrebbe dovuto compiersi congiuntamente da parte dei due soggetti - di quell'attività di accertamento, il cui mancato espletamento, proprio per il suo carattere "non ripetibile" ex art. 360 cod. proc. pen., si è tradotto in una menomazione delle prerogat ive dell'organo requirente, con evidenti riflessi sul «normale corso» del procedimento ad esso demandato.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara che non spettava alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin adottare la nota del 21 settembre 2005 (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV), con la quale è stato opposto il rifiuto alla richiesta, avanzata dalla Procura della Repubblica presso il Tribuna le ordinario di Roma, di acconsentire allo svolgimento di accertamenti tecnici congiunti sull'autovettura corpo di reato, ed annulla, per l'effetto, tale atto.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA



 
    I testi delle sentenze e ordinanze della Corte costituzionale, trasmessi dalla newsletter "Palazzo della Consulta" sono offerti alla consultazione per fini esclusivamente di informazione.

    Le sentenze e le ordinanze della Corte costituzionale sono pubblicate nella prima serie speciale della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (a norma degli artt. 3 della legge 11 dicembre 1984, n. 839 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092) e nella Raccolta Ufficiale delle sentenze e ordinanze della Corte costituzionale (a norma dell'art. 29 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, approvate dalla Corte costituzionale il 16 marzo 1956).

   Il testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale fa interamente fede e prevale su quello qui riportato, in caso di divergenza.