Deposito del 11/07/2008 (dalla 271 alla 276) |
S.271/2008 del 07/07/2008 Udienza Pubblica del 10/06/2008, Presidente BILE, Relatore DE SIERVO Norme impugnate: Art. 13 della legge della Regione Liguria 03/04/2007, n. 15. Oggetto: Sanità pubblica - Interventi per il contenimento della spesa farmaceutica - Farmaci inibitori della pompa protonica - Imposizione a carico del S.S.N. del solo costo del farmaco generico incluso in tale categoria terapeutica - Previsione del potere della Giunta regionale di derogare dall'applicazione di tale disposizione in presenza di atti nazionali o regionali finalizzati a garantire i medesimi effetti economici. Dispositivo: illegitt imità costituzionale Atti decisi: ord. 79, 80, 81, 82 e 83/2008 |
S.272/2008 del 07/07/2008 Udienza Pubblica del 20/05/2008, Presidente BILE, Relatore DE SIERVO Norme impugnate: Artt. 19 e 20 della legge 27/04/1982, n. 186. Oggetto: Consiglio di Stato - Aliquote percentuali di provvista dei magistrati - Composizione del ruolo secondo le medesime aliquote previste per il sistema di provvista - Mancata previsione; Concorso a consigliere di Stato - Previsione per i vincitori del concorso del conseguimento della nomina con decorrenza dal 31 dicembre dell'anno precedente a quello in cui è indetto il concorso stesso. Dispositivo: non f ondatezza - inammissibilità Atti decisi: ord. 604 e 605/2007 |
O.273/2008 del 07/07/2008 Camera di Consiglio del 25/06/2008, Presidente BILE, Relatore SILVESTRI Norme impugnate: Art. 14, c. 5° ter, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286, come sostituito dall'art. 1, c. 5° bis, del decreto legge 14/09/2004, n. 241, convertito con modificazioni in legge 12/11/2004, n. 271. Oggetto: Straniero e apolide - Espulsione amministrativa - Delitto di trattenimento, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato, in violazione dell'ordine di allontanamento impartito dal questore - Reclusione da uno a quattro anni. Dispositivo: mani festa inammissibilità Atti decisi: ord. 588, 589, 590, 591, 592, 593, 594, 595, 682, 683, 684, 685, 686, 726 e 846/2007 |
O.274/2008 del 07/07/2008 Camera di Consiglio del 25/06/2008, Presidente BILE, Relatore NAPOLITANO Norme impugnate: Art. 150 del decreto legislativo 09/01/2006, n. 5. Oggetto: Fallimento e procedure concorsuali - Riabilitazione civile - Istanza presentata da soggetto sottoposto a procedura fallimentare dichiarata chiusa in data anteriore all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 5 del 2006 che ha abrogato il procedimento di riabilitazione - Fallimento e procedure concorsuali - Riabilitazione civile - Non menzione nei certificati del cas ellario giudiziale dei provvedimenti concernenti il fallimento (in particolare, della sentenza dichiarativa di fallimento) nei casi in cui il fallito sia stato riabilitato con sentenza definitiva - Istanza di soggetto dichiarato fallito presentata in data successiva all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 5 del 2006 che ha abrogato il procedimento di riabilitazione - Omessa previsione della possibilità, per i soggetti dichiarati falliti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 5 del 2006, che alla stessa data non avessero già ottenuto la sentenza di riabilitazione civile, nonché per i soggetti dichiarati falliti successivamente all'entrata in vigore del predetto decreto, di conseguire la non menzione della sentenza dichiarativa di fallimento nei certificati del casellario giudiziale. Dispositivo: restituzione atti - jus superveniens Atti decisi: ord. 763 e 764/2007 |
O.275/2008 del 07/07/2008 Camera di Consiglio del 25/06/2008, Presidente BILE, Relatore SILVESTRI Conflitto: Ammissibilità di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica 21/12/2007. Oggetto: Parlamento - Immunità parlamentari - Intercettazioni "indirette" o "casuali" di comunicazioni o conversazioni di parlamentari - Utilizzazione in procedimento penale - Procedimento penale nei confronti del sen. Giuseppe Valentino, indagato per il reato di favoreggiamento personale - Richiesta del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, ai sensi dell'art. 6 della legge n. 140/2003, di autorizzazione all'utilizzazione di tabulati telefonici relativi ad una utenza intestata a Sinibaldi Michele - Deliberazione del Senato della Repubblica 21 dicembre 2007 di diniego di autorizzazione. Dispositivo: ammissibile Atti decisi: confl. pot. amm. 4/2008 |
O.276/2008 del 07/07/2008 Camera di Consiglio del 25/06/2008, Presidente BILE, Relatore SILVESTRI Conflitto: Ammissibilità di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica 21/12/2007. Oggetto: Parlamento - Immunità parlamentari - Intercettazioni di comunicazioni o conversazioni di parlamentari - Utilizzazione in procedimento penale - Procedimento pe nale nei confronti del sen. Giuseppe Valentino, indagato per il reato di favoreggiamento personale - Richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 140/2003, di autorizzazione all'acquisizione di tabulati telefonici relativi ad utenze in uso al senatore - Deliberazione del Senato della Repubblica 21 dicembre 2007 di diniego di autorizzazione. Dispositivo: ammissibile Atti decisi: confl. pot. amm. 5/2008 |
ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell'articolo 13 della legge della Regione Liguria 3 aprile 2007, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Liguria - Legge finanziaria 2007), promossi con n. 5 ordinanze del 15 novembre 2007 dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria rispettivamente iscritte ai nn. da 79 a 83 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2008. Visti gli atti di costituzione della Società Astra Zeneca s.p.a. ed altra, della Farmindustria - Associazione delle imprese del farmaco, della Janssen Cilag s.p.a. e della Malesci - Istituto Farmacobiologico s.p.a. e della Regione Liguria; udito nell'udienza pubblica del 10 giugno 2008 il Giudice relatore Ugo De Siervo; uditi gli avvocati Giuseppe Franco Ferrari per la Società Astra Zeneca s.p.a. ed altra, Giuseppe Franco Ferrari e Diego Vaiano per la Farmindustria - Associazione delle imprese del farmaco, Antonio Romei per la Janssen Cilag s.p.a., Diego Vaiano per la Malesci - Istituto Farmacobiologico s.p.a. e Giuseppe Morbidelli per la Regione Liguria. Ritenuto in fatto 1. - Con cinque ordinanze del 15 novembre 2007 (r.o. nn. 79, 80, 81, 82 e 83 del 2008), di contenuto pressoché identico, il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 6 (recte:13) della legge della Regione Liguria 3 aprile 2007, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Liguria - Legge finanziaria 2007), in riferimento agli artt. 3, 24, 32, 113 e 117, comma secondo, lettera m), e comma terzo, della Costituzione.< /SPAN> 1.1. - La vicenda ha origine dai ricorsi presentati da alcune società farmaceutiche avverso alcuni provvedimenti amministrativi della Regione Liguria che, al fine di contenere la spesa sanitaria complessiva, hanno individuato una categoria terapeutica omogenea di farmaci (quella degli inibitori di pompa protonica), in ordine alla quale, sul presupposto della sostanziale equipollenza tra i farmaci appartenenti a tale categoria, la spesa addebitabile a carico del servizio sanitario regionale è stata limitata al costo del farmaco cosiddetto generico. A tali atti (e, principalmente, alla deliberazione della Giunta regionale della Liguria 29 dicembre 2006, n. 1666) sono state mosse censure concernenti la violazione di norme costituzionali e legislative, nonché l'eccesso di potere sotto diversi profili. Il rimettente ha disposto, con ordinanza cautelare dell'8 marzo 2007, la sospensione dell'efficacia degli atti impugnati, in specie sotto il dedotto profilo della insufficienza istruttoria effettuata dall'amministrazione regionale in merito alla effettiva equivalenza tra il farmaco generico ed i restanti farmaci presenti nella relativa categoria terapeutica. Successivamente, è intervenuta la legge regionale n. 15 del 2007, il cui art. 13 stabilisce che, «ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 18 settembre 2001 n. 347, convertito in legge 16 novembre 2001 n. 405 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), del parere espresso dalla Commissione tecnico scientifica dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in data 20 febbraio 2007 ed ai fini del rispetto degli impegni assunti con l'accordo 6 marzo 2007 con il Ministero della salute e con il Ministero dell'economia e delle finanze, relativamente agli interventi per il contenimento della spesa farmaceutica, per quanto concerne la categoria terapeutica degli inibitori di pompa protonica, è posto a carico del Servizio sanitario solo il costo del farmaco generico incluso in tale categoria terapeutica, salvo le deroghe previste con provvedimenti amministrativi. La Giunta regionale può altresì derogare dall'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo in presenza di atti nazionali o regionali finalizzati a garantire i medesimi effetti economici». La delibera attuativa di tale disposizione è stata oggetto di ricorso per motivi aggiunti con i quali sono stati dedotti anche vizi specifici, contestandosi pure la legittimità costituzionale del sistema derivante dalla norma regionale. Il giudice a quo riferisce di essersi nuovamente pronunciato in sede cautelare, disponendo l'acquisizione, presso l'Agenzia italiana del farmaco, dell'atto col quale la commissione consultiva tecnico scientifica avrebbe espresso parere favorevole in ordine all'applicazione delle condizioni di cui all'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001. Con la medesima ordinanza è stata sospesa l'esecuzione del provvedimento attuativo impugnato con i motivi aggiunti. 1.2. - In punto di rilevanza, il rimettente osserva che, in caso di accoglimento della questione di costituzionalità, deriverebbero effetti immediati e diretti sull'atto attuativo gravato dai motivi aggiunti, che verrebbe a perdere il proprio parametro normativo di riferimento. D'altro canto, a fronte della eventuale caducazione della legge regionale e del suo atto applicativo, permarrebbe l'interesse alla decisione del ricorso principale avente per oggetto la delibera originaria, la quale riprenderebbe efficacia, non essendo stata annullata ma unicamente sospesa. 1.3.1. - Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo procede ad una ricostruzione del quadro normativo in cui si inserisce la censurata disposizione legislativa regionale. Ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione rientra nella competenza legislativa esclusiva statale la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ed in quella concorrente la materia della tutela della salute (art. 117, terzo comma). La tutela dei diritti fondamentali in materia sanitaria sarebbe quindi affidata contestualmente allo Stato ed alle Regioni, secondo il noto schema per cui il primo detta i princípi fondamentali e le seconde le norme di attuazione. Sul piano della legislazione ordinaria, il Tribunale rimettente richiama l'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001. Detta disposizione, per un verso, demanda ad un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la definizione dei livelli essenziali di assistenza e, per un altro verso, rimette ad un provvedimento della Commissione unica del farmaco l'individuazione dei farmaci che, in relazione al loro ruolo non essenziale, alla presenza fra i medicinali concedibili di prodotti aventi attività terapeutica sovrapponibile secondo il criterio delle categorie terapeutiche omogenee, possono essere totalmente o parzialmente esclusi dalla rimborsabilità (comma 1). Lo stesso art. 6, comma 2, poi, prevede che la totale o parziale esclusione dalla rimborsabilità dei farmaci di cui al comma 1 è disposta, anche con provvedimento amministrativo della Regione, tenuto conto dell'andamento della propria spesa farmaceutica rispetto al tetto di spesa programmato. Inoltre si ricorda che sono intervenuti rispettivamente il d.P.C.m. 29 novembre 2001, recante la definizione dei livelli essenziali di assistenza in cui rientra anche quella farmaceutica erogata attraverso le farmacie territoriali per la fornitura di specialità medicinali e prodotti galenici classificati in classe A, nonché il decreto della Commissione unica del farmaco datato 4 dicembre 2001 (peraltro successivamente abrogato). Secondo il rimettente, il meccanismo di cui all'art. 6, comma 2, risulta in parte superato in virtù del successivo art. 48 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326. Tale disposizione ha istituito l'Agenzia italiana del farmaco, con effetto dal 1° gennaio 2004, al fine di garantire l'unitarietà delle attività in materia di farmaceutica oltre che di favorire in Italia gli investimenti in ricerca e sviluppo. Tra i compiti di tale organismo viene individuato espressamente quello di «provvedere [.] a redigere l'elenco dei farmaci rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale, sulla base dei criteri di costo e di efficacia in modo da assicurare, su base annua, il rispetto dei livelli di spesa programmata nei vigenti documenti contabili di finanza pubblica» e di «procedere in caso di superamento del tetto di spesa di cui al comma 1 [.] a ridefinire, anche temporaneamente, nella misura del 60 per cento del superamento, la quota di spettanza al produttore». (comma 5, lettere c) ed f). Nelle ordinanze di rinvio si rammenta che, ai sensi dell'art. 1, comma 796, lettera l), numero 1, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), in caso di superamento del tetto di spesa indicato, «le regioni interessate, in alternativa alla predetta applicazione di una quota fissa per confezione, possono adottare anche diverse misure regionali di contenimento della spesa farmaceutica convenzionata, purché di importo adeguato a garantire l'integrale contenimento del 40 per cento». 1.3.2. - Nel descritto quadro normativo nazionale si inscrive la censurata disposizione legislativa regionale. Prendendo le mosse dalla parte motiva, per il giudice a quo la censurata disposizione disattenderebbe l'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001 nella parte in cui consente il descritto meccanismo di cui al comma 2 solo per i farmaci non essenziali, tra i quali quindi non rientrerebbero quelli di fascia A, fra i quali sono gli inibitori della pompa protonica in oggetto. La Regione avrebbe fondato l'applicabilità del descritto meccanismo normativo in base alla ritenuta esclusione dell'essenzialità dei farmaci in questione, statuita dall'Agenzia italiana del farmaco con l'atto richiamato. Peraltro l'atto indicato nella norma regionale avrebbe solo valore procedimentale e prodromico rispetto al necessario atto conclusivo del procedimento. In altri termini, alla data di entrata in vigore della impugnata disposizione sarebbe intervenuto solo un mero parere. Secondo il rimettente, poi, l'amministrazione regionale sarebbe «caduta in errore» allorquando, dopo aver finalmente preso cognizione di tale atto (in epoca successiva all'approvazione della norma), ha ritenuto di poter trarre l'indicazione sulla certezza della equivalenza tra i farmaci estrapolando una singola frase del parere. Per il rimettente, invece, la contestata disposizione non appare compatibile con i parametri legislativi nazionali che, sul punto, assumono evidente rilievo in termini di determinazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria, per cui l'esclusione dalla piena rimborsabilità presuppone una valutazione dell'Agenzia italiana del farmaco avente carattere di provvedimento efficace adottato dall'organo competente, mentre nel caso di specie sarebbe intervenuto in epoca successiva all'approvazione della norma regionale. Al riguardo, il giudice a quo deduce altresì la violazione del principio di eguaglianza, in quanto il provvedimento della suddetta Agenzia ha approvato l'allineamento del prezzo di rimborso dei farmaci in oggetto reputando necessario assicurare sull'intero territorio nazionale la unitarietà prescrittiva e la disponibilità a carico del Servizio sanitario nazionale della categoria omogenea degli inibitori di pompa. 1.3.3. - Nell'ordinanza di rimessione si prospetta anche la violazione dei princípi costituzionali di ragionevolezza, eguaglianza e tutela della salute. La disposizione oggetto di censura attribuirebbe, infatti, in termini generici, una «delega in bianco agli organi amministrativi per la deroga alla disposizione, senza l'individuazione di alcun criterio o parametro per l'esercizio di tale potere di deroga». D'altro canto, l'asserita violazione dei princípi di ragionevolezza e di eguaglianza affiorerebbe altresì dalla natura di legge-provvedimento della norma regionale censurata, «essendo la stessa produttiva di effetti nei confronti di destinatari chiaramente individuabili, aziende farmaceutiche ricorrenti e pazienti che necessitan o di tale farmaco, con la conseguenza che si impone uno scrutinio rigoroso di legittimità costituzionale per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare o derogatorio, anche territoriale, oltre che in termini di ragionevolezza». 1.3.4. - Per il giudice rimettente, la censurata disposizione violerebbe altresì gli artt. 24 e 113 della Costituzione, «in quanto la norma provvedimento risulta approvata dalla regione all'evidente fine di riproporre in via legislativa un atto amministrativo i cui effetti risultano essere stati sospesi in via cautelare nella naturale sede giurisdizionale». Il rimettente, a questo proposito, paventa anche i rischi di elusione della tutela assicurata in termini di principio fondamentale dalle norme costituzionali evocate, a séguito del sempre maggior ricorso, in ambito regionale, alle leggi-provvedimento in pendenza di giudizi ed al fine di superare provvedimenti giurisdizionali. 2. - E' intervenuto nel presente giudizio il Presidente della Giunta della Regione Liguria, che ha sostenuto la inammissibilità e, comunque, l'infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale. 2.1. - In via preliminare, la difesa regionale evidenzia le finalità sottese alla disposizione censurata.
A fronte del superamento del tetto di spesa, negli anni 2005 e
2006, in ordine all'assistenza farmaceutica, la Regione Liguria ha
adottato una serie di misure: in particolare, è stato incentivato il
ricorso ai farmaci equivalenti. Proprio in relazione agli inibitori di
pompa protonica, malgrado la presenza di un principio attivo a brevetto
scaduto, si è registrata una tendenza a prescrivere farmaci più costosi
a fronte di una sostanziale equivalenza terapeutica. Pertanto, la
Regione Liguria, con l'impugnata delibera di Giunta n. 1666 del Una volta disposta, da parte del Tribunale rimettente, la sospensione della predetta delibera, la Regione Liguria ha costituito un apposito gruppo tecnico, che ha confermato la sostanziale equivalenza di efficacia terapeutica dei vari inibitori. La congruità della misura disposta in ambito regionale è stata positivamente vagliata dall'Agenzia italiana del farmaco, la quale ha espresso parere favorevole a che le condizioni previste dall'art. 6, comma 1, del decreto-legge n. 347 del 2001 fossero applicate «esclusivamente alla categoria degli inibitori di pompa». Oltre al parere della suddetta Agenzia, il contestato intervento legislativo si basa anche sull'accordo nel frattempo intervenuto tra i Ministeri dell'economia e delle finanze, e della salute, del 6 marzo 2007, accordo finalizzato all'approvazione del Piano di rientro e di individuazione degli interventi per il perseguimento dell'equilibrio economico ai sensi dell'art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2005). In questo accordo si legge che «il potenziamento dell'utilizzo di farmaci generici è un obiettivo imprescindibile, per ricondurre la spesa farmaceutica all'interno delle percentuali del 13% e del 16% della spesa sanitaria» e che «uno degli esempi più significativi è quello della categoria degli inibitori di pompa acida».
2.2. - Quanto alle specifiche censure, la difesa regionale obietta
che l'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001, al primo comma,
attribuisce (ora) all'Agenzia italiana del farmaco l'identificazione dei
farmaci che, in presenza di altri prodotti provvisti di efficacia
terapeutica sovrapponibile purché appartenenti alla medesima categoria,
possono essere totalmente o parzialmente esclusi dalla rimborsabilità a
carico del Servizio sanitario nazionale, e, al secondo comma, riconosce
alle stesse Regioni tale facoltà di esclusione in relazione ai farmaci
(rispetto il cui ruolo essenziale) non sia stato riconosciuto dalla
predetta Agenzia: «vi è quindi una valutazione a livello centrale, che
accerta l'osservanza del livello minimo di prestazioni». Nel caso di
specie, Sicché - a detta della Regione interveniente - cadrebbero anche le doglianze basate sulla pretesa violazione dell'art. 32 Cost., anche alla luce di alcune pronunce rese dai giudici amministrativi che hanno escluso la compromissione del diritto alla salute in caso di preferenza accordata al farmaco meno costoso. Per quanto concerne la dedotta illegittima configurazione, da parte del legislatore regionale, del potere di deroga ivi contemplato, che non sarebbe assistito da idonei criteri direttivi, la difesa regionale replica sottolineando che, a fronte di valutazioni eminentemente tecniche, la genericità della previsione in oggetto è la conseguenza della eterogeneità delle ipotesi che si possono, in concreto, delineare. La Regione interveniente, infine, nega la natura asseritamente provvedimentale della censurata disciplina, attesa la sua portata generale e astratta. D'altronde - conclude la difesa regionale - l'unico limite del giudicato non risulterebbe superato, trattandosi di contenzioso ancora in corso. 3. - Si sono costituite nel presente giudizio di legittimità costituzionale quattro società farmaceutiche (che erano) parti nei giudizi a quibus, nonché la Farmindustria-Associazione delle imprese del farmaco, (che era) intervenuta ad adiuvandum in uno di questi giudizi. 3.1. - Nel merito, la Astra Zeneca s.p.a. e la Bracco s.p.a. contestano la competenza della Regione Liguria ad escludere, sia pure parzialmente, dal regime di rimborsabilità assicurato a livello nazionale farmaci che siano classificati dall'Agenzia italiana del farmaco in fascia A e che, come tali, rientrano tra i livelli essenziali di assistenza, con conseguente violazione degli artt. 3, 32 e 117 Cost. Per la difesa di queste società, all'Agenzia italiana del farmaco «è devoluta una competenza esclusiva in punto di valutazione ed approvazione dei farmaci e ad essa sola spetta stabilire le categorie di rimborsabilità dei medesimi». Sicché, una volta ricondotto un farmaco tra i medicinali di fascia A, trattandosi di farmaci ascrivibili ex lege ai livelli essenziali di assistenza, esso non può formare oggetto di alcun intervento limitativo regionale. Pertanto, l'art. 117 Cost. non ammette alcuna disciplina regionale differenziata quanto ai livelli essenziali di assistenza, giacché la discrezionalità di cui dispongono le Regioni può esprimersi sul piano meramente organizzativo. Né l'art. 6, comma 2, del decreto-legge n. 347 del 2001 potrebbe giustificare l'intervento legislativo regionale, dal momento che la possibilità di escludere, in tutto o in parte, la rimborsabilità è circoscritta ai farmaci aventi un ruolo non essenziale o sovrapponibili. D'altro canto, il legislatore statale, con il decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 29 novembre 2007, n. 222, ha inserito, nel testo del succitato art. 6, un comma 2-bis, il quale sancisce la nullità dei provvedimenti regionali di cui al comma 2, assunti in difformità da quanto deliberato, ai sensi del comma 1, dalla Commissione unica del farmaco o, successivamente alla istituzione dell'Agenzia, dalla Commissione consultiva tecnico-scientifica, fatte salve eventuali ratifiche adottate dall'Agenzia medesima antecedentemente al 1° ottobre 2007. Nel caso di specie, l'Agenzia non ha ratificato le misure limitative disposte dalla Regione Liguria. In definitiva, nel settore farmaceutico la legislazione nazionale, come si evince dalla stessa giurisprudenza costituzionale, rifletterebbe l'esigenza di una disciplina necessariamente uniforme, potendo le Regioni semmai prevedere ulteriori prestazioni o servizi, facendovi fronte con risorse proprie. Né la legittimazione della contestata determinazione legislativa potrebbe derivare dalla volontà di contenere in tal modo la spesa pubblica. Infatti, l'individuazione in sede nazionale dei livelli essenziali di assistenza ha già avuto luogo in applicazione del principio di economicità. Spetta solo all'Agenzia italiana del farmaco il compito di monitorare il consumo e la spesa farmaceutica e di intervenire su quest'ultima in caso di superamento del tetto di spesa. 3.2. - La violazione degli artt. 3, 32 e 97 Cost. discenderebbe, a detta delle costituite società, dalla illegittima disparità di trattamento così determinata, da un lato, tra patologie e, dall'altro, tra singoli princípi attivi che verrebbero differenziati solo sulla base del fattore costo. Senza trascurare, poi, l'ingiustificata disparità di trattamento tra le aziende che commercializzano farmaci appartenenti alla categoria in oggetto. Diversamente da quanto sostenuto nelle ordinanze di rinvio, per la difesa delle parti private l'elevato numero di prescrizioni del farmaco in parola non è indice di inappropriatezza prescrittiva, in quanto la più diffusa prescrizione di tali farmaci ancora coperti da brevetto poggerebbe su ragioni prettamente scientifiche e mediche, non sindacabili dall'amministrazione regionale. Replicando alla difesa regionale - secondo cui non sussisterebbe la contestata violazione dell'art. 32 Cost., dal momento che ai pazienti sarebbero comunque garantite le cure necessarie - le predette società sottolineano come a tale assunto si contrappongano i restrittivi criteri applicativi della denunciata disposizione, dettati dalla deliberazione della Giunta regionale n. 2749 del 2007. La totale rimborsabilità di farmaci essenziali e di comprovata efficacia clinica, quali quelli commercializzati dalle Società, sarebbe espressione del principio di cui all'art. 32 Cost. 3.3. - Infine, la censurata disposizione sarebbe qualificabile come legge-provvedimento, risultando idonea ad incidere su un numero determinato e limitato di destinatari. Anzi, si aggiunge, che detta disposizione cela l'intendimento di traslare in sede legislativa una determinazione amministrativa, già sospesa, in via cautelare, dal competente giudice amministrativo. Pertanto, la censurata disposizione deve essere sindacata alla stregua del consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'ammissibilità di leggi-provvedimento incontra un limite specifico nel rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in cors o, o che, per le circostanze di tempo, per le modalità e per il contesto di riferimento, si rivelino adottate al solo scopo di eludere l'obbligo di dare esecuzione ad una decisione giurisdizionale, con conseguente lesione del principio di effettività della tutela giurisdizionale e del diritto di difesa. 3.4. - Nel merito, la Farmindustria - Associazione delle imprese del farmaco e la Malesi - Istituto farmacobiologico s.p.a. sostengono anzitutto la violazione dell'art. 117, comma secondo, lettera m), e comma terzo, Cost.: la censurata disposizione inciderebbe nella materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, affidata in via esclusiva al legislatore statale in vista della definizione di una disciplina unif orme su tutto il territorio nazionale. Attraverso la fissazione dei livelli essenziali ad opera del legislatore statale si definirebbero i limiti inviolabili del diritto fondamentale alla salute e si garantirebbe l'eguaglianza degli utenti nelle varie Regioni quanto alla disponibilità dei farmaci essenziali di classe A. Pertanto, il potere regionale di deroga è destinato ad operare solo con riferimento ad altre classi di rimborsabilità. D'altro canto, l'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001 non potrebbe essere richiamato dalla disposizione denunciata, innanzitutto in quanto si tratta di «un sistema superato dall'evoluzione normativa e provvedimentale determinatasi dopo il settembre 2002»; in secondo luogo, giacché il suo richiamo presupporrebbe una valutazione in termini di non essenzialità del farmaco che, alla stregua della vigente normativa, dovrebbe condurre alla radicale esclusione della categoria terapeutica dalla rimborsabilità st essa; infine, non risulta che sia stata fatta alcuna valutazione in termini di non essenzialità, sia in àmbito regionale, che da parte dell'Agenzia italiana del farmaco. 3.5. - Per quanto concerne l'asserita violazione degli artt. 3 e 32 Cost., si afferma che la censurata disposizione determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra cittadini affetti dalla medesima patologia ma residenti in Regioni diverse. 3.6. - In ordine, infine, alla censura basata sugli artt. 24 e 113 Cost., viene condivisa la tesi del rimettente circa l'arbitrario ricorso ad una legge-provvedimento allo scopo precipuo di eludere una precisa statuizione giurisdizionale. 3.7. - In via preliminare, la Janssen Cilag s.p.a., afferma, in punto di fatto, che la Regione Liguria avrebbe erroneamente imposto la prescrizione di un inibitore senza considerare che i suddetti inibitori non sono composti dal medesimo principio attivo, né hanno un'equipollenza terapeutica. 3.8. - In termini di ricostruzione del quadro normativo di riferimento afferente alla erogazione dei farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale, la difesa della società ritiene che la legislazione statale sia sorretta da due finalità: la garanzia a tutti i cittadini dei livelli essenziali di prestazioni sanitarie omogenee, il contenimento della spesa pubblica. In vista del conseguimento di tali obiettivi fondamentali, il legislatore statale ha configurato penetranti poteri di controllo e di regolazione, valorizzando il ruolo dell'Agenzia italiana del farmaco. Quanto al regime di rimborsabilità, la predetta difesa ricorda la originaria suddivisione dei farmaci in tre classi (classe A: farmaci essenziali e per le malattie croniche; classe B: farmaci, non compresi nella classe A, di rilevante interesse terapeutico; classe C: altri farmaci, privi delle suindicate caratteristiche, a totale carico dell'assistito) e la successiva soppressione della classe B. L'organo deputato ad operare la predetta classificazione è proprio l'Agenzia italiana del farmaco. I farmaci inclusi nella classe A costituiscono un livello essenziale di assistenza. Quindi in quest'ambito, secondo la difesa della Janssen Cilag s.p.a., alle Regioni «residua soltanto il potere di adottare norme di dettaglio per la determinazione e la disciplina dei sistemi organizzativi, necessari per rendere concrete ed efficaci le previsioni statali in tema di livelli essenziali di assistenza». 3.9. - Per la costituita società, l'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001 va inteso nel senso di riservare in via esclusiva all'autorità centrale - più precisamente, all'Agenzia italiana del farmaco - il compito di individuare le categorie terapeutiche omogenee e, all'interno di queste, i farmaci aventi un ruolo non essenziale ed attività terapeutica sovrapponibile, i quali, quindi, possono essere esclusi dalla rimborsabilità. Alla data di adozione dei provvedimenti regionali oggetto di ricorso nei giudizi principali, nel Prontuario farmaceutico nazionale 2006 (adottato con deliberazione dell'Agenzia italiana del farmaco 3 luglio 2006), risultava inclusa soltanto la categoria omogenea degli inibitori di pompa protonica A02BC, mentre non risulta esservi alcun provvedimento definitivo della stessa Agenzia che riconosca ai farmaci in oggetto una «attività terapeutica sovrapponibile». Anche il successivo mutamento del quadro normativo avrebbe ribadito, a detta della parte privata, le suesposte preclusioni in ordine ai poteri regionali sulla rimborsabilità dei farmaci. In conclusione, la costituita società afferma che i farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale costituiscono livelli essenziali di assistenza; lo Stato garantisce l'unitaria gestione delle attività in materia farmaceutica attraverso l'Agenzia italiana del farmaco; l'elenco dei farmaci rimborsabili viene periodicamente stabilito dalla predetta Agenzia sulla base di un criterio di costo-efficacia, nel rispetto dei programmati limiti di spesa; eventuali sforamenti del tetto di spesa, nei limiti del 40 per cento, possono essere dalle Regioni ripianati con il ricorso alle misure previste dall'art. 48, comma 5, lettera f), del decreto-legge n. 269 del 2003, «che escludono categoricamente l'adozione di provvedimenti come quelli qui avversati». 3.10. - Per quanto attiene, in particolare, al parere della Commissione tecnico-scientifica dell'Agenzia italiana del farmaco 20 febbraio 2007, la difesa della Janssen Cilag s.p.a. aderisce alla qualificazione dello stesso, operata dal giudice a quo, come mero atto endoprocedimentale e prodromico rispetto ad un eventuale provvedimento della medesima Agenzia. Peraltro, la stessa difesa sottolinea come la predetta Commissione, con la successiva nota 3-4 aprile 2007, abbia proposto al Consiglio di amministrazione dell'Agenzia di assumere, a livello nazionale, un prezzo unico di riferimento per la categoria degli inibitori di pompa protonica, allineando il costo al giorno degli inibitori ancora protetti da brevetto al prezzo più basso ed escludendo il prezzo del generico, l'unico per il quale il brevetto era scaduto. Il suddetto Consiglio di amministrazione ha recepito tale proposta e, con delibera n. 13 del 19 aprile 2007, l'Agenzia italiana del farmaco ha disposto l'allineamento del prezzo di rimborso al costo giornaliero più basso dei medicinali ancora coperti da brevetto nell'àmbito della categoria in oggetto, mantenendo il costo giornaliero del lansoprazolo generico al valore di 0,79 euro. La costituita società inferisce dal mutato contesto che il parere richiamato dalla censurata disposizione sia stato «ampiamente superato», attesa la conseguente impossibilità per le Regioni di imporre prezzi di riferimento inferiori al costo giornaliero più basso dei farmaci coperti da brevetto all'interno della stessa categoria terapeutica omogenea. 3.11. - La difesa della parte privata conclude richiamando le argomentazioni svolte nell'ordinanza di rinvio in ordine alla illegittima previsione di una «delega in bianco» all'amministrazione regionale ed in ordine alla asserita configurazione della censurata disposizione come "norma-provvedimento". 4. - In prossimità dell'udienza, la Regione Liguria ha depositato in ciascuno dei giudizi una memoria di identico contenuto, nella quale contesta le censure svolte dal TAR rimettente. Con riguardo alla dedotta violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., la difesa della Regione sostiene che la legge regionale avrebbe rispettato i presupposti previsti dall'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001, dal momento che la Commissione dell'AIFA aveva espresso parere favorevole, ritenendo che gli inibitori di pompa protonica fossero da ritenere medicinali non essenziali e sovrapponibili ai sensi del citato art. 6. Il limite dei livelli essenziali, dunque, sarebbe stato rispettato, dal momento che l'intervento regionale sarebbe avvenuto in conformità alla valutazione tecnica espressa dall'organo a ciò preposto dalla legge. Inoltre, la sovra pponibilità dell'efficacia clinica di tutti gli inibitori di pompa protronica sarebbe confermata anche da recenti studi della Società italiana di medicina generale. Inoltre, la disposizione regionale censurata sarebbe stata adottata in conformità all'accordo intercorso con i Ministeri dell'economia e delle finanze, e della salute in data 6 marzo 2007 il quale prevedeva, tra le misure di contenimento della spesa farmaceutica, il potenziamento dell'utilizzo dei farmaci generici, tra cui, in particolare, i suddetti inibitori. Con riguardo alla dedotta violazione del principio di uguaglianza e del diritto alla salute, la Regione osserva che, ricorrendo i presupposti previsti dalla legge, le Regioni possono adottare misure come quelle previste dalla disposizione censurata, mentre la garanzia di uniformità tra le varie realtà regionali competerebbe alla Conferenza Stato-Regioni, ovvero all'amministrazione statale. D'altra parte, non vi sarebbe alcuna compressione del diritto alla salute, posto che i farmaci generici avrebbero, per definizione, le stesse proprietà terapeutiche dei prodotti più costosi. La stessa giurisprudenza amministrativa avrebbe ritenuto in più decisioni che rientra nella discrezionalità politico-finanziaria delle Regioni la scelta delle modalità di intervento per la riduzione obbligatoria della spesa farmaceutica. Quanto alla dedotta violazione degli artt. 3 e 32 Cost. in conseguenza della delega in bianco conferita dalla disposizione censurata agli organi amministrativi, osserva la difesa regionale che la questione sarebbe irrilevante, dal momento che nel giudizio a quo non sarebbe contestato il corretto esercizio o il non esercizio del potere di deroga. Precisamente, la prima deroga, contenuta nell'art. 13 della legge regionale n. 15 del 2007 sarebbe in melius, in quanto volta a non applicare il criterio della equipollenza-sostituibilità di cui all'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001; pertanto, l'eccezione di incostituzionalità sarebbe non solo irrilevante, ma anche contraddittoria, «perché non si può censurare una disciplina per incostituzionalità e poi nel contempo censurare l'eccezione a tale disciplina». La seconda deroga, nel richiamare eventuali atti nazionali o regionali finalizzati a garantire gli stessi effetti economici, lascerebbe spazio ad altre soluzioni e dunque non avrebbe effetto lesivo. La difesa della Regione esclude, poi, che la disposizione regionale censurata abbia natura di legge-provvedimento, dal momento che i destinatari di essa, cioè i pazienti che necessitano dei farmaci in questione, non sarebbero individuati né individuabili; inoltre, la menzionata legge regionale n. 15 del 2007 presenterebbe il carattere dell'astrattezza, trovando applicazione tutte le volte in cui vi sarà la prescrizione di un farmaco rientrante nella categoria degli inibitori di pompa protronica. Quanto, infine, alla asserita violazione degli artt. 24 e 113 Cost., la Regione Liguria nega che scopo della disposizione denunciata fosse quello di superare provvedimenti giurisprudenziali, avendo come fine solo quello di stabilire i presupposti per l'applicazione dell'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001. Inoltre, detta disposizione opererebbe solo per il futuro e non inciderebbe, pertanto, sulle fattispecie sub iudice dal momento che le vicende pregresse sono regolate dalla normativa vigente al tempo della loro verificazione. L'adozione di una legge per disciplinare la fattispecie in questione, d'altra parte, non comporterebbe una diminuzione della tutela giurisdizionale, essendo sempre possibile il sindacato della Corte costituzionale. 5. - Con memorie di identico contenuto la Astra Zeneca s.p.a. e la Bracco s.p.a., ribadiscono la fondatezza della censura prospettata in relazione all'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., osservando che il d.P.C.m. 23 aprile 2008, all'art. 8, avrebbe ulteriormente confermato che l'accesso ai farmaci di classe A costituisce livello essenziale di assistenza e non può essere arbitrariamente limitato dalle Regioni. Queste potrebbero soltanto individuare la formula organizzativa ritenuta più adeguata per garantire l'erogazione di tali prestazioni, ovvero ampliare il novero delle prestazioni garanti te, prevedendo la erogazione gratuita di un farmaco, non previsto dalla legislazione nazionale. Pertanto, mentre l'inclusione di un farmaco in fascia A costituirebbe principio fondamentale, non altrettanto varrebbe per l'esclusione da tale fascia. L'esigenza di contenere la spesa farmaceutica dovrebbe essere assolta dalle Regioni con strumenti e modalità diverse. Entrambe le società ribadiscono, poi, che la deroga in bianco contenuta nel censurato art. 13 della legge regionale si fonderebbe sull'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001, che sarebbe in parte superato e non applicabile, nonché su un atto endoprocedimentale non conosciuto all'epoca dell'emanazione della legge. Quanto alla censura sollevata in riferimento agli artt. 24 e 113 Cost., le parti private sostengono che la successione cronologica degli eventi attesterebbe come la disposizione censurata sia stata emanata proprio allo scopo di eludere l'ordinanza cautelare con cui il TAR aveva sospeso l'efficacia della delibera della Giunta regionale n. 1666 del 2006. Ciò troverebbe conferma anche nel comunicato stampa diramato dall'Assessorato alla salute della Regione Liguria nel quale si legge che la legge regionale avrebbe «ripristinato» quanto deciso dalla precedente delibera. 6. - Anche la società Janssen Cilag s.p.a., in prossimità dell'udienza, ha depositato una memoria nella quale osserva innanzitutto che, a differenza di quanto sostenuto dalla Regione Liguria, gli inibitori di pompa protronica non sarebbero farmaci generici, dal momento che tra di essi vi sarebbero ben cinque diverse molecole e che solo per una di queste esisterebbe un farmaco generico. Osserva, inoltre, che la Commissione unica per il farmaco (e poi l'AIFA) non avrebbe mai adottato un provvedimento definitivo che stabilisca che gli inibitori di pompa protronica sono farmaci non essenziali o sovrapponibili e che, pertanto, la Regione non avrebbe potuto adottare alcuna misura al riguardo, non ricorrendo i presupposti di cui all'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001. D'altra parte, il prezzo dei farmaci soggetti a rimborso, tra i quali rientrano appunto gli inibitori di pompa protronica, deve essere unico su tutto il territorio nazionale e deve essere contrattato solo con l'AIFA, mentre le Regioni non potrebbero intervenire su tale prezzo se non nei limiti fissati dall'art. 48 del decreto-legge n. 269 del 2003. Quanto poi alla nota dell'AIFA 21 febbraio 2007, posta dalla Regione Liguria a fondamento della legge n. 15 del 2007, essa si sarebbe limitata a richiamare il contenuto del parere espresso il 20 febbraio 2007 dalla Commissione dell'AIFA, organo consultivo, senza entrare nel merito delle analisi svolte. Tale parere, inoltre, non sarebbe mai stato recepito in un atto definitivo. Sull'argomento sarebbe intervenuta la stessa Commissione con provvedimento 3-4 aprile 2007, con il quale ha deciso di proporre al Consiglio di amministrazione dell'AIFA di assumere un prezzo unico a livello nazionale per la categoria degli inibitori di pompa protronica. Tale proposta è stata approvata dal Consiglio di amministr azione con delibera n. 13 del 19 aprile 2007, nella quale viene ribadita la necessità di assicurare un prezzo unico sull'intero territorio nazionale. Infine, la parte privata sostiene che le modifiche apportate all'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001 da parte del decreto-legge n. 159 del 2007 confermerebbero la competenza centrale e non regionale a decidere in ordine alla rimborsabilità dei farmaci; a ciò conseguirebbe che le singole Regioni non potrebbero incidere sui livelli essenziali di assistenza. 7. - Nella memoria depositata in prossimità dell'udienza, la società Malesci - Istituto farmacobiologico s.p.a. rileva innanzitutto come sia necessario distinguere tra il concetto di sostanziale sovrapponibilità di farmaci che appartengono alla stessa categoria terapeutica ma che assumono a propria base princípi attivi diversi, e il concetto di perfetta sovrapponibilità di farmaci che hanno il medesimo princípio attivo di cui sia scaduto il brevetto e sia stato commercializzato il cosiddetto "generico". Sostiene la parte privata che solo con riguardo a questa seconda ipotesi opera la regola della sostituibilità della specialità medicinale con il farmaco equivalente a più basso costo, ai sensi dell'art. 7 del decreto-legge n. 347 del 2001. La legge della Regione Liguria, invece, per la prima volta avrebbe affermato la sostituibilità di un prodotto con altro avente a propria base un diverso principio attivo. La società contesta, inoltre, che la legge regionale n. 15 del 2007 abbia dato corretta attuazione all'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001, dal momento che la disposizione censurata sarebbe stata adottata sulla base di un semplice parere della Commissione dell'AIFA, il quale non sarebbe stato recepito in uno specifico atto del direttore dell'AIFA, né sarebbe intervenuta alcuna ratifica da parte di tale Agenzia dei provvedimenti regionali. La parte privata ritiene, infine, che il sistema elaborato dalla disposizione regionale sia intrinsecamente contraddittorio, in quanto, da un lato, presume la perfetta sovrapponibilità del farmaco commercializzato dalla società con il generico di cui assume l'identica efficacia terapeutica; dall'altro lato, però, prevede che la spesa necessaria per l'acquisto del farmaco più costoso rimanga a carico del S.S.N. qualora il medico abbia indicato che tale farmaco sia insostituibile. In realtà, solo ragioni economiche avrebbero indotto la Regione Liguria ad adottare la disposizione censurata la quale violerebbe il principio di uniformità dei livelli essenziali di assistenza. Considerato in diritto 1. - Con cinque analoghe ordinanze il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 6 (recte: 13) della legge della Regione Liguria 3 aprile 2007, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Liguria - Legge finanziaria 2007), in riferimento agli artt. 3, 24, 32, 113 e 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, della Costituzione. In pendenza di cinque giudizi relativi ad un provvedimento amministrativo della Regione Liguria - che ha limitato al costo del farmaco cosiddetto "generico" la spesa addebitabile a carico del Servizio sanitario regionale per una categoria terapeutica omogenea di farmaci (quella degli inibitori di pompa protonica), sul presupposto della sostanziale equipollenza terapeutica tra i farmaci appartenenti a tale categoria -, il T.A.R. rimettente ha disposto in via cautelare la sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato, in specie sotto il dedotto profilo della insufficienza istruttoria effettuata dall'amministrazione regionale in merito alla effettiva equivalenza del farmaco generico con i restanti farmaci presenti nella relativa cate goria terapeutica. Successivamente, nelle more del giudizio amministrativo, è intervenuta la impugnata legge regionale n. 15 del 2007, il cui censurato art. 13 stabilisce che, «ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 18 settembre 2001 n. 347, convertito in legge 16 novembre 2001 n. 405 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), del parere espresso dalla Commissione tecnico scientifica dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in data 20 febbraio 2007 ed ai fini del rispetto degli impegni assunti con l'accordo 6 marzo 2007 con il Ministero della salute e con il Ministero dell'economia e delle finanze, relativamente agli interventi per il contenimento della spesa farmaceutica, per quanto concerne la categoria terapeutica degli inibitori di pompa protonica, è posto a carico d el Servizio sanitario solo il costo del farmaco generico incluso in tale categoria terapeutica, salvo le deroghe previste con provvedimenti amministrativi. La Giunta regionale può altresì derogare dall'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo in presenza di atti nazionali o regionali finalizzati a garantire i medesimi effetti economici». Il giudice a quo riferisce di essersi nuovamente pronunciato in sede cautelare, sospendendo, a séguito della proposizione di motivi aggiunti, anche l'esecuzione del provvedimento della Giunta regionale attuativo della disposizione legislativa denunciata, ma di dubitare della legittimità costituzionale dell'art. 13 della legge regionale n. 15 del 2007 in relazione ai profili che così sintetizza: «violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera m) e comma 3 [della Costituzione], nella parte in cui non è conforme alle norme nazionali di determinazione dei livelli essenziali d i assistenza e dei principi fondamentali in tema della tutela della salute; violazione degli artt. 3 e 32 della [Costituzione] nella parte in cui comporta una disparità di trattamento rispetto alle altre Regioni, irragionevolmente si fonda su di una norma nazionale in parte superata ed inapplicabile nella specie, nonché su di un atto endoprocedimentale oltretutto travisato nel suo [.] contenuto, ed altresì nella parte in cui irragionevolmente prevede una delega in bianco per l'eventuale deroga al proprio disposto in capo agli organi amministrativi senza alcun criterio per l'esercizio della deroga stessa; violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, nella parte in cui la legge provvedimento viene direttamente a vanificare la tutela cautelare assicurata dal giudice competente rispetto ai provvedimenti amministrativi impugnati e che confluiscono nella stessa legge-provvedimento». Si sono costituite, per argomentare nel senso dell'accoglimento della questione, alcune delle parti ricorrenti nei giudizi principali, mentre il Presidente della Giunta della Regione Liguria si è interamente costituito in tutti i giudizi, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. I giudizi pongono all'esame della Corte analoghe questioni e possono, pertanto, essere riuniti per essere decisi con un'unica sentenza. 2. - Il T.A.R. ricorrente solleva anzitutto la questione della compatibilità della norma censurata con l'art. 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, della Costituzione, in quanto non «conforme alle norme nazionali di determinazione dei livelli essenziali di assistenza e dei principi fondamentali in tema di tutela della salute». Si pone pertanto, in via preliminare, il problema della competenza del legislatore regionale ad intervenire in una materia riservata al legislatore statale ai sensi del secondo comma, lettera m), dell'art. 117 della Costituzione, o comunque modellata sulla legislazione statale di principio avente ad oggetto la tutela della salute, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione. A tal fine, occorre individuare in quali àmbiti e come il legislatore statale abbia finora esercitato, nel settore dei farmaci destinati all'utilizzazione nel Servizio sanitario nazionale, la propria competenza in tema di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»: è, infatti, evidente che il limite della competenza esclusiva statale appena ricordata rispetto alla competenza legislativa concorrente in tema di «tutela della salute» può essere relativamente mobile e dipendere concretamente dalle scelte legislative operate. Sotto questo profilo, va rimarcato che, ai sensi del d.P.C.m. 29 novembre 2001 (come ora del d.P.C.m. 23 aprile 2008), l'erogazione di farmaci rientra nei livelli essenziali di assistenza (LEA), il cui godimento è assicurato a tutti in condizioni di uguaglianza sul territorio nazionale (sentenza n. 282 del 2002), affinché non si verifichi che in parti di esso, «gli utenti debbano, in ipotesi, assoggettarsi ad un regime di assistenza sanitaria inferiore, per quantità e qualità, a quello ritenuto intangibile dallo Stato» (sentenza n. 387 del 2007). In particolare, la legislazione statale (art. 8, comma 14, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, recante «Interventi correttivi di finanza pubblica») assicura a tutti la totale rimborsabilità dei farmaci collocati in classe A nel prontuario farmaceutico, ma aggiunge (art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001) che, entro tale categoria, la comprovata equipollenza terapeutica dei farmaci consente, nelle forme ivi previste, che possa essere esclusa in modo totale o parziale la rimborsabilità dei medicinali più onerosi per le finanze pubbliche alle condizioni fissate dallo stesso legislatore statale. È evidente che per tale via la legislazione in punto di livelli essenziali delle prestazioni coniuga una necessaria opera di contenimento della spesa farmaceutica (da ultimo, sentenza n. 279 del 2006) con la garanzia che continuino peraltro ad erogarsi a carico del Servizio sanitario nazionale i farmaci reputati, secondo un apprezzamento tecnico-scientifico, idonei a salvaguardare il diritto alla salute degli assistiti. Nel contempo, l'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001 non manca di attribuire alle singole Regioni, anche nel rispetto delle rilevanti competenze di cui esse godono nella materia concernente la tutela della salute, una sfera di competenza, esercitabile tramite "provvedimento amministrativo", in punto di esclusione della rimborsabilità del farmaco essenziale, ma terapeuticamente equipollente ad altro più economico, che consente di adeguare il regime vigente di rimborsabilità alla particolare condizione finanziaria di ciascuna Regione. Per quanto concerne in particolare la determinazione della quota della rimborsabilità dei prezzi farmaceutici, il primo comma dell'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 16 novembre 2001, n. 405, facendo espresso riferimento alle procedure di ridefinizione dei LEA, prevede infatti un'apposita procedura mediante la quale la Commissione unica del farmaco (ora sostituita dalla Commissione tecnico scientifica dell'AIFA, ai sensi dell'art. 2, comma 349, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008») può individuare «i farmaci che, in relazion e al loro ruolo non essenziale, alla presenza fra i medicinali concedibili di prodotti aventi attività terapeutica sovrapponibile secondo il criterio delle categorie terapeutiche omogenee, possono essere totalmente o parzialmente esclusi dalla rimborsabilità». Il secondo comma del medesimo articolo, a sua volta, prevede espressamente che «la totale o parziale esclusione della rimborsabilità dei farmaci di cui al comma 1 è disposta, anche con provvedimento amministrativo della Regione, tenuto conto dell'andamento della propria spesa farmaceutica rispetto al tetto di spesa programmato». L'espressione «farmaci con un ruolo non essenziale» in questo testo, così come nell'art. 1 del d.m. - ora abrogato - 4 dicembre 2001 (Riclassificazione dei medicinali ai sensi della legge 16 novembre 2001, n. 405, di conversione, con modifiche, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347), non comporta, ovviamente, che l'intervento in questione non cada sui farmaci di classe A, definiti come essenziali o necessari per malattie croniche, giacché, al contrario, presupposto di siffatto intervento è proprio l'inclusione del medicinale nella fascia di piena rimborsabilità, riservata a questi ultimi. È invece il "ruolo" dello specifico prodotto farmaceutico a rivelarsi, ad un successivo esame tecnico-scientifico, non più essenziale, in quanto sovrapponibile per efficacia terapeutica a medicinali di minor prezzo. Questa legislazione rende, quindi, evidente che il legislatore nazionale non esclude che, nell'ambito dei LEA, che pure hanno una generale finalizzazione di tipo egualitario, una Regione possa differenziare per il suo territorio il livello di rimborsabilità dei farmaci, purché la eventuale determinazione amministrativa regionale sia preceduta dal procedimento individuato nel primo comma dell'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001 e la Regione operi al fine del contenimento della propria spesa farmaceutica. Da questo punto di vista, è infondata la doglianza relativa alla violazione del principio di eguaglianza e del diritto alla salute che deriverebbe da una simile articolazione regionale del potere di riduzione della rimborsabilità dei farmaci, dal momento che la procedura di cui al comma 1 dell'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001 è finalizzata alla verifica della «presenza fra i medicinali concedibili di prodotti aventi attività terapeutica sovrapponibile secondo il criterio delle categorie terapeutiche omogenee» e deve pertanto garantire l'equivalenza terapeutica sull'intero territorio nazionale del farmaco interamente rimborsabile con quello oggetto del provvedimento. Né la perdurante vigenza di questa legislazione può essere messa in dubbio a causa della successiva adozione dell'art. 48 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1 comma 1, della legge 24 novembre 2003, n. 326, che - tra l'altro - ha nuovamente modificato le conseguenze degli «sfondamenti del tetto di spesa» per l'assistenza farmaceutica, previsto la rimborsabilità dei farmaci «sulla base dei criteri di costo e di efficacia» e disciplinato l'Agenzia italiana del farmaco. Fondamentalmente diverso è, infatti, rispetto alla determinazione del prezzo dei farmaci di classe A (e quindi in via di principio rimborsabili) e degli sconti imposti in caso di sfondamento del tetto della spesa farmaceutica, il regime della parziale rimborsabilità dei farmaci inseriti nella classe A, in quanto si accerti che esistano farmaci equivalenti e meno cari. Su quest'ultimo piano resta in vigore l'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001, seppur in parte integrato dalla più recente legislazione in tema di funzioni ed assetto dell'AIFA. D'altra parte, in epoca successiva alla legge che è oggetto del presente giudizio, il legislatore nazionale, con un ulteriore intervento normativo relativo al governo della spesa farmaceutica (si veda l'art. 5, comma 5-bis, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, recante «Interventi urgenti in materia economico finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale», convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 29 novembre 2007 n. 222, ha integrato il succitato art. 6, aggiungendovi un comma 2-bis, secondo il quale «sono nulli i provvedimenti regionali di cui al comma 2, assunti in difformità da quanto deliberato, ai sensi del comma 1, dalla Commissione unica del farmaco o, successivamente alla istituzione dell'AIFA, dalla Commissione consultiva tecnico-scientifica di tale Agenzia, fatte salve eventuali ratifiche adottate dall'AIFA antecedentemente al 1° ottobre 2007». Il potere previsto dall'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001 resta pertanto in vigore ed è esercitabile, per espressa volontà del legislatore statale, anche dalla Regione tramite «provvedimento amministrativo». 3. - L'impugnato art. 13 della legge della Regione Liguria n. 15 del 2007 è stato approvato in sostituzione del provvedimento amministrativo di cui al secondo comma dell'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001, tanto da essere caratterizzato anche da una parte motiva, in evidente analogia con la motivazione che sorregge in linea di principio gli atti amministrativi. Ciò si pone in espresso contrasto con quanto previsto nel secondo comma dell'art. 6, nell'àmbito di una materia, concernente la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie, riservata in via esclusiva al legislatore statale, che quindi è pienamente competente anche a determinare le forme tramite le quali la Regione può esercitare le attribuzioni riconosciutele in tale àmbito dalla normativa dello Stato, quando esse rispondano in via immediata ad esigenze, connesse al livello di tutela garantito nella fruizione della prestazione, di cui la stessa legge statale si fa carico. Nel caso di specie, l'esercizio da parte della Regione del potere di escludere in tutto o in parte la rimborsabilità dei farmaci è configurato dal legislatore statale come il punto di arrivo di uno speciale procedimento amministrativo, in particolare caratterizzato dal determinante ruolo valutativo di un apposito organo tecnico nazionale sulla base dei criteri determinati dal legislatore statale. Procedimento che evidentemente garantisce pure i soggetti direttamente interessati, anche attraverso la possibilità di ricorrere agli ordinari strumenti di tutela giurisdizionale, consentendo il soddisfacimento delle tutele richieste fin dalla fase cautelare, ove ne ricorrano i presupposti, e comunque con immediatezza da parte del giudice competente a conoscere della legit timità dell'atto amministrativo (ed ora mediante la sanzione della nullità dei provvedimenti amministrativi regionali difformi da quanto deliberato dall'organo tecnico statale). Sostituire con un atto legislativo quanto può essere realizzato dalla Regione mediante un apposito provvedimento amministrativo rappresenta quindi una violazione di quanto espressamente determinato dal legislatore statale nell'ambito di una materia di sua esclusiva competenza (nel caso di specie, secondo quanto previsto nel secondo comma, lettera m), dell'art. 117 della Costituzione) ed è quindi contrario al dettato costituzionale. Per tale ragione, la norma impugnata deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima, con assorbimento delle ulteriori censure qui non esaminate. Resta evidentemente possibile alla Regione adottare, per i motivi indicati nel secondo comma dell'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001, il provvedimento amministrativo ivi previsto, secondo le modalità determinate dal legislatore statale. LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 13 della legge della Regione Liguria 3 aprile 2007, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Liguria - Legge finanziaria 2007). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Ugo DE SIERVO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 19 e 20 della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliari del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), promossi con n. 2 ordinanze del 20 novembre 2006 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi proposti da A.M. e da D.M.G. ed altra nei confronti del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa ed altri, rispettivamente iscritte ai nn. 604 e 605 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 2007. Visti gli atti di costituzione di A.M. ed altri nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 2008 il Giudice relatore Ugo De Siervo; uditi l'avvocato Maurizio Nucci per A.M. ed altri e l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza in data 20 novembre 2006, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 20 della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliari del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui non prevedono espressamente la composizione del ruolo del Consiglio di Stato «nelle medesime aliquote previste per il sistema di provvista dei magistrati», per violazione degli artt. 3, 97, 100, 101 e 108 della Costituzione. Ha inoltre sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 19, primo comma, n. 3), della citata legge n. 186 del 1982, nella parte in cui dispone che i vincitori del concorso per l'accesso al Consiglio di Stato conseguono la nomina con decorrenza dal 31 dicembre dell'anno precedente a quello in cui è indetto il concorso stesso. Il rimettente riferisce di essere chiamato a decidere sul ricorso proposto da A.M., magistrato TAR con qualifica di consigliere, nei confronti del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, della Presidenza del Consiglio dei ministri e nei confronti di T.A., controinteressato non costituitosi in giudizio, per l'annullamento del decreto in data 30 marzo 2006 con cui è stato indetto un concorso per titoli ed esami a due posti di consigliere di Stato, nonché per l'annullamento di tutti gli atti preparatori e presupposti e, in particolare, della delibera del Consiglio di presidenza del 23 marzo 2006, nella parte in cui, dopo aver verificato che i posti vacanti nell'organico del Consiglio di Stato ammontavano a 5 unità, ha assegnato solo tre posti, anziché cinque, al passaggio dei consiglieri di TAR nel ruolo dei consiglieri di Stato. Tali atti, secondo il ricorrente nel giudizio a quo, sarebbero stati adottati in base ad un'erronea interpretazione degli artt. 19 e 20 della legge n. 186 del 1982 in base alla quale i posti che si rendono vacanti presso il Consiglio di Stato devono essere ripartiti fra le tre categorie indicate dall'art. 19. Ove, invece, tale interpretazione fosse corretta, il ricorrente sostiene che le citate disposizioni sarebbero costituzionalmente illegittime per violazione degli artt. 3, 97, 100, 101 e 108 della Costituzione. In via subordinata, il ricorrente ha poi eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 19, primo comma, n. 3), della legge n. 186 del 1982, nella parte in cui prevede che i vincitori del concorso siano immessi nel ruolo del Consiglio di Stato con retrodatazione della nomina alla data del 31 dicembre dell'anno precedente a quello di indizione del concorso. Il TAR, dopo aver ritenuto che - stante il loro chiaro tenore letterale - gli artt. 19 e 20 disciplinano esclusivamente il conferimento dei posti di consigliere di Stato, e cioè il cosiddetto sistema di provvista, e non già la stabile composizione dell'organo, osserva come nessuna disposizione della legge n. 186 del 1982 regoli tale aspetto. D'altra parte - osserva ancora il rimettente - quando il legislatore ha voluto disciplinare la composizione di un organo giurisdizionale lo ha fatto espressamente, come nel caso della Corte costituzionale, con l'art. 135 della Costituzione, o come nel caso del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. Tuttavia, ritiene il TAR che i profili di illegittimità eccepiti dal ricorrente non siano manifestamente infondati. Infatti, l'evoluzione normativa sarebbe caratterizzata da un aumento della quota di riserva dei posti vacanti presso il Consiglio di Stato in favore dei magistrati di provenienza TAR: mentre l'originario art. 17 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), riservava loro un quarto dei posti, la successiva legge n. 186 del 1982, all'art. 19, ha incrementato tale quota portandola alla metà. Questa scelta sarebbe rafforzata dall'art. 20, il quale stabilisce che i posti vacanti che non siano coperti mediante le quote di cui all'art. 19 possono essere portati in aumento alle altre categorie, salvo il riassorbimento negli anni successivi. Secondo il TAR del Lazio da tale evoluzione normativa «sembra logico dedurre» l'intenzione del legislatore, non solo di aumentare la quota di riserva in favore dei magistrati TAR, «ma anche di conservarla nel tempo», non essendovi alcuna valida ragione che porti a riservare un maggior numero di posti nel sistema di provvista in favore di una categoria «senza che la stessa proporzione si rifletta in maniera preordinata sulla composizione della pianta organica del Consiglio di Stato». La formulazione delle disposizioni citate e la loro concreta applicazione avrebbero portato ad un sistema opposto, in cui la presenza dei magistrati TAR all'interno del Consiglio di Stato si riduce costantemente. Infatti, poiché l'età media dei magistrati TAR che accedono al Consiglio di Stato è s uperiore a quella dei vincitori del concorso e poiché i posti vacanti vengono ripartiti considerandoli un unico insieme, la categoria che ha il ricambio più veloce - appunto quella dei magistrati TAR - decrescerebbe costantemente. In tal modo, la concreta applicazione delle disposizioni censurate porterebbe ad un risultato opposto rispetto all'obiettivo di aumentare la presenza dei magistrati TAR nell'ambito del Consiglio di Stato. Ciò evidenzierebbe l'irragionevolezza degli artt. 19 e 20 in quanto non prevedono espressamente la composizione del ruolo del Consiglio di Stato nelle medesime aliquote previste per il sistema di provvista dei magistrati. Le disposizioni censurate contrasterebbero altresì con l'art. 108 Cost. e il principio della riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario, dal momento che la composizione del Consiglio di Stato resterebbe subordinata a fattori variabili e casuali, senza garantire che la copertura dei posti avvenga in modo da comporre l'organico in una proporzione fissa e legislativamente preordinata. Gli artt. 19 e 20 della legge n. 186 del 1982 contrasterebbero, inoltre, con gli artt. 97, 100 e 101 Cost., in quanto l'indipendenza dei magistrati, il buon funzionamento e l'imparzialità dell'organo giurisdizionale potrebbero essere salvaguardati soltanto prevedendo la specifica misura della partecipazione delle diverse componenti chiamate a formare il ruolo del Consiglio di Stato. Le eccepite questioni, ad avviso del TAR, sarebbero rilevanti, in quanto dal loro eventuale accoglimento discenderebbe l'illegittimità e il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati, i quali troverebbero il loro presupposto nelle disposizioni censurate. Il rimettente afferma poi che il ricorrente nel giudizio a quo ha eccepito, in via subordinata, l'illegittimità costituzionale dell'art. 19, primo comma, n. 3), della legge n. 186 del 1982, per violazione dei principi di ragionevolezza e parità di trattamento sanciti dall'art. 3 Cost. Il TAR argomenta la rilevanza della questione in considerazione del fatto che, ove non fosse accolta la precedente eccezione di costituzionalità, la caducazione dell'art. 19, primo comma, n. 3), determinerebbe il soddisfacimento dell'interesse del ricorrente, che nelle more del giudizio è stato nominato consigliere di Stato nella quota riservata ai magistrati TAR, a non essere posposto nel ruolo ai vincitori del concorso indetto con il bando impugnato. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo sostiene che la disposizione censurata determinerebbe un'irragionevole disparità di trattamento in danno dei magistrati TAR, dal momento che riconoscerebbe ai vincitori del concorso una decorrenza della nomina diversa e più favorevole rispetto a quella prevista per i magistrati TAR, il cui ingresso nel ruolo dei consiglieri di Stato decorre dalla data del provvedimento di nomina. Di conseguenza costoro sarebbero sempre posposti ai primi, anche nell'ipotesi in cui la data di conferimento delle funzioni sia anteriore rispetto a quella dei vincitori di concorso. 2. - Si è costituito nel giudizio avanti alla Corte il consigliere A.M., ricorrente nel giudizio a quo, il quale ha insistito per l'accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR del Lazio. 3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o infondate. Quanto alla prima questione, l'Avvocatura sostiene che il rimettente avrebbe costruito la censura sull'asserito contrasto delle norme esistenti, che disciplinano soltanto il reclutamento dei consiglieri di Stato, con l'assetto auspicato dal ricorrente, ma realizzabile solo ad opera del legislatore. Ove si accogliesse la tesi del rimettente, inoltre, si determinerebbe la necessità della scissione del ruolo, oggi unico, dei consiglieri di Stato in tre dotazioni organiche, ciascuna destinata ad approvvigionarsi autonomamente dalle altre. Ciò tuttavia non sarebbe possibile in mancanza di una espressa previsione normativa. D'altra parte, in assenza di un principio contrario, la scelta del legislatore non sarebbe irragionevole ma costituirebbe espressione della sua discrezionalità nell'esercizio della quale ha preferito "dosare" le componenti di provenienza nel reclutamento dei consiglieri di Stato piuttosto che disciplinare rigidamente la composizione di tale organo. Infondata sarebbe altresì la censura formulata in relazione agli artt. 97, 100, 101 e 108 Cost., dal momento che nessuna disposizione costituzionale prevede che l'indipendenza del Consiglio di Stato sia garantita attraverso la regolamentazione della sua composizione. In ogni caso, tali censure sarebbero inammissibili costituendo "censure di sistema", ovvero che stigmatizzano un vuoto normativo. Inammissibile sarebbe anche la censura avente ad oggetto l'art. 19, primo comma, n. 3), della legge n. 186 del 1982, stante la sua irrilevanza. Non sarebbe infatti il bando di concorso impugnato l'atto idoneo a provocare la lesione lamentata dal ricorrente, bensì il provvedimento di nomina dei vincitori di concorso, nella parte in cui ne stabilisce la decorrenza. Solo tale atto darebbe attuazione alla norma denunciata. Poiché oggetto del ricorso è invece il bando, il quale non darebbe applicazione alla suddetta disposizione, la caducazione di quest'ultima non potrebbe condurre all'annullamento del bando; donde l'irrilevanza della questione. Nel merito essa sarebbe comunque infondata, dal momento che l'art. 19 non determina un trattamento differente di situazioni uguali: un conto è infatti l'accesso al Consiglio di Stato tramite i ruoli del TAR e dunque per anzianità in tempi lunghi, altro sarebbe l'accesso per concorso, altro ancora quello per nomina governativa. 4. - Con ordinanza in data 20 novembre 2006, pronunciata in altro giudizio, il TAR del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 20 della legge n. 186 del 1982, in termini identici a quelli prospettati nella precedente ordinanza. L'incidente di costituzionalità è sollevato nell'ambito del giudizio promosso da D.M.G. e dall'Associazione nazionale magistrati amministrativi (ANMA) nei confronti del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, della Presidenza del Consiglio dei ministri e nei confronti di T.A., controinteressato non costituitosi in giudizio, per l'annullamento del decreto in data 30 marzo 2006 con cui è stato indetto un concorso per titoli ed esami a due posti di consigliere di Stato, nonché per l'annullamento della delibera del Consiglio di presidenza del 23 marzo 2006 e di tutti gli atti preparatori e presupposti. I motivi posti a fondamento di tale ricorso sono i medesimi rispetto a quelli esaminati nell'ordinanza n. 604 del 2007. Il TAR, dopo aver rigettato le eccezioni di inammissibilità per difetto di legittimazione ad agire tanto di D.M.G. quanto dell'ANMA, formulate in quella sede dall'Avvocatura dello Stato, a sostegno delle censure svolge argomentazioni identiche a quelle di cui all'ordinanza n. 604 del 2007, sopra ricordate. 5. - In tale giudizio si sono costituiti D.M.G. e l'ANMA, ricorrenti nel giudizio a quo, i quali hanno chiesto l'accoglimento della questione sollevata dal TAR del Lazio. 6. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o infondata per le medesime ragioni svolte nell'atto di intervento relativo all'ordinanza n. 604 del 2007. 7. - In prossimità dell'udienza i ricorrenti nei giudizi a quibus hanno depositato un'unica memoria nella quale sostengono la possibilità - esclusa invece dal rimettente - di un'interpretazione conforme a Costituzione delle disposizioni censurate. Diversamente, non resterebbe che ritenere l'illegittimità costituzionale dell'art. 19 della legge n. 186 del 1982, dal momento che sarebbe irrazionale una normativa che regola una ripartizione dei posti vacanti senza trovare poi corrispondenza nella composizione del ruolo. Con riguardo alla questione di legittimità concernente l'art. 19, primo comma, n. 3), della legge n. 186 del 1982, le parti private ne sostengono il contrasto con il principio di uguaglianza e ragionevolezza dal momento che esso dal un lato, deprimerebbe, anziché valorizzare, l'esperienza professionale dei magistrati TAR e dall'altro introdurrebbe una disparità di trattamento priva di giustificazione. La disposizione censurata, nel disporre la retrodatazione della nomina dei vincitori del concorso creerebbe in loro favore un vero e proprio privilegio. Co nsiderato in diritto 1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con due distinte ordinanze pronunciate in diversi giudizi, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 20 della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliari del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui non prevedono espressamente la composizione del ruolo del Consiglio di Stato «nelle medesime aliquote previste per il sistema di provvista dei magistrati», per violazione degli artt. 3, 97, 100, 101 e 108 della Costituzione. Ha, inoltre, eccepito, nella prima ordinanza, l'illegittimità costituzionale dell'art. 19, primo comma, n. 3), della citata legge n. 186 del 1982, nella parte in cui dispone che i vincitori del concorso per l'accesso al Consiglio di Stato conseguono la nomina con decorrenza dal 31 dicembre dell'anno precedente a quello in cui è indetto il concorso stesso, per violazione dell'art. 3 della Costituzione. 2. - I due giudizi devono essere riuniti in ragione dell'identità delle questioni da essi poste. Le disposizioni censurate disciplinano il cosiddetto sistema di provvista dei consiglieri di Stato, cioè le modalità di copertura dei posti che si rendono vacanti presso il Consiglio di Stato. In particolare, l'art. 19 della legge n. 186 del 1982 prevede che questi siano conferiti per metà ai consiglieri di tribunale amministrativo regionale che ne facciano domanda e abbiano almeno quattro anni di effettivo servizio nella qualifica. La nomina, in tal caso, ha luogo previo giudizio favorevole espresso dal Consiglio di presidenza a maggioranza dei suoi componenti. Per un quarto, i posti vacanti sono assegnati a soggetti - scelti nell'ambito delle categorie individuate dalla legge - nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere del Consiglio di presidenza. Per il restante quarto, i posti sono conferiti mediante concorso pubblico per titoli ed esami teorico-pratici, al quale possono partecipare magistrati TAR con almeno un anno di anzianità, magistrati ordinari e militari con almeno quattro anni di anzianità, magistrati della Corte dei conti, nonché avvocati dello Stato con almeno un anno di anzianità, funzionari della carriera direttiva del Senato e della Camera con almeno quattro anni di anzianità, nonché funzionari delle Amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici con qualifica dirigenziale. La norma stabilisce, altresì, che i vincitori del concorso conseguono la nomina con decorrenza dal 31 dicembre dell'anno precedente a quello in cui è indetto il concorso. L'art. 20 dispone che nel caso in cui i posti vacanti non siano coperti secondo le quote suddette, essi possono essere portati in aumento alle altre categorie, ma devono poi essere riassorbiti negli anni successivi. Il giudice rimettente, dopo aver interpretato la disciplina di cui agli articoli 19 e 20 della legge n. 186 del 1982 nel senso che essa si riferisce soltanto al sistema di reclutamento dei consiglieri di Stato, anzitutto dubita della ragionevolezza delle citate disposizioni in quanto non disciplinerebbero la composizione dell'organo in conformità ai suddetti criteri di provvista. Sostiene il giudice a quo che vi sarebbe un contrasto tra l'intenzione del legislatore, di aumentare la presenza dei magistrati di provenienza TAR nel Consiglio di Stato, e il concreto contenuto delle disposizioni, le quali non sarebbero in grado di assicurare tale risultato e, anzi, porterebbero ad una costante riduzione della presenza di tale componente al l'interno dell'organo di secondo grado. Infatti, secondo il rimettente, poiché l'età in cui i consiglieri TAR accedono al Consiglio di Stato è generalmente maggiore rispetto a quella dei vincitori di concorso, e poiché i posti da essi lasciati vacanti sarebbero ripartiti tra tutte le categorie di cui all'art. 19 (e non solo tra i consiglieri TAR), la categoria dei magistrati di provenienza TAR avrebbe un ricambio più veloce, così che la sua consistenza si ridurrebbe costantemente. 3. - Le questioni non sono fondate. Gli effetti denunciati dal rimettente costituiscono, in parte, il frutto di circostanze di fatto, e cioè della maggiore età in cui normalmente entrano in ruolo i consiglieri di Stato provenienti dall'esperienza professionale presso i TAR rispetto a quella dei consiglieri provenienti dal concorso pubblico (non pochi dei quali peraltro - potrebbe notarsi sempre sul piano delle realtà di fatto - già magistrati dei TAR). Tra l'altro, un analogo ingresso nel ruolo dei consiglieri di Stato in età non giovanile può riguardare pure i consiglieri di nomina governativa. Sul piano giuridico, anzitutto occorre ricordare che questa Corte, in passato chiamata a giudicare della legittimità costituzionale della composizione del Consiglio di Stato anteriormente alla riforma recata dalla legge oggi impugnata, nella parte in cui essa non avrebbe assicurato la effettiva "pariteticità" tra consiglieri di provenienza concorsuale e consiglieri di nomina governativa, ha riconosciuto che una composizione in termini di «pariteticità in senso stretto» dell'organo «non è imposta dal Costituente né in sé né per le implicazioni che dal mancato rispetto di essa si assume possano aversi in tema di indipendenza» (sentenza n. 177 del 1973). In quell'occasione la Corte affermò la necessità soltanto di assicurare un «tendenziale» equilibrio tra le due componenti allora considerate (quella di provenienza concorsuale e quella di nomina governativa). Nel presente giudizio, lo stesso giudice a quo, per tale profilo, evidenzia che, allo stato, per effetto dell'applicazione delle norme censurate, la componente di consiglieri di provenienza TAR è comunque prevalente, seppure per pochi punti percentuali, rispetto a quella alimentata dal concorso pubblico. Ma, soprattutto, è infondata la pretesa del rimettente di vincolare la effettiva composizione del Consiglio di Stato alle quote concernenti i posti vacanti, di cui all'art. 19 della legge n. 186 del 1982. Sotto tale prospettiva, va osservato che, nel nostro ordinamento costituzionale, manca una predeterminazione delle modalità di composizione del Consiglio di Stato. In assenza di vincoli costituzionali, non è possibile ipotizzare la doverosità, per il legislatore ordinario, di introdurre una disciplina della composizione del Consiglio di Stato che rispecchi le medesime quote previste dall'art. 19 per la copertura dei posti vacanti. È evidente che la scelta operata dal legislatore del 1982 ha voluto semplicemente ampliare, per il futuro, le possibilità dei consiglieri TAR di accedere alla qualifica di consigliere di Stato, rispetto alla normativa precedente (di cui all'art. 17 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, recante l'istituzione dei tribunali amministrativi regionali), e ciò soprattutto al fine di valorizzare l'esperienza professionale dei più maturi consiglieri degli organi decentrati di giustizia amministrativa, senza peraltro introdurre come principio strutturale la tripartizione del Consiglio secondo le quote previste dall'art. 19 (il che avrebbe addirittura comportato che per numerosi anni non si sarebbe dovuto procedere a nomine per determinazione governativa o per concorso pubblico). D'altra parte, lo stesso art. 20 della legge n. 186 del 1982, nel garantire nel tempo l'equilibrio tra le diverse categorie di magistrati, evidenzia una precisa volontà del legislatore di assicurare il rispetto della scelta operata con l'art. 19 per la copertura dei posti vacanti, ma non anche per la struttura dell'organo. 3. - Neppure sono fondate le censure prospettate in relazione all'asserito contrasto «con i principi della riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario, di buon funzionamento dell'organo giurisdizionale, nonché di indipendenza del giudice e della sua soggezione soltanto alla legge fissati - rispettivamente - dagli artt. 108, 97, 100, 101 della Costituzione». Anzitutto, deve essere esclusa la violazione dell'art. 97 Cost., dal momento che, come la giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato, «il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, pur essendo riferibile agli organi dell'amministrazione della giustizia, attiene esclusivamente alle leggi concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo; mentre tale principio è estraneo all'esercizio della funzione giurisdizionale» (sentenza n. 174 del 2005; ordinanza n. 44 del 2006). Inoltre, non costituisce violazione del principio della riserva di legge in tema di ordinamento giudiziario e di formazione degli organi giurisdizionali la mancanza di una disciplina della composizione del Consiglio di Stato secondo le medesime quote previste dall'art. 19 della legge n. 186 del 1982, dal momento che la legge espressamente individua tutte le diverse componenti dell'organo e prevede, per ciascuna di esse, requisiti e modalità di accesso. Tanto meno la possibile diversa composizione del Consiglio di Stato rispetto alle aliquote di provvista può incidere sulla indipendenza dell'organo, dal momento che i requisiti e le modalità di accesso delle diverse componenti sono disciplinate dalla legge appunto per garantire anzitutto la piena indipendenza dell'organo. Né l'eventuale diverso rapporto fra le varie categorie - censurata dal rimettente - può assumere alcun rilievo sotto l'indicato profilo, dal momento che la quota di consiglieri di provenienza concorsuale - di magistrati, cioè, selezionati in base ad un pubblico concorso - proprio grazie a tale sistema di scelta, assicura un grado di indipendenza pari a quello garantito dalla quota di provenienza dai TAR, a propria volta composta da magistrati selezionati tra mite pubblico concorso; semmai il problema potrebbe essere posto solo in riferimento ad un (peraltro inesistente) anomalo accrescimento dell'incidenza dei consiglieri di Stato di nomina governativa (si veda, ancora, la sentenza n. 177 del 1973). 4. - La censura avente ad oggetto l'art. 19, primo comma, n. 3), della legge n. 186 del 1982, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, è inammissibile. La questione prospettata è infatti non attuale ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), non avendo il ricorrente del giudizio a quo subìto alcun concreto pregiudizio per effetto della applicazione della disposizione censurata. Infatti, l'asserita deteriore collocazione nel ruolo non rileva di per sé, ma solo in quanto incida su provvedimenti che siano fondati sulla posizione che i magistrati abbiano nel ruolo medesimo. Conseguentemente, la questione prospettata dal rimettente risulta irrilevante nel giudizio principale per difetto di attualità della lamentata lesione. LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, primo comma, n. 3), della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliari del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l'ordinanza di cui in epigrafe; dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 20 della legge n. 186 del 1982 sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, 100, 101 e 108 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con le ordinanze di cui in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Ugo DE SIERVO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLAANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ORDINANZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), promossi con ordinanze del 21 febbraio, del 7 marzo, del 2 e del 4 aprile (nn. 10 ordinanze) 2007 dal Tribunale di Firenze, del 6 luglio 2007 dal Tribunale di Roma e del 28 febbraio 2007 dal Tribunale di Firenze, rispettivamente iscritte ai nn. da 588 a 595, da 682 a 686, 726 e 846 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 35, 39 e 42, prima serie speciale, dell'anno 2007 e n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2008. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 25 giugno 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri. Ritenuto che il Tribunale di Firenze in composizione monocratica, con quattordici ordinanze di identico tenore, deliberate rispettivamente il 21 febbraio 2007 (r.o. n. 588 del 2007), il 7 marzo 2007 (r.o. n. 589 del 2007), il 2 aprile 2007 (r.o. n. 590 del 2007), il 4 aprile 2007 (r.o. numeri 591, 592, 593, 594, 595, 682, 683, 684, 685 e 686 del 2007) ed il 28 febbraio 2007 (r.o. n. 846 del 2007), ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) - come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione) - nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis; che il rimettente - il quale procede in tutti i giudizi a quibus, sia pure con riti diversi, nei confronti di persone di nazionalità straniera, accusate di non avere ottemperato all'ordine di lasciare il territorio nazionale - dubita che la previsione edittale, entro i cui limiti dovrebbe fissare le pene nel caso di condanna degli imputati, sia stata introdotta secondo un criterio di proporzionalità rispetto alle caratteristiche del fatto incriminato; che l'incongruenza del trattamento sanzionatorio sarebbe manifesta alla luce della vicenda evolutiva che ha segnato la materia, posto che le pene per l'indebito trattenimento sarebbero state fortemente inasprite, per specie e quantità, ad appena due anni dall'introduzione della fattispecie incriminatrice, senza alcuna corrispondenza con una modificazione sostanziale del fenomeno regolato; che del resto, a parere del rimettente, il legislatore avrebbe reso manifesta la ratio diversa ed effettiva del proprio intervento, mirato a contrastare gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004 - con cui era stata dichiarata l'illegittimità dell'art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui prescriveva l'arresto obbligatorio per il reato previsto dal precedente comma 5-ter - ed a consentire, in particolare, il ripristino della previsione di arresto per lo straniero illegalmente trattenutosi nel territorio nazionale; che la «trasposizione di un'esigenza processuale nel diritto penale sostanziale», secondo il giudice a quo, sarebbe sintomo evidente della rottura del rapporto di proporzionalità tra fatto e pena; che una violazione del principio di uguaglianza emergerebbe anche in esito al raffronto del trattamento previsto per l'indebito trattenimento con quello riservato ad altre ipotesi criminose - quali l'inosservanza di un provvedimento legalmente dato per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o di igiene (art. 650 del codice penale) e la contravvenzione al foglio di via obbligatorio (art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, recante «Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità») - che sarebbero comparabili al predetto reato in quanto consistenti, a loro volta, nella disobbedienza ad un ordine impartito dall'autorità amministrativa a fini di tutela dell'ordine pubblico; che pertanto, secondo il rimettente, la norma censurata contrasterebbe con il principio di uguaglianza sia in rapporto alle sanzioni previste per la medesima fattispecie soltanto due anni prima della sua introduzione, sia in esito al raffronto con le pene comminate per comportamenti illeciti della stessa natura; che dal difetto di proporzionalità scaturirebbe anche un contrasto della norma censurata con l'art. 27, terzo comma, Cost., posto che solo una pena corrispondente alla gravità del fatto può esplicare una vera funzione rieducativa; che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto, con atti di identico tenore, in tutti i quattordici giudizi indicati, concludendo per la manifesta inammissibilità e comunque per la non fondatezza delle questioni sollevate; che in primo luogo il rimettente avrebbe omesso, in ciascuna delle proprie ordinanze, un'adeguata motivazione in punto di rilevanza della questione nel giudizio a quo; che, nel merito, l'evoluzione del quadro sanzionatorio per effetto della legge n. 271 del 2004 non risulterebbe affatto irragionevole, posto che il reato di indebito trattenimento era già in precedenza considerato grave (tanto da prevedersi per esso l'obbligatorietà dell'arresto), e che residua, pur dopo la riforma, un'opportuna articolazione tra forme di responsabilità contravvenzionale, per l'ipotesi più lieve dell'inottemperanza ad un ordine di espulsione per mancato rinnovo del permesso di soggiorno, e più gravi fattispecie a carattere delittuoso, che riguardano l'ingresso clandestino nel territorio dello Stato oppure l'omessa richiesta del permesso di soggiorno nei termini prescritti, o infine la revoca del permesso medesimo; che il Tribunale di Roma in composizione monocratica, con ordinanza del 6 luglio 2007 (r.o. n. 726 del 2007), ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis; che il rimettente, chiamato a celebrare giudizio direttissimo nei confronti di un cittadino straniero accusato di indebito trattenimento, formula il dubbio che i valori edittali della sanzione siano sproporzionati, per eccesso, rispetto alle caratteristiche del fatto per cui si procede; che il Tribunale evidenzia, in via preliminare, l'evoluzione della disciplina in materia di inosservanza dell'ordine di allontanamento dal territorio nazionale, segnata dalla trasformazione dell'originaria previsione di illecito contravvenzionale in fattispecie a carattere delittuoso, con rinnovata previsione dell'arresto obbligatorio, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004; che il rimettente, posta tale premessa, richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 368 del 1995, con la quale erano state valutate le censure mosse alla previsione edittale per il reato di estorsione (art. 629 cod. pen.), fortemente inasprita, qualche anno prima, in esito ad un intervento di riforma; che l'illegittimità della novella sarebbe stata esclusa, nell'occasione, solo in ragione dell'obiettivo mutamento di rilevanza sociale dei fatti regolati, e del rilievo per cui, comunque, il legislatore non avrebbe introdotto «macroscopiche differenze» nel trattamento sanzionatorio; che, nel caso dell'indebito trattenimento dello straniero, l'intervento riformatore mancherebbe di siffatte condizioni di «legittimazione», sia perché l'attuato incremento delle sanzioni risulterebbe «macroscopico», sia perché, nei circa due anni trascorsi tra l'introduzione della figura criminosa e l'intervento legislativo, il fenomeno della immigrazione clandestina non avrebbe registrato variazioni tali da giustificare un inasprimento tanto elevato del trattamento sanzionatorio; che le circostanze indicate dimostrerebbero, secondo il rimettente, come il legislatore intendesse in realtà legittimare la reintroduzione dell'arresto, dopo la citata sentenza n. 223 del 2004, e che però, sempre a parere del giudice a quo, la «trasposizione di un'esigenza processuale nel diritto penale non integra il criterio della ragionevolezza»; che una violazione del principio di uguaglianza emergerebbe anche in esito al raffronto del trattamento previsto per l'indebito trattenimento con quello riservato ad altre ipotesi criminose - quali l'inosservanza di un provvedimento legalmente dato per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o di igiene (art. 650 cod. pen.) e la contravvenzione al foglio di via obbligatorio (art. 2 della legge n. 1423 del 1956) - che sarebbero comparabili al predetto reato in quanto consistenti, a loro volta, nella disobbedienza ad un ordine impartito dall'autorità amministrativa a fini di tutela dell'ordine pubblico; che, in senso contrario, non varrebbe obiettare come proprio la normativa in materia di misure di prevenzione preveda una fattispecie delittuosa assimilabile, nei profili sanzionatori, alla norma censurata (art. 9, comma 2, della citata legge n. 1423 del 1956, che punisce con la pena della reclusione da uno a cinque anni colui che contravvenga agli obblighi ed alle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno), posto che tale fattispecie concerne un soggetto la cui pericolosità è già stata accertata in concreto, con un provvedimento giudiziale e non semplicemente amministrativo, e sanziona una condotta di attiva violazione del precetto, consistente, a seconda dei casi, nell'allontanarsi o nel portarsi in un certo luogo; che in definitiva, secondo il giudice a quo, la norma censurata contrasterebbe con il principio di uguaglianza sia in esito al raffronto con le sanzioni previste per la medesima fattispecie appena due anni prima della sua introduzione, sia in esito al raffronto con le pene comminate per comportamenti illeciti della stessa natura; che dal difetto di proporzionalità scaturirebbe anche un contrasto della norma censurata con l'art. 27, terzo comma, Cost., posto che solo una pena corrispondente alla gravità del fatto può esplicare una vera funzione rieducativa; che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 20 novembre 2007, concludendo per la manifesta infondatezza della questione; che infatti, secondo la difesa erariale, il fatto di inottemperanza sarebbe stato valutato severamente anche prima del censurato intervento di riforma, tanto che per esso era prescritto l'arresto obbligatorio, e, comunque, il trattamento sanzionatorio sarebbe stato opportunamente graduato a seconda delle ragioni sottese al provvedimento espulsivo cui si connette l'ordine di allontanamento impartito dal questore. Considerato che, con le ordinanze fin qui descritte, i Tribunali di Firenze e Roma, in composizione monocratica, sollevano - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) - come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modifica zioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione) - nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis; che i giudici a quibus, dopo aver ricordato che la sanzione originariamente prevista per il reato di indebito trattenimento consisteva nell'arresto da sei mesi ad un anno, e che, a seguito delle modifiche recate dalla legge n. 271 del 2004, la medesima condotta è oggi punita con la reclusione da uno a quattro anni, rilevano che l'inasprimento sarebbe stato attuato per finalità di carattere processuale (la legittimazione di una nuova previsione di arresto obbligatorio), senza alcuna sostanziale modifica del fenomeno criminoso sottostante, e per ciò stesso in violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità della pena; che le sanzioni comminate dalla norma censurata sarebbero palesemente sproporzionate per eccesso rispetto alla gravità effettiva del fatto incriminato; che, inoltre, i rimettenti pongono in comparazione il trattamento sanzionatorio dell'indebito trattenimento con quello, assai più mite, previsto da disposizioni ritenute assimilabili, perché concernenti a loro volta condotte di inottemperanza a provvedimenti adottati dall'autorità per ragioni di sicurezza e di ordine pubblico; che a tale proposito vengono evocati, in particolare, l'art. 650 del codice penale (recante la rubrica «Inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità»), che prevede l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino ad euro 206, e l'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza), relativo alla contravvenzione al foglio di via obbligatorio, punita con l'arresto da uno a sei mesi; che le ordinanze di rimessione prospettano anche un contrasto tra la norma censurata ed il terzo comma dell'art. 27 Cost., in quanto la relativa previsione sanzionatoria, essendo priva di proporzionalità rispetto al fatto incriminato, non potrebbe assolvere alla necessaria funzione rieducativa della pena; che, data la pertinenza di tutte le questioni sollevate al trattamento sanzionatorio del reato previsto dall'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, può essere disposta la riunione dei relativi giudizi; che dette questioni sono sostanzialmente analoghe ad altre, che questa Corte ha già dichiarato inammissibili con la sentenza n. 22 del 2007, e manifestamente inammissibili con le ordinanze numeri 167 e 354 del 2007, e n. 52 del 2008; che i provvedimenti di rimessione, per quanto deliberati successivamente alla pubblicazione della citata sentenza n. 22 del 2007, non prospettano alcun nuovo elemento di valutazione che possa indurre questa Corte a discostarsi dalle conclusioni raggiunte, e più volte ribadite; che dunque, anche nella specie, deve dichiararsi la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui pre vede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dai Tribunali di Firenze e Roma, con le ordinanze indicate in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Gaetano SILVESTRI, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ORDINANZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 150 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), promossi con n. 2 ordinanze dell'8 maggio 2007 dal Tribunale ordinario di Pescara sulle istanze proposte da P. M. e da P. A., iscritte ai nn. 763 e 764 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2007. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 25 giugno 2008 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano. Considerato che, con due ordinanze di identico tenore - ambedue depositate in data 8 maggio 2007 e pronunziate nel corso di altrettanti giudizi volti al conseguimento della riabilitazione civile da parte di soggetti già dichiarati falliti anteriormente alla data di entrata in vigore del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), - il Tribunale ordinario di Pescara ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità cost ituzionale dell'art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006, nella parte in cui non prevede la persistente applicabilità, nei confronti di coloro il cui fallimento sia stato integralmente disciplinato dalla previgente normativa fallimentare, delle disposizioni che prevedevano e regolavano la procedura di riabilitazione; che, rileva il rimettente, il 16 gennaio 2006 è entrato in vigore l'art. 47 del d.lgs. n. 5 del 2006, il quale ha abrogato l'art. 50 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), che istituiva il registro dei falliti e correlava alla iscrizione in detto registro la persistenza delle incapacità personali stabilite dalla legge a carico dei falliti; che, prosegue il Tribunale di Pescara, sebbene il citato art. 47 del d.lgs. n. 5 del 2006 sia applicabile anche ai fallimenti dichiarati prima della sua entrata in vigore, di talché, anche per tali fattispecie, può ritenersi che dalla data sopra indicata le incapacità personali che conseguono al fallimento permangono soltanto finché permane lo status di fallito e cessano con la chiusura del fallimento, senza che sia a tal fine necessario procedere alla riabilitazione del fallito, tuttavia non per questo vi è totale carenza di interesse da parte dei ricorrenti nei giudizi a quibus; che, infatti, gli effetti della riabilitazione non si esauriscono nella sola cancellazione del nome del riabilitato dal registro dei falliti e nella conseguente «cessazione delle incapacità personali» connesse a tale iscrizione, residuando anche quelli previsti dall'art. 241 della legge fallimentare, relativamente alla estinzione del reato di bancarotta semplice o, in caso di già intervenuta condanna, della esecuzione e degli effetti di questa, nonché dagli artt. 24, 26 e 28 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), disposizioni, queste, che subordinano la no n menzione dei provvedimenti concernenti il fallimento nei certificati del casellario giudiziale alla definitività della sentenza di riabilitazione; che, continua il rimettente, a decorrere dal 16 luglio del 2006, data di entrata in vigore nella sua completezza del d.lgs. n. 5 del 2006 - il quale, agli artt. 128 e 129, ha sostituito all'istituto della riabilitazione quello, avente diversa natura, della esdebitazione - si è determinata non solo la impossibilità di ammettere i ricorsi per riabilitazione relativi a fallimenti disciplinati dalle nuove norme, ma anche la impossibilità di ammettere gli analoghi ricorsi riferiti a fallimenti disciplinati dalla normativa previgente; che a tale conclusione il rimettente giunge in quanto l'art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006, nel dettare la disciplina transitoria fra il sistema precedente alla riforma e quello successivo, limita l'ultrattività della previgente legge fallimentare (oltre che ai ricorsi per dichiarazione di fallimento già depositati) alle procedure di fallimento pendenti alla data del 16 luglio 2006, così escludendo i procedimenti per riabilitazione che, sebbene presuppongano una procedura fallimentare, non ne costituiscono una fase, essendo, invece autonomi, per genesi e disciplina, rispetto ad essa; che, da quanto sopra, il rimettente fa derivare, per i debitori dichiarati falliti che già non l'abbiano ottenuta prima del 16 luglio 2006, la impossibilità di accedere alla riabilitazione, anche quale causa di estinzione del reato di bancarotta semplice o degli effetti della relativa condanna nonché quale motivo della non menzione del fallimento nei certificati del casellario giudiziale; che, secondo il rimettente, ciò determina un'inammissibile disparità di trattamento fra situazioni identiche, non trovando giustificazione alcuna la discriminazione, sotto il profilo dell'accesso alla riabilitazione, esistente fra soggetti le cui procedure sono state disciplinate dalla medesima normativa, cagionata solo dal fatto che taluni, e non altri, abbiano ottenuto la riabilitazione prima di una certa data; che il rimettente ritiene non emendabile in via interpretativa la descritta disparità di trattamento, sicché l'unico mezzo per rimuoverla è sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006 in quanto non prevede l'applicabilità della disciplina della riabilitazione civile, di cui agli artt. da 142 a 145 della legge fallimentare nel testo anteriore alla entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, ai fallimenti soggetti, per il resto, alla previgente normativa fallimentare; che, quanto alla rilevanza della questione, il Tribunale rimettente osserva come la norma censurata debba essere applicata nei giudizi a quibus, derivando dall'esito dell'incidente di costituzionalità l'ammissibilità o meno dei ricorsi; che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la inammissibilità ovvero per l'infondatezza della sollevata questione; che, in particolare, ad avviso della difesa pubblica la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza in quanto, non sussistendo a carico degli istanti nei giudizi a quibus alcuna conseguenza pregiudizievole della dichiarazione di fallimento, i medesimi sarebbero in tali giudizi carenti di interesse a ricorrere; che, nel merito, la interveniente difesa ha osservato che il rimettente non avrebbe dimostrato quale lesione possa derivare, a chi sia stato dichiarato fallito, dalla iscrizione, meramente rappresentativa di un dato storico, della sentenza dichiarativa del fallimento nel casellario giudiziale. Considerato che il Tribunale ordinario di Pescara, con due identiche ordinanze, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 150 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui, non prevedendo la ultrattività - nei confronti di coloro che siano stati dichiarati falliti con integrale applicazione, sino alla chiusura della procedura, della previgente disciplina fallimentare - delle disposizioni che, nel testo della legge fallimentare anteriore alla riforma realizzata col citato d.lgs. n. 5 del 2006, regolavano la riabilitazione civile, impedisce a questi soggetti di beneficiare delle persistenti conseguenze favorevoli della riabilitazione quali, ai sensi dell'art. 241 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), la estinzione del reato di bancarotta semplice oppure, ove già sia intervenuta condanna, la cessazione della sua esecuzione e degli altri effetti, o quali, ai sensi degli artt. 24 e 26 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), la non menzione dei provvedimenti concernenti il fallimento nei certificati, generale e civile, del casellario giudiziale rilasciati a richiesta dell'interessato; che, attesa l'evidente connessione fra gli incidenti di costituzionalità, essi possono essere riuniti e trattati congiuntamente per essere decisi con unica pronunzia; che, come già rilevato da questa Corte con l'ordinanza n. 87 del 2008, successivamente al deposito delle due ordinanze di remissione il quadro normativo di riferimento nel quale si inscrivono le disposizioni oggetto della questione di legittimità costituzionale è sensibilmente mutato; che, in particolare, a decorrere dal 1° gennaio 2008, è entrato in vigore il decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell'articolo 1, commi 5, 5-bis, e 6 della legge 14 maggio 2005, n. 80), il quale, all'art. 21, comma 1, ha espressamente disposto la abrogazione di talune disposizioni contenute del d.P.R. n. 313 del 2002; che, nello specifico, oltre ad essere stati abrogati l'art. 3, comma 1, lettera l), del d.P.R. n. 313 del 2002, norma che disciplinava la iscrizione nel casellario giudiziale, fra l'altro, dei provvedimenti giudiziari aventi ad oggetto la dichiarazione di fallimento, e il successivo art. 5, comma 2, lettera i), del medesimo d.P.R. n. 313 del 2002, che, a sua volta, prevedeva la eliminazione della iscrizione della sentenza dichiarativa del fallimento solo in caso di intervenuta revoca definitiva dello stesso, risultano essere stati oggetto di abrogazione anche gli stessi artt. 24, comma 1, lettera n), 25, comma 1, le ttera n), e 26, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 313 del 2002, cioè alcune delle disposizioni legislative che il Tribunale di Pescara ha tenuto presenti nel motivare l'incidente di costituzionalità, trattandosi proprio delle disposizioni che disciplinavano la inseribilità o meno nei certificati del casellario giudiziale della sentenza dichiarativa del fallimento; che, peraltro, il medesimo art. 21 del d.lgs. n. 169 del 2007, al comma 2, prevede altresì che, per le procedure concorsuali aperte a far data dal 16 gennaio 2006, il richiamo, contenuto negli artt. 24, comma 1, lettera n), e 26, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 313 del 2002, all'istituto della riabilitazione deve intendersi riferito alla chiusura del fallimento; che, oltre alle ricordate sopravvenienze legislative, è ancora intervenuta la sentenza n. 39 del 2008 di questa Corte che, nel dichiarare la illegittimità costituzionale degli artt. 50 e 142 della legge fallimentare, nel testo anteriore alla entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, - concernenti, il primo, la istituzione del "pubblico registro dei falliti" e la previsione della permanenza delle incapacità connesse allo status di fallito fin tanto che dura la predetta iscrizione e, il secondo, la cancellazione della iscrizione in questione e la cessazione delle ricordate incapacità solo a seguito della definitività della sentenza di riabilitazione - ha precisato, anche sulla scorta della giurisprud enza formatasi presso la Corte europea dei diritti dell'uomo, che le norme suddette risultavano in contrasto con l'art. 3 della Costituzione proprio là dove prevedevano che determinati effetti del fallimento, assunti come genericamente sanzionatori, permanessero anche «dopo la chiusura del fallimento [...] senza correlarsi alla protezione di interessi meritevoli di tutela»; che la complessità ed articolazione delle menzionate sopravvenienze, intervenute nell'ambito normativo oggetto delle ordinanze di rimessione, inducono questa Corte, come già avvenuto relativamente alla fattispecie definita con l'ordinanza n. 87 del 2008, a disporre la restituzione degli atti al rimettente perché valuti, anche in considerazione di eventuali ulteriori prospettive interpretative costituzionalmente orientate, la perdurante rilevanza della questione nei giudizi di cui è investito. LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Pescara. Così deciso in Roma, presso la sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ORDINANZA nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 21 dicembre 2007, con la quale, ai sensi dell'art. 68, terzo comma, Cost., è stata negata l'autorizzazione all'utilizzo dei tabulati telefonici nei confronti del sen. Giuseppe Valentino, promosso con ricorso del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma, depositato in cancelleria il 21 febbraio 2008 ed iscritto al n. 4 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2008, fase di ammissibilità. Udito nella camera di consiglio del 25 giugno 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri. Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, con ricorso depositato il 21 febbraio 2008, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, a seguito della delibera del 21 dicembre 2007 (doc. IV, n. 1), con la quale, in conformità alla proposta adottata all'unanimità dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, è stata negata l'autorizzazione all'utilizzazione dei tabulati telefonici concernenti l'utenza in uso a Michele Sinibaldi, nella parte relativa ai contatti con l'utenza in uso al senatore Giuseppe Valentino; che, premette il ricorrente, il senatore Valentino è indagato, unitamente a Michele Sinibaldi, per il delitto previsto dall'art. 378 del codice penale, «per avere aiutato Giampiero Fiorani ad eludere le indagini sul medesimo condotte, riferendogli l'esistenza di operazioni di intercettazione telefonica a suo carico, per il tramite di Ricucci Stefano»; che, nell'ambito del predetto procedimento, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, in data 27 luglio 2007, formulava istanza ai sensi degli artt. 268 del codice di procedura penale e 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), affinché l'odierno ricorrente, previa verifica circa la rilevanza dei tabulati in oggetto, inoltrasse alla Camera di appartenenza la richiesta di autorizzazione all'utilizzo degli stessi nei confronti del parlamentare indagato; che lo stesso ricorrente, con atto del 13 novembre 2007, inviava la richiesta di autorizzazione dopo che, con ordinanza in pari data, assunta all'esito della camera di consiglio, aveva ritenuto necessaria l'utilizzazione dei relativi tabulati; che il Giudice ricorrente richiama l'argomento in base al quale la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari ha motivato la proposta di diniego dell'autorizzazione, e cioè che, nella relativa richiesta, non si sarebbe dato adeguatamente conto della «necessità di utilizzazione» dei tabulati telefonici, come previsto dall'art. 6 della legge n. 140 del 2003, essendosi l'autorità richiedente limitata ad evidenziare il profilo della pertinenza dei predetti tabulati rispetto al fatto oggetto del procedimento; che nel ricorso è richiamato l'ulteriore argomento della Relazione della Giunta secondo cui la motivazione della richiesta, calibrata sul parametro della «mera pertinenza» dei tabulati alle risultanze delle indagini in corso, non avrebbe consentito all'organo parlamentare di «individuare un collegamento inequivoco con i fatti oggetto del procedimento, ben potendo detta deduzione, tra l'altro, essere agevolmente superata dalla allegata molteplicità e frequenza dei contatti, anche quotidiani, tra i soggetti coinvolti»; che, in riferimento alla previsione contenuta nell'art. 6 della legge n. 140 del 2003, il ricorrente evidenzia la peculiarità dei tabulati telefonici, i quali si limitano a documentare i contatti intercorsi tra utenze, e non anche il contenuto delle relative comunicazioni, sicché la valutazione circa la rilevanza degli stessi, richiesta dalla norma citata, non potrebbe che essere basata sulla verifica della «pertinenza» alle indagini in corso, ponendosi ogni diversa interpretazione in contrasto con il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale; che, nel caso di specie, la ritenuta necessità dell'utilizzazione dei tabulati conseguirebbe alla verifica che l'ipotesi investigativa, secondo la quale il senatore Valentino sarebbe l'autore della divulgazione di notizie riservate in favore di Giampiero Fiorani, per il tramite di Michele Sinibaldi e Stefano Ricucci, avrebbe trovato parziale riscontro nelle dichiarazioni rese dal citato Fiorani nel corso dell'interrogatorio svoltosi il 17 maggio 2005 davanti al giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano; che, di conseguenza, la delibera del Senato della Repubblica risulterebbe assunta nell'ambito di valutazioni che trascendono i limiti del sindacato previsto dall'art. 68, terzo comma, Cost., in quanto inerenti alla necessità dell'acquisizione probatoria dei tabulati telefonici, che l'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 attribuirebbe in via esclusiva al giudice penale, con conseguente invasione della sfera di attribuzioni riservata all'autorità giudiziaria dagli artt. 101 e 104 Cost.; che, infatti, all'organo parlamentare spettava di valutare se la richiesta di autorizzazione denotasse un intento persecutorio nei confronti del senatore Valentino, ovvero una indebita (in quanto immotivata) ingerenza nella sua sfera privata, o, ancora, se l'intero procedimento a suo carico costituisse il pretesto per esercitare un indiretto condizionamento sull'esercizio del mandato parlamentare; che, al contrario, la delibera del Senato avrebbe espresso valutazioni inerenti alla «necessità dell'acquisizione probatoria, rappresentata dai tabulati già presenti agli atti, in rapporto allo sviluppo attuale del procedimento ed alle sue prospettive future», cioè avrebbe deciso in merito alla «gestione processuale di una prova già formata», con conseguente illegittima interferenza sull'andamento del procedimento; che, a tale ultimo proposito, il ricorrente richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 26 del 2008, nella quale è ribadito il principio già affermato nella sentenza n. 13 del 1975, secondo cui «il normale corso della giustizia [.] non può essere paralizzato a mera discrezione degli organi parlamentari, potendo e dovendo arrestarsi unicamente nel momento in cui l'esercizio di questa verrebbe illegittimamente ad incidere su fatti soggettivamente ed oggettivamente ad essa sottratti e in ordine ai quali sia stata ritenuta la competenza degli organi parlamentari»; che, infine, il ricorrente evidenzia come la portata invasiva della delibera parlamentare non risulterebbe attenuata dalla già richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 390 del 2007, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge n. 140 del 2003 «nella parte in cui stabilisce che la disciplina ivi prevista si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro del Parlamento, le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettate»; che, infatti, pur assumendo che la pronuncia citata si estenda ai tabulati telefonici, come il ricorrente afferma di ritenere, nel caso in esame la richiesta di autorizzazione rigettata dal Senato concerne l'utilizzazione della prova sia nei confronti del soggetto "terzo", che ha avuto contatti telefonici con il parlamentare, sia nei confronti dello stesso parlamentare; che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma chiede quindi che la Corte costituzionale voglia dichiarare che non spettava al Senato della Repubblica negare l'autorizzazione all'utilizzo dei tabulati delle comunicazioni riferite all'utenza in uso a Michele Sinibaldi, nella parte relativa ai contatti con l'utenza in uso al senatore Valentino e, conseguentemente, annullare la delibera del 21 dicembre 2007 (doc. IV, n. 1). Considerato che, in questa fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale è chiamata a deliberare, senza contraddittorio, circa l'esistenza o meno della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», restando impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilità; che, per quanto riguarda il requisito soggettivo, deve riconoscersi al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma la qualifica di organo competente a dichiarare in via definitiva - nel procedimento sottoposto al suo giudizio - la volontà del potere cui appartiene, in ragione dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali svolte in posizione di piena indipendenza (da ultimo, ordinanze numeri 122 e 84 del 2008); che, ancora sotto il profilo soggettivo, il Senato della Repubblica, che ha adottato la delibera di diniego dell'autorizzazione all'utilizzo di tabulati telefonici nei confronti di un proprio membro, è legittimato ad essere parte del conflitto di attribuzione, essendo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere che esso impersona, in relazione all'applicabilità della prerogativa di cui all'art. 68, terzo comma, della Costituzione; che, quanto al requisito oggettivo del conflitto, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, in conseguenza dell'esercizio - ritenuto illegittimo perché non corrispondente ai criteri che la Costituzione stabilisce, come sviluppati dalla giurisprudenza di questa Corte - del potere, spettante al Senato della Repubblica, di negare l'autorizzazione all'utilizzo di materiale probatorio nei confronti di un proprio membro; che, in conclusione, esiste la materia di un conflitto di attribuzione, la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma nei confronti del Senato della Repubblica, con il ricorso indicato in epigrafe; dispone: a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma; b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell'avvenuta notifica, presso la cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, a norma dell'art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.</ SPAN> Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Gaetano SILVESTRI, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLAANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ORDINANZA nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 21 dicembre 2007, con la quale, ai sensi dell'art. 68, terzo comma, Cost., è stata negata l'autorizzazione all'acquisizione dei tabulati telefonici riferibili al sen. Giuseppe Valentino, promosso con ricorso del Procuratore della Repubblica del Tribunale di Roma, depositato in cancelleria il 4 marzo 2008 ed iscritto al n. 5 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2008, fase di ammissibilità. Udito nella camera di consiglio del 25 giugno 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri. Ritenuto che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, con ricorso depositato il 4 marzo 2008, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, a seguito della delibera del 21 dicembre 2007 (doc. IV, n. 1), con la quale, in conformità alla proposta adottata all'unanimità dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, è stata negata l'autorizzazio ne all'acquisizione dei tabulati delle comunicazioni intercorse su un'utenza in uso al senatore Giuseppe Valentino, nel periodo compreso tra il 10 e il 20 luglio 2005; che la ricorrente premette che il senatore Valentino è indagato, unitamente a Michele Sinibaldi, per il delitto previsto dall'art. 378 del codice penale (recante la rubrica «Favoreggiamento personale»); che il procedimento ha preso l'avvio dalle dichiarazioni rese da Giampiero Fiorani in data 17 e 18 dicembre 2005, nel corso degli interrogatori svoltisi, rispettivamente, davanti al Giudice per le indagini preliminari ed al Pubblico ministero presso il Tribunale di Milano; che il citato Fiorani avrebbe dichiarato, tra l'altro, di essere stato informato da Michele Sinibaldi e Stefano Ricucci in merito ad intercettazioni telefoniche disposte a suo carico dall'autorità giudiziaria milanese, nel corso di un colloquio intrattenuto con i due uomini, la mattina del 13 luglio 2005, presso l'hotel Baglioni di Roma, e che, a conferma dell'attendibilità dell'informazione, gli era stato riferito il contenuto di una conversazione telefonica (effettivamente avvenuta) intercorsa tra lui stesso e la moglie dell'allora Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio; che, inoltre, nella medesima occasione, i citati Sinibaldi e Ricucci avrebbero precisato che l'informazione era stata loro fornita dal senatore Giusepe Valentino, all'epoca sottosegretario presso il Ministero della giustizia; che, prosegue la ricorrente, la circostanza dell'incontro tra i soggetti indicati presso l'hotel Baglioni di Roma avrebbe trovato conferma nei risultati delle intercettazioni telefoniche disposte dall'autorità giudiziaria milanese a carico di Stefano Ricucci (di cui erano stati acquisiti in copia i brogliacci), pur se con riferimento alla diversa data del 20 luglio 2005; che, su tale notizia di reato, la ricorrente aveva disposto indagini e, in particolare, aveva acquisito i tabulati telefonici relativi all'utenza in uso a Michele Sinibaldi per tutto il periodo indicato dal Fiorani (dal 10 al 20 luglio 2005), documenti dai quali risultavano quattordici contatti (nove in entrata e cinque in uscita) tra la predetta utenza ed un'utenza intestata al Ministero della giustizia, poi risultata in uso al senatore Valentino; che, successivamente, ritenuta la necessità di individuare ulteriori elementi di riscontro dell'ipotesi investigativa, nonché l'eventuale fonte originaria dell'informazione, la ricorrente disponeva l'acquisizione dei tabulati concernenti le comunicazioni telefoniche intercorse su tutte le utenze, fisse e mobili, in uso al sentore Valentino nel periodo indicato, e, sospesa l'esecuzione dei relativi decreti di acquisizione, in data 17 novembre 2006 formulava istanza di autorizzazione alla Camera di appartenenza del parlamentare indagato, ai sensi dell'art. 4 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato); che la ricorrente richiama le argomentazioni in base alle quali la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari ha motivato la proposta di diniego dell'autorizzazione, e cioè che dalla relativa richiesta non risulterebbero la «decisività» dell'atto oggetto di autorizzazione, ai fini della verifica dell'ipotesi accusatoria, né la sua «indispensabilità», nel senso della mancanza di ogni altra percorribile soluzione investigativa; che, quanto al primo profilo, nella Relazione della Giunta si legge che «negli atti trasmessi non vi è nulla che consenta di comprendere sulla base di quali elementi il Pubblico ministero abbia formulato la supposizione che il senatore Valentino sia stato informato telefonicamente dell'esistenza di un'attività di intercettazione a carico del Fiorani, o abbia informato telefonicamente il Sinibaldi, e che in ogni caso dimostri la sua decisività ai fini della eventuale res judicanda»; che, quanto al secondo aspetto, la Giunta ha osservato che «una richiesta di questo tipo - per evidenti ragioni di tutela della libertà di svolgimento del mandato parlamentare - può quindi essere accolta solo se la necessità della stessa ai fini della ricostruzione dell'ipotesi accusatoria non solo corrisponde ad un'esigenza attuale e non meramente potenziale [.] ma emerge in modo palese e stringente dalle prospettazioni dell'Autorità giudiziaria che, coerentemente con quanto imposto dalle esigenze di leale collaborazione fra i poteri dello Stato, deve dar conto di aver esperito le soluzioni alternative ragionevolmente ipotizzabili rispetto alla formulazione di tale richiesta ovvero della presumibile impratica bilità delle medesime»; che, a parere della ricorrente, i requisiti della decisività e della indispensabilità dell'atto investigativo da autorizzare sarebbero estranei alla disciplina introdotta dalla legge n. 140 del 2003, la quale avrebbe configurato il contenuto della richiesta di autorizzazione in riferimento ai diversi criteri della utilità, rilevanza e necessità dell'atto, riservandone l'apprezzamento all'autorità richiedente, come del resto a quest'ultima dovrebbe intendersi riservata l'attività di interpretazione delle norme processuali, ivi comprese quelle della stessa legge n. 140 del 2003; che, in particolare, l'art. 5 della legge citata, con riguardo alla richiesta di autorizzazione al compimento di uno degli atti investigativi indicati nel precedente art. 4, esigerebbe che fossero indicati i fatti per i quali si procede, le norme che si assumono violate e gli elementi su cui si fonda l'ipotesi investigativa; che dunque, secondo la Procura ricorrente, nella richiesta di autorizzazione l'autorità giudiziaria dovrebbe «dimostrare che occorre compiere l'atto investigativo offrendo alla camera i dati per il controllo della sua rispondenza ad una obiettiva esigenza investigativa, della sua interna coerenza e della sua congruenza rispetto agli atti del procedimento penale in corso»; che pertanto, con la delibera in esame, il Senato avrebbe esorbitato dai limiti delle proprie attribuzioni, come previste dall'art. 68 Cost. e dalla legge di attuazione n. 140 del 2003, invadendo la sfera di attribuzioni riservata dall'art. 112 Cost. all'autorità giudiziaria, e con ciò avrebbe introdotto, a fini di salvaguardia della riservatezza dei propri membri, «una tutela speciale ed ulteriore rispetto a quella assicurata dalla legge agli altri consociati, in violazione del principio di uguaglianza dei cittadini sancito dall'art. 3 della Costituzione», e in netto contrasto con quanto di recente affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 390 del 2007; che la ricorrente richiama alcuni passaggi motivazionali della citata pronuncia, nei quali, tra l'altro, si legge che «l'autorizzazione preventiva - contemplata dalla norma costituzionale - postula un controllo sulla legittimità dell'atto da autorizzare, a prescindere dalla considerazione dei pregiudizi che la sua esecuzione può comportare al singolo parlamentare. Il bene protetto si identifica, infatti, con l'esigenza di assicurare il corretto esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento, e non con gli interessi sostanziali di questi ultimi (riservatezza, onore, libertà personale), in ipotesi pregiudicati dal compimento dell'atto; tali interessi trovano salvaguardia nei presidi, anche costituzionali, stabiliti per la generalità dei consociat i»; che inoltre, secondo la Procura ricorrente, con la delibera in oggetto il Senato avrebbe riservato a se stesso «il potere di effettuare di volta in volta un bilanciamento in concreto degli interessi in gioco», sostituendo le sue particolari valutazioni a quella tipizzata ed astratta, compiuta dal legislatore nella formulazione degli artt. 4 e 5 della legge n. 140 del 2003; che, diversamente, il potere riservato alla Camera di appartenenza del parlamentare indagato dovrebbe intendersi circoscritto alla verifica della necessità dell'atto investigativo, secondo i parametri sopra indicati, e all'assenza di ogni intento strumentale o persecutorio; che, in riferimento al caso di specie, la ricorrente sottolinea l'evidente l'assenza di finalità persecutorie o strumentali da parte dell'Ufficio richiedente, considerata la doverosità delle indagini a carico del parlamentare, scaturite da dichiarazioni accusatorie rese ad altra autorità giudiziaria da un soggetto indagato; che, prosegue la ricorrente, l'acquisizione dei tabulati risulterebbe l'unico strumento investigativo esperibile al fine di individuare l'eventuale fonte, «interna alle indagini», della notizia oggetto di illecita divulgazione, e dunque di riscontrare le dichiarazioni del chiamante in reità; che, infine, trattandosi di richiesta di autorizzazione preventiva e non essendo perciò conoscibili gli esiti dell'atto investigativo, la valutazione concernente l'utilità dell'acquisizione dei tabulati non avrebbe potuto essere espressa se non in termini di giudizio prognostico; che, pertanto, previo richiamo di alcune tra le pronunce della Corte costituzionale che hanno riconosciuto la legittimazione dell'Ufficio del Pubblico ministero alla proposizione del conflitto di attribuzione, la ricorrente Procura chiede che la Corte costituzionale voglia dichiarare che «spetta all'autorità giudiziaria, e nella specie al pubblico ministero quale titolare dell'azione penale nella fase delle indagini preliminari, la valutazione sulla utilità e rilevanza degli atti investigativi, con particolare riferimento alla sussistenza dei presupposti per l'acquisizione, con decreto motivato, dei dati del traffico telefonico, mentre spetta all'Assemblea cui il parlamentare appartiene esclusivamente la valutazione circa il carattere strumentale o persecutorio dell'atto di indagine oggetto della richiesta» e, conseguentemente, chiede di annullare la delibera in data 21 dicembre 2007 (doc. IV, n. 1). Considerato che, in questa fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale è chiamata a deliberare, senza contraddittorio, circa l'esistenza o meno della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», restando impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilità; che, per quanto riguarda il requisito soggettivo, deve riconoscersi la legittimazione della ricorrente Procura «in quanto organo direttamente investito delle funzioni previste dall'art. 112 della Costituzione e dunque gravato dell'obbligo di esercitare l'azione penale e le attività di indagine a questa finalizzate» (ordinanza n. 73 del 2006, che richiama testualmente l'ordinanza n. 404 del 2005); che, ancora sotto il profilo soggettivo, il Senato della Repubblica, che ha adottato la delibera di diniego dell'autorizzazione all'acquisizione di tabulati telefonici di un proprio membro, è legittimato ad essere parte del conflitto di attribuzione, essendo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere che esso impersona, in relazione all'applicabilità della prerogativa di cui all'art. 68, terzo comma, della Costituzione; che, quanto al requisito oggettivo del conflitto, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, in conseguenza dell'esercizio - ritenuto illegittimo perché non corrispondente ai criteri che la Costituzione stabilisce, come sviluppati dalla giurisprudenza di questa Corte - del potere, spettante al Senato della Repubblica, di negare l'autorizzazione al compimento di un atto investigativo nei confronti di un proprio membro; che, in conclusione, esiste la materia di un conflitto di attribuzione, la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma nei confronti del Senato della Repubblica, con il ricorso indicato in epigrafe; dispone: a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza alla ricorrente Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma; b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell'avvenuta notifica, presso la cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, a norma dell'art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.</ SPAN> Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Gaetano SILVESTRI, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA |