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Deposito del 18/04/2008 (dalla 104 alla 111)

 
S.104/2008 del 14/04/2008
Udienza Pubblica del 11/03/2008, Presidente BILE, Relatore MADDALENA


Norme impugnate: Legge 27/12/2006, n. 296 (legge finanziaria 2007); discussione limitata all'art. 1, c. 1226°.

Oggetto: Amministrazione pubblica - Norme della legge finanziaria 2007 - Misure per il contenimento della spesa pubblica nelle Regioni - Previsione di riduzione degli oneri degli organismi politici e degli apparati amministrativi, dei compensi e indennità dei componenti degli organi rappresentativi, e del numero dei medesimi, soppressione degli enti inutili, fusione delle società partecipate, ridimensionamento delle strutture organizzative - Qua lificazione della previsione quale principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica ai fini del rispetto dei parametri europei;
Società partecipate dalle Regioni - Disciplina dei compensi degli amministratori e del numero massimo dei componenti del consiglio di amministrazione - Qualificazione della previsione quale principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica

Ambiente - Norme della legge finanziaria 2007 - Foreste - Programma quadro per il settore forestale finalizzato alla gestione forestale sostenibile e alla multifunzionalità degli ecosistemi forestali - Azioni e accesso alle risorse finanziarie;
Siti di importanza comunitaria, zone speciali di conservazione, zone di protezione speciale incluse nella rete "Natura 2000" - Misure di conservazione - Adempimento delle Regioni sulla base di criteri minimi uniformi definiti con apposito decreto ministeriale
Amministrazione pubblica - Norme della legge finanziaria 2007 - Partecipazioni pu bbliche - Partecipazioni delle amministrazioni regionali e locali in società e consorzi - Obbligo di comunicazione annuale dei dati relativi al Dipartimento della funzione pubblica - Sanzioni per la mancata o incompleta comunicazione - Qualificazione delle norme come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai fini del rispetto dei parametri stabiliti dal patto di stabilità e crescita dell'Unione europea

Amministrazione pubblica - Norme della legge finanziaria 2007 - Società partecipate dalle Regioni e Province autonome - Amministratori - Compensi, numero massimo dei componenti il consiglio di amministrazione, incompatibilità, pubblicità - Qualificazione delle norme come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica

Ambiente - Norme della legge finanziaria 2007 - Conservazione degli habitat naturali - Obbligo di adeguamento all'ordinamento comunitario, sulla base di criteri minimi uniformi stabiliti con decreto ministeriale
Impie go pubblico - Norme della legge finanziaria 2007 - Assunzione di personale a tempo determinato - Riserva di una quota non inferiore al 60 per cento dei posti a favore dei collaboratori coordinati e continuativi

Ambiente - Norme della legge finanziaria 2007 - Conservazione degli habitat naturali - Obbligo di adeguamento all'ordinamento comunitario, sulla base di criteri minimi uniformi stabiliti con decreto ministeriale

Amministrazione pubblica - Norme della legge finanziaria 2007 - Partecipazioni pubbliche - Partecipazioni delle amministrazioni regionali e locali in società e consorzi - Obbligo di comunicazione annuale dei dati relativi al Dipartimento della funzione pubblica - Sanzioni per la mancata o incompleta comunicazione - Qualificazione delle norme come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai fini del rispetto dei parametri stabiliti dal patto di stabilità e crescita dell'Unione europea;
Bilancio e contabilità pubblica - Norme della legge finanziaria 2007 - Violazioni di obblighi comunitari comportanti procedure di infrazione - Rivalsa dello Stato per gli oneri finanziari sui soggetti responsabili, previa intesa - Prevista adozione di provvedimento del Presidente del Consiglio in caso di mancato raggiungimento dell'intesa
Ambiente - Norme della legge finanziaria 2007 - Conservazione degli habitat naturali - Obbligo delle Regioni di adeguamento all'ordinamento comunitario, sulla base di criteri minimi uniformi stabiliti con decreto ministeriale

Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale - non fondatezza - inammissibilità
Atti decisi: ric. 10, 12, 13 e 14/2007
S.105/2008 del 14/04/2008
Udienza Pubblica del 11/03/2008, Presidente BILE, Relatore MADDALENA


Norme impugnate: Legge 27/12/2006, n. 296 (legge finanziaria 2007); discussione limitata all'art. 1, c. 1082°.

Oggetto: Amministrazione pubblica - Norme della legge finanziaria 2007 - Misure per il contenimento della spesa pubblica nelle Regioni - Previsione di riduzione degli oneri degli organismi politici e degli apparati amministrativi, dei compensi e indennità dei componenti degli organi rappresentativi, e del numero dei medesimi, soppressione degli enti inutili, fusione delle società partecipate, ridimensionamento delle strutture organizzative - Qualificazione della previsione quale principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica ai fini del rispetto dei parametri europei;
Società partecipate dalle Regioni - Disciplina dei compensi degli amministratori e del numero massimo dei componenti del consiglio di amministrazione - Qualificazione della previsione q uale principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica

Ambiente - Norme della legge finanziaria 2007 - Foreste - Programma quadro per il settore forestale finalizzato alla gestione forestale sostenibile e alla multifunzionalità degli ecosistemi forestali - Azioni e accesso alle risorse finanziarie;
Siti di importanza comunitaria, zone speciali di conservazione, zone di protezione speciale incluse nella rete "Natura 2000" - Misure di conservazione - Adempimento delle Regioni sulla base di criteri minimi uniformi definiti con apposito decreto ministeriale

Dispositivo: non fondatezza
Atti decisi: ric. 10/2007
O.106/2008 del 14/04/2008
Camera di Consiglio del 13/02/2008, Presidente BILE, R elatore MADDALENA


Norme impugnate: Art. 99, c. 2°, del decreto Presidente della Repubblica 23/12/1978, n. 915.

Oggetto: Previdenza - Pensioni di guerra - Invalidità o morte derivante da lesioni di arma da fuoco di origine bellica o da esplosione di un ordigno bellico provocata da un minorenne - Termine prescrizionale quinquennale decorrente dall'evento lesivo - Ingiustificata diversa disciplina rispetto al diritto alle pensioni ordinarie non soggetto a prescrizione - Non sussistenza della 'ratio' giustificatrice della deroga stabilita dall'art. 169 d.P.R. n. 1092/1973 per le pensioni privilegiate ordinarie di esigenza di un tempestivo accertamento della dipendenza della infermità o delle lesioni contratte a causa del servizio, attesa la presunzione di dipendenza della morte o delle lesioni da fatto di guerra stabilita dall'art. 8, quarto comma, del d.P.R. n. 915 del 1978 per l'ipotesi disciplinata dall a norma censurata.

Dispositivo: manifesta infondatezza
Atti decisi: ord. 538/2007
O.107/2008 del 14/04/2008
Camera di Consiglio del 27/02/2008, Presidente BILE, Relatore SAULLE


Norme impugnate: Art. 30, c. 1° bis, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286, aggiunto dall'art. 29, c. 1°, della legge 30/07/2002, n. 189.

Oggetto: Straniero - Permesso di soggiorno a cittadino extra comunitario in conseguenza di matrimonio con cittadino italiano - Revoca in caso di accertamento di assenza di effettiva convivenza.

Dispositivo: restituzione atti - jus superveniens
Atti decisi: ord. 654/2007
O.108/2008 del 14/04/2008
Camera di Consiglio del 27/02/2008, Presidente BILE, Relatore SAULLE


Conflitto: Ammissibilità di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione Camera dei deputati 13/11/2003.

Oggetto: Parlamento - Immunità parlamentari - Procedimento penale a carico dell'on. Tiziana Maiolo per il reato di diffamazione a mezzo stampa nei confronti del magistrato Gian Carlo Caselli, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo - Deliberazione di insindacabilità della Camera dei deputati.

Dispositivo: ammissibile
Atti decisi: confl. pot. amm. 14/2007
O.109/2008 del 14/04/2008
Camera di Consiglio del 12/03/2008, Presidente BILE, Relatore FLICK


Norme impugnate: Art. 18, c. 1°, lett. e), della legge 22/04/2005, n. 69.

Oggetto: Mandato d'arresto europeo - Procedura di consegna - Condizioni - Previsione del rifiuto della consegna nel caso in cui la legislazione dello Stato membro di emissione non preveda i limiti massimi della carcerazione preventiva.

Dispositivo: manifesta inammissibilità
Atti decisi: ord. 78/2007
O.110/2008 del 14/04/2008
Camera di Consiglio del 12/03/2008, Presidente BILE, Relatore GALLO


Norme impugnate: Art. 45, c. 2°, del decreto legislativo 15/12/1997, n. 446.

Oggetto: Imposte e tasse - Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) - Ricorso avverso silenzio rifiuto formatosi su istanza di rimborso di IRAP asseritamente non dovuta - Aliquota applicabile a banche, società finanziarie ed imprese di assicurazione - Determinazione transitoria, nonché successiva tendenziale stabilizzazione, in misura maggiore rispetto all'aliquota base ed all'aliquota applicabile al settore agricolo - Imposizione al solo settore finanziario dell'onere di sostenere il carico delle agevolazioni riconosciute al settore agricolo.

Dispositivo: manifesta infondatezza
Atti decisi: ord. 644/2007
O.111/2008 del 14/04/2008
Camera di Consiglio del 12/03/2008, Presidente BILE, Relatore SAULLE


Norme impugnate: Art. 13, c. 3° (sostituito dall'art. 12, c. 1°, della legge 30/07/2002, n. 189), e 8° (modificato dall'art. 1, c. 2°, del decreto legge 14/09/2004, n. 241, convertito in legge 12/11/2004, n. 271), del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286.

Oggetto: Straniero - Espulsione amministrativa - Decreto di espulsione emesso dal Prefetto - Previsione dell'immediata esecutività pure in caso di gravame o impugnativa da parte dell'interessato - Possibilità per il giudice di pace di sospenderne l'efficacia - Mancata previsione.

Dispositivo: manifesta inammissibilità
Atti decisi: ord. 630 e 631/2007

pronuncia successiva

SENTENZA N. 104

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Sabino          CASSESE           "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente              

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1226, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), promossi con ricorsi della Regione Veneto, delle Province autonome di Bolzano e di Trento e della Regione Lombardia, notificati il 23 e il 26 febbraio 2007, depositati in cancelleria il 1°, il 5 e il 7 marzo 2007 ed iscritti ai numeri 10, 12, 13 e 14 del registro ricorsi 2007.

    Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nell'udienza pubblica dell'11 marzo 2008 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

    uditi gli avvocati Mario Bertolissi per la Regione Veneto, Giuseppe Franco Ferrari e Roland Riz per la Provincia autonoma di Bolzano, Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento, Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia e gli avvocati dello Stato Giuseppe Fiengo, Massimo Salvatorelli e Michele Dipace per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

    1. ¾ Con quattro distinti ricorsi, iscritti ai numeri 10, 12, 13 e 14 del registro dell'anno 2007 la Regione Veneto, le Province autonome di Bolzano e di Trento e la Regione Lombardia hanno promosso questioni di legittimità costituzionale di numerosi commi dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), e, tra questi, del comma 1226.

    1.1. ¾ La disposizione impugnata prevede che «Al fine di prevenire ulteriori procedure di infrazione, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano devono provvedere agli adempimenti previsti dagli articoli 4 e 6 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni, o al loro completame nto, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base di criteri minimi uniformi definiti con apposito decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare».

    1.2. ¾ La Regione Veneto censura tale previsione in riferimento al principio di leale collaborazione.

    La Provincia autonoma di Bolzano prospetta la violazione: degli artt. 116 e 117 della Costituzione e dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione); dell'art. 8, numeri 1, 3, 5, 6, 7, 8, 11, 13, 14, 15, 16, 18, 20 e 21, dell'articolo 9, numeri 10 e 11, e dell'art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di minime pro prietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste); del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), e, specificamente, degli articoli 7 ed 8; del decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione); del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche); del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 (Norme di attuazione dello statuto speciale de lla regione Trentino-Alto Adige in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica); del decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità); del decreto del Presidente della Repubblica 26 gennaio 1980, n. 197 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti integrazioni alle norme di attuazione in materia di igiene e sanità approvate con decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 474); nonché degli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento).

    La Provincia autonoma di Trento, a sua volta, deduce la violazione dell'art. 8, numeri 3, 5, 6, 7, 8, 11, 13, 14, 15, 16, 17, 20 e 21, dell'articolo 9, numeri 9 e 10, e dell'art. 16 dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige; dell'articolo 7 del d.P.R. n. 526 del 1987; degli artt. 2 e 4 del d. lgs. n. 266 del 1992.

    La Regione Lombardia prospetta, infine, la violazione degli artt. 117, 118, 120 e 3 e 97 della Costituzione.

    2. ¾ La Regione Veneto, dopo avere raffrontato il testo della disposizione impugnata e quello dei collegati artt. 4 e 6 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat na turali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), rileva che con l'entrata in vigore della normativa impugnata i criteri in base ai quali le Regioni e le Province autonome sono tenute ad agire non sono più determinati mediante forme collaborative con gli enti territoriali, ma risultano imposti dallo Stato. E assume che ciò sarebbe lesivo delle proprie prerogative costituzionali.

    La circostanza che la materia dell'intervento normativo sia quella della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di esclusiva competenza statale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, non legittimerebbe, infatti, la pretermissione di strumenti di dialogo e di intesa tra Stato e Regioni nella definizione della disciplina, dato che, per la giurisprudenza della Corte costituzionale (la ricorrente richiama, in proposito, le sentenze numeri 407 e 536 del 2002 e n. 222 del 2003), la materia ambientale non sarebbe una «materia in senso tecnico», intesa quale «sfera di competenza statale tale da escludere ogni intervento regionale, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze».

    Dalla mancata natura di «materia in senso tecnico» della tutela dell'ambiente discenderebbe, allora, per la ricorrente, la necessità di subordinare l'intervento normativo statale al principio di leale collaborazione. Principio che, nella specie, risulterebbe tuttavia violato per la omessa previsione di strumenti di dialogo e di intesa tra lo Stato e le Regioni.

    3. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, si è costituito, sostenendo l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso della Regione Veneto.

    3.1. ¾ Per la difesa erariale, la disposizione impugnata non avrebbe carattere innovativo. Il ricorso ad un decreto ministeriale, quale parametro cui rapportare le modalità di adempimento degli obblighi introdotti dalla direttiva 92/43/CEE, sarebbe già presente ed operante nell'ordinamento nazionale e troverebbe applicazione anche nei confronti della Regione ric orrente. Sarebbe, per contro, ragionevole fissare un breve termine per l'adempimento di obblighi discendenti da una direttiva comunitaria, essendo ormai decorsi tredici anni dalla scadenza del termine da questa fissato per la conformazione degli Stati membri e dovendosi evitare ulteriori condanne da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee.

    L'intervento normativo contestato, oltretutto, avrebbe, per l'Avvocatura dello Stato, natura riduttiva e collaborativa, avendo ridotto a criteri minimi uniformi le «linee guida», già solennemente fissate dal decreto ministeriale 3 settembre 2002, e comunque esso non sarebbe in alcun modo lesivo del «diritto-dovere delle regioni di dare applicazione nel loro territorio ad una direttiva comunitaria, che - si rammenta - è stata recepita nell'ordinamento nazionale attraverso l'adozione di un regolamento».

    3.2. ¾ L'Avvocatura generale sostiene, poi, che la disposizione impugnata, attenendo alla conservazione di habitat naturali, troverebbe la sua giustificazione nelle competenze esclusive dello Stato in materia (art. 117, lettere a ed s, della Costituzione).

    E comunque essa ritiene ragionevole interpretare la disposizione impugnata nel senso che «ove "i criteri minimi uniformi", che il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare va ad approvare, modifichino le linee guida di cui al d.m. 3 settembre 2002, gli stessi debbano essere adottati con forme di cooperazione previste (e comunque equivalenti) a quelle dell'articolo 4, comma 2, del DPR 357/97».

    4. ¾ La Provincia autonoma di Bolzano rileva, anzitutto, che l'art. 117, quinto comma, della Costituzione prevede che le Regioni e le Province autonome partecipano all'attuazione delle norme comunitarie nelle materie di competenza legislativa concorrente e residuale, e che l'art. 16, comma 1, della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), sancisce l'obbligo (e non più la facoltà) per le Regioni e le Province autonome di dare attuazione, tempestivamente ed autonomamente, agli obblighi di adeguamento imposti dalla normativa comunitaria nelle materie di propria competenza.

    4.1. ¾ La difesa provinciale sostiene, poi, che la «materia ambientale» ricade nell'àmbito della potestà provinciale, in quanto materia trasversalmente incidente in vari settori individuati dallo statuto agli artt. 8 e 9 quali àmbiti di competenza legislativa della Provincia (e correlativi ambiti di potestà amministrativa di cui al successivo art. 16) e, più spe cificamente, nelle materie: «tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare » (art. 8, numero 3), «urbanistica e piani regolatori» (art. 8, numero 5), «tutela del paesaggio» (art. 8, numero 6), «usi civici» (art. 8, numero 7), «ordinamento della minime proprietà culturali» (art. 8, numero 8), «porti lacuali» (art. 8, numero 11), «prevenzione e calamità pubbliche» (art. 8, numero 13), «miniere, cave e torbiere» (art. 8, numero 14) «apicoltura (recte: alpicoltura) e parchi per la protezione della flora e della fauna» (art. 8, numero 16), «comunicazioni e trasporti di interesse provinciale» (art. 8, numero 18), «turismo e industria alberghiera» (art. 8, numero 20), «agricoltura, foreste e corpo forestale» (art. 8, numero 21), «igiene e sanità» (art. 9, numero 10), «attività sportive e ricreative» (art. 9, numero 11).

    Ne discende, per la difesa provinciale, che «nella materia de qua sarebbe rintracciabile un vero e proprio obbligo di adeguamento diretto ed autonomo delle province di Trento e di Bolzano alla normativa di derivazione comunitaria, in via di competenza esclusiva».

    4.2. ¾ La Provincia autonoma di Bolzano rimarca, poi, di avere già adempiuto  tale obbligo, dando attuazione alla direttiva 92/43/CEE con due provvedimenti successivi e, specificamente, con i decreti del Presidente della provincia 26 ottobre 2001, n. 63 (Valutazione di incidenza per progetti e piani all'interno delle z one facenti parte della rete ecologica europea, in attuazione della direttiva 92/43/CEE), e 22 febbraio 2006, n. 8, recante «Modifica degli elenchi dei siti di importanza comunitaria e dei siti di protezione speciale di cui all'allegato A e B del decreto del Presidente della provincia 26 ottobre 2001, n. 63 nonché della relativa documentazione planimetrica».

    4.3. ¾ Per la Provincia autonoma, la disposizione censurata, reintroducendo, anche con riferimento ad essa, un obbligo generale di adeguamento alla normativa comunitaria in una materia in cui la ricorrente ha già esercitato le proprie potestà legislative ed amministrative, e subordinando gli adempimenti posti a proprio carico al rispetto di un emanando decreto m inisteriale, il quale coinvolge àmbiti di competenza provinciale, senza prevedere tuttavia una qualsivoglia forma di intesa, neppure in sede di Conferenza Stato-Regioni e Province autonome, violerebbe sia le competenze legislative ed amministrative provinciali in materia di ambiente sia il sistema di coordinamento dei poteri normativi nazionali e di quelli regionali e provinciali, previsto dal d.P.R. n. 526 del 1987.

    Ai sensi dell'art. 7 di tale decreto, infatti, spetta alle Province autonome «dare immediata attuazione alle direttive comunitarie, salvo adeguarsi, nei limiti previsti dallo statuto speciale, alle leggi statali di attuazione dei predetti atti comunitari».

    Non sarebbe, allora, possibile vincolare la autonomia provinciale ad atti regolamentari, se non per supplire all'eventuale inerzia nella attuazione del diritto comunitario (viene richiamata la sentenza n. 425 del 1999 della Corte costituzionale), e sarebbe, dunque, costituzionalmente illegittima una norma, quale quella impugnata, che pretenda di imporsi direttamente alle Province autonome e di sottomettere queste ultime e le scelte normative e regolamentari da esse già compiute in attuazione del dettato comunitario al rispetto di obblighi e vincoli ulteriori, «peraltro sanciti con decreto ministeriale».

    4.4. ¾ La Provincia di Bolzano lamenta, pure, la violazione del decreto legislativo n. 266 del 1992, nella parte in cui tale fonte di attuazione statutaria regola i rapporti tra atti legislativi statali e regionali prevedendo la immediata applicabilità nel territorio regionale delle norme internazionali e comunitarie direttamente applicabili; nonché laddove prev ede la obbligatoria consultazione della Regione o delle Province autonome da parte del Presidente del Consiglio dei ministri in merito a ciascun atto di indirizzo e di coordinamento, per quanto attiene alla compatibilità di esso con lo statuto speciale e con le relative norme di attuazione; e, soprattutto, quando vieta la attribuzione ad organi statali di funzioni amministrative non previste dallo statuto speciale o dalle norme di attuazione nelle materie di competenza propria della Regione o delle province autonome.

    4.5. ¾ Conclusivamente la Provincia autonoma di Bolzano ritiene violate le richiamate norme statutarie e di attuazione statutaria, nonché gli artt. 116, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, che riconoscono la speciale autonomia dell'ente e vincolano la legislazione statale al rispetto della Costituzione.

    5. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si è costituito, sostenendo l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso della Provincia autonoma di Bolzano.

    5.1. ¾ La difesa erariale svolge le medesime argomentazioni e prospetta le medesime possibili interpretazioni già proposte in riferimento al ricorso della Regione Veneto.

    L'Avvocatura sostiene, infatti, che non sussiste, al riguardo, una differenza tra le posizioni delle ricorrenti Regione ordinaria e Provincia autonoma e che l'intervento normativo contestato trova, anche in tale caso, la sua giustificazione nelle competenze esclusive dello Stato in materia (art. 117, secondo comma, lettere a ed s, della Costituzione), posto che queste competenze non si ritroverebbero non solo nella disciplina costituzionale concernente le Regioni ordinarie, ma neppure nelle «indicazioni, più vecchie, dello statuto d'autonomia della Regione Trentino Alto Adige e della provincia Autonoma di Bolzano».

    La difesa erariale nota, poi, come la direttiva «92/43/1997» (recte 92/43/CEE) sia stata recepita nell'ordinamento nazionale mediante un regolamento. Da ciò essa desume che sarebbe «privo di pregio l'argomentare della Provincia ricorrente in ordine ad una preclusione per lo Stato di "limitare la potestà regolamentare con norme regolamentari"».

    6. ¾ La Provincia autonoma di Trento evidenzia, anzitutto, di avere «pacificamente» competenza in materia di ambiente in base a diverse norme statutarie (art. 8, numeri 3, 5, 6, 7, 8, 11, 13, 14, 15, 16, 17, 20 e 21, art. 9, numeri 9 e 10, e art. 16) e di avere, nell'esercizio di tali competenze, già dato attuazione agli obblighi derivanti dalle direttive 93/43/ CEE e 74/409/CEE con gli articoli 9 e 10 della legge provinciale 15 «ottobre» (recte: dicembre) 2004, n. 10 (Disposizioni in materia di urbanistica, tutela dell'ambiente, acque pubbliche, trasporti, servizio antincendi, lavori pubblici e caccia), modificati dall'art. 55 della legge provinciale 29 dicembre 2006, n. 1, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2007 e pluriennale 2007-2009 della Provincia autonoma di Trento - legge finanziaria 2007» e di avere adottato misure di salvaguardia per i Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e «le misure prima di salvaguardia ed ora di conservazione per le Zone di Protezione Speciale» (ZPS) «individuate nel proprio territorio, rispettivamente con deliberazione n. 655 dell'8 aprile 2005 (SIC) e con deliberazioni n. 2956 del 30 dicembre 2005 e n. 2279 del 27 ottobre 2006 (ZPS)».

    6.1. ¾ La difesa provinciale richiama, poi, la sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 1999, per la quale il d.P.R. n. 357 del 1997, seppure incidente su materie di competenza regionale, è costituzionalmente legittimo, dato che ha natura suppletiva e cedevole rispetto alla successiva legislazione provinciale di attuazione della direttiva comunitaria 92/43 /CEE, mentre, dopo tale attuazione, trova applicazione l'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987, in base al quale le Province autonome sono vincolate solo da leggi statali che concretano limiti statutari, non da atti sublegislativi.

    La disposizione dell'impugnato comma 1226, rivolgendosi anche alla Provincia autonoma di Trento ed imponendole di provvedere agli adempimenti di cui agli artt. 4 e 6 del d.P.R. n. 357 del 1997, sulla base di criteri minimi uniformi definiti con apposito decreto ministeriale, non terrebbe tuttavia conto ed anzi si sovrapporrebbe alla già intervenuta attuazione legislativa ed amministrativa della direttiva comunitaria da parte della Provincia autonoma e così violerebbe, secondo la ricorrente, le indicate competenze statutarie, nonché la richiamata norma di attuazione statutaria dell'articolo 7 del d.P.R. n. 526 del 1987.

    6.2. ¾ Il comma 1226, per altro verso, violerebbe anche l'articolo 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, sia perché un decreto ministeriale non potrebbe comunque vincolare l'attuazione delle direttive da parte della Provincia, neppure là dove mancasse una legislazione provinciale di recepimento, richiedendosi in tale ipotesi, comunque, un regolamento governativo, da ado ttarsi nel rispetto del principio di legalità sostanziale e con il coinvolgimento delle Regioni, sia perché il previsto decreto ministeriale, avendo natura sostanzialmente normativa, non potrebbe intervenire in una materia di competenza legislativa provinciale.

    Né legittima risulterebbe la previsione ove il decreto ministeriale in questione potesse essere considerato un atto di indirizzo e coordinamento, risultando, in questa prospettiva, violato l'articolo 3 del d.lgs. n. 266 del 1992 sotto vari profili: non essendo tale ipotetico atto di indirizzo e coordinamento adottato dal Consiglio dei ministri; non essendo previsto un parere delle Province per la sua adozione; non potendo un atto di indirizzo e coordinamento comunque vincolare la Provincia ad uno specifico contenuto, ma solo al conseguimento di determinati obiettivi e risultati.

    Né, d'altra parte, l'impugnato comma 1226 potrebbe ritenersi legittimo riconoscendo al previsto decreto ministeriale natura amministrativa e non normativa, risultando, in tale prospettiva, comunque violato l'articolo 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, che non consente di attribuire ad organi dello Stato funzioni amministrative in materia di competenza provinciale.

    6.3. ¾ La difesa provinciale chiarisce, infine, che la disposizione impugnata non sarebbe lesiva solo là dove si potesse ritenere che essa non si applichi alle Regioni o alle Province autonome che già abbiano data attuazione alle direttive comunitarie.

    Sennonché la ricorrente esclude una tale interpretazione alla luce del dato letterale della disposizione, espressamente riferita anche alla Provincia di Trento, e sostenendo che la previsione di «standard minimi uniformi» lascerebbe pensare che si tratti di standard ai quali tutte le Regioni si debbano adeguare.

    7. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si è costituito, sostenendo l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso della Provincia autonoma di Trento.

    7.1. ¾ La difesa erariale svolge le medesime argomentazioni e prospetta le medesime possibili interpretazioni già proposte in riferimento ai ricorsi della Regione Veneto e della Provincia autonoma di Bolzano.

    L'Avvocatura, peraltro, afferma che «nel caso di specie oltretutto la norma non dovrebbe trovare applicazione nei confronti della Provincia Autonoma di Trento laddove, come dichiarato nel ricorso, avrebbe già provveduto ad attuare e completare le misure previste dalla disciplina comunitaria».

    8. ¾ La Regione Lombardia sostiene che, alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze numeri 407 e 536 del 2002 e numeri 222, 226, 227 del 2003), non potrebbe negarsi, nonostante l'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione attribuisca alla competenza esclusiva dello Stato la materia della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, che «nell'azione di tutela dell'ambiente siano concretamente coinvolti tutti i livelli territoriali in una logica di effettiva corresponsabilità e che tale concorso di competenze sia guidato dal principio di "leale collaborazione"».

    Principio che risulterebbe violato, nel caso di specie, al pari degli artt. 117, 118, 120, 3 e 97 della Costituzione, dacché per la determinazione dei criteri minimi per provvedere agli adempimenti previsti dagli articoli 4 e 6 del d.P.R. n. 357 del 1997 non sarebbe prevista né l'intesa né alcuna forma o modalità di coinvolgimento delle Regioni.

    La difesa regionale richiama, sul punto, alcune sentenze della Corte costituzionale, che, prima della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, hanno dichiarato costituzionalmente illegittime disposizioni statali «che non avevano previsto l'intesa tra lo Stato e le Regioni in materia di procedure di adeguamento nella disciplina dei parchi (sent. 302 del 1994), di rilevamento degli incendi boschivi (sent. 157 del 1995) e di programmazione degli interventi di protezione civile (sent. 127 del 1995)» e, dopo la predetta riforma, hanno confermato tale orientamento ed «insistito sulla centralità del principio di leale collaborazione (cfr. sent. 27 del 2002)».

    9. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si è costituito, sostenendo l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso della Regione Lombardia.

    9.1. ¾ La difesa erariale svolge le medesime argomentazioni e prospetta le medesime possibili interpretazioni già proposte in riferimento ai ricorsi della Regione Veneto e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.

    10. ¾ In prossimità dell'udienza pubblica dell'11 marzo 2008 la Provincia autonoma di Bolzano ha depositato una memoria e una copia autentica della deliberazione del Consiglio provinciale 28 marzo 2007, n. 3, di ratifica, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 54, numero 7, ed all'art. 98 dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige, della deliberazione de lla Giunta provinciale 19 febbraio 2007.

    Nella memoria la difesa provinciale, sostanzialmente, ribadisce gli argomenti già sviluppati nel ricorso.

    11. ¾ In prossimità delle udienza pubblica dell'11 marzo 2008 la Regione Veneto ha depositato una memoria, nella quale ribadisce gli argomenti già sviluppati nel ricorso e replica a quelli svolti dalla Avvocatura generale dello Stato.

    11.1. ¾ In particolare la difesa regionale contesta la tesi dell'Avvocatura generale circa il carattere non innovativo e, pertanto, non lesivo dell'impugnato comma 1226.

    La intervenuta adozione del decreto ministeriale 17 ottobre 2007, recante «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e a Zone di Protezione Speciale (ZPS)», dimostrerebbe, per la ricorrente, la erroneità di detta tesi, dato che i criteri minimi uniformi hanno carattere di estremo dettaglio e non sono specificativi, bensì ampliativi, delle linee guida contenute nel decreto ministeriale 3 settembre 2002.

    Né la circostanza che tale decreto ministeriale sia stato in concreto adottato sentita la Conferenza unificata varrebbe a rendere legittima la previsione dell'impugnato comma 1226, posto che questa norma, pur intervenendo in materia ambientale, dove «competenze e responsabilità sono ripartite tra Stato ed enti territoriali, non ha previsto alcuna forma di collaborazione con le Regioni».

    12. ¾ In prossimità delle udienza pubblica dell'11 marzo 2008, la Provincia autonoma di Trento ha depositato una memoria, nella quale ribadisce e sviluppa gli argomenti già svolti nel ricorso e replica a quelli dell'Avvocatura generale dello Stato.

    12.1. ¾ La Provincia autonoma, a conferma delle tesi sostenute nel ricorso, richiama, anzitutto, tra le altre, la sentenza n. 378 del 2007 della Corte costituzionale, la quale ha affermato che la disciplina delle ZSC e delle ZPS rientra nella competenza legislativa esclusiva provinciale in materia di parchi per la protezione della flora e della fauna (articolo 8 , numero 16, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).

    12.2. ¾ La difesa provinciale ricorda, poi, che le Zone Speciali di Conservazione non esistono ancora, dato che, pur essendo intervenuta la individuazione dei siti di importanza comunitaria (SIC), non è tuttavia ancora avvenuta la loro classificazione quali ZSC.

    La procedura di infrazione comunitaria «menzionata» nel comma 1226 riguarderebbe, pertanto, la sola direttiva 79/409/CEE, relativa alle ZPS. E da ciò deriverebbe l'incongruità della previsione dell'impugnato comma 1226, che impone alle Regioni di provvedere anche agli adempimenti di cui all'art. 4 del d.P.R. n. 357 del 1997, relativo alle ZSC.

    12.3. ¾ A correzione del ricorso introduttivo, la Provincia di Trento precisa, poi, di avere adottato (in attesa della designazione come Zone speciali di conservazione) le misure di salvaguardia dei Siti di Importanza Comunitaria con deliberazione (della Giunta provinciale) n. 2956 del 30 dicembre 2005

    12.4. ¾ La difesa provinciale ricorda, inoltre, la intervenuta adozione del decreto ministeriale 17 ottobre 2007 in attuazione del comma 1226 e ne sottolinea sia il carattere dettagliato sia il suo espresso riferimento alle Province autonome.

    Ciò, da un lato, dimostrerebbe che lo Stato, con il comma 1226, ha inteso adottare in una materia provinciale un atto ministeriale a carattere normativo e direttamente applicabile, dall'altro, confuterebbe la tesi dell'Avvocatura dello Stato, per la quale la norma non troverebbe applicazione in riferimento a quegli enti territoriali che, come la Provincia di Trento, avessero già attuato le misure di salvaguardia.

    12.5. ¾ La difesa provinciale contesta poi l'ulteriore tesi dell'Avvocatura dello Stato, per la quale il decreto ministeriale previsto dal comma 1226 non avrebbe natura innovativa, essendo già previsto un decreto ministeriale di indirizzo dall'articolo 4, comma 2, del d.P.R. n. 357 del 1997.

    Tale tesi non considererebbe, né la natura cedevole della disciplina dettata dal d.P.R. n. 357 del 1997, affermata dalla sentenza n. 425 del 1999 della Corte costituzionale, né il suo superamento dopo la intervenuta attuazione da parte della Provincia della disciplina comunitaria in materia di ZSC e ZPS.

    Oltretutto il predetto articolo 4, comma 2, prevede l'emanazione di linee guida per la gestione delle aree della rete «Natura 2000», mentre il comma 1226 prevede un decreto ministeriale, che contiene una disciplina dettagliata e, nella sostanza, già individua le misure di conservazione.

    12.6. ¾ La difesa provinciale esclude infine che la previsione censurata possa trovare alcun fondamento nelle competenze esclusive statali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere a) ed s), della Costituzione, essendo il primo titolo di competenza del tutto inconferente ed essendo la competenza statale in materia di ambiente comunque non esercitabile in senso limitativo della autonomia speciale.

    13. ¾ In prossimità dell'udienza pubblica dell'11 marzo 2008 la Regione Lombardia ha depositato una memoria, nella quale ribadisce gli argomenti già svolti nel ricorso e ne sviluppa di ulteriori.

    13.1 ¾- La difesa regionale sostiene, in particolare, che l'intervento normativo censurato è ascrivibile non solo all'àmbito della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente, ma anche a quello della competenza concorrente in materia di valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, posto che le ZPS e le ZSC rientrerebbero «a pieno titolo» nella categoria dei beni ambientali.

    Tale competenza regionale, ai sensi dell'art. 152 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), riguarderebbe, per la ricorrente, pure la previsione di misure di salvaguardia.

    La Regione richiama, in proposito, le sentenze numeri 94 del 2003 e 212 del 2006 della Corte costituzionale, le quali hanno ritenuto legittima una legge della Regione Lazio, recante disciplina di salvaguardia degli esercizi commerciali ed artigianali del Lazio aperti al pubblico aventi valore storico, artistico ed ambientale, ed hanno riconosciuto che la valorizzazione del patrimonio tartuficolo regionale compete alla Regione.

    13.2. ¾ La Regione Lombardia rileva, inoltre, che i criteri minimi uniformi concretamente individuati dal decreto ministeriale 17 ottobre 2007 (in ordine alla cui adozione la Regione rammenta di avere espresso parere contrario in sede di Conferenza permanente) intervengono su aspetti di estremo dettaglio e sostiene che essi vengono ad interferire con ulteriori titoli di competenza regionali.

    La difesa regionale esemplifica tale prospettazione, invocando le competenze concorrenti o residuali in materia di governo del territorio, di agricoltura e di turismo.

    13.3. ¾ La Regione insiste, infine, nell'invocare la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 58 del 2007), per la quale il principio di leale collaborazione è la regola fondamentale, là dove sussista una connessione tra funzioni attribuite a diversi livelli di governo costituzionalmente rilevanti e non sia possibile una netta separazione nell'eser cizio delle competenze.

Considerato in diritto

    1. ¾ Con quattro distinti ricorsi, iscritti ai numeri 10, 12, 13 e 14 del registro ricorsi dell'anno 2007, la Regione Veneto, le Province autonome di Bolzano e di Trento e la Regione Lombardia promuovono questioni di legittimità costituzionale di numerosi commi dell'art. 1, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), e, tra questi, del comma 1226.

    1.1. ¾ Il presente giudizio attiene unicamente all'impugnazione di quest'ultimo comma, essendo le ulteriori questioni oggetto di separate pronunce.

    1.2. ¾ Trattandosi della stessa materia, i quattro ricorsi possono essere riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

    1.3. ¾ L'impugnato comma 1226 dispone che «Al fine di prevenire ulteriori procedure di infrazione, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano devono provvedere agli adempimenti previsti dagli articoli 4 e 6 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni, o al loro completamento , entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base di criteri minimi uniformi definiti con apposito decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare».

    2. ¾ Le Regioni Veneto e Lombardia contestano tale disposizione, la prima solo in riferimento al principio di leale collaborazione, la seconda anche in riferimento agli artt. 117, 118, 120, 3 e 97 della Costituzione, sostenendo entrambe che l'ambiente, nella interpretazione datane dalla giurisprudenza costituzionale, non sarebbe una «materia in senso tecnico», p er cui ogni intervento dello Stato in proposito dovrebbe essere subordinato all'osservanza del sopra detto principio di leale collaborazione, principio che nella specie risulterebbe violato per la mancata previsione di strumenti di dialogo e di intesa fra Stato e Regioni.

    3. ¾ Deve essere preliminarmente dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1226, della legge n. 296 del 2006, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Regione Lombardia.

    Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, le Regioni possono far valere il contrasto con norme costituzionali diverse da quelle attributive di competenza solo ove esso si risolva in una lesione di sfere di competenza regionali (così, fra le tante, sentenze n. 63 e n. 50 del 2008, n. 401 del 2007 e n. 116 del 2006). Nel caso di specie, le censure dedotte, oltre ad essere generiche, non sono prospettate in maniera da far derivare dalla pretesa violazione dei richiamati parametri costituzionali una compressione dei poteri della Regione.

    4. ¾ La questione proposta dalle Regioni Veneto e Lombardia, in riferimento al principio di leale collaborazione e, dalla sola Regione Lombardia, pure in riferimento agli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione, non è fondata.

    5. ¾ La competenza a tutelare l'ambiente e l'ecosistema nella sua interezza è stata affidata in via esclusiva allo Stato dall'art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, e per «ambiente ed ecosistema», come affermato dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1972, deve intendersi quella parte di "biosfera" che r iguarda l'intero territorio nazionale (sentenza n. 378 del 2007).

    In base alla Costituzione, «spetta allo Stato disciplinare l'ambiente come un'entità organica, dettare cioè delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parte del tutto. Ed è da notare, a questo proposito, che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale "primario" (sentenza n. 151 del 1986) ed "assoluto" (sentenza n. 641 del 1987), e deve garantire (come prescrive il diritto comunitario) un elevato livello di tutela, come tale inderogabile dalle altre discipline di settore. Si deve sottolineare, tuttavia, che, accanto al bene giuridico ambiente in senso unitario, possono coesistere altri beni giuridici aventi ad oggetto componenti o aspetti del bene ambiente, ma concernenti interessi diversi, giuridicamente tutelati. Si parla, in proposito, dell'ambiente come "materia trasversale", nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi: quello alla conservazione dell'ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni» (vedi, ancora, la sentenza n. 378 del 2007).

    In questi casi, la disciplina unitaria di tutela del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materia di competenza propria, che riguardano l'utilizzazione dell'ambiente, e , quindi, altri interessi.

    Ciò comporta che la disciplina statale relativa alla tutela dell'ambiente «viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza», salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell'esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che vengano a contatto con quella dell'ambiente.

    E' dunque in questo senso che può intendersi l'ambiente come una «materia trasversale» (come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte; si veda, per tutte, la sentenza n. 246 del 2006), e non può certo dirsi, come vorrebbero le Regioni Veneto e Lombardia, che «la materia ambientale non sarebbe una materia in senso tecnico». Al contrario, l'ambiente è un bene giuridico, che, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, funge anche da discrimine tra la materia esclusiva statale e le altre materie di competenza regionale.

    5.1. ¾ Le Regioni Veneto e Lombardia, dunque, non possono reclamare un loro coinvolgimento nell'esercizio della potestà legislativa dello Stato in materia di tutela ambientale, trattandosi di una competenza statale esclusiva.

    In tale àmbito di esclusiva competenza statale rientra la definizione dei livelli uniformi di protezione ambientale. Non contrasta, pertanto, con i parametri evocati dalle ricorrenti, il rinvio, da parte dell'impugnato comma 1226, ad un emanando decreto ministeriale che preveda i criteri ai quali le Regioni Veneto e Lombardia debbono uniformarsi nell'imporre le misure di salvaguardia sui siti di importanza comunitaria (SIC) e le misure di conservazione sulle zone speciali di conservazione (ZSC) e sulle zone di protezione speciale (ZPS), in esecuzione della direttiva comunitaria, recepita con il decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminatu rali, nonché della flora e della fauna selvatiche).

    6. ¾ Le Province autonome di Trento e di Bolzano, dal canto loro, censurano il comma 1226, lamentando che non rientrerebbe nella competenza statale l'attuazione delle direttive comunitarie in materia di ZSC e ZPS, dovendo le stesse essere attuate direttamente dalle Province, competenti in materia, cosa che le stesse avrebbero peraltro già fatto.

    Le ricorrenti lamentano, poi, che, in ogni caso, lo Stato non potrebbe vincolare le Province autonome in una materia di loro competenza mediante un atto sublegislativo.

    6.1. ¾ La Provincia di Bolzano prospetta la violazione: degli artt. 116 e 117 della Costituzione e dell'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione); dell'articolo 8, numeri 1, 3, 5, 6, 7, 8, 11, 13, 14, 15, 16, 18, 20 e 21, dell'articolo 9, numeri 10 e 11 e dell'articolo 16 del decre to del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste); del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), e, specificamente, degli artt. 7 ed 8 del medesimo; del decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolz ano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione); del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche); del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica); del decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità); del decreto del Presidente della Repubblica 26 gennaio 1980, n. 197 (Norme di attuazione dello statuto specia le per il Trentino-Alto Adige concernenti integrazioni alle norme di attuazione in materia di igiene e sanità approvate con decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 474); nonché degli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento).

    6.2. ¾ La Provincia autonoma di Trento prospetta, invece, la violazione dell'art. 8, numeri 3, 5, 6, 7, 8, 11, 13, 14, 15, 16, 17, 20 e 21, dell'art. 9, numeri 9 e 10 e dell'articolo 16 dello Statuto speciale della Regione Trentino- Alto Adige; dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 526 del 1987; degli articoli 2 e 4 del decreto legislati vo n. 266 del 1992.

    7. ¾ Si deve innanzitutto rilevare che le due Province autonome sostengono l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1226, della legge n. 296 del 2006, affermando, preliminarmente, di avere una competenza generale in materia di ambiente, come risulterebbe da una lunga serie di disposizioni dello statuto e (per quanto riguarda Bolzano) anche dalle relativ e norme di attuazione.

    Sennonchè la stragrande maggioranza delle elencate materie non ha niente a che vedere con la tutela ambientale, mentre altre («tutela del paesaggio», «caccia e pesca», «parchi per la protezione della flora e della fauna», e «foreste»), comprese nell'elenco dell'art. 8 dello statuto, costituiscono semplici aspetti della materia della tutela ambientale. E da questi aspetti, evidentemente, non può farsi derivare una competenza generale in materia di ambiente.

    La competenza delle Province autonome di Trento e di Bolzano si fonda, invece, nel caso specifico, sull'art. 8, numero 16, dello statuto, che attribuisce ad esse una potestà legislativa primaria in materia di «parchi per la protezione della flora e della fauna».

    Deve ribadirsi, quindi, come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (vedi sentenze n. 425 del 1999 e n. 378 del 2007), che spetta alle Province autonome dare concreta attuazione per il loro territorio alla direttiva 92/43/CEE (Direttiva del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatica), la quale impone misure di salvaguardia sui siti di importanza comunitaria (SIC) e misure di conservazione sulle zone speciali di conservazione (ZSC) e sulle zone di protezione speciale (ZPS), a seguito della «definizione» di queste ultime di intesa con lo Stato (sentenza n. 378 del 2007).

    8. ¾ In virtù della richiamata prescrizione statutaria e di quanto espressamente stabilito dall'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987 e dell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, deve inoltre affermarsi che lo Stato, diversamente da quanto si evince dal rinvio da parte del comma 1226 agli artt. 4 e 6 del d.P.R. n. 357 del 1997, non può imporre alle Province autonome di conformarsi, nell'adozione delle misure di salvaguardia e delle misure di conservazione, «ai criteri minimi uniformi» di un emanando decreto ministeriale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007) promosse dalla Regione Veneto, dalla Regione Lombardia e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano con i ricorsi indicati in epigrafe;

    riuniti i giudizi,

    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1226, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), nella parte in cui obbliga le Province autonome di Trento e di Bolzano ad uniformarsi ai criteri minimi uniformi definiti dal decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del medesimo articolo 1, comma 1226, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sollevata, in riferimento agli artt 3 e 97 della Costituzione, dalla Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe;

    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 1, comma 1226, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione, dalla Regione Lombardia ed, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Veneto e Lombardia, con i ricorsi indicati in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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SENTENZA N. 105

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Sabino          CASSESE           "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1082, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), promosso con ricorso della Regione Veneto, notificato il 23 febbraio 2007, depositato in cancelleria il 1° marzo 2007 ed iscritto al n. 10 del registro ricorsi 2007.

    Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nell'udienza pubblica dell'11 marzo 2008 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

    uditi l'avvocato Mario Bertolissi per la Regione Veneto, e gli avvocati dello Stato Giuseppe Fiengo, Massimo Salvatorelli e Michele Dipace per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

    1. ¾ Con ricorso notificato il 23 febbraio 2007, depositato il successivo 1° marzo ed iscritto al n. 10 del registro ricorsi del 2007, la Regione Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale di nu merosi commi dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), e, tra questi, del comma 1082, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, secondo comma, della Costituzione e all'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

    1.1. ¾ L'impugnato comma 1082 prevede che: «Al fine di armonizzare l'attuazione delle disposizioni sovranazionali in materia forestale, in aderenza al Piano d'azione per le foreste dell'Unione europea e nel rispetto delle competenze istituzionali, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territo rio e del mare, sulla base degli strumenti di pianificazione regionale esistenti e delle linee guida definite ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227, propongono alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini di un accordo ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, un programma quadro per il settore forestale finalizzato a favorire la gestione forestale sostenibile e a valorizzare la multifunzionalità degli ecosistemi forestali. Le azioni previste dal programma quadro possono accedere alle risorse di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nei limiti definiti dal CIPE nella deliberazione di cui allo stesso articolo 61, comma 3, della ci tata legge n. 289 del 2002».

    2. ¾ La ricorrente Regione Veneto sostiene, anzitutto, che tale disposizione sia da ricondurre alla materia «delle foreste», non espressamente prevista nell'articolo 117, commi secondo e terzo, della Costituzione e, pertanto, da ascriversi alla propria competenza "residuale-esclu siva", di cui all'art. 117, quarto comma, della Costituzione.

    La ricorrente rileva, peraltro, la possibile intersezione tra la propria competenza in materia di «foreste» e quella statale in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione), là dove, come nel caso di specie, la previsione impugnata finalizza il programma quadro per il settore forestale alla «gestione forestale sostenibile» e alla valorizzazione «della multifunzionalità degli ecosistemi forestali».

    La ricorrente richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale, per la quale in ipotesi di interferenze tra materie di competenza esclusiva statale e regionale il principio regolatore è quello della leale collaborazione (sentenze numeri 370 del 2003 e 50 del 2005 e, in riferimento alla materia ambientale, sentenze numeri 407 e 536 del 2002 e n. 222 del 2003).

    La Regione Veneto ritiene, pertanto, che la disposizione impugnata sia illegittima, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, nella parte in cui non ha previsto alcuna forma di collaborazione con le Regioni per la definizione del programma quadro in materia forestale.

    2.1. ¾ La Regione Veneto censura, altresì, la medesima disposizione, nella parte in cui, rendendo possibile per le azioni previste dal suddetto programma quadro l'accesso al fondo di cui all'art. 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003), avrebbe «in sostanza previsto un finanziamento a destinazione vincolata in materia di competenza regionale».

    La ricorrente richiama, in proposito, la giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di fondi statali in materie di competenza legislativa concorrente o esclusiva delle Regioni, sia che questi fondi prevedano la diretta attribuzione di risorse a Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni (sentenze numeri 370 del 2003 e 16 e 49 del 2004), sia che prevedano la diretta attribuzione di risorse a soggetti privati, persone fisiche o giuridiche (sentenze numeri 423 del 2004, 77 e 107 del 2005 e 118 del 2006). Ed esclude, pure, la riconducibilità della prevista forma di finanziamento all'ipotesi di fondi speciali prevista dall'art. 119, quinto comma, della Costituzione, sostenendo che non sussisterebbero comunque tutti i requi siti richiesti dalla giurisprudenza costituzionale al riguardo (sentenza n. 16 del 2004).

    La disposizione impugnata sarebbe, sotto questo profilo, lesiva degli artt. 117 e 119 della Costituzione.

    2.2. ¾ Il comma 1082 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006 violerebbe, infine, gli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione ed il principio di leale collaborazione, anche là dove dispone che i limiti di accesso alle ricorse finanziarie siano definiti dal solo Comitato interministeriale per la programmazione economica, con propria delibera, senza la previsione d i un coinvolgimento delle Regioni in merito.

    3. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si è costituito, sostenendo l'infondatezza del ricorso.

    3.1. ¾ La difesa erariale contesta, anzitutto, come artificioso l'inquadramento della disposizione impugnata nella materia delle «foreste» prospettato dalla ricorrente, sostenendo che non sia «francamente contestabile» che la disposizione impugnata «pertenga alla materia dell'ambiente», di esclusiva competenza statale (art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione).

    L'Avvocatura generale rileva, poi, che la previsione del comma 1082 si inserisce nella attuazione degli impegni derivanti dal così detto Protocollo di Kyoto dell'11 dicembre 1997, reso esecutivo con la legge 1° giugno 2002, n. 120, e dalla «Quarta Conferenza Ministeriale sulla Protezione delle Foreste in Europa (Vienna 28-30 aprile 2003)» ed avrebbe, pertanto, «preciso rapporto con la competenza esclusiva menzionata» dalla lettera a) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione. E sostiene, infine, che la disposizione impugnata realizzerebbe «pienamente» la leale collaborazione «tra Stato ed Enti territoriali», in quanto prevede che il programma debba formare oggetto di accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni.

    3.2. ¾ La difesa erariale sostiene, inoltre, che «vertendosi in materia (almeno) prevalentemente statale (sottratta ai vincoli posti dall'art. 119 Cost.), è pienamente coerente che il finanziamento del programma sia deliberato dal CIPE, a cui peraltro partecipa, con diritto di voto, il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle regioni e province autonome» .

    L'Avvocatura generale afferma, infine, che trattandosi di interventi speciali a favore di aree agevolmente determinabili, troverebbe comunque applicazione la previsione derogatoria di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che consente allo Stato di destinare risorse aggiuntive «al di là dal normale esercizio di funzioni (in ipotesi) di pertinenza degli enti locali».

    4. ¾ In prossimità dell'udienza pubblica dell'11 marzo 2008, la Regione Veneto ha depositato una memoria, nella quale ribadisce gli argomenti già sviluppati nel ricorso e replica a quelli svolti dall'Avvocatura generale dello Stato.

    4.1. ¾ La difesa regionale insiste, in particolare, sulla riconducibilità dell'intervento normativo censurato, nell'àmbito non solo della competenza statale in materia di tutela dell'ambiente, ma anche della propria competenza in materia di foreste, nonché sulla necessità che ogni intervento statale in materia ambientale, «ove anche giustificato dalla necessità di rispondere ad esigenze unitarie», sia «improntato al più rigoroso rispetto del principio di leale collaborazione tra i livelli di governance competenti in materia».

    4.2. ¾ La Regione Veneto contesta, poi, la tesi dell'Avvocatura dello Stato, per la quale la disposizione censurata, inserendosi nell'attuazione degli impegni derivanti dal così detto Protocollo di Kyoto dell'11 dicembre 1997, reso esecutivo con la legge 1° giugno 2002, n. 120, e dalla «Qua rta Conferenza Ministeriale sulla Protezione delle Foreste in Europa (Vienna 28-30 aprile 2003)», dovrebbe essere ricondotta pure alla competenza esclusiva statale in materia di politica estera e rapporti internazionali dello Stato e di rapporti dello Stato con l'Unione europea (articolo 117, secondo comma, lettera a, della Costituzione).

    La difesa regionale sostiene la «palese erroneità» di questa tesi, rilevando che la disposizione impugnata «non regola affatto i rapporti dello Stato con l'Unione o la comunità internazionale» e sottolineando che l'adesione alla prospettiva interpretativa della difesa statale svuoterebbe del tutto la competenza legislativa regionale.

    4.3. ¾ La Regione Veneto contesta, infine, che i finanziamenti previsti dall'impugnato comma 1082 possano qualificarsi quali fondi speciali, di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, sia perché non si tratterebbe di finanziamenti diretti a soddisfare le finalità previste da questa disposizione costituzionale, sia perché essi non sarebbero aggiuntivi a favore di Regioni individuate.

Considerato in diritto

    1. ¾ La Regione Veneto promuove questioni di legittimità costituzionale di numerosi commi dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), e, tra questi, del comma 1082.

    Il presente giudizio attiene unicamente all'impugnazione di quest'ultimo comma, essendo le altre questioni oggetto di separate pronunce.

    1.1. ¾ L'impugnato comma 1082 prevede che: «Al fine di armonizzare l'attuazione delle disposizioni sovranazionali in materia forestale, in aderenza al Piano d'azione per le foreste dell'Unione europea e nel rispetto delle competenze istituzionali, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territo rio e del mare, sulla base degli strumenti di pianificazione regionale esistenti e delle linee guida definite ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227, propongono alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini di un accordo ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, un programma quadro per il settore forestale finalizzato a favorire la gestione forestale sostenibile e a valorizzare la multifunzionalità degli ecosistemi forestali. Le azioni previste dal programma quadro possono accedere alle risorse di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nei limiti definiti dal CIPE nella deliberazione di cui allo stesso articolo 61, comma 3, della ci tata legge n. 289 del 2002.»

    2. ¾ La Regione Veneto ritiene che tale disposizione interverrebbe in un àmbito materiale nel quale si intersecherebbero la propria competenza residuale in materia di «foreste» e quella statale in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. E sostiene che, in tale ipotesi, non potendosi considerare, secondo la giurisprudenza costituzionale, la «tutela del l'ambiente e dell'ecosistema» una «materia in senso tecnico», sarebbe necessario prevedere forme di leale collaborazione tra Stato e Regione.

    2.1. ¾ In questa prospettiva, la Regione Veneto censura il comma 1082 in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione ed al princi pio di leale collaborazione, nella parte in cui non ha previsto alcuna forma di collaborazione con le Regioni per la definizione, da parte dello Stato, del programma quadro in materia forestale.

    2.2. ¾ La Regione Veneto censura, poi, la predetta disposizione, in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, nella parte in cui, rendendo possibile, per le attività previste dal programma quadro, l'accesso all'apposito fondo costituito dallo Stato, ai sensi dell'art. 61 della le gge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003), avrebbe in sostanza previsto un «finanziamento a destinazione vincolata», anche questo in contrasto con la ben nota giurisprudenza costituzionale al riguardo.

    2.3. ¾ La Regione Veneto censura, infine, il comma 1082 in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione ed il principio di leale collaborazione, là dove esso dispone che i limiti di accesso alle risorse finanziarie siano definite dal solo Comitato interministeriale per la progra mmazione economica, con propria delibera, senza prevedere un coinvolgimento delle Regioni.

    3. ¾ La questione non è fondata.

    4. ¾ Caratteristica propria dei boschi e delle foreste è quella di esprimere una multifunzionalità ambientale, oltre ad una funzione economico produttiva. Si può dunque affermare che sullo stesso bene della vita, boschi e foreste, insistono due beni giuridici: un bene giuridico ambientale in riferimento alla multifunzionalità ambientale del bosco, ed un bene giu ridico patrimoniale, in riferimento alla funzione economico produttiva del bosco stesso (sulla esistenza di più beni giuridici tutelati sull'unitario bene ambientale, vedi sentenza n. 378 del 2007).

    Sotto l'aspetto ambientale, i boschi e le foreste costituiscono un bene giuridico di valore «primario» (sentenza n. 151 del 1986), ed «assoluto» (sentenza n. 641 del 1987), nel senso che la tutela ad essi apprestata dallo Stato, nell'esercizio della sua competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano nelle materie di loro competenza (sentenza n. 378 del 2007). Ciò peraltro non toglie, come è stato ribadito anche nell'ultima sentenza citata, che le Regioni, nell'esercizio delle specifiche competenze, loro garantite dalla Costituzione, possano stabilire anche forme di tutela ambientale più elevate.

    Ne consegue che la competenza regionale in materia di boschi e foreste, la quale si riferisce certamente, come peraltro sembra riconoscere la stessa Regione Veneto, alla sola funzione economico-produttiva, incontra i limiti invalicabili posti dallo Stato a tutela dell'ambiente, e che, pertanto, tale funzione può essere esercitata soltanto nel rispetto della «sostenibilità degli ecosistemi forestali».

    I distinti concetti di multifunzionalità ambientale del bosco e di funzione economico produttiva sottoposta ai limiti della ecosostenibilità forestale sono del resto ribaditi a livello internazionale, comunitario e nazionale.

    Sul piano internazionale, sono da ricordare: la Convenzione di Rio de Janeiro sulla biodiversità, adottata il 5 giugno 1992, ratificata e resa esecutiva con la legge 14 febbraio 1994, n. 124; la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottata a New York il 9 maggio 1992, ratificata e resa esecutiva con la legge 15 gennaio 1994, n. 65 e il Protocollo di Kyoto dell'11 dicembre 1997, sui mutamenti climatici, ratificata e resa esecutiva con la legge 1° giugno 2002, n. 120, nonché la «Dichiarazione autorevole di principi giuridicamente non vincolante per un consenso globale sulla gestione, la conservazione e lo sviluppo sostenibile di ogni tipo di foresta», adottata nell'ambito dell a Conferenza di Rio.

    Sul piano comunitario, è da far riferimento alla puntuale normativa di cui alla Direttiva 92/43/CEE ed alla Direttiva 79/409/CEE, in materia di habitat naturali e di costituzione di una «rete ecologica europea coerente», denominata "Natura 2000"; nonché al Piano d'azione per le foreste dell'Unione Europea per il quinquennio 2007-2011.

    Sul piano interno, è da sottolineare il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227 (Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57), che pone come strumento fondamentale per la conservazione e l'incremento dei boschi e delle foreste la «selvicoltura» (art. 1), attribuendo al Ministero delle politiche agricole e forestali ed al Ministero dell'ambiente il compito di emanare al riguardo apposite «linee guida» ed alle Regioni quello di definire le «linee di tutela, conservazione, valorizzazione e sviluppo del settore forestale nel territorio di loro competenza attraverso la redazione e la revisione dei propri piani forestali».

    Attraverso questo coordinamento lo Stato ha inteso assicurare, per un verso, la conservazione e l'incremento del bosco considerato come bene ambientale e, per altro verso, la conservazione e l'incremento del bosco stesso, considerato come bene economico produttivo, nei limiti, tuttavia, della sostenibilità degli ecosistemi forestali.

    In questo quadro si inserisce il comma 1082, del quale la Regione Veneto lamenta la previsione di un «programma quadro per il settore forestale finalizzato a favorire la gestione forestale sostenibile e a valorizzare la multifunzionalità degli ecosistemi forestali», senza essere stata coinvolta nella redazione del programma stesso.

    Sennonché, a parte la considerazione che il perseguimento delle finalità ambientali è imposto da obblighi internazionali e comunitari, oltre che dalle norme statali emesse nell'esercizio della competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e degli ecosistemi, sta di fatto che il programma quadro di cui si discute non è imposto alle Regioni, ma costituisce una semplice proposta di accordo presentata dal Ministero per le politiche agricole e forestali e dal Ministero dell'ambiente alla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province di Trento e Bolzano, ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni, e le province au tonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle Regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), secondo il quale il Governo, le Regioni e le Province autonome, in attuazione del principio di leale collaborazione, «possono concludere in sede di Conferenza Stato-Regioni, accordi, al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere attività di interesse comune».

    Si tratta, dunque, di una mera «proposta», per sua natura inidonea a violare competenze regionali, e tanto meno il principio di leale collaborazione, in quanto essa può essere accettata in tutto o in parte, o non essere accettata dalle Regioni e dalle Province autonome, come del resto espressamente prevede il secondo comma del citato art. 4 del d.lgs. n. 281 del 1997, il quale inequivocabilmente stabilisce che «Gli accordi si perfezionano con l'espressione dell'assenso del Governo e dei Presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano».

    La censura della Regione Veneto appare pertanto non fondata, poiché risulta chiaro che non sono violate le sue competenze in materia di funzione economico produttiva dei boschi e delle foreste e che risulta rispettato il principio di leale collaborazione.

    5. ¾ Alla luce di quanto appena osservato, risulta non fondata l'ulteriore censura regionale, secondo la quale il comma in questione avrebbe previsto un fondo vincolato, violando i principi costituzionali. E' evidente, infatti, che l'accordo di cui si discute riguarda anche l'accesso a detto fondo e che, di conseguenza, la sua utilizzazione dipende dall'accordo stesso, e quindi anche dalla volontà delle Regioni. Non è ipotizzabile, dunque, una violazione delle competenze regionali e tanto meno una violazione del principio di leale collaborazione.

    6. ¾ Non fondata risulta, infine, anche l'ultima censura della Regione Veneto, secondo la quale le competenze regionali verrebbero lese dal fatto che i limiti di utilizzabilità di detto fondo sono stabiliti con delibera del CIPE. Infatti anche detti limiti sono stabiliti con un pieno coinvolgimento delle Regioni, le quali, per un verso, accettando l'accordo di c ui sopra si è parlato, accettano anche che i limiti di utilizzabilità del fondo in questione siano stabiliti con delibera del CIPE. Per altro verso il comma 7 del citato art. 61 della legge n. 289 del 2002, sancisce che «Partecipano in via ordinaria alle riunioni del CIPE, con diritto di voto, il Ministro per gli affari regionali in qualità di presidente della Conferenza per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ed il presidente della Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, o un suo delegato, in rappresentanza della Conferenza stessa».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), promosse dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;

    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzione dell'art. 1, comma 1082, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007) sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA
pronuncia precedentePronuncia successiva

ORDINANZA N. 106

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfio           FINOCCHIARO       "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Sabino          CASSESE           "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 99, secondo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), promosso con ordinanza del 9 ottobre 2006 dal Giudice unico delle pensioni della Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia della Corte dei conti, sul ricorso proposto da S. R. contro la Direzione provinciale del Tesoro di Bari, iscritta al n. 538 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32, prima serie speciale, dell'anno 2007.

    Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2008 il Giudice relatore Paolo Maddalena.

    Ritenuto che, con ordinanza del 9 ottobre 2006, il Giudice unico delle pensioni della Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia della Corte dei conti ha sollevato, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 99, secondo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), nella parte in cui «prevede il termine quinquennale di prescrizione per la richiesta del trattamento pensioni stico di guerra limitatamente alla ipotesi in cui l'invalidità o la morte derivino da lesioni di arma da fuoco di origine bellica o da esplosione di un ordigno bellico provocata da un minorenne»;

    che il rimettente riferisce che nel giudizio a quo si controverte su una domanda di trattamento pensionistico di guerra presentata il 21 gennaio 1988 e respinta con decreto del Ministro del tesoro 9 luglio 1993 «in quanto pervenuta dopo la scadenza dei termini stabiliti dagli artt. 99 e 127 del D.p.r. n. 915/1978»;

    che, in particolare, nell'impugnare tale provvedimento di rigetto, il ricorrente, nato il 29 dicembre 1945, ha dedotto che «in data 30 aprile 1956 fu ferito agli arti inferiori a seguito dello scoppio di un residuato bellico, siccome comprovato dal referto rilasciato dall'Ospedale civile "Vito Fazzi" di Lecce» e da dichiarazioni testimoniali, precisando altresì che «fino all'anno 1988 non ha mai avuto conoscenza dell'accaduto in quanto tenuto all'oscuro dai suoi genitori, secondo quanto risulta dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà della madre»;

    che il giudice a quo sostiene, quindi, che l'art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 915 del 1978, «nella parte in cui stabilisce il termine quinquennale di prescrizione, con decorrenza dal verificarsi dell'evento lesivo, in relazione alle lesioni da arma da fuoco di origine bellica o allo scoppio di un ordigno bellico provocato da un minore», contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione, giacché  la prevista «prescrizione (rectius: decadenza) del diritto a chiedere il trattamento pensionistico di guerra» violerebbe il principio di uguaglianza «rispetto alla disciplina delle pensioni ordinarie per le quali il dirit to non si perde per prescrizione», secondo quanto disposto dall'art. 5 del d.P.R 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato);

    che il rimettente rammenta che, in forza della sentenza n. 97 del 1980 della Corte costituzionale, le ragioni che giustificherebbero la disciplina del censurato art. 99 del d.P.R. n. 915 del 1978 andrebbero ravvisate nella ovvia «esigenza di un tempestivo accertamento della dipendenza della morte o invalidità da causa di servizio o fatto di guerra ad opera delle competenti autorità amministrative o sanitarie»;

    che, tuttavia, dette particolari ragioni non sussisterebbero nella fattispecie, poiché, ai sensi dell'art. 8, quarto comma, del d.P.R. n. 915 del 1978, «è sempre presunta la dipendenza da fatto di guerra quando l'invalidità o la morte derivino da lesione da arma da fuoco di origine bellica o da esplosione di un ordigno bellico provocata da un minorenne», né potrebbero sussistere ove «poste a raffronto con la disciplina delle pensioni privilegiate ordinarie e, in particolare, con la norma dell'art. 169 D.p.r. 1092/1973, in quanto anche tale norma si fonda sulla esigenza di un tempestivo accertamento della dipendenza della infermità o delle lesioni contratte a causa del servizio»;

    che, ad avviso del giudice a quo, la sollevata questione «si presenta, quindi, non manifestamente infondata e, ancor prima, rilevante nel presente giudizio, in quanto dall'accoglimento della medesima dipende la definizione del medesimo in senso favorevole all'interessato»;

    che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della proposta questione;

    che la difesa erariale ricorda che, con la sentenza n. 97 del 1980, richiamata pure dal giudice a quo, la Corte costituzionale, oltre ad indicare le ragioni particolari che fondano la previsione dell'art. 99 del d.P.R. n. 915 del 1978, avrebbe affermato anche che «il giusto tertium comparationis va ricercato nella disciplina dei trattamenti ordinari per fattispecie di analoga natura» e, segnatamente, nell'àmbito del trattamento privilegiato, ponendo in risalto che l'art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973 stabilisce l'inammissibilità della domanda di liquidazione ove «il dipendente abbia lasciato decorrere cinque anni dalla cessazione del servizio senza chieder e l'accertamento della dipendenza delle infermità o delle lesioni contratte»;

    che, pertanto, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, quanto evidenziato comproverebbe che il «processo di omogeneizzazione nella tutela delle pretese pensionistiche, sia per i trattamenti ordinari che di guerra», invocato dal rimettente, «appare razionalmente e incontrovertibilmente garantito nel diritto positivo vigente».

    Considerato che viene denunciato l'art. 99, secondo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra) nella parte in cui «prevede il termine quinquennale di prescrizione per la richiesta del trattamento pensionistico di guerra limitatamente alla ipotesi in cui l'invalidità o la morte derivino da lesioni di arma da fuoco di origine bellica o da esplosione di un ordigno bellico provocata da un minorenne»;

    che, ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe l'art. 3, primo comma, Cost., giacché la prevista «prescrizione (rectius: decadenza) del diritto a chiedere il trattamento pensionistico di guerra» violerebbe il principio di uguaglianza «rispetto alla disciplina delle pensioni ordinarie per le quali il diritto non si perde per prescrizione», secondo quanto disposto dall'art. 5 del d.P.R 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato);

    che, questa Corte, oltre a porre più volte in risalto la differenza ontologica tra pensioni ordinarie e pensioni di guerra, al fine di escludere la disparità di trattamento di queste ultime rispetto alle prime in punto di disciplina dei termini di prescrizione (tra le altre, ordinanze n. 905 e n. 850 del 1988), con la sentenza n. 125 del 1985, ha già dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 99, secondo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui, appunto, prevede un termine quinquennale di prescrizione per la richiesta della pensione di guerra;

    che, in detta occasione, nel rammentare la propria precedente sentenza n. 97 del 1980 sulle ragioni fondanti la previsione del denunciato art. 99 - da ravvisarsi nella ovvia «esigenza di un tempestivo accertamento della dipendenza della morte o invalidità da causa di servizio o fatto di guerra ad opera delle competenti autorità amministrative o sanitarie» - la Corte ritenne che non fosse correttamente evocato come tertium comparationis l'art. 5 del d.P.R. n. 1092 del 1973, giacché disciplinante fattispecie non omologa - quale quella delle pensioni ordinarie, la cui insorgenza è correlata, essenzialmente, allo scorrere temporale dell'attività di servizio -, dovendosi invece avere riguardo a situazione nella quale venissero «positivamente esaltate le correlazioni e i nessi, concernenti gli altrettanto indispensabili accertamenti medico-legali dell'occorso evento»;

    che, pertanto, il raffronto si reputò possibile con la disciplina del trattamento pensionistico privilegiato, là dove, però, l'art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973 stabilisce proprio l'inammissibilità della domanda di liquidazione ove «il dipendente abbia lasciato decorrere cinque anni dalla cessazione del servizio senza chiedere l'accertamento della dipendenza delle infermità o delle lesioni contratte» (termine elevato ad anni dieci per invalidità derivata da parkinsonismo);

    che, nel presente giudizio, il rimettente insiste nel porre a raffronto la disciplina della prescrizione dettata dall'art. 99 denunciato con quella di cui all'art. 5 del d.P.R. n. 1092 del 1973 sulla imprescrittibilità delle pensioni ordinarie, adducendo come elemento differenziale - che non consentirebbe di fare riferimento all'art. 169 dello stesso testo unico - il fatto che, nella fattispecie, rileverebbe la presunzione legale, di cui all'art. 8, quarto comma, del d.P.R. n. 915 del 1978, sulla dipendenza da fatto di guerra dell'invalidità o della morte derivate «da lesione da arma da fuoco di origine bellica o da esplosione di un ordigno bellico provocata da un minorenne»;

    che a siffatta presunzione, secondo il giudice a quo, non si attaglierebbero le ragioni giustificatrici del denunciato art. 99, le quali andrebbero ravvisate nella ovvia «esigenza di un tempestivo accertamento della dipendenza della morte o invalidità da causa di servizio o fatto di guerra ad opera delle competenti autorità amministrative o sanitarie»;

    che, contrariamente a quanto opina il rimettente, la presunzione di cui al citato art. 8 riguarda esclusivamente «la dipendenza da fatto di guerra» per la liquidazione della relativa pensione (o assegno o indennità) in favore dei soggetti civili, e cioè quella causa violenta descritta dallo stesso art. 8, nei commi dal primo al terzo, mentre la medesima presunzione non opera quanto all'accertamento dei fatti che hanno determinato l'evento stesso, né rispetto alla consistenza oggettiva di quest'ultimo;

    che, dunque, rimangono intatte le esigenze che giustificano la disciplina del denunciato art. 99, le quali, peraltro, non si esauriscono in quelle accennate dalla sentenza n. 97 del 1980, dovendo invece trovare puntualizzazione, secondo la successiva sentenza n. 125 del 1985, nelle «correlazioni e i nessi, concernenti gli altrettanto indispensabili accertamenti medico-legali dell'occorso evento»;

    che, del resto, occorre pure rilevare che, in situazione per taluni profili analoga a quella in esame, l'esigenza di accertamento dei fatti determinanti l'invalidità o la malattia professionale concorre a fondare la ragione giustificativa della prescrizione triennale della rendita INAIL ai sensi dell'art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), come più volte affermato dalla Corte costituzionale (da ultimo, sentenza n. 297 del 1999; ordinanza n. 356 del 2000) nel dichiarare non fondati i dubbi di costituzionalità prospettati avverso la predetta norma, anche sulla base del raffronto con la disciplina dell'imprescrittibi lità del diritto a pensione;

    che la questione deve, pertanto, essere dichiarata manifestamente infondata.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 99, secondo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), sollevata, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, dal Giudice unico delle pensioni della Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia della Corte dei conti, con l'ordinanza in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedentePronuncia successiva

ORDINANZA N. 107

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco             BILE       Presidente

- Giovanni Maria     FLICK        Giudice

- Francesco          AMIRANTE        "

- Ugo                   DE SIERVO         "

- Alfio              FINOCCHIARO     "

- Alfonso            QUARANTA        "

- Franco             GALLO           "

- Luigi              MAZZELLA        "

- Gaetano            SILVESTRI       "

- Sabino             CASSESE         "

- Maria Rita         SAULLE          "

- Giuseppe           TESAURO         "

- Paolo Maria        NAPOLITANO      "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art. 29, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promosso con ordinanza del 28 novembre 2006 dal Tribunale di Alessandria nel procedimento civile vertente tra S. A. e il Ministero dell'Interno, iscritta al n. 654 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 2007.

    Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2008 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.

    Ritenuto che il Tribunale di Alessandria, con ordinanza del 28 novembre 2006, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), per violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della asserita disparità di trattamento del cittadino italiano rispetto al cittadino di altri Stati membri dell'Unione europea, cui sarebbe applicabile l'art. 3 del d.P.R. 18 genna io 2002, n. 54 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea - Testo A);

    che il giudizio a quo ha ad oggetto l'opposizione al provvedimento di revoca del permesso di soggiorno, rilasciato ad un cittadino albanese «per motivi di famiglia» dalla competente Autorità amministrativa, in seguito alla rilevata «mancata convivenza con il coniuge di cittadinanza italiana»;

    che, ad avviso del giudice rimettente, il contrasto tra la norma contenuta nell'art. 30, comma 1-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 e le norme sulla circolazione e lo stabilimento dei cittadini dell'Unione europea e dei loro familiari - emanate in attuazione della normativa comunitaria in materia e contenute nel d.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1656 (Norme sulla circolazione e il soggiorno dei cittadini degli Stati membri della C.E.E.), successivamente abrogato e sostituito dal d.P.R. n. 54 del 2002 - risulterebbe dalla constatazione secondo la quale, mentre il diritto di soggiorno sul territorio nazionale, in base alla norma censurata, può essere negato al coniuge extracomu nitario di un cittadino italiano ove al matrimonio non sia seguita l'effettiva convivenza, tale requisito non sarebbe invece previsto dalla disciplina sulla libera circolazione dei cittadini appartenenti ad uno Stato dell'Unione europea diverso dall'Italia;

    che, in effetti, sempre secondo il rimettente, l'art. 3, punto 3, del d.P.R. n. 54 del 2002, riconoscerebbe «il diritto al soggiorno permanente nel territorio della Repubblica» ai coniugi − anche extracomunitari − dei cittadini dell'Unione, precisando espressamente «quale che sia la cittadinanza»;

    che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la restituzione degli atti al giudice a quo e, in ogni caso, la dichiarazione di infondatezza della questione;

    che, sotto il primo profilo, l'Avvocatura rileva il radicale mutamento del quadro normativo intervenuto nelle more del presente giudizio sia per effetto del d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5 (Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare), il cui art. 2 ha modificato la disposizione oggetto di censura; sia per effetto del d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri), che ha ridisciplinato la materia di cui al d.P.R. n. 54 del 2002, disponendone l'abrogazione;

    che, sotto il secondo profilo, la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri precisa che la disposizione censurata dovrebbe ritenersi riconducibile alla discrezionalità riservata al legislatore nella regolazione delle condizioni di soggiorno dello straniero, potendo altresì considerarsi pienamente giustificata dal fine di evitare forme illecite di immigrazione quali, in particolare, quella attuata a mezzo di "matrimoni di comodo", strumentali ad ottenere il permesso di soggiorno;

    che, in particolare, le disposizioni di cui agli artt. 19, comma 2, lettera c), e 30, comma 1-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 attesterebbero che «il matrimonio con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea, in tanto conferisce allo straniero il diritto al soggiorno in Italia, sia ai fini del rilascio del relativo permesso che ai fini del decreto di espulsione, in quanto ad esso faccia riscontro l'effettiva convivenza, che il legislatore ha legittimamente eretto a parametro di meritevolezza della tutela accordata»;

    che, sempre ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, tale conclusione risulterebbe pienamente conforme a quanto previsto dall'art. 35 della direttiva 2004/38/CE, secondo cui «gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere o revocare un diritto conferito dalla presente direttiva, in caso di abuso di diritto o frode, quale ad esempio un matrimonio fittizio».

    Considerato che il Tribunale di Alessandria ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma 1-bis, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sotto il profilo della asserita disparità di trattamento del cittadino italiano rispetto al cittadino di altri Stati membri dell'Unione europea, cui sarebbe applicabile l'art. 3 del d.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea - Testo A);

    che, nonostante il giudice rimettente abbia omesso di indicare la sussistenza, nella fattispecie concreta, dei presupposti di operatività della norma censurata come prescritti dall'art. 30, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 286 del 1998, ossia che lo straniero in questione sia «regolarmente soggiornante ad altro titolo da almeno un anno» e che il matrimonio con il cittadino italiano sia stato contratto «nel territorio dello Stato», deve rilevarsi, in via preliminare e in accoglimento dell'eccezione formulata dall'Avvocatura dello Stato, il sopravvenuto mutamento del quadro normativo;

    che, infatti, successivamente alla emanazione dell'ordinanza di rimessione, il testo dell'art. 30, comma 1-bis, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, è stato modificato ad opera dell'art. 2 del d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5 (Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare);

    che, inoltre, l'art. 3 del d.P.R. n. 54 del 2002 è stato espressamente abrogato dall'art. 25 del d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri), che ha, fra l'altro, ridisciplinato nel suo complesso la materia concernente il diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, in attuazione della citata direttiva;

    che, pertanto, in conformità della costante giurisprudenza di questa Corte, si impone la restituzione degli atti al giudice rimettente, per una rinnovata valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione sollevata.

       per questi motivi

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Alessandria.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedentePronuncia successiva

ORDINANZA N. 108

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco           BILE       Presidente

- Giovanni Maria   FLICK        Giudice

- Francesco        AMIRANTE        "

- Ugo                 DE SIERVO         "

- Alfio            FINOCCHIARO     "

- Alfonso          QUARANTA        "

- Franco           GALLO           "

- Luigi            MAZZELLA        "

- Gaetano          SILVESTRI       "

- Sabino           CASSESE         "

- Maria Rita       SAULLE          "

- Giuseppe         TESAURO         "

- Paolo Maria      NAPOLITANO      "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 12-13 novembre 2003, (doc. IV - quater, n.91), relativa alla insindacabilità ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall'on. Tiziana Maiolo nei confronti del dott. Gian Carlo Caselli, promosso con ricorso del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza, depositato in cancelleria il 2 novembre 2007 ed iscritto al n. 14 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2007, fase di ammissibilità.

    Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2008 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.

    Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza, con ordinanza del 10 ottobre 2007, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera adottata nella seduta del 13 novembre 2003 (doc. IV-quater, n. 91), con la quale è stato dichiarato che i fatti per i quali è in corso un procedimento penale a carico dell'on. Tiziana Maiolo per il delitto di cui all'art. 595 del codice penale, nonché agli artt. 13 e 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla sta mpa), concernono opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, come tali insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;

    che il Giudice ricorrente riferisce di procedere nei confronti dell'on. Maiolo per il delitto di diffamazione a mezzo stampa perché, quale autrice dell'articolo pubblicato sul quotidiano «Libero» del 5 maggio 2001, dal titolo «Caselli bastonato. Assolto Contrada», avrebbe offeso la reputazione del dott. Gian Carlo Caselli, affermando, tra l'altro: «Una valanga ha travolto l'antimafia del dott. Caselli, con i suoi pentiti, le vendette politiche costruite a tavolino, le versioni concordate . tutto quello che è accaduto in Sicilia dopo gli assassinii dei magistrati Falcone e Borsellino puzza più di ritorsione che di lotta alla mafia . Erano gli anni in cui la Procura della Repubblica di Palermo era unta del Signore e chi la criticava faceva ogge ttivamente il gioco della mafia. L'Ufficio era presieduto dal procuratore Caselli che, tra viaggi per conferenze e dibattiti (un centinaio l'anno) e 'na cospicua attività pubblicistica trovava anche il tempo per condurre indagini . Oggi, però, dopo le assoluzioni di Andreotti, Musotto, e Contrada non si può mettere la parola fine su queste vicende senza aprire un'altra pagina: chi ha imbeccato i pentiti, chi ha costruito la propria carriera (e che carriera) sbattendo qualcuno in galera, distruggendogli la vita e l'onore, isolandolo dalla società per dieci anni, resterà sempre al calduccio senza pagare?»;

    che il ricorrente dà atto della intervenuta richiesta di archiviazione del procedimento da parte del pubblico ministero, sul presupposto dell'approvazione, ad opera della Camera dei deputati, nella seduta del 13 novembre 2003, della delibera di insindacabilità con la quale si è dichiarato che i fatti contestati «concernono opinioni espresse dall'on. Tiziana Maiolo nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi del primo comma dell'articolo 68 della Costituzione»;

    che, a seguito di opposizione proposta dalla persona offesa alla richiesta di archiviazione, il GIP ha ritenuto di dover sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in relazione alla suddetta delibera di insindacabilità della Camera dei deputati;

    che, in particolare, il ricorrente ritiene che le dichiarazioni incriminate non possano ritenersi coperte dalla prerogativa di cui all'art. 68, primo comma, Cost., in quanto, da un lato, non sarebbe possibile individuare alcuno specifico legame cronologico tra l'attività parlamentare svolta dalla citata deputata ed il contenuto dell'articolo giornalistico, e, dall'altro, non vi sarebbe «alcuna corrispondenza di significato − se non si vuole ragionare in termini talmente generici ed indeterminati da apparire nella sostanza elusivi ed evanescenti − tra opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni ed atti esterni, con riferimento al contenuto dell'articolo giornalistico in questione»;

    che, pertanto, il GIP ritiene illegittima la delibera della Camera dei deputati adottata nella seduta del 13 novembre 2003 e chiede, conclusivamente, che la Corte costituzionale dichiari «che non spettava alla Camera dei deputati la valutazione circa la condotta addebitabile all'on. Tiziana Maiolo, oggetto di contestazione nel presente giudizio, in quanto estranea alla sfera di previsione dell'art. 68 Cost.», con conseguente annullamento della citata delibera della Camera dei deputati.

    Considerato che la Corte, in questa fase, è chiamata ai sensi dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a valutare esclusivamente, in assenza di contraddittorio tra le parti, se il promosso conflitto di attribuzione sia ammissibile, sussistendone i prescritti requisiti di carattere soggettivo e oggettivo, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilità;

    che, quanto al profilo soggettivo, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza è legittimato a sollevare il conflitto, in quanto organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente, nell'esercizio delle funzioni attribuitegli, la volontà del potere cui appartiene;

    che analoga legittimazione ad essere parte del conflitto sussiste per la Camera dei deputati, in quanto organo competente a dichiarare in modo definitivo la volontà del potere che rappresenta in merito alla ricorrenza dell'immunità riconosciuta dall'art. 68, primo comma, della Costituzione;

    che, in relazione al profilo oggettivo del conflitto, il ricorrente denuncia la menomazione della propria sfera di attribuzione, garantita da norme costituzionali, ad opera della deliberazione della Camera dei deputati secondo la quale i fatti per i quali è pendente il procedimento penale sarebbero insindacabili in applicazione dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;

    che, infine, dal ricorso si rilevano tanto le «ragioni del conflitto», quanto «le norme costituzionali che regolano la materia», come stabilito dall'art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

        per questi motivi

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza nei confronti della Camera dei deputati con l'atto introduttivo indicato in epigrafe;

    dispone:

che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza;

che l'atto introduttivo e la presente ordinanza siano notificati alla Camera dei deputati, a cura del ricorrente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere poi depositati nella cancelleria di questa Corte, con la prova dell'avvenuta notifica, entro il termine di venti giorni previsto dall'art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedentePronuncia successiva

ORDINANZA N.109

ANNO 2008

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco          BILE      Presidente

- Giovanni Maria  FLICK       Giudice

- Francesco       AMIRANTE       "

- Ugo             DE SIERVO      "

- Paolo           MADDALENA      "

- Alfio           FINOCCHIARO    "

- Alfonso         QUARANTA       "

- Franco          GALLO          "

- Luigi           MAZZELLA       "

- Gaetano         SILVESTRI      "

- Sabino          CASSESE        "

- Maria Rita      SAULLE         "

- Giuseppe        TESAURO        "

- Paolo Maria     NAPOLITANO     "

ha pronunciato la seguente

    ORDINANZA

    nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 18, primo comma, lettera e), della legge 22 aprile 2005 n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), promosso con ordinanza del 25 ottobre 2006 dalla Corte d'appello di Venezia nel procedimento penale a carico di D.L.M., iscritta al n. 78 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica , n. 10, prima serie speciale, dell'anno 2007.

    Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

    Ritenuto che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 11 (non richiamato in dispositivo, ma espressamente indicato in motivazione) e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 1, lettera e), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui pone, quale causa ostativa alla consegna del soggetto nei cui confronti sia stato emesso mandato di arresto europeo, la mancata previsione, nella legislazione dello Stato membro di emissione, di «limiti massimi della carcerazione preventiva»;

    che la Corte rimettente - investita della richiesta di applicazione della misura cautelare avanzata, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 69 del 2005, dal Procuratore generale in relazione a un mandato di arresto europeo emesso dall'autorità giudiziaria della Repubblica federale tedesca − rileva che il sistema processuale penale di tale Paese prevede, per la custodia cautelare, limiti temporali determinati solo fino alla sentenza di primo grado;

    che il giudice a quo, richiamando una pronuncia della Corte di cassazione, assume, altresì, che − sebbene la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo abbia ritenuto conformi alle garanzie prescritte dall'art. 5, terzo comma, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, i sistemi processuali basati sul «controllo periodico ravvicinato» della custodia cautelare, anche in assenza di previsioni legislative di limiti temporali − una «interpretazione sistematica e razionalizzatrice», ispirata a tale orientamento, non sarebbe applicabile alla norma censurata;

    che, infatti, l'art. 18, comma 1, lettera e), impone il rifiuto della consegna e, quindi, la reiezione della richiesta di misura cautelare propedeutica, nel caso in cui la legislazione dello Stato richiedente non preveda «limiti massimi di carcerazione preventiva»; né sarebbe possibile elidere tale condizione ostativa in forza del principio di "interpretazione conforme" al diritto comunitario, giacché quest'ultimo non potrebbe comunque «servire da fondamento ad un'interpretazione contra legem del diritto nazionale»: e ciò tanto più ove si consideri, nella specie, «l'obiettiva conformità del principio contenuto in questa causa di esclusione della consegna con quello previsto nell'ultimo comma dell'art. 13 della Costituzione»;

    che, alla luce di queste premesse e nell'impossibilità di disapplicare la norma, la Corte d'appello rimettente ritiene che la richiesta di misura cautelare debba essere rigettata, proprio perché nell'ordinamento tedesco non sono previsti termini massimi di custodia cautelare; con conseguente rilevanza della questione sollevata;

    che − prosegue ancora il giudice  a quo − la «conformità letterale» della norma censurata all'ultimo comma dell'art. 13 Cost. impone «di apprezzare prima [.] la conformità della causa di esclusione della consegna alla nostra Costituzione, in particolare verificando se si tratti di norma rispondente ad un principio generale indefettibile dell'ordinamento giuridico interno, come tale idoneo a superare eventuali principi e norme comunitarie di diverso contenuto»;  

    che, ad avviso della medesima Corte, la norma impugnata si porrebbe tuttavia in contrasto con gli artt. 3, 11 e 117, primo comma, Cost.

    che, infatti, introducendo il requisito della previsione dei limiti massimi di custodia cautelare, il legislatore nazionale avrebbe inserito, quale causa impeditiva della consegna, una condizione non prevista nella decisione quadro: condizione che − in ragione delle diverse modalità con cui i sistemi nazionali risolvono il problema della verifica della permanente legittimità ed opportunità della custodia cautelare, in ossequio all'obbligo posto dall'art. 5 CEDU − verrebbe a risolversi, di fatto, in un insormontabile ostacolo alla consegna per le richieste provenienti dalla maggior parte degli Stati dell'Unione europea, anche di consolidata tradizione giuridica; «con ciò vanificando la stessa adesione formale dello Stato italiano a l sistema del mandato di arresto europeo»;

    che, pertanto, risulterebbe violato l'art. 3 della Costituzione, per l'irragionevolezza del considerare «la nostra soluzione nazionale dei limiti massimi come parametro non solo interno, ma da imporre agli Stati esteri»; e ciò pur in un contesto in cui quegli Stati hanno consapevolmente disciplinato la verifica sulla legittimità ed opportunità del protrarsi della custodia cautelare, ricorrendo a soluzioni valutate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo come maggiormente adeguate della nostra;

    che sarebbero lesi anche gli artt. 11 e 117, primo comma, della Carta fondamentale, poiché la negazione della consegna a Stati la cui disciplina cautelare - pur diversa da quella vigente nel nostro ordinamento - appare in realtà non solo compatibile, ma addirittura più coerente con i principi giuridici europei, si risolverebbe in una «sostanziale vanificazione della disciplina europea»;

    che, inoltre, secondo la Corte d'appello rimettente, rientra nella competenza della Corte costituzionale, «anche per la delicatezza istituzionale delle implicazioni connesse, la soluzione interpretativa del problema del rapporto tra l'art. 13, ultimo comma, della Costituzione (che l'art. 18, lettera e, della legge n. 69 del 2005 richiama) e i principi e le norme europee»; così da devolvere, in particolare, a questa Corte «la risposta al quesito se la norma contenuta nell'articolo 13 debba essere considerata di rilevanza sistematica tale da non consentire il riconoscimento delle diverse e pur efficaci soluzioni sul punto date da diversi Stati della comunità europea»;&nb sp;

    che ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o, comunque,  per l'infondatezza della questione;

    che la difesa erariale prospetta un'analitica ricostruzione tanto della "storia" dell'ordinamento comunitario, quanto del sistema normativo nei quali si viene a collocare il mandato di arresto europeo ed esamina il rapporto tra la norma censurata e l'ultimo comma dell'art. 13 Cost.; sulla base di ciò, evidenzia come la previsione di un limite massimo al protrarsi della custodia cautelare - rispondendo al più generale principio "europeo" della durata ragionevole della custodia medesima - renda irrilevante la circostanza che il sistema processuale italiano preveda dei termini di fase e dei termini massimi, a differenza di altre legislazioni le quali, invece, fondano la ragionevolezza della durata della custodia cautelare esclusivamente su contr olli di ufficio dell'autorità giudiziaria, obbligatori e periodici;

    che la piena rispondenza di questi ultimi alle esigenze di garanzia di cui all'art. 5, paragrafo 3, della Convenzione europea è stata peraltro certificata dal costante orientamento della Corte di Strasburgo, la quale, anzi, è giunta «in un caso a censurare la legislazione di quegli Stati, come l'Italia, nei quali il controllo sulla carcerazione preventiva è rimesso ad una disposizione di legge generale ed astratta»;

    che, quanto al sistema processuale tedesco, il giudice a quo avrebbe omesso, inoltre, di considerare che - accanto alla previsione di un limite temporale predeterminato della custodia, fino alla sentenza di primo grado - una serie di norme evocano, con la possibilità di proroga di tale termine, un sistema di criteri connessi alla proporzionalità e ragionevolezza della stessa proroga, peraltro eccezionale; talché ne risulta un sistema che si conforma pienamente tanto all'art. 5 della Convenzione europea, quanto alla interpretazione di essa fornita dalla Corte di Strasburgo;  

    che, dunque, se si considera che l'obbligo del giudice italiano è nel senso di garantire l'effettività del diritto comunitario, ne deriva che l'art. 18, lettera e), della legge n. 69 del 2005 potrebbe essere interpretato secondo canoni di razionalizzazione sistematica: vale a dire, nel senso che il mandato di arresto europeo non possa essere rifiutato dall'Italia, quando lo Stato estero richiedente «ha una disciplina della custodia cautelare ispirata al principio della durata ragionevole della medesima custodia»;

    che, infine, l'Avvocatura dello Stato, a riprova della praticabilità della interpretazione adeguatrice sostenuta, fa rilevare che è stata rimessa alla Sezioni unite della Cassazione proprio la questione «se la disposizione di cui all'art. 18, lettera e), legge 22 aprile 2005, n. 69 debba essere valutata in termini restrittivi, oppure possa essere valutata in concreto, verificando, di volta in volta, se il sistema cautelare straniero fornisca una garanzia equivalente a quella offerta nel nostro ordinamento, attraverso il regime dei limiti massimi di custodia, prendendo in considerazione anche istituti diversi, comunque funzionali ad un effettivo controllo e limitazione della 'carcerazione preventiva'» .

    Considerato che la Corte d'appello di Venezia dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 11 e 117, primo comma, della Costituzione, dell'art. 18, comma 1, lettera e), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui configura, come c ausa ostativa alla consegna del soggetto nei cui confronti sia stato emesso mandato di arresto europeo, la mancata previsione, nella legislazione dello Stato membro di emissione, di «limiti massimi della carcerazione preventiva»;

    che, ad avviso della Corte rimettente, la norma impugnata risulterebbe lesiva del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.); essa, infatti, verrebbe ad "imporre" la soluzione dell'ordinamento italiano, in tema di previsione di limiti massimi di carcerazione preventiva, anche a Stati esteri che - come nel caso di specie - prevedono periodici controlli sulla legittimità ed opportunità della protrazione della custodia cautelare: soluzione, quest'ultima, giudicata maggiormente "garantista" della prima dalla stessa Corte europea dei diritti dell'uomo;

    che sarebbero compromessi, altresì, gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., giacché l'effetto della norma censurata − ossia il rifiuto di consegna del soggetto destinatario di mandato d'arresto europeo a Stati la cui disciplina della custodia cautelare, sebbene diversa da quella italiana, risulta non solo non contraria, ma addirittura maggiormente coerente ai «principi giuridici europei», e segnatamente all'art. 5, paragrafo 3, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo − si risolverebbe in una «sostanziale vanificazione» degli obiettivi della decisione quadro che pure la legge n. 69 del 2005 era diretta ad attuare;

    che il rimettente esclude che la norma impugnata si presti ad una interpretazione "adeguatrice", sulla scorta del mero richiamo ad una pronuncia della Corte di cassazione, senza peraltro esplicitare le ragioni della sua condivisione e della conseguente impossibilità di una diversa soluzione ermeneutica: soluzione successivamente adottata, peraltro, dalle Sezioni unite della stessa Corte di cassazione (sentenza 30 gennaio 2007, n. 46114);

    che − a prescindere da ogni rilievo circa tale assunto preliminare − il giudice  a quo, nel formulare il quesito di costituzionalità, omette totalmente di esprimersi sul problema − condizionante, per sua stessa affermazione, la fondatezza o meno della questione − se la regola della previsione di termini massimi di carcerazione preventiva, che la norma denunciata mutua dall'art. 13, ultimo comma, Cost., sia o meno "cedevole" di fronte all'obbligo di rispetto dei vincoli scaturenti dall'ordinamento comunitario e dalle convenzioni internazionali, sancito a carico del legislatore nazionale dall'art. 117 Cost.;

    che, al riguardo, il giudice rimettente − limitandosi ad affermare che spetta a questa Corte «la soluzione interpretativa del problema del rapporto tra l'art. 13, ultimo comma, Cost.», che la norma impugnata «richiama», «ed i principi e le norme europee» − si astiene dichiaratamente dall'effettuare il doveroso scrutinio circa l'effettiva consistenza del dubbio di costituzionalità: giacché è proprio lo scioglimento di tale alternativa ermeneutica irrisolta a costituire la base logica della valutazione di non manifesta infondatezza, che spetta al giudice a quo compiere prima di sollevare la questione di costituzionalità;

    che la questione deve essere dichiarata, pertanto, manifestamente inammissibile.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

     per questi motivi

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 1, lettera e), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 11 e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Venezia con l'ordinanza in e pigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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ORDINANZA N. 110

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco         BILE         Presidente

-  Giovanni Maria FLICK          Giudice

-  Francesco      AMIRANTE          "

-  Ugo            DE SIERVO         "

-  Paolo          MADDALENA         "

-  Alfio          FINOCCHIARO       "

-  Alfonso        QUARANTA          "

-  Franco         GALLO             "

-  Gaetano        SILVESTRI         "

-  Sabino         CASSESE           "

-  Maria Rita     SAULLE            "

-  Giuseppe       TESAURO           "

-  Paolo Maria    NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 45, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), quale modificato dall'art. 6, comma 17, lettera b), della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2000), promosso con ordinanza del 13 maggio 2004 dalla Commis sione tributaria provinciale di Napoli sui ricorsi riuniti proposti dalla s.p.a. Banco di Napoli (ora s.p.a. San Paolo IMI - Banco di Napoli s.p.a.) contro la Direzione regionale delle entrate della Campania (ora Agenzia delle entrate, ufficio di Napoli 1) ed altri, iscritta al n. 644 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2007.

      Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

      udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2008 il Giudice relatore Franco Gallo.

      Ritenuto che, nel corso di due giudizi riuniti - nei quali una banca aveva proposto ricorso avverso il silenzio-rifiuto formatosi a séguito dell'istanza di rimborso delle somme corrisposte a titolo di imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), rispettivamente, per gli anni d'imposta 1998 e 1999 -, la Commissione tributaria provinciale di Napoli, con ordinanza depositata il 13 maggio 2004, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità dell'art. 45, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), quale modificato dall'art. 6, comma 17, lettera b), della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2000);

    che la Commissione rimettente premette, in punto di fatto, che: a) l'istituto di credito ricorrente aveva corrisposto al concessionario della riscossione di Napoli, per l'accredito alla tesoreria competente, l'IRAP relativa agli esercizi 1998 e 1999, calcolata applicando al valore della produzione netta l'aliquota del 5,4 per cento, fissata a carico delle banche, in via transitoria, dalla censurata disposizione; b) il ricorrente, sul presupposto dell'illegittimità costituzionale della indicata aliquota d'imposta, aveva richiesto il rimborso delle somme versate in eccedenza rispetto all'aliquota ordinaria del 4,25 per cento, prevista dal comma 1 dell'art. 16 del citato d. lgs. n. 446 del 1997 ( nel testo applicabile ratione temporis alle fattispecie), ed aveva proposto ricorso nei confronti sia dell'Agenzia delle entrate, sia delle Regioni tra le quali era stato ripartito il gettito dell'IRAP;

    che il giudice a quo premette altresí, in punto di diritto, che - nello stabilire che l'IRAP, in quanto imposta sostitutiva di precedenti tributi e contributi, dovesse originariamente mantenere un gettito erariale pari a quello dei prelievi sostituiti - il legislatore: a) ha fissato per detta imposta una «aliquota base» pari al 4,25 per cento, costituente «l'aliquota di equilibrio per il settore privato dell'economia», cioè tale da consentire «di ottenere il gettito necessario per compensare le mancate entrate dovute all'abolizione dei tributi e contributi prima esistenti»; b) ha effettuato una redistribuzione del carico d'imposta tra i settori produt tivi, «stabilendo tra essi diverse aliquote (minori o maggiori rispetto all'aliquota base) in modo tale che l'importo del gettito finale della nuova imposizione non cambiasse»; c) ha fissato, in particolare, «un'aliquota del 3% per l'agricoltura e un'aliquota al 5% per il settore bancario e intermediazione finanziaria, aliquota che poi con la legge n. 488/1999 è stata ulteriormente aumentata, anche se in via transitoria, al 5,4%»;

    che, quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente afferma che la disposizione denunciata - nel disporre, con riferimento alle banche, che per i periodi d'imposta in corso al 1° gennaio 1998 ed al 1° gennaio 1999 «l'aliquota è stabilita nella misura del 5,4 per cento [.]» (cioè in maniera diversa dall'aliquota base del 4,25 per cento) - crea, tra i diversi settori di attività produttiva, una disparità di trattamento arbitraria e priva di giustificazione «nel sistema»;

    che, secondo il giudice a quo, la nuova nozione di «capacità contributiva reale», introdotta dal legislatore per l'IRAP e rappresentata dal «dominio sui fattori della produzione e dalla potenzialità economica e produttiva dell'impresa», esclude «ogni [.] differenziazione di aliquote tra i vari settori [.] in quanto vi è un settore che è sottoposto ad una pressione tributaria maggiore (banche ed intermediari finanziari) e un settore che viene agevolato nella imposizione delle aliquote (agricolo), senza un razionale motivo»;

    che, sempre ad avviso del rimettente, la differenziazione delle aliquote d'imposta a seconda dei diversi settori produttivi, stabilita dalla disposizione censurata, víola gli artt. 3 e 53 della Costituzione, perché - pur in presenza di una identica «capacità contributiva reale», rappresentata dalla «differenza tra i ricavi e i costi» dell'impresa di cui sono titolari i soggetti passivi d'imposta - sottopone le imprese del settore finanziario (come le banche) ad un prelievo fiscale maggiore rispetto agli altri settori e, conseguentemente, pone a carico di dette imprese l'onere economico di colmare il minore gettito dell'IRAP derivante dall'applicazione di aliquote d'imposta più basse nel settor e dell'agricoltura;

    che, secondo il giudice a quo, la disposizione censurata non prevede agevolazioni o benefici tributari, ma pone sacrifici esclusivamente a carico di alcuni settori produttivi, «al fine di determinare un equilibrio di gettito finanziario carente per le agevolazioni concesse» a soggetti passivi operanti in altri settori produttivi e dotati di pari capacità contributiva «reale», con la conseguenza che non può invocarsi a sostegno della legittimità costituzionale di detta disposizione la giurisprudenza costituzionale secondo cui rientrano nella discrezionalità del legislatore la previsione e la conformazione delle agevolazioni e dei benefici tributari (se ntenze n. 52 del 1988; n. 543 del 1987);

    che, infine, quanto alla rilevanza, il giudice rimettente osserva che «La Commissione giudica rilevante [.] la proposta eccezione di legittimità costituzionale»;

    che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate, perché su di esse la Corte costituzionale si è già pronunciata nel senso della non fondatezza con la sentenza n. 21 del 2005;

    che, in particolare, la difesa erariale, richiamando detta sentenza, afferma che: a) rientra nella discrezionalità del legislatore la previsione di aliquote differenziate per settori produttivi e per tipologie di soggetti; b) la transitoria differenziazione delle aliquote prevista dalla norma denunciata è stata ragionevolmente disposta dal legislatore; c) non sussiste la denunciata violazione del principio della generalità dell'obbligo contributivo e non è corretto assumere che le agevolazioni concesse transitoriamente al settore agricolo sono esattamente e esclusivamente finanziate, con correlazione causale necessaria, dalle maggiori aliquote transitoria mente poste a carico del settore bancario, finanziario e assicurativo.

    Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Napoli dubita, in riferimento agli artt. artt. 3 e 53 della Costituzione, della legittimità dell'art. 45, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) - come modificato dall'art. 6, comma 17, lettera b), della legge 23 dice mbre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2000) -, il quale prevede che, per i soggetti di cui agli artt. 6 e 7 del medesimo d. lgs. n. 446 del 1997 (cioè per le banche, gli istituti finanziari e le imprese di assicurazioni), l'aliquota dell'IRAP è dovuta, per i periodi d'imposta in corso al 1° gennaio 1998 ed al 1° gennaio 1999, nella misura del 5,4 per cento, invece che nella misura ordinaria del 4,25 per cento fissata dal comma 1 dell'art. 16 dello stesso d. lgs. n. 446 del 1997, nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie, e cioè nel testo anteriore all'entrata in vigore dall'art. 1, comma 50, lettera h), della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008 ), che detta aliquota ha modificato;

    che, ad avviso del rimettente, la transitoria previsione di aliquote maggiori dell'IRAP per i soggetti di cui ai menzionati artt. 6 e 7 del d. lgs. n. 446 del 1997 - pur in presenza di una identica «capacità contributiva reale», rappresentata dalla «differenza tra i ricavi e i costi» dell'impresa di cui sono titolari i soggetti passivi d'imposta - sottopone irragionevolmente le imprese del settore finanziario (come le banche) ad un prelievo fiscale maggiore rispetto agli altri settori produttivi e, conseguentemente, crea, tra i diversi settori di attività, una disparità di trattamento arbitraria e priva di giustificazione nel sistema, in particolare, ponendo a carico di dette imprese del settore finanziario l'onere economico di colmare il minor gettito dell'IRAP derivante dall'applicazione di aliquote d'imposta più basse nel settore dell'agricoltura;

    che questioni identiche a quelle sollevate dal rimettente sono state già dichiarate non fondate da questa Corte con la sentenza n. 21 del 2005, successiva all'ordinanza di rimessione;

    che, in particolare, con tale pronuncia si è escluso che la censurata disposizione violi gli artt. 3 e 53 Cost., perché, nel caso della transitoria differenziazione delle aliquote disposta dall'art. 45, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, la previsione di aliquote diverse per settori produttivi e per tipologie di soggetti passivi - differenziazione che comunque rientra pienamente nella discrezionalità del legislatore, se sorretta da non irragionevoli motivi di politica economica e redistributiva - trova il suo specifico fondamento «nel carattere dell'IRAP di tributo sostitutivo di altri tributi e prestazioni imposte e, quindi, nel ragionevole intento del legislatore delegato di g arantire una certa continuità tra il precedente e il nuovo regime, soprattutto in termini redistributivi e di gettito»;

    che con la medesima sentenza si è anche affermato che l'aumento provvisorio e calibrato delle aliquote per i settori bancario, finanziario e assicurativo non víola i suddetti parametri costituzionali, essendo esso la conseguenza, da una parte, della non irragionevole «valutazione del legislatore circa il minore impatto del nuovo tributo sui detti settori» e, dall'altra, «di una scelta di politica redistributiva volta ad assicurare, in ragione del carattere surrogatorio del tributo, la continuità del prelievo e ad evitare, quindi, possibili divergenze tra la precedente ripartizione del carico fiscale e quella che si sarebbe verificata ove nella fase di prima applicazione si fosse adottata una a liquota unica e indifferenziata per tutti i settori produttivi del comparto privato»;

    che l'indicata pronuncia, infine, ha rilevato l'erroneità dell'assunto (posto a base di alcune argomentazioni dei rimettenti) che le agevolazioni transitoriamente attribuite dal legislatore con l'art. 45 del d. lgs. n. 446 del 1997 al settore agricolo e delle cooperative della piccola pesca e loro consorzi siano esattamente ed esclusivamente finanziate, con correlazione causale necessaria, dalle maggiori aliquote transitoriamente poste a carico del settore bancario, finanziario ed assicurativo;

    che il rimettente non prospetta, pertanto, profili diversi da quelli già presi in esame con la citata sentenza n. 21 del 2005 o comunque tali da indurre questa Corte a modificare il precedente orientamento;

    che le questioni, dunque, devono essere dichiarate manifestamente infondate.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

       per questi motivi

    La Corte costituzionale

    dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 45, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), quale modificato dall'art. 6, comma 17 , lettera b), della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2000), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli con l'ordinanza indicata in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedente

ORDINANZA N. 111

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco           BILE       Presidente

- Giovanni Maria   FLICK        Giudice

- Francesco        AMIRANTE        "

- Ugo                 DE SIERVO        "

- Paolo            MADDALENA       "

- Alfio            FINOCCHIARO     "

- Alfonso          QUARANTA        "

- Franco           GALLO           "

- Gaetano          SILVESTRI       "

- Sabino           CASSESE         "

- Maria Rita       SAULLE          "

- Giuseppe         TESAURO         "

- Paolo Maria      NAPOLITANO      "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 3 e 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promossi con due ordinanze, emesse il 13 dicembre 2006 dal Giudice di pace di Napoli sui ricorsi proposti da R. M. e da P. L. contro il Prefetto di Napoli, iscritte ai nn. 630 e 631 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2007.

      Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

      udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2008 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.

    Ritenuto che il giudice di pace di Napoli, con due ordinanze di identico contenuto, depositate il 13 dicembre 2006, nel corso di giudizi promossi da R.M. e da P.L. avverso i decreti di espulsione emessi dal Prefetto di Napoli e i consequenziali provvedimenti di esecuzione del Questore, ha sollevato, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 3 e 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui prevede, da un lato, l'immediata esecutorietà del decreto di espulsione prefettizio, anc orché sottoposto a gravame o impugnativa e, dall'altro, l'impossibilità per il Giudice di pace di adottare provvedimenti cautelari di sospensione del cennato decreto fino alla data fissata per la camera di consiglio;

    che il dedotto contrasto della norma censurata con l'art. 24 della Costituzione deriverebbe, a parere del rimettente, dal fatto che al decreto di espulsione consegue l'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale (ex art. 14, comma 5-bis, d.lgs. n. 286 del 1998), provvedimento, questo ultimo, per il quale non sarebbe prevista, «a differenza dei casi di cui ai commi 4, 5 e 5-bis del richiamato art. 13, alcuna forma di convalida»;

    che, al fine di superare il sollevato dubbio di costituzionalità, il giudice a quo ritiene inadeguata la procedura camerale di cui agli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile, in quanto, oltre a non consentire la formazione di un giudicato, essa non è idonea a garantire i diritti del ricorrente;

    che il rimettente, pur consapevole che questa Corte, con la sentenza n. 161 del 2000, ha dichiarato la medesima questione infondata, ritenendo non necessaria la tutela cautelare nei casi in cui la legge prevede che la pronuncia definitiva intervenga entro un breve termine dalla formulazione della domanda, rileva che il mutato quadro normativo impone una nuova valutazione della compatibilità delle disposizioni censurate con i suddetti principi;

    che, in particolare, la nuova formulazione dell'art 13, comma 8, nel prevedere un termine lungo sia per la proposizione del ricorso (sessanta giorni), che per la sua decisione da parte del giudice di pace (venti giorni), renderebbe necessaria la previsione di una tutela cautelare, in quanto la suddetta scansione temporale, collegata all'immediata esecutività del decreto di espulsione e all'assenza di strumenti cautelari sino alla data fissata per la camera di consiglio, «non risponde agli indirizzi garantistici indicati dal giudice costituzionale per l'effettiva garanzia giurisdizionale dell'immigrato, il quale può essere soggetto agli ulteriori provvedimenti dell'autorità di polizia, senza che sull'atto presupposto sia avvenuta la verifica giudiziale della sua legittimità» , verifica che può avvenire nel termine massimo di ottanta giorni dalla sua emissione;

    che in entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la declaratoria di manifesta inammissibilità o, in subordine, di manifesta infondatezza della questione;

    che, in via preliminare, l'Avvocatura rileva che nelle ordinanze di rimessione difetta ogni motivazione in ordine alla rilevanza della questione sollevata;

    che, nel merito, a parere della difesa erariale, le norme censurate non violerebbero in alcun modo il diritto di difesa, poiché, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 358 del 2001), il legislatore può legittimamente prevederne diverse modalità di esercizio in ragione dei diversi tipi di procedimento in cui tale diritto trova esplicazione, «purché non ne venga intaccato il nucleo irriducibile»;

    che, nel caso di specie, la tutela del diritto di difesa si contrappone alla immediata esecutività del decreto di espulsione, la quale si giustifica con l'esigenza di tutela della collettività posta a fondamento del controllo di un ordinato flusso migratorio, di talché tale bilanciamento non lede l'evocato parametro costituzionale, il quale trova piena e concreta attuazione grazie a numerose disposizioni del d.lgs. n. 286 del 1998.

    Considerato che le ordinanze propongono la medesima questione e i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi congiuntamente;

    che il giudice di pace di Napoli dubita, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 3 e 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui prevede, da un lato, l'immediata esecutorietà del decreto di espulsione prefettizio, ancorché sottoposto a gravame o impugnativa e, dall'altro, l'impossibilità per il Giudice di pace di adottare provvedimenti cautelari di sospensione del cennato decreto fino alla data fissata per la camera di consiglio;

    che, a prescindere dalla omessa motivazione in ordine alla impossibilità di rinvenire, nell'ambito dell'ordinamento, uno strumento idoneo ad assicurare la tutela cautelare invocata, il rimettente non indica la cittadinanza dei soggetti ricorrenti nei giudizi a quibus;

    che tale elemento risulta determinante ai fini dell'individuazione del regime giuridico applicabile nel caso concreto, atteso che il d.lgs. n. 286 del 1998 − come esplicitamente stabilisce l'art. 1 − si applica solo «ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea»;

    che, ai fini della rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale, la condizione soggettiva di cittadino extracomunitario è suscettibile di modificazioni in dipendenza dell'eventuale adesione all'Unione europea dello Stato di cui il soggetto in questione abbia, in ipotesi, la cittadinanza;

    che il giudice a quo, al contrario, si è limitato ad indicare il nome e il cognome dei ricorrenti avverso i decreti di espulsione, senza specificare altri dati anagrafici, di talché gli elementi forniti risultano insufficienti a dimostrare la cittadinanza extracomunitaria dei destinatari dei cennati provvedimenti;

    che, pertanto, la questione è manifestamente inammissibile per la mancata indicazione di un elemento essenziale della fattispecie.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

      per questi motivi

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,

    dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 3 e 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Napoli, con le ordinanze indicate in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA




 
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