Deposito del 18/06/2008 (dalla 213 alla 218) |
S.213/2008 del 09/06/2008 Udienza Pubblica del 06/05/2008, Presidente BILE, Relatore MADDALENA Norme impugnate: Art. 2, c. 7°, della legge della Regione Sardegna 28/12/2006, n. 21; art. 2, c. 1°, lett. a) e c), della legge della Regione Sardegna 29/05/2007, n. 2. Oggetto: Finanza regionale - Disposizioni della Regione Sardegna - Previsione che lo stanziamento iscritto in conto del capitolo 12106-01 (UPB E03.034) del bilancio per l'anno 2006 costituisce accertamento d'entrata a valere su quota parte del gettito delle compartecipazioni tributarie spettanti alla Regione in ragione di euro 500.000.000 per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015; Previs ione della facoltà della Regione, nei limiti delle maggiori somme previste per gli esercizi futuri, di stanziare importi che verranno trasferiti dallo Stato negli esercizi futuri provvedendo a compensare tali maggiori stanziamenti con minori iscrizioni d'entrata negli anni successivi nell'ambito del bilancio pluriennale di riferimento; Previsione che lo stanziamento di cui al comma 7-bis della legge regionale n. 11/2006 è correlato ad iscrizioni di spesa di investimento elencate in apposita tabella allegata alla legge finanziaria, ed è rideterminato, in sede di consuntivo, sulla base degli impegni assunti dalle commissioni di spesa a termini di legge e come tale costituisce residuo attivo - Previsione che le quote non utilizzate costituiscono minore entrata, portata ad aumento delle iscrizioni residue delle assegnazioni spettanti per l'anno di pertinenza; Previsione della posizione a carico dei richiedenti dell'onere sostenuto dall'Amministrazione regionale per il rimborso delle entr ate, salvo che per le somme minori di 15 euro e, dell'intero importo, se la somma da rimborsare supera i 15 euro - Previsione della possibilità di aggiornamento dell'importo succitato con la legge di bilancio. Dispositivo: illegittimità costituzionale - inammissibilità Atti decisi: ord. 611/2007 |
S.214/2008 del 09/06/2008 Udienza Pubblica del 06/05/2008, Presidente BILE, Relatore TESAURO Norme impugnate: Art. 5 della legge della Regione Emilia Romagna 01/06/2006, n. 5, come modificato dall'art. 25 della legge della Regione Emilia Romagna 28/07/2006, n. 13. Oggetto: Ambiente - Procedimenti di bonifica dei siti contaminati - Pr evisione che i procedimenti di bonifica già avviati alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si concludano sulla base della legislazione vigente alla data del loro avvio. Dispositivo: illegittimità costituzionale Atti decisi: ord. 737/2007 |
S.215/2008 del 09/06/2008 Camera di Consiglio del 07/05/2008, Presidente BILE, Relatore TESAURO Norme impugnate: Art. 1, c. 547°, della legge 23/12/2005, n. 266. Oggetto: Sicurezza pubblica - Violazioni nella produzione, importazione, distribuzione e installazione di apparecchi da gioco (art. 110, co. 9, regio decreto n. 773/1931) - Intervenuta depenalizzaz ione - Inapplicabilità alle violazioni commesse anteriormente. Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale - manifesta inammissibilità Atti decisi: ord. 805, 847 e 852/2007 |
S.216/2008 del 09/06/2008 Udienza Pubblica del 06/05/2008, Presidente BILE, Relatore QUARANTA Norme impugnate: Artt. 1 e 2 del decreto legge 20/03/2007, n. 23, sia nel testo originario che in quello risultante all'esito delle modifiche apportate dalla relativa legge di conversione 17/05/2007, n. 64. Oggetto: Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Ripiano dei disavanzi sanitari delle Regioni con efficacia retroattiva mediante subentro statale - Stanziamento di 3.000 milioni di euro per il periodo 2001-2005. Dispositivo: inammissibilità Atti decisi: ric. 25, 26, 32 e 34/2007 |
O.217/2008 del 09/06/2008 Camera di Consiglio del 07/05/2008, Presidente BILE, Relatore MAZZELLA Norme impugnate: Art. 186 del codice della strada (d.lgs. 30.4.1992, n. 285), come sostituito dall'art. 5 del decreto legge 27/06/2003, n. 151, convertito con modificazioni in legge 01/08/2003, n. 214. Oggetto: Circolazione stradale - Reato di guida sotto l'influenza dell'alcool e reato di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti - Prevista competenza, rispettivamente , del tribunale monocratico e del giudice di pace. Dispositivo: manifesta inammissibilità Atti decisi: ord. 822 e 823/2007 |
O.218/2008 del 09/06/2008 Camera di Consiglio del 21/05/2008, Presidente BILE, Relatore DE SIERVO Norme impugnate: Art. 37 del decreto legislativo 15/11/1993, n. 507. Oggetto: Imposte e tasse - Imposta comunale sulla pubblicità - Rideterminazione della tariffa dell'imposta comunale sulla pubblicità ordinaria - Prevista competenza del Presidente del Consiglio dei ministri - Omessa determinazione legislativa di principi e di criteri direttivi idonei a delimitare la discrezionalità dell'amministrazione finanzia ria e a garantire le ragioni dei contribuenti. Dispositivo: manifesta inammissibilità Atti decisi: ord. 856/2007 |
ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 7, della legge della Regione Sardegna 28 dicembre 2006, n. 21 (Autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio della Regione per l'anno 2007 e disposizioni per la chiusura dell'esercizio 2006), e dell'art. 2, comma 1, lettere a) e c), della legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione - legge finanziaria 2007), promosso con ordinanza del 28 giugno 2007 dalla Corte dei conti - Sezioni riunite per la Regione Sardegna nel giudizio di parificazione del rendiconto della Regione Sardegna per l'esercizio finanziario 2006, iscritta al n. 611 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2007. Visto l'atto di costituzione della Regione Sardegna; udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 2008 il Giudice relatore Paolo Maddalena; uditi gli avvocati Graziano Campus, Paolo Carrozza e Augusto Fantozzi per la Regione Sardegna. Ritenuto in fatto 1. ¾ Con ordinanza del 28 giugno 2007 la Corte dei conti - sezioni riunite per la Regione Sardegna solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 7, della legge della Regione Sardegna 28 d icembre 2006, n. 21 (Autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio della Regione per l'anno 2007 e disposizioni per la chiusura dell'esercizio 2006), e dell'art. 2, comma 1, lettere a) e c), della legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione - legge finanziaria 2007), in riferimento all'art. 81, primo e quarto comma, della Costituzione ed all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 81 della Costituzione. 1.1. ¾ L'art. 2, comma 7, della legge della Regione Sardegna n. 21 del 2006 prevede che «Lo stanziamento iscritto in conto del capitolo 12106-01 (UPB E03.034) del bilancio per l'anno 2006 costituisce accertamento d'entrata a valere su quota parte del gettito delle compartecipazioni tributarie spettanti alla Regione in ragione di euro 500.000.000 per ciascuno deg li anni 2013, 2014 e 2015». 1.2. ¾ L'art. 2, comma 1, lettera a), della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007 inserisce, dopo il comma 7 dell'art. 30 della legge della Regione Sardegna 2 agosto 2006, n. 11 (Norme in materia di programmazione, di bilancio e di contabilità della Regione autonoma della Sardegna. Ab rogazione della legge regionale 7 luglio 1975, n. 27, della legge regionale 5 maggio 1983, n. 11 e della legge regionale 9 giugno 1999, n. 23), il comma 7-bis, per il quale «La Regione ha facoltà, qualora ne ravvisi la necessità e nei limiti delle maggiori somme previste per gli esercizi futuri, di stanziare con la legge finanziaria importi che verranno trasferiti dallo Stato negli anni futuri, provvedendo a compensare tali maggiori stanziamenti con minori iscrizioni d'entrata negli anni successivi, nell'ambito del bilancio pluriennale di riferimento. Restano confermate le regole recate dalla normativa che disciplina il Patto di stabilità interno» ed il comma 7-ter secondo il quale «Lo stanziamento di cui al comma 7-bis è correlato ad iscrizioni di spesa di investimento elencate in apposita tabella allegata alla legge finanziaria, ed è rideterminato, in sed e di consuntivo, sulla base degli impegni assunti o delle conservazioni di spesa effettuate a termini di legge e come tale costituisce residuo attivo. La quota non utilizzata costituisce minore entrata ed è portata ad incremento delle iscrizioni residue delle assegnazioni spettanti per l'anno di pertinenza». 1.3. ¾ L'art. 2, comma 1, lettera c), della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007 sostituisce il comma 1 dell'art. 36 della legge della Regione Sardegna n. 11 del 2006, prevedendo che «L'entrata è accertata quando è appurata la ragione del credito, l'identità del debitore e l'ammontare del credito; per le entrate d erivanti da compartecipazioni ai tributi erariali l'accertamento è effettuato sulla base del relativo gettito risultante dalle comunicazioni degli uffici finanziari dello Stato e sulla base degli elementi da assumere a riferimento per la quantificazione della spettanza annua» ed espungendo, così, il riferimento alla scadenza del credito nell'esercizio finanziario. 2. ¾ La rimettente Corte dei conti chiarisce di stare procedendo al giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Sardegna per l'esercizio 2006 e sostiene di essere legittimata a sollevare in tale ambito le dedotte questioni di legittimità costituzionale, essendo queste proposte in riferimento all'articolo 81 della Costituzione. Il giudice a quo richiama, in proposito, la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 244 del 1995), per la quale la legittimazione in sede di giudizio di parificazione sussiste là dove vengano denunciate, per contrarietà con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, leggi che determinino (come, a suo dire, quelle impugnate determinerebbero) effetti modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto stesso di incidere, in senso globale, sulle unità elementari, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione. E rimarca come, essendo venuti meno i controlli preventivi sugli atti regionali, il giudizio di parificazione sia restato spesso l'unica occasione possibile per sollevare questioni di leg ittimità costituzionale in relazione a leggi regionali. 3. ¾ La Corte dei conti contesta, anzitutto, l'art. 2, comma 7, della legge della Regione Sardegna n. 21 del 2006, che prevede l'iscrizione al bilancio per l'anno 2006 di quota parte del gettito delle compartecipazioni tributarie spettanti alla Regione per gli anni 2013, 2014 e 2015, per complessivi 1 miliardo e 500 milioni di euro. L'importanza di tale previsione ai fini del giudizio in corso è puntualizzata dalla Corte dei conti, la quale specifica che: dall'iscrizione della somma di 1 miliardo e 500 milioni di euro in conto del capitolo 12106-01 (UPB E03-034) del bilancio per l'anno 2006 è derivato un saldo attivo dello stesso bilancio, pari ad euro 1.321.271.001, in luogo di un disavanzo di euro 187.728.999; che l'utilizzo di tale «entrata» a scomputo del disavanzo di amministrazione ha comportato una riduzione «apparente» dello stesso ad euro 999.994.126,49; che l'importo in contestazione costituisce il 22,27 % del bilancio regionale, sicché l'eventuale accoglimento della questione porterebbe alla non parificazione de llo stesso. 3.1. ¾ Il rimettente rileva che tale disposizione prevede l'accertamento attuale di una entrata futura quale mezzo di finanziamento di spese correnti e sostiene che tale «tecnica di copertura» sia irrazionale ed irragionevole, del tutto estranea ai canoni previsti dalla contabilità pubblica non solo statale (art. 11-ter della legge 5 agosto 1978, n. 468, recante «Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio»), ma anche regionale (art. 33, comma 2, della legge della Regione Sardegna n. 11 del 2006) e, soprattutto, in contrasto con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale formatasi sull'ivi affermato principio di necessaria copertura finanziaria delle spese. Il rimettente richiama, al riguardo, le sentenze n. 1 del 1966 e n. 54 del 1983, dalle quali ricava che la copertura delle spese deve essere reale e deve consistere in risorse accertate con riferimento all'esercizio in cui si effettua la spesa, con conseguente divieto di finanziare in competenza la spesa con entrate future. 3.2. ¾ Per il rimettente l'illegittimità costituzionale della previsione impugnata non sarebbe smentita dall'art. 1, comma 2, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, per il quale il disposto del censurato art. 2, comma 7, della legge regionale n. 21 del 2006 «deve intendersi quale operazione finanziaria straordinaria finalizzata alla copertura di una q uota parte, pari ad euro 1.500.000.000, del disavanzo di amministrazione di cui all'articolo 1, comma 4, della legge regionale 24 febbraio 2006, n. 1 (legge finanziaria 2006), conseguente alla modifica dell'articolo 8 dello Statuto speciale introdotta dall'articolo 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006». Il rimettente ritiene, infatti, che la finalizzazione della «operazione finanziaria straordinaria» alla copertura del disavanzo non consenta di ritenere che la norma impugnata non importi nuove o maggiori spese e, quindi, di escludere l'applicazione del principio di cui all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, posto che la norma impugnata prevede chiaramente una entrata futura e la destina al finanziamento di una spesa (e precisamente del disavanzo) corrente. 3.3. ¾ La disposizione in questione è poi censurata pure in riferimento al principio di annualità del bilancio, di cui all'art. 81, primo comma, della Costituzione. Il rimettente si interroga, in proposito, sulle conseguenze che comporterebbe l'ammissibilità di coprire spese attuali con entrate future, chiedendosi fino a quale anno futuro il legislatore potrebbe spingersi per attingere risorse da impegnare. 3.4. ¾ I medesimi principi di annualità del bilancio e di copertura finanziaria delle spese sono invocati dal rimettente pure in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, sull'assunto che gli invocati principi discendenti dall'art. 81 della Costituzione sarebbero stati altresì imposti alle Regioni, quali principi fondamentali di armonizzazio ne dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica, da parte del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 170 (Ricognizione dei principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, a norma dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131), in particolare dagli artt. 5 e 6. 4 ¾ Per il rimettente pure le altre due disposizioni censurate consentono l'accertamento attuale di una entrata futura quale mezzo di finanziamento di spese correnti. L'art. 2, comma 1, lettera a), della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, in effetti, prevede la possibilità di destinare al finanziamento di determinate tipologie di spese di investimento gli importi che verranno trasferiti dallo Stato in anni futuri, provvedendo conseguentemente a compensare tali maggiori stanziamenti con minori iscrizioni d'entrata negli anni successivi, nell'ambito del bilancio pluriennale di riferimento. L'articolo 2, comma 1, lettera c), della medesima legge regionale n. 2 del 2007, a sua volta, ridefinisce la stessa nozione di accertamento d'entrata, facendovi rientrare ogni accertamento di un credito di cui sia appurata la ragione, l'identità del debitore e l'ammontare, senza che ne rilevi la scadenza o la esigibilità e, quindi, includendovi pure crediti sottoposti a termine o crediti futuri. 4.1. ¾ Per il rimettente tale possibilità di copertura nonché l'equiparazione, ai fini dell'accertamento, tra crediti esigibili nell'esercizio finanziario di competenza e crediti a questo futuri sarebbero in contrasto con l'art. 81, commi primo e quarto, della Costituzione, nonché con l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, per le medesime ragioni prosp ettate in riferimento all'art. 2, comma 7, della legge regionale n. 21 del 2006. 5. ¾ Il rimettente, nell'ambito della sua articolata argomentazione, inquadra, inoltre, le tre previsioni normative censurate in una più complessiva tendenza normativa della Regione Sardegna di «attualizzare» entrate future. Di tale tendenza il rimettente segnala ulteriori esempi nell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, che impegne rebbe nel bilancio 2007 entrate tributarie del 2010, ed in un provvedimento amministrativo di variazione, con cui verrebbe accertato nel bilancio 2006 l'intero ammontare di un credito verso l'erario esigibile in ratei annuali dal 2007 al 2026 (previsioni non oggetto di censura, perché l'una attinente al rendiconto del 2007, l'altra recata da un atto non legislativo). E di questa tendenza indica pure una motivazione, che individua nella necessità per la Regione di trovare una modalità di copertura del disavanzo di amministrazione diversa dalla contrazione di mutui per il rifinanziamento dello stesso, avendo il Governo impugnato la previsione della legge finanziaria sarda per il 2006, che autorizzava nuovamente la Giunta a contrarre nuovi mutui. 6. ¾ Il rimettente conclude chiedendo che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate. 7. ¾ La Regione autonoma della Sardegna si è costituita con una memoria, nella quale eccepisce l'inammissibilità della questione relativa all'art. 2, comma 1, lettere a) e c), della legge regionale n. 2 del 2007 e l'infondatezza della questione relativa all'art. 2, comma 7, del la legge regionale n. 21 del 2006. 7.1. ¾ La difesa regionale ricostruisce, anzitutto, il contesto in cui si sono inserite le previsioni impugnate. Queste dovrebbero essere considerate nell'ambito della così detta "vertenza entrate" tra lo Stato e la Regione Sardegna, in ordine ai criteri di calcolo delle compartecipazioni tributarie sulle imposte sui redditi e sull'imposta sul valore aggiunto. La Regione Sardegna sostiene che i criteri utilizzati dallo Stato per stimare il reddito prodotto nella Regione, che tenevano conto del luogo del versamento dell'imposta e non di quello di effettiva produzione del reddito, e la mancata parametrazione della quota Iva alle effettive funzioni regionali avrebbero determinato una compressione delle proprie entrate e che ciò avrebbe generato, nel tempo, il cospicuo debito pubblico regionale. Nell'autunno 2006 tale "vertenza" avrebbe trovato soluzione mediante un accordo tra Stato e Regione, da cui sarebbero derivate due disposizioni della legge finanziaria statale per il 2007. L'art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007) ha operato una riscrittura dell'art. 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), in senso favorevole alla Regione: prevedendo che la compartecipazione Iva non sia più variabile, ma sia in forma fissa, pari ai nove decimi del gettito dell'imposta generata sul territorio regionale da determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie rilevati annualmente dall'Istat; ampliando il numero dei tributi regionali compartecipati (includendovi, ad esempio, le tasse automobilistiche, le imposte s ui redditi di capitale, le imposte catastali, le imposte sui giochi e le scommesse); riconoscendo il diritto della Regione a compartecipare il gettito tributario effettivamente prodotto nel territorio regionale, ovunque esso sia materialmente versato. Il successivo comma 835 del medesimo articolo ha invece previsto che «Ad integrazione delle somme stanziate negli anni 2004, 2005 e 2006 è autorizzata la spesa di euro 25 milioni per ciascuno degli anni dal 2007 al 2026 per la devoluzione alla Regione Sardegna delle quote di compartecipazione all'imposta sul valore aggiunto riscossa nel territorio regionale, concordate, ai sensi dell'art. 38 del decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 1949, n. 250, per gli anni 2004, 2005, 2006». Con la prima previsione, pertanto, la Regione Sardegna ha ottenuto un aumento, a regime, delle proprie entrate da compartecipazione tributaria, mentre grazie alla seconda ha visto riconosciuto un diritto alla integrazione del gettito compartecipato Iva degli esercizi 2004-2006. Entrambe le previsioni, peraltro, andrebbero considerate, per la difesa regionale, come strumenti per recuperare alla Regione spettanze pregresse indebitamente sottratte. 7.2. ¾ Nell'ambito dell'accordo dell'ottobre 2006, comunque, la Regione si sarebbe impegnata a destinare queste maggiori entrate all'abbattimento del disavanzo. In quest'ottica, la contestata previsione dell'art. 2, comma 7, della legge regionale n. 21 del 2006 costituirebbe adempimento di tale impegno e dovrebbe essere considerata, come espressamente riconosciuto dall'articolo 1, comma 1, della legge regionale n. 2 del 2007, una operazione eccezionale e straordinaria, come straordinarie sarebbero le vicende che avrebbero dapprima determinato lo straordinario indebitamento della Regione e poi portato alla revisione del regime finanziario regionale. Per la difesa regionale la disposizione contestata, lungi dall'essere illegittima, sarebbe anzi meritoria, risolvendosi nell'immediata e primaria destinazione delle nuove risorse disponibili all'abbattimento dello stock di debito determinatosi a partire dal 1995. Si tratterebbe, in sostanza, di una disposizione-provvedimento, in senso tecnico, o quantomeno una legge singolare, «in quanto destinata a disciplinare una tantum un intervento straordinario di risanamento della finanza regionale a seguito del raggiungimento dell'accordo con il Governo sul presupposto della disponibilità, assicurata dalla L. 296/2006, art. 1 c. 834, di somme pure spettanti alla Regione ma mai corrisposte negli eserc izi finanziari precedenti». 7.3. ¾ Anche le disposizioni dell'art. 2, comma 1, lettere a) e c), della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007 andrebbero lette in questa luce. La lettera a) consentirebbe, infatti, di modulare nel tempo gli effetti positivi sugli equilibri finanziari regionali relativi ai futuri esercizi delle nuove entrate conseguenti alla ristesura dell'articolo 8 dello Statuto speciale. Le lettera c) avrebbe «unicamente lo scopo di adeguare la normativa contabile della Sardegna ai contenuti ormai tipici della normativa in tema di accertamento di entrate di altre regioni speciali e di quella dettata dallo stato per gli enti locali (principi contabili n. 15 e n. 19 prodotti dall'osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali presso il Ministero dell'Interno, secondo i quali le entrate tributarie possono essere accertate anche quando vengono a scadenza, cioè risultano "esigibili", in esercizi successivi a quello dell'accertamento, al fine di assicurare la effettiva "veridicità" alle previsioni di entrata stessa)». Trattandosi, peraltro, di disposizioni che non avrebbero avuto applicazione nell'ambito del bilancio 2006, oggetto del giudizio di parificazione, e che sarebbero semmai destinate a trovare applicazione in esercizi futuri, per la difesa regionale, le questioni ad esse relative sollevate dalla rimettente Corte dei conti sarebbero inammissibili per difetto di rilevanza. 7.4. ¾ Le questioni proposte in ordine all'art. 2, comma 7, della legge regionale n. 21 del 2006 in riferimento all'art. 81, primo e quarto comma, della Costituzione sarebbero, invece, infondate, non solo per la delineata straordinarietà di questo intervento normativo, ma anche perché sareb be erroneo l'assunto della Corte dei conti, per cui non si potrebbe accertare una entrata futura e che un tale accertamento violerebbe il principio della annualità del bilancio. Secondo la difesa regionale, la utilizzabilità di entrate future, purché certe, specie nei trasferimenti statali derivanti da compartecipazioni ai tributi statali sarebbe «in realtà principio da tempo recepito nella legislazione contabile di altre regioni» (così l'articolo 43, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Trento 14 settembre 1979, n. 7, recante «Norme in materia di bilancio e di contabilità generale della Provincia autonoma di Trento»). Né alcun riferimento all'annualità dell'entrata vi sarebbe né nella legislazione di principio relativa agli enti locali (art. 179 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali», oltre che i principi contabili predisposti dal Ministero dell'Interno, sopra riportati) né in quella relativa alle Regioni (art. 40 del d.lgs. n. 170 del 2006). Secondo la Regione Sardegna, seguendo la tesi della Corte dei conti, «sarebbe impossibile per i Comuni iscrivere in bilancio, annualmente, i proventi ICI secondo l'entità dell'aliquota annualmente determinata dalla Giunta, posto che lo Stato trasferisce la stessa a distanza di mesi, spesso di anni, rispetto alla previsione d'entrata». E dalla lettura dell'art. 40 del d.lgs. n. 170 del 2006 non vi sarebbero elementi per supporre che la scadenza dei crediti, ai fini dell'accertamento dell'entrata, non possa avvenire in un anno successivo a quello dell'accertamento stesso. 7.5. ¾ La difesa regionale analizza, poi, le stesse pronunce della Corte costituzionale richiamate dal giudice a quo (n. 1 del 1966 e n. 54 del 1983), sostenendo che queste sono state male interpretate dal rimettente e che da esse vada solo ricavata la necessità, ai fini della copertura finanziaria di una spesa, che la previsione di entrata sia sicura, non arbitraria e ragionevole. Caratteri che non potrebbero essere negati alla previsione dell'art. 2, comma 7, della legge regionale n. 21 del 2006, essendo la relativa entrata discendente dal disposto dell'art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006. La difesa regionale richiama, poi, altre sentenze della Corte costituzionale (n. 384 del 1991 e n. 347 del 1995), di cui riporta ed evidenzia delle affermazioni, che avvalorerebbero la tesi della legittimità della copertura finanziaria di spese correnti con entrare di competenza di un esercizio futuro. 7.6 ¾ Per queste stesse ragioni non sarebbero violati nemmeno i principi fondamentali di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), di cui agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 170 del 2006. La difesa regionale, peraltro, rileva, da un lato, di non essere vincolata da tali principi, che, ai sensi dell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 170 del 2006, si riferiscono alle sole Regioni ordinarie, e, dall'altro, rivendica la propria competenza legislativa primaria in materia di contabilità, quale discendente dagli artt. 3 e 4 dello Statuto speciale e come riconosciuta dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 107 del 1970. 8. ¾ In prossimità dell'udienza pubblica del 6 maggio 2008 la Regione Sardegna ha depositato una memoria nella quale ribadisce e sviluppa le argomentazioni già proposte nell'atto di costituzione. 9. ¾ La difesa regionale, anzitutto, rimarca l'inammissibilità per irrilevanza delle questioni sollevate dal giudice rimettente in ordine alle previsioni dell'art. 2, comma 1, lettere a) e c), della legge regionale n. 2 del 2007, specificando che le difese svolte nell'atto di c ostituzione sono state articolate per mero scrupolo difensivo. 10. ¾ La resistente Ragione Sardegna ribadisce, poi, l'eccezionalità della previsione dell'art. 2, comma 7, della legge regionale n. 21 del 2006 e sottolinea come la Corte costituzionale abbia talora riconosciuto importanza alla natura eccezionale di una norma al fine di esclud erne l'illegittimità costituzionale. In particolare la difesa regionale richiama le sentenze n. 427 del 1995 e n. 302 del 1996 e l'ordinanza n. 537 del 1995 della Corte costituzionale, in tema di condono edilizio; la sentenza n. 459 del 1989 e, nuovamente, la sentenza n. 302 del 1996 e l'ordinanza n. 537 del 1995, in tema di assetto del territorio; la sentenza n. 297 del 2006, in tema di stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica; la sentenza n. 1 del 2005, in tema di «sostituzione del regime di tutela dell'affidamento del pensionato con altro meno favorevole» La difesa regionale, specificamente in materia finanziaria, richiama la sentenza n. 222 del 1994, nella quale la Corte costituzionale ha ritenuto legittima la riduzione da parte dello Stato di una entrata corrispondente ad un tributo proprio di una Regione, in ragione della eccezionalità dell'intervento, volto a contenere il disavanzo pubblico, in una situazione di emergenza. Per tali medesime ragioni si giustificherebbe, a dire della difesa regionale, la previsione impugnata, la quale avrebbe lo scopo di ridurre il deficit della Regione, in accordo con lo Stato e in linea con gli obiettivi di stabilità discendenti dal diritto comunitario. 11. ¾ La difesa regionale, dopo una articolata disamina della giurisprudenza costituzionale formatasi sull'art. 81 della Costituzione ed un diffuso richiamo della dottrina in materia, sostiene, poi, che non sussista alcun contrasto tra tale principio costituzionale e l'impugnato articolo 2, comma 7, della legge regionale n. 21 del 2006. 11.1. ¾ Ai fini della idoneità della copertura finanziaria di tale previsione non assumerebbe, infatti, alcun rilievo la circostanza che le entrate indicate verranno incassate in un anno successivo a quello della loro iscrizione a bilancio, posto che, ai fini di una idonea copertura, sarebbe sufficiente l'indicazione di una entrata non irrazionale ed arbitraria e non anche l'effettiva realizzazione dell'entrata stessa. «Se così non fosse, del resto» secondo la Regione Sardegna «si paralizzerebbe l'attività di governo rendendola, di fatto impossibile, in quanto "non potrebbe essere erogata una data spesa se non dopo avere avuto la dimostrazione dell'avvenuto introito delle entrate indicate come copertura e nei limiti del suo effettivo realizzo"». 11.2. ¾ La copertura, individuata dalla previsione impugnata nelle entrate da compartecipazione tributaria relative agli anni 2013-2015, sarebbe congrua ed effettiva, in quanto conseguenza dell'intesa raggiunta con lo Stato (la difesa regionale richiama l'art. 1, comma 835, della legge n. 296 del 2006, il quale «rimanda agli accordi "ai sensi dell'articolo 38 de l DPR del 19 marzo 1949, n. 250"») e sostiene che, ove pure non si volesse ritenere tale intesa sufficiente a garantire la certezza dell'entrata alla luce di un giudizio ex ante, dovrebbe, in ogni caso, riconoscersi che l'approvazione della legge (finanziaria statale) n. 296 del 2006 (ed in particolare l'art. 1, commi da 834 a 840) avrebbe pienamente legittimato ex post la ragionevolezza della copertura finanziaria prevista dalla Regione. 11.3. ¾ La destinazione delle risorse accertate dall'art. 2, comma 7, della legge regionale n. 21 del 2006 alla riduzione del deficit di bilancio delle Regione (a sua volta contratto per spese di investimento) renderebbe la previsione impugnata non solo legittima, ma anche opportuna, ai fini di una lettura dell'art. 81 della Costituzione teleologicamente orienta ta al rispetto dei vincoli comunitari di cui all'art. 104 del Trattato CE. Obblighi cui dovrebbe riconoscersi, secondo la difesa regionale, il carattere di vero e proprio parametro di giudizio ai fini del sindacato sulle leggi demandato alla Corte costituzionale. Proprio al fine di rispettare tali vincoli ed in accordo con il Governo della Repubblica (che, significativamente, il 27 febbraio 2007 avrebbe deliberato di non impugnare la disposizione, poi censurata dal giudice rimettente), la Regione Sardegna avrebbe introdotto l'art. 2, comma 7, della legge regionale n. 21 del 2006, il quale si preoccuperebbe immediatamente di ridurre il deficit attraverso una anticipazione di entrate a fronte di una rinuncia a spese future, piuttosto che attraverso la contrazione di nuovi mutui. 11.4. ¾ La difesa regionale insiste, poi, sul carattere certo delle entrate iscritte a bilancio, affermando che le stesse sarebbero certe nell'an, nel quantum e nel quando, essendo già stanziate dallo Stato e relative a compartecipazioni al gettito Irpef e Iva che, per effetto dell'intesa tra lo Stato e la Regione prima, e della previsione di cui al comma 835 della legge finanziaria statale 2007 e del nuovo art. 8 dello Statuto poi, garantiranno (già dal 2010) disponibilità ben al di sopra della somma annualmente iscritta in conto delle entrate future a copertura del disavanzo. E sostiene che «nessun principio costituzionale vieta allo stato o alle regioni (soprattutto ad una regione a statuto speciale) di considerare già "accertati" (e, dunque, di iscrivere a bilancio tra le entrate crediti relativi a somme già stanziate dallo Stato la cui scadenza - come nella specie - è stata fissata in un periodo successivo a quello di iscrizione», essendo irrilevante che le entrate (se certe e non aleatorie) vengano incassate successivamente all'anno di iscrizione a bilancio. 11.5. ¾ L'operazione contabile posta in essere dalla Regione, inoltre, nella misura in cui ha iscritto crediti per entrate da compartecipazioni tributarie relativi agli anni 2013-2015 come residui attivi del bilancio 2007, rispecchierebbe pienamente la nozione di residui attivi, i quali originano da una discrasia temporale tra competenza e cassa, essendo essi cr editi accertati ma non ancora riscossi entro la fine dell'esercizio. Con tale operazione la Regione sostiene di essersi limitata ad anticipare la previsione generale in materia di contabilità regionale introdotta dal successivo art. 2, comma 1, lettera c), della legge regionale n. 2 del 2007, considerando accertata una entrata della quale era stata appurata la ragione del credito, l'identità del debitore e l'ammontare del credito. 11.6. ¾ La difesa regionale invoca, poi, le regole individuate nel marzo 2004 dall'Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, dalle quali sarebbe, a suo dire, desumibile una compatibilità tra il principio di competenza finanziaria e la possibile iscrizione a bilancio (non solo) di somme (accertate, ma «addirittura» di somme) che si prevede d i accertare. E sostiene che tale possibilità sarebbe, altresì, coerente ai principi di veridicità, attendibilità e prudenza, nonché al principio di pareggio finanziario, secondo il quale «il bilancio di previsione "deve essere deliberato in pareggio finanziario complessivo, considerando quindi tutte le entrate e tutte le spese"; ciò che è avvenuto nella specie, in quanto la Regione ha utilizzato le entrate già stanziate dallo Stato per gli anni successivi, al fine di assicurare nell'anno 2006, il "pareggio finanziario" con la copertura del deficit di bilancio». 11.7. ¾ La difesa regionale ribadisce la non applicabilità alle Regioni speciali delle disposizioni recate dal decreto legislativo n. 170 del 2006 e sostiene che un «ben più rilevante e patologico scostamento» tra competenza e cassa deriverebbe dalla previsione dell'art. 22 del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Principi fondamentali e norme di coordiname nto in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell'articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208), norma di cui, tuttavia, non è mai stata contestata la legittimità costituzionale alla luce dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione. 11.8. ¾ La difesa regionale, infine, deposita agli atti la nota n. 17083 del 21 febbraio 2008 del Ragioniere generale dello Stato, resa in risposta alla richiesta di parere della stessa Regione Sardegna in ordine alla previsione dell'impugnato art. 2, comma 7, della legge regionale n. 21 del 2006. La difesa regionale riproduce quasi integralmente il contenuto della nota, sottolineando: come questa individui delle ricadute positive della disposizione impugnata sulla finanza regionale, essendo tesa al conseguimento del graduale equilibrio di bilancio e ad evitare che il disavanzo accumulato possa essere coperto con nuovo debito (debito che la Regione sarebbe legittimata a contrarre in quanto il disavanzo è attribuibile a spese di investimento); come la norma non abbia effetti sull'indebitamento regionale, inteso quale differenza tra accensione e rimborso di prestiti, in quanto le somme iscritte nelle competenze di bilancio regionale vanno a copertura di spese già impegnate e, pertanto, al riassorbimento del disavanzo; che le entrate future di cui trattasi sono spettanze statutarie attribuite alla Regione Sardegna, a seguito delle modifiche intervenute con la legge finanziaria dello Stato per l'anno 2007, che costituiscono quota parte delle maggiori entrate derivanti dal nuovo ordinamento finanziario e che, pertanto, rivestono il requisito della certezza e della esigibilità. La difesa regionale afferma che tale nota «sposerebbe», dunque, tutte le argomentazioni da essa sviluppate e conclude chiedendo che le questioni sollevate (rectius la sola questione riferita all'art. 2, comma 7, della legge della Regione Sardegna n. 21 del 2006) sia dichiarata infondata. Considerato in diritto 1. ¾ La Corte dei conti - sezioni riunite per la Regione Sardegna solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 7, della legge della Regione Sardegna 28 dicembre 2006, n. 21 (Autorizzazio ne all'esercizio provvisorio del bilancio della Regione per l'anno 2007 e disposizioni per la chiusura dell'esercizio 2006), e dell'art. 2, comma 1, lettere a) e c), della legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione - legge finanziaria 2007), in riferimento all'art. 81, primo e quarto comma, della Costituzione ed in riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 81 della Costituzione. 2. ¾ Il rimettente rileva che le disposizioni censurate hanno, come elemento comune, l'accertamento attuale di una entrata futura quale mezzo di finanziamento di spese dell'esercizio di pertinenza. L'art. 2, comma 7, della legge della Regione Sardegna n. 21 del 2006, in effetti, prevede la specifica iscrizione al bilancio per l'anno 2006 di quota parte del gettito delle compartecipazioni tributarie spettanti alla Regione per gli anni 2013, 2014 e 2015, per complessivi 1 miliardo e 500 milioni di euro. L'art. 2, comma 1, lettera a), della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, a sua volta, prevede, a regime, la possibilità di destinare al finanziamento di determinate tipologie di spese di investimento gli importi che verranno trasferiti dallo Stato in anni futuri, provvedendo conseguentemente a compensare tali maggiori stanziamenti con minori iscrizioni d'entrata negli anni successivi, nell'ambito del bilancio pluriennale di riferimento. L'art. 2, comma 1, lettera c), della medesima legge regionale n. 2 del 2007, infine, ridefinisce la stessa nozione di accertamento d'entrata, facendovi rientrare ogni accertamento di un credito di cui sia appurata la ragione, l'identità del debitore e l'ammontare, senza che ne rilevi la scadenza o la esigibilità e, quindi, includendovi anche crediti sottoposti a termine o crediti futuri. 3. ¾ Per il rimettente tale «tecnica di copertura» nonché l'equiparazione, ai fini dell'accertamento, tra crediti esigibili nell'esercizio finanziario di competenza e crediti a questo futuri sarebbero del tutto estranei ai canoni previsti dalla contabilità pubblica non solo statale (art. 11-ter della legge 5 agosto 1978 , n. 468, recante «Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio»), ma anche regionale (art. 33, comma 2, della legge della Regione Sardegna 2 agosto 2006, n. 11, recante «Norme in materia di programmazione, di bilancio e di contabilità della Regione autonoma della Sardegna. Abrogazione della legge regionale 7 luglio 1975, n. 27, della legge regionale 5 maggio 1983, n. 11 e della legge regionale 9 giugno 1999, n. 23»), e, soprattutto, in contrasto con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale formatasi in relazione all'affermato principio di necessaria copertura finanziaria delle spese. Le disposizioni censurate, sotto altro profilo, si porrebbero, inoltre, contro il principio di annualità del bilancio, di cui all'art. 81, primo comma, della Costituzione. Le medesime censure sono poi prospettate dalla Corte dei conti rimettente, invocando quale parametro anche l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, sull'assunto che gli invocati principi discendenti dall'art. 81 della Costituzione sarebbero stati altresì imposti alle Regioni, quali principi fondamentali di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica, da parte del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 170 (Ricognizione dei principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, a norma dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131). In particolare risulterebbero violati gli artt. 5 e 6 di tale decreto, da considerare norme interposte del citato art. 117, terzo comma, della Costituzione. 4. ¾ Deve, anzitutto, essere confermato il risalente orientamento di questa Corte, che riconosce alla Corte dei conti, in sede di giudizio di parificazione del bilancio, la legittimazione a promuovere, in riferimento all'art. 81 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale avverso tutte quelle disposizioni di legge che determinino effetti modifica tivi dell'articolazione del bilancio per il fatto stesso di incidere, in senso globale, sulle unità elementari, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con il sistema dei risultati differenziali (vedi sentenza n. 244 del 1995). 5. ¾ Deve, poi, dichiararsi l'inammissibilità delle questioni proposte in ordine all'art. 2, comma 1, lettere a) e c), della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, per non rilevanza delle stesse nel presente giudizio. Tali disposizioni, effettivamente ispirate al medesimo principio di cui all'art. 2, comma 7, della legge della Regione Sardegna n. 21 del 2006, non riguardano, infatti, l'esercizio del 2006, oggetto del giudizio di parificazione, non constando che, in applicazione di esse, sia stata effettuata alcuna iscrizione nel bilancio per l'anno 2006 della Regione. 6. ¾ Le questioni proposte in ordine all'art. 2, comma 7, della legge della Regione Sardegna n. 21 del 2006 sono fondate. 6.1. ¾ L'art. 81, quarto comma, della Costituzione prevede l'obbligo di copertura finanziaria delle spese. Il principio, che è vincolante anche per le Regioni a statuto speciale (da ultimo, sentenza n. 359 del 2007), è stato specificato da questa Corte in varie pronunce, nelle quali si è chiarito, tra l'altro che: la copertura deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri (sentenza n. 1 del 1966); la copertura è aleatoria se non tiene conto che ogni anticipazione di entrate ha un suo costo (sentenza n. 54 del 1983); l'obbligo di copertura deve essere osservato con puntualità rigorosa nei confronti delle spese che incidono su un esercizio in corso e deve valutarsi il tendenziale equilibrio tra entrate ed uscite nel lungo periodo, valutando gli oneri già gravanti sugli esercizi futuri (sentenza n. 384 del 1991). Alla luce di questi indirizzi giurisprudenziali, va ora esaminata la questione posta dal rimettente sulla possibilità di coprire con crediti, che verranno a scadenza in esercizi futuri, spese attuali inerenti all'esercizio di riferimento. Ed a questo proposito occorre osservare che caratteristica fondamentale del bilancio di previsione è quella di riferirsi alle operazioni finanziarie che si prevede si verificheranno durante l'anno finanziario. Infatti soltanto riferendosi ad un determinato arco di tempo, il bilancio può assolvere alle sue fondamentali funzioni, le quali, in ultima analisi, tendono ad assicurare il tendenziale pareggio del bilancio, ed in generale la stabilità della finanza pubblica. E' per questo che l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, pone il principio fondamentale della copertura delle spese, richiedendo la contestualità tanto dei presupposti che giustificano le previsioni di spesa quanto di quelli posti a fondamento delle previsioni di entrata necessarie per la copertura finanziaria delle prime. In questo quadro è evidente che la copertura di spese mediante crediti futuri, lede il suddetto principio costituzionale ed è tanto più irrazionale quanto più si riferisce a crediti futuri, lontani nel tempo. Un siffatto sistema di copertura mediante crediti non ancora venuti a scadenza contraddice peraltro la stessa definizione di "accertamento dell'entrata", poiché è tale quella che si prevede di aver diritto di percepire nell'esercizio finanziario di riferimento e non in un esercizio futuro. Inoltre l'accertamento attuale di entrate future, operato dalla Regione con la norma impugnata, risulta inattendibile, perché non tiene conto della necessaria onerosità dell'anticipazione di cassa cui occorre provvedere in attesa del'effettivo maturare del futuro titolo giuridico dell'entrata. 6.2. ¾ Le varie argomentazioni proposte dalla difesa della Regione Sardegna risultano non solo infondate, là dove assumono, contro il principio di cui all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, l'accertabilità di entrate future, ma anche inconferenti, là dove muovono dall'erroneo presupposto che, nella specie, vi sia solo un fisiologico scostamento tra accer tamento e riscossione di entrata. Invero la questione posta dalla disposizione censurata non attiene affatto alla circostanza che possa esistere, come è ovvio, una discrasia tra bilancio di competenza e di cassa, ovvero tra l'esercizio in cui matura giuridicamente l'esigibilità del credito, rilevante ai fini dell'accertamento, e l'esercizio in cui si incassa, in tutto o in parte, il relativo importo. Neppure essa attiene alla eventualità, di per sé legittima, che possano essere riportati dei crediti accertati, ma non riscossi, nei "residui attivi" dell'anno successivo. La previsione del censurato articolo 2, comma 7, della legge regionale n. 21 del 2006 pone, invece, la ben diversa questione del se si possa accertare come attualmente esigibile un credito futuro. Questione da risolversi negativamente, per le r agioni appena indicate. Né può parlarsi di «una operazione finanziaria straordinaria», come afferma la difesa della Regione, poiché, come si desume da quanto sopra detto, l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, esclude anche questa possibilità. 6.3. ¾ L'art. 2, comma 7, della legge della Regione Sardegna n. 21 del 2006, deve, pertanto, essere dichiarato incostituzionale per violazione dell'art. 81, primo e quarto comma, della Costituzione. Restano assorbiti gli altri motivi di censura. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 7, della legge della Regione Sardegna 28 dicembre 2006, n. 21 (Autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio della Regione per l'anno 2007 e disposizioni per la chiusura dell'esercizio 2006); dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, lettere a) e c), della legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione - legge finanziaria 2007), sollevate, in riferimento all'articolo 81, primo e quarto comma, della Costituzione ed in riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 81 della Costituzione, dalla Cort e dei conti - sezioni riunite per la Regione Sardegna, con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Paolo MADDALENA, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge della Regione Emilia-Romagna 1° giugno 2006, n. 5 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 42 - ordinamento della professione di maestro di sci - e disposizioni in materia ambientale), nel testo modificato dall'art. 25 della legge della Regione Emilia-Romagna 28 luglio 2006, n. 13 (Legge finanziaria regionale adottata a norma dell'articolo 40 della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40, in coincidenza con l'approvazione della legge di assestamento del bilancio di previsione per l'esercizio 2006 e del bilancio pluriennale 2006-2008. Primo provvedimento di variazione), promosso con ordinanza del 25 giugno 2007 dal Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia Romagna sul ricorso proposto dall'E.N.I. s.p.a. - Divisione Refining & Marketing contro il Comune di Migliarino ed altri, iscritta al n. 737 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 2007. Visti gli atti di costituzione dell'E.N.I. s.p.a. - Divisione Refining & Marketing e della Regione Emilia-Romagna; udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 2008 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro. uditi gli avvocati Stefano Grassi e Antonella Persico per l'E.N.I. s.p.a. - Divisione Refining & Marketing, Maria Chiara Lista e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna. Ritenuto in fatto 1. - Il Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, con ordinanza del 25 giugno 2007, ha sollevato, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge della Regione Emilia-Romagna 1° giugno 2006, n. 5 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 42 - ordinamento della professione di maestro di sci - e disposizioni in materia ambientale), nel testo modificato dall'art. 25 della legge della stessa Regione 28 luglio 2006, n. 13 (Legge finanziaria regionale adottata a norma dell'articolo 40 della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40, in coincidenza con l'approvazione della legge di assestamento del bilancio di previsione per l'esercizio 2006 e del bilancio pluriennale 2006-2008. Primo provvedimento di variazione), il quale stabilisce: «Restano di competenza dei Comuni i procedimenti di bonifica dei siti contaminati già avviati alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che li concludono sulla base della legislazione vigente alla data del loro avvio». 2. - Il rimettente premette che nel giudizio principale l'E.N.I. s.p.a. Divisione Refining & Marketing (di séguito, E.N.I.) - la quale, con delibera della Giunta comunale n. 78 del 18 novembre 2004, aveva ottenuto l'autorizzazione a realizzare gli interventi previsti nel progetto definitivo di bonifica dell'impianto di distribuzione di carburanti sito nel Comune di Migliarino - ha impugnato la nota del Comune di Migliarino del 28 dicembre 2006, n. 12598, con cui quest'ultimo aveva rigettato l'istanza di rimodulazione degli obiettivi di bonifica, in relazione al proprio punto vendita 6060 ubicato nel territorio di detto Comune, presentata per suo conto dalla Petroltecnica s.r.l. il 27 ottobre 2006. Il Tar ricorda che il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) - di séguito, codice dell'ambiente - ha abrogato l'art. 17 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), basato sui limiti massimi di concentrazione, al superamento dei quali scattava l'obbligo di bonifica, introducendo, nell'art. 240, le nozioni di «concentrazioni soglia di contaminazione» (CSC), il cui superamento impone la caratterizzazione e la procedura di analisi di rischio sito specifica, e la nozione di «concentrazioni soglia di rischio» (CSR), che, se oltrepassata, determina il sorgere dell'obbligo di bon ifica e di messa in sicurezza. L'art. 265, comma 4, del codice dell'ambiente ha attribuito a quanti avevano conseguito l'autorizzazione secondo la previgente disciplina la facoltà di rimodulare i propri interventi sulla base del nuovo regime, stabilendo che «fatti salvi gli interventi realizzati alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, entro centottanta giorni da tale data, può essere presentata all'autorità competente adeguata relazione tecnica al fine di rimodulare gli obiettivi di bonifica già autorizzati sulla base dei criteri definiti dalla parte quarta del presente decreto». In applicazione di tale previsione l'E.N.I. aveva presentato istanza di rimodulazione degli obiettivi di bonifica in relazione all'intervento sopraindicato. L'art. 5 della legge della Regione Emilia-Romagna n. 5 del 2006 - come modificato dall'art. 25 della legge della stessa Regione n. 13 del 2006 - invece, oltre ad aver confermato l'attribuzione agli enti locali della titolarità delle funzioni in esame, ha stabilito per i procedimenti in corso un diverso regime transitorio, in quanto ha previsto che a questi deve applicarsi la disciplina previgente, in tal modo escludendo la possibilità della rimodulazione degli obiettivi di bonifica già autorizzati in conformità al precedente regime. Sulla base di tali premesse il Tar per l'Emilia-Romagna dubita della legittimità costituzionale della citata norma regionale, nella parte in cui si porrebbe in contrasto con il menzionato art. 265, comma 4, del codice dell'ambiente, il quale stabilisce che le norme in materia ambientale recate da detto decreto legislativo sono applicabili a tutte le situazioni non irreversibilmente definite alla data della loro entrata in vigore, per violazione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di tutela dell'ambiente. Infatti, ad avviso del rimettente, sebbene nella materia della «tutela dell'ambiente», spettante alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, le Regioni possano - in linea con quanto affermato dalla giurisprudenza costituzional e - emanare norme nel caso di interferenza con àmbiti materiali riconducibili alle loro competenze, nell'osservanza degli standard fissati dalle norme statali, «nel caso della bonifica dei siti inquinati» - oggetto della disposizione censurata - sarebbe «difficilmente confutabile che lo scopo primario sia la tutela dell'ambiente», con conseguente illegittimità costituzionale della norma regionale. 3. - Nel giudizio innanzi a questa Corte si è costituita la Regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta regionale, parte nel processo principale, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata. A séguito dell'entrata in vigore del nuovo codice dell'ambiente - che ha introdotto disposizioni radicalmente diverse rispetto a quelle di cui alla previgente normativa - la Regione ritiene che si sia determinata una situazione di grave incertezza giuridica con riferimento ai procedimenti autorizzatori di interventi di bonifica già avviati e in corso di istruttoria in base alla normativa pregressa, anche a causa della incompletezza di quanto prescritto dalla disposizione transitoria statale di cui all'art. 265, comma 4, dello stesso codice. In considerazione di ciò, la Regione Emilia-Romagna, con la norma censu rata, avrebbe legittimamente integrato la disciplina statale transitoria, qualificata «incompleta e alquanto incerta», al fine di assicurare la continuità dell'intervento pubblico in materia di controllo e risanamento dei siti inquinati, semplicemente garantendo un «transito controllato» fra la disciplina statale precedente e quella successiva. 4. - Nel giudizio si è altresì costituita l'E.N.I. s.p.a. Divisione Refining & Marketing, chiedendo l'accoglimento della questione e deducendo l'illegittimità della norma censurata anche in riferimento ad altri profili ed in specie all'art. 117, primo e secondo comma, lettera m), della Costituzione. 5. - All'udienza pubblica le parti hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte. Considerato in diritto 1. - La questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna investe l'art. 5 della legge della Regione Emilia-Romagna 1° giugno 2006, n. 5 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 42 - ordinamento della professione di maestro di sci - e disposizioni in materia ambientale), nel testo modificato dall'art. 25 della legge della stessa Regione 28 luglio 2006, n. 13 (Legge finanziaria regionale adottata a norma dell'articolo 40 della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40, in coincidenza con l'approvazione della legge di assestamento del bilancio di previs ione per l'esercizio 2006 e del bilancio pluriennale 2006-2008. Primo provvedimento di variazione), il quale stabilisce: «Restano di competenza dei Comuni i procedimenti di bonifica dei siti contaminati già avviati alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che li concludono sulla base della legislazione vigente alla data del loro avvio». 1.1. - Secondo il rimettente, la norma regionale censurata, disponendo che le norme abrogate di cui al d.lgs. n. 22 del 1997 restano applicabili ai procedimenti di bonifica ancora in corso, si porrebbe in contrasto con l'art. 265, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale stabilisce che le norme in materia ambientale recate da detto decreto legislativo sono applicabili a tutte le situazioni non irreversibilmente definite alla data della loro entrata in vigore, in tal modo violando la competenza statale esclusiva in tema di «tutela dell'ambiente». 2. - La questione va esaminata entro i limiti del thema decidendum individuato dall'ordinanza di rimessione (ex plurimis, sentenze n. 349 del 2007, n. 310 e n. 234 del 2006). Pertanto, non possono essere scrutinate le censure proposte dall'ENI, in riferimento a parametri e profili non prospettati dal giudice rimettente, che, in questa parte, ha ritenuto manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dalla predetta società. 3. - La questione sollevata in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, è fondata. Il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) - che ha introdotto una nuova disciplina in tema di bonifica dei siti contaminati - ha disposto, all'art. 264, comma 1, lettera i), l'abrogazione espressa del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio). E' stato quindi abrogato l'art. 17 del medesimo decreto n. 22 del 1997, relativo alla bonifica ed al ripristino dei siti inquinati, basato sui limiti massimi di concentrazione, al superamento dei quali scattava comunque l'obbligo di bonifica. Sono state, inoltre, introdotte, all'art. 240, due distinte soglie: la prima, corrispondente alle «concentrazioni soglia di contaminazione» (CSC), in relazione alla quale i livelli di contaminazione delle matrici ambientali costituiscono valori il cui superamento impone la caratterizzazione del sito e la procedura di analisi di rischio sito specifica; la seconda, corrispondente alle «concentrazioni soglia di rischio» (CSR), che, se oltrepassata, determina il sorgere dell'obbligo di bonifica e di messa in sicurezza. Le novità apportate dal decreto legislativo n. 152 del 2006 sono rilevanti. La previgente disciplina definiva «inquinato» il sito nel quale i livelli di contaminazione o alterazione erano «tali da determinare un pericolo per la salute pubblica o per l'ambiente naturale», ciò che avveniva quando la concentrazione degli inquinanti risultava «superiore ai valori di concentrazione limite accettabili», fissati dall'apposita normativa tabellare. «Potenzialmente inquinato» era il sito in cui, a causa di attività pregresse o in atto, sussisteva la «possibilità» che fossero presenti sostanze inquinanti in concentrazioni tali da determinare «pericolo per la salute pubblica o per l'ambiente» (art. 2, comma 1, lettera c), del decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, contenente il «Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'art. 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni»). Nel nuovo regime di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, i «valori limite» di concentrazione diventano «valori di attenzione» (cosiddette «concentrazioni soglia di contaminazione»), il cui superamento non determina, di per sé, l'automatica qualificazione giuridica di contaminazione del sito, ma obbliga unicamente alla caratterizzazione e all'analisi di rischio «sito specifica» (art. 240 del d.lgs. n. 152 del 2006). Nel d.m. n. 471 del 1999 il ruolo dell'«analisi di rischio» era definito eminentemente sussidiario. Nel nuovo regime, al contrario, l'analisi di rischio diviene strumento centrale e decisivo ai fini della qualificazione giuridica di contaminazione del sito e della conseguente insorgenza dell'obbligo di messa in sicurezza e di bonifica. La portata delle modifiche introdotte in tema di bonifica dei siti inquinati ha indotto il legislatore statale ad agevolare la transizione dal vecchio al nuovo regime, mediante la previsione contenuta nell'art. 265, comma 4, secondo la quale, «fatti salvi gli interventi realizzati alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, entro centottanta giorni da tale data, può essere presentata all'autorità competente adeguata relazione tecnica al fine di rimodulare gli obiettivi di bonifica già autorizzati sulla base dei criteri definiti dalla parte quarta del presente decreto. L'autorità competente esamina la documentazione e dispone le varianti al progetto necessarie». Tale previsione esprime chiaramente il favor del legislatore statale per l'applicazione della disciplina sopravvenuta in riferimento non solo ai procedimenti in corso, ma anche ai procedimenti già conclusi, riconoscendo in relazione a questi ultimi - con una formula di non dubbia interpretazione - la facoltà di proporre istanza di rimodulazione degli interventi già autorizzati, ma non realizzati, sia pure nelle forme ed entro i limiti sopra richiamati. In contrasto con detta previsione, la norma regionale censurata statuisce, in maniera altrettanto chiara, che «i procedimenti di bonifica dei siti contaminati già avviati alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152» sono conclusi «sulla base della legislazione vigente alla data del loro avvio», in tal modo escludendo la facoltà che gli interventi di bonifica già autorizzati in forza del regime previgente possano essere rimodulati alla luce della nuova disciplina e rivelando un disfavore per l'applicazione di quest'ultima. Questa Corte ha più volte affermato che le Regioni, nell'esercizio di proprie competenze, possono perseguire fra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale (sentenza n. 246 del 2006; sentenza n. 182 del 2006). Tuttavia, il perseguimento di finalità di tutela ambientale da parte del legislatore regionale può ammettersi solo ove esso sia un effetto indiretto e marginale della disciplina adottata dalla Regione nell'esercizio di una propria legittima competenza e comunque non si ponga in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che proteggono l'ambiente (sentenza n. 431 del 2007). Inoltre, questa Corte ha precisato che la disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, costituisce un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato (sentenza n. 62 del 2008; sentenza n. 378 del 2007). Spetta infatti alla disciplina statale tener conto degli altri interessi costituzionalmente rilevanti contrapposti alla tutela dell'ambiente. In tali casi, infatti, una eventuale diversa disciplina regionale, anche più rigorosa in tema di tutela dell'ambiente, rischierebbe di sacrificare in maniera eccessiva e sproporzionata gli altri interes si confliggenti considerati dalla legge statale nel fissare i cosiddetti valori soglia (sentenza n. 246 del 2006; sentenza n. 307 del 2003). Nella specie, la norma censurata ha quale oggetto diretto e specifico la tutela dell'ambiente, imponendo, in violazione di detti princípi e in evidente contrasto con quanto statuito dal legislatore statale (art. 265, comma 4 del d.lgs. n. 152 del 2006), l'applicazione ai procedimenti in corso della normativa statale previgente (e dei valori-soglia da essa definiti), in luogo di quella nuova. In tal modo, la disposizione impedisce la rimodulazione, alla luce di quest'ultima, degli interventi già autorizzati, facoltizzata dalla normativa statale, in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 della legge della Regione Emilia-Romagna 1° giugno 2006, n. 5 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 42 - ordinamento della professione di maestro di sci - e disposizioni in materia ambientale), nel testo modificato dall'art. 25 della legge della stessa Regione 28 luglio 2006, n. 13 (Legge finanziaria regionale adottata a norma dell'articolo 40 della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40, in coincidenza con l'approvazione della legge di assestamento del bilancio di previsione per l'esercizio 2006 e del bilancio pluriennale 2006-2008. Primo provvedimento di variazione). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Giuseppe TESAURO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 547, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), promossi con ordinanza del 14 giugno 2007 dal Tribunale di Pinerolo, con ordinanza dell'11 ottobre 2007 dal Tribunale di Varese e con ordinanza del 19 giugno 2007 dal Tribunale di Pescara, rispettivamente iscritte ai nn. 805, 847 e 852 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 2007 e n. 5, prima serie speciale, dell'anno 2008. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2008 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro. Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza del 14 giugno 2007, il Tribunale di Pinerolo ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 547, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), il quale prevede che per le violazioni di cui all'art. 110, comma 9, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), e successive modificazioni, commesse in data antecedente all'entrata in vigore della citata legge, si applicano le disposizioni vigenti al tempo delle violazioni stesse. 1.1. - Il rimettente è investito di un procedimento nel quale più persone sono imputate del reato di cui all'art. 110, comma 9, del r.d. n. 773 del 1931, per aver installato e consentito l'uso, in luogo aperto al pubblico, di apparecchi idonei al gioco d'azzardo «o comunque [...] non rispondenti alle caratteristiche e prescrizioni indicate nei commi 6 e 7 di cui all'art. 110 TULPS», in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 266 del 2005. Il giudice a quo si duole che, per effetto della disposizione censurata, la rilevanza penale di tali condotte permanga, nonostante l'art. 1, comma 543, della medesima legge abbia depenalizzato le fattispecie già configurate come reato dall'art. 110, comma 9, del r.d. n. 773 del 1931. A suo avviso, l'art. 1, comma 547, della legge n. 266 del 2005, impedendo «di fare applicazione retroattiva della nuova disciplina contenente l'abolitio criminis», viola l'art. 3 della Costituzione, poiché, in assenza di una sufficiente ragione giustificativa, introduce una deroga al principio di non ultrattività della legge penale, sancito dall'art. 2, secondo comma, del codice penale, il quale garantisce l'eguale trattamento dei cittadini nell'applicazione della legge penale. Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, il canone della retroattività in mitius rinviene il suo fondamento costituzionale nel principio di uguaglianza, il quale impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla data della loro commissione. Di conseguenza, il principio di retroattività della lex mitior, diversamente dal principio di irretroattività della norma penale sfavorevole, «deve ritenersi suscettibile di deroghe legittime sul piano costituzionale», ma solo ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli (vengono richiamate le sentenze n. 394 del 2006, n. 80 del 1995, n. 6 del 1978, n. 164 del 1974, nonc hé l'ordinanza n. 330 del 1995). Il giudice a quo osserva che la più recente legislazione ha rafforzato il principio di retroattività della legge penale favorevole, estendendolo anche al settore delle violazioni penali finanziarie, nel quale - in forza dell'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), abrogato dall'art. 24, comma 1, del d. lgs. 30 dicembre 1999, n. 507 - esso non operava. Peraltro, le contravvenzioni punite dal previgente art. 110, comma 9, del r.d. n. 773 del 1931 non erano riconducibili alla nozione di reato finanziario. Sulla rilevanza della questione così prospettata non incide, a parere del rimettente, la circostanza che il citato art. 110, comma 9, sia stato nuovamente sostituito dall'art. 1, comma 86, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), visto che, comunque, in forza dell'art. 1, comma 547, della legge n. 266 del 2005, le norme penali abrogate seguitano ad operare per i fatti pregressi. 1.2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare la questione inammissibile, poiché, rispetto alle fattispecie oggetto del giudizio principale, l'art. 1, comma 547, della legge n. 266 del 2005 «non dovrebbe trovare applicazione». Infatti, prosegue la difesa erariale, l'art. 110, comma 9, del r.d. n. 773 del 1931, nella nuova formulazione, non punisce più gli illeciti concernenti l'installazione e l'uso degli apparecchi e congegni da gioco d'azzardo, ma stabilisce il trattamento sanzionatorio per i soli «apparecchi e congegni da intrattenimento di cui ai commi 6 e 7» (art. 1, comma 86, della legge n. 296 del 2006). La denunciata norma, pertanto, nel riferirsi alle violazioni di cui all'art. 110, comma 9, del r.d. n. 773 del 1931, nulla avrebbe disposto per le condotte riguardanti gli apparecchi per il gioco d'azzardo, in contestazione nel giudizio a quo. 2. - Anche il Tribunale di Varese, con ordinanza emessa l'11 ottobre 2007 nell'àmbito di un procedimento penale concernente i reati previsti dall'art. 110 del r.d. n. 773 del 1931 e dall'art. 718 cod. pen., ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 547, della legge n. 266 del 2005. 2.1. - Il rimettente deduce che tale norma - nella parte in cui prevede che per le violazioni di cui all'art. 110, comma 9, del r.d. n. 773 del 1931 poste in essere in data anteriore al 1° gennaio 2006 continuino ad operare le sanzioni vigenti al momento del fatto, consentendo negli altri casi l'applicazione delle nuove sanzioni amministrative - determina una disparità di trattamento tra soggetti responsabili di identici illeciti «sul solo presupposto della data del commesso reato», in contrasto non solo con l'art. 3, ma anche con l'art. 25 della Costituzione. Il giudice a quo, richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale, ammette che il principio dell'applicazione retroattiva delle disposizioni più favorevoli al reo possa subire limitazioni da parte del legislatore ordinario, ma, riguardo alla deroga recata dall'art. 1, comma 547, della legge n. 266 del 2005, nega l'esistenza di ogni ragionevole giustificazione (viene citata la sentenza n. 74 del 1980). 2.2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare la questione inammissibile, per insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale. 3. - Analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 547, della legge n. 266 del 2005 è stata prospettata dal Tribunale di Pescara, con ordinanza del 19 giugno 2007, in riferimento all'art. 3 della Costituzione. 3.1. - In punto di rilevanza, espone il giudice a quo che, in forza della norma censurata, gli imputati nel giudizio principale dovrebbero subire l'applicazione della sanzione penale, nonostante il fatto loro contestato non sia più previsto come reato, avendo l'art. 1, comma 543, della legge n. 266 del 2005 depenalizzato la condotta di chi distribuisce, installa o consente l'uso in luogo aperto al pubblico di apparecchi non rispondenti alle caratteristiche descritte ai commi 6 e 7 dell'art. 110 del r.d. n. 773 del 1931. Anche il Tribunale di Pescara esclude che la deroga al principio di non ultrattività della legge penale, prevista dall'art. 1, comma 547, della legge n. 266 del 2005, sia assistita da una razionale giustificazione (è richiamata la sentenza n. 74 del 1980), ravvisando al fondo delle scelte operate dal legislatore «solo una diversa valutazione nel tempo del disvalore sociale e penale del fatto». 3.2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare la questione inammissibile, per non aver il rimettente considerato che l'art. 110, comma 9, del r.d. n. 773 del 1931 è stato sostituito dall'art. 1, comma 86, della legge n. 296 del 2006. Considerato in diritto 1. - Il Tribunale di Pinerolo, il Tribunale di Varese ed il Tribunale di Pescara, con le ordinanze in epigrafe, sottopongono al sindacato di questa Corte la disciplina di diritto intertemporale contemplata dall'art. 1, comma 547, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), relativamente alla depenalizzazione, ad opera della medesima legge, del trattamento sanzionatorio delle violazioni in materia di apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici per il gioco. In particolare, la norma denunciata stabilisce che per le violazioni di cui all'art. 110, comma 9, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), e successive modificazioni, commesse in data antecedente all'entrata in vigore della citata legge, si applicano le disposizioni vigenti al tempo delle violazioni stesse, e così introduce una deroga al principio di non ultrattività della legge penale di cui all'art. 2, secondo comma, del codice penale. Tale deroga, ad avviso dei giudici a quibus, si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, poiché crea disparità di trattamento tra coloro che, in momenti diversi, contravvengono alle prescrizioni dell'art. 110 del r.d. n. 773 del 1931, in mancanza di una sufficiente ragione giustificativa (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 394 del 2006, n. 80 del 1995, n. 6 del 1978, n. 164 del 1974, nonché l'ordinanza n. 330 del 1995). Il solo Tribunale di Varese deduce altresì la violazione dell'art. 25 della Costituzione. 2. - I giudizi, avendo ad oggetto questioni analoghe, se non identiche, vanno riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia. 3. - Le questioni di costituzionalità sollevate dal Tribunale di Varese e dal Tribunale di Pescara sono manifestamente inammissibili. Il Tribunale di Varese ha omesso di descrivere la fattispecie concreta oggetto del giudizio principale, essendosi limitato a riferire che all'imputato è contestata, tra l'altro, la violazione dell'art. 110 del r.d. n. 773 del 1931, senza neppure fornire indicazioni in ordine alla data del commesso reato (ordinanza n. 55 del 2008). Il Tribunale di Pescara, nel formulare il giudizio sulla rilevanza, non ha compiutamente ricostruito il quadro normativo di riferimento, avendo trascurato di argomentare, sia pure per escluderne l'incidenza, in merito alla nuova sostituzione dell'art. 110, comma 9, del r.d. n. 773 del 1931 ad opera dell'art. 1, comma 86, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007) (ordinanza n. 55 del 2008). 4. - Non può essere invece accolta l'eccezione d'inammissibilità dell'Avvocatura dello Stato nel giudizio di costituzionalità promosso dal Tribunale di Pinerolo, secondo cui il procedimento a quo avrebbe ad oggetto violazioni riguardanti apparecchi per il gioco d'azzardo, quali definiti dall'art. 110, comma 5, del r.d. n. 773 del 1931, e, rispetto a tali illeciti, l'art. 1, comma 547, della legge n. 266 del 2005 non troverebbe applicazione, vertendo le nuove previsioni dell'art. 110, comma 9, unicamente «In materia di apparecchi e congegni da intrattenimento di cui ai commi 6 e 7» (inciso inserito dall'art. 1, comma 86, della legge n. 296 del 2006). Invero, risulta dall'ordinanza di rimessione che le condotte contestate nel procedimento principale concernono pure apparecchi «comunque» non rispondenti alle caratteristiche e prescrizioni di cui all'art. 110, commi 6 e 7, del r.d. n. 773 del 1931. D'altra parte, l'art. 1, comma 547, sancendo l'ultrattività delle disposizioni in precedenza contenute nell'art. 110, comma 9, del r.d. n. 773 del 1931, si applica anche alle violazioni concernenti apparecchi e congegni per il gioco d'azzardo commesse al tempo in cui esse erano sanzionate dalla detta norma (tra le molte, Cass., 2 maggio 2007, n. 16599 e 17 aprile 2007, n. 15297). 5. - Nel merito, la questione sollevata dal Tribunale di Pinerolo è fondata. 6. - La legge n. 266 del 2005, sostituendo l'art. 110, comma 9, del r.d. n. 773 del 1931, per un verso, ha trasformato in illecito amministrativo le fattispecie contravvenzionali finalizzate al contrasto del gioco con apparecchi e congegni non conformi alle caratteristiche ed alle prescrizioni del comma 6 (oggetto anch'esso di modifica) e del comma 7 dello stesso articolo; per altro verso, ha ricondotto alle sole norme previste in materia dal codice penale la sanzionabilità delle condotte inerenti al gioco d'azzardo, condotte rispetto alle quali, in precedenza, era configurabile il concorso formale di reati. La riferita successione normativa avrebbe fatto venir meno il rilievo penale delle violazioni dell'art. 110, comma 9, anteriormente commesse, se per esse l'art. 1, comma 547, della legge n. 266 del 2005 non avesse disposto che debba continuare ad applicarsi la legge vigente al momento del fatto. 7. - La verifica della legittimità costituzionale del citato art. 1, comma 547, va condotta con riferimento alla parte in cui tale disposizione deroga al principio generale stabilito dall'art. 2, secondo comma, del codice penale, in base al quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte la regola della retroattività della lex mitior, pur avendo rango diverso dal principio d'irretroattività della norma incriminatrice, di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, non è priva di un fondamento costituzionale. Per il principio di uguaglianza, infatti, la modifica mitigatrice della legge penale e, ancor di più, l'abolitio criminis, disposte dal legislatore in dipendenza di una mutata valutazione del disvalore del fatto tipico, devono riverberarsi anche a vantaggio di coloro che hanno posto in essere la condotta in un momento anteriore, salvo che, in senso opposto, ricorra una sufficiente ragione giustificativa (sentenze n. 394 e n. 393 del 2006, n. 80 del 1995, n. 74 del 1980, n. 6 del 1978 e n. 164 del 1974). Il principio della retroattività della legge penale favorevole, dunque, è suscettibile di limitazioni e deroghe, ma - in ragione della peculiare rilevanza dell'interesse da esso tutelato, dimostrata dal grado di protezione accordatogli dal diritto interno, come pure dalla sua appartenenza alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri dell'Unione europea (Corte di giustizia, sentenza 3 maggio 2005, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02) e al diritto internazionale (art. 15, primo comma, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881) - tali limitazioni e deroghe devono giustificarsi in relazione alla necessità di preservare interessi contrappos ti di analogo rilievo (sentenze n. 72 del 2008, n. 394 e n. 393 del 2006). Alla stregua di siffatti criteri di giudizio, occorre valutare se la disciplina transitoria contenuta nella norma censurata soddisfi esigenze tali da prevalere su un principio del tipo indicato. 8. - L'indiscriminata deroga recata dall'art. 1, comma 547, della legge n. 266 del 2005 non è correlata ad interessi di rilievo costituzionale analogo all'interesse che il singolo vanterebbe a non vedersi esposto alle conseguenze penali di condotte oramai punite come mero illecito amministrativo o di condotte non più punite anche ai sensi dell'art. 110, comma 9, del r.d. n. 773 del 1931, bensì unicamente secondo le previsioni del codice penale in materia di giochi d'azzardo. Essa, invero, contraddice gli obiettivi della depenalizzazione, rappresentati, in base alla relazione al disegno di legge divenuto legge n. 266 del 2005, dalla necessità di assicurare maggiore celerità di definizione dei procedimenti e di demandare l'irrogazione delle sanzioni all'organo con maggiori competenze tecniche nel settore, l'Ufficio regionale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. D'altra parte, l'irretroattività della abolitio criminis non trova adeguata giustificazione nei motivi genericamente addotti nella relazione sopra citata, per i quali essa intende «garantire chiarezza relativamente all'applicazione del nuovo apparato sanzionatorio», dal momento che, ove la disposizione transitoria fosse mancata, avrebbero comunque operato i princípi generali di cui all'art. 2 cod. pen. A fondamento della norma censurata, pur contenuta in una legge finanziaria, neppure può ravvisarsi l'interesse primario dello Stato alla riscossione dei tributi (sentenze n. 80 del 1995, n. 6 del 1978, n. 164 del 1974), dato che le abolite contravvenzioni, lungi dal soddisfare un tale interesse, avevano obiettività giuridica afferente all'ordine pubblico (sentenza n. 237 del 2006). 9. - L'art. 1, comma 547, della legge n. 266 del 2005, pertanto, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui consente di applicare, per le violazioni di cui all'art. 110, comma 9, del r.d. n. 773 del 1931, e successive modificazioni, commesse in data antecedente all'entrata in vigore della legge n. 266 del 2005, le sanzioni penali previste al tempo delle violazioni stesse. LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 547, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), nella parte in cui stabilisce che, per le violazioni di cui all'art. 110, comma 9, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), e successive modificazioni, commesse in data antecedente all'entrata in vigor e della citata legge, si applicano le sanzioni penali previste al tempo delle violazioni stesse; dichiara manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 547, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), sollevate dal Tribunale di Pescara, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, e dal Tribunale di Varese, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Giuseppe TESAURO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 (Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonché in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale), sia nel testo originario che in quello risultante all'esito delle modifiche apportate dalla relativa legge di conversione 17 maggio 2007, n. 64, promossi con due ricorsi della Regione Veneto e con due ricorsi della Regione Lombardia notificati il 18 maggio ed il 13 ed il 19 luglio 2007, depositati in cancelleria il 24 e il 26 maggio 2007, il 19 ed il 26 luglio 2007 ed iscritti ai numeri 25, 26, 32 e 34 del registro ricorsi 2007. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta; uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto, Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia e l'avvocato dello Stato Raffaele Tamiozzo per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Con ricorso depositato in cancelleria il 24 maggio 2007 (ricorso n. 25 del 2007), la Regione Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 (Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario), per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117 e 119 della Costituzione, nonché «del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2003, n. 3» (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). 2.- Anche la Regione Lombardia, con ricorso depositato in cancelleria il 26 maggio 2007 (ricorso n. 26 del 2007), ha promosso questione di legittimità costituzionale del medesimo decreto-legge n. 23 del 2007, ipotizzandone l'illegittimità per contrasto con gli artt. 3, 32, 117, terzo e quarto comma, 119 e 120 della Costituzione, nonché «per violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), dell'obbligo di partecipare alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva (art. 53 Cost.) e della riserva di legge in materia di prestazioni patrimonia li» (art. 23 Cost.). 3.- Entrambe le Regioni hanno, inoltre, impugnato anche la legge 17 maggio 2007, n. 64 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 20 marzo 2007, n. 23, recante disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonché in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale). In particolare, la Regione Veneto, con ricorso depositato in cancelleria della Corte il 19 luglio 2007 (ricorso n. 32 del 2007), censura la predetta legge assumendone la contrarietà agli artt. 3, 32, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonché al principio di leale collaborazione «di cui agli artt. 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3». Del pari, la Regione Lombardia, con ricorso depositato in cancelleria della Corte il 26 luglio 2007 (ricorso n. 34 del 2007), ha impugnato la legge n. 64 del 2007, limitatamente all'art. 1, ipotizzando il contrasto con gli artt. 3, 32, 77, secondo comma, 81, quarto comma, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 Cost., nonché la «violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), dell'obbligo di partecipare alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva (art. 53 Cost.) e della riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali» (art. 23 Cost.). 4.- Preliminarmente, entrambe le ricorrenti illustrano, nei suoi tratti essenziali, la disciplina oggetto di censura. Sottolineano, pertanto, che le disposizioni oggetto di censura stabiliscono, innanzitutto, che lo Stato - in deroga all'obbligo per le Regioni di coprire gli eventuali disavanzi di gestione con oneri a proprio carico - concorre «al ripiano dei disavanzi del Servizio sanitario nazionale per il periodo 2001-2005», in favore delle Regioni che soddisfino, però, alcuni requisiti (art. 1, comma 1). Si richiede, in particolare, che «al fine della riduzione strutturale del disavanzo nel settore sanitario» le Regioni sottoscrivano «l'accordo con lo Stato per i piani di rientro», nonché accedano «al fondo transitorio di cui all'articolo 1, comma 796, lettera b), della legge 296 del 2006» (lettera a comma 1 del predetto art. 1). È necessaria, poi, «al fine dell'ammortamento del debito accumulato fino al 31 dicembre 2005», ed «in via ulteriore rispetto all'incremento nella misura massima dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attività produttive», la destinazione, da parte delle Regioni, «al settore sanitario in modo specifico, anche in via alternativa», di «quote di manovre fiscali già adottate o quote di tributi erariali attribuiti alle regioni stesse», ovvero, «nei limiti dei poteri loro attribuiti dalla normativa statale di riferimento ed in conformità ad essa», di «misure fiscali da attivarsi sul proprio territorio, in modo tale da assicurare complessivamente risorse superiori rispetto a quelle derivanti dal predetto incremento nella misura massima» (lettera b del medesimo comma 1 dell'art. 1). È stabilito, inoltre, che, «per il periodo di imposta successivo al 31 dicembre 2006 e per i periodi seguenti fino all'anno 2010», per quelle Regioni - le quali approvino l'accordo «stipulato con i Ministri della salute e dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e dell'articolo 1, comma 796, lettera b), secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296» - «l'addizionale all'IRPEF e le maggiorazioni dell'aliquota dell'IRAP si applicano nella misura prevista al comma 174, ultimo periodo, dell'articolo 1 della medesima legge 30 dicembre 2004, n. 311»; tali inc rementi, invece, «non si applicano nelle regioni nelle quali sia scattato, in modo automatico, l'innalzamento dell'addizionale regionale all'IRPEF della maggiorazione dell'aliquota dell'IRAP» e - a seguito del raggiungimento dell'accordo con il Governo sulla copertura dei disavanzi di gestione del servizio sanitario regionale, accordo previsto «all'articolo 1, comma 1-bis, del decreto-legge 7 giugno 2006, n. 206, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 234» - «tale innalzamento non sia stato applicato» (comma 2 dell'art. 1). Infine, è previsto che lo stanziamento per il ripiano delle situazioni debitorie accumulate dalle Regioni nel settore sanitario sia pari a 3.000 milioni di euro per l'anno 2007, da ripartire «tra le regioni interessate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali»; in particolare, poi, i criteri per l'erogazione dello stanziamento verranno definiti «sulla base dei debiti accumulati fino al 31 dicembre 2005, della capacità fiscale regionale e della partecipazione delle regioni al finanziamento del fabbisogno sanitario», prevedendosi, conclusivamente, che alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dal decreto si provveda «mediante corrispondente riduzion e dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007» (comma 3 dell'art. 1). 5.- Assumono le Regioni ricorrenti, nello svolgere censure per la massima parte coincidenti, che tale disciplina si porrebbe in controtendenza rispetto alla più recente evoluzione legislativa - la quale, sebbene non abbia «escluso l'intervento dello Stato nel percorso di risanamento del deficit sanitario delle Regioni», ha comunque subordinato tale partecipazione «a misure fortemente indicative della progressiva responsabilizzazione delle Regioni» (ciò in coerenza «con la soppressione dei trasferimenti erariali» in favore delle stesse relativi «al finanziamento della spesa sanitaria corrente e in conto capitale disposta dall'art. 1, lettera d), del d.lgs. n. 56 del 2000») - e sarebbe, inoltre, in contrasto con la Costituzione. 5.1.- Viene dedotta, in primo luogo, la violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo sia della disparità di trattamento che del difetto di ragionevolezza. Ed invero, la contestata disciplina, «disconoscendo il principio di responsabilità finanziaria» delle Regioni, pregiudicherebbe «qualità e quantità delle prestazioni» rese da quelle tra di esse che, come le ricorrenti, hanno contenuto la spesa sanitaria «non dilatando oltre il lecito le proprie azioni concrete», chiamandole «alla sopportazione degli oneri generali di una spesa inefficiente ed eccessiva» alla quale non hanno concorso, ciò che determinerebbe una «discriminazione irragionevole» che «genera disuguaglianza» (così, in particolare, il ricorso n. 25 del 2007 della Regione Veneto). Tale disciplina, difatti, «agendo con metodo selettivo, opera una vera e propria discriminazione fra soggetti istituzionalmente fra loro equiordinati quali sono le Regioni, selezionandone alcune nei confronti delle quali lo Stato concorre al ripiano del disavanzo nel settore del Servizio sanitario nazionale, escludendone altre che non avranno acceso ai benefici» (così, in particolare, i ricorsi nn. 26 e 34 della Regione Lombardia). In tal modo, dunque, si attribuiscono «risorse economiche solo ad alcune Regioni, pur oberate da gravi e tuttavia evitabili (doverosamente evitabili) situazioni di debito», non consentendo invece, proprio «alle Regioni che quei disavanzi hanno saputo evitare», di «utilizzare le risorse statali stanziate, per il miglioramento del proprio servizio sanitario, su basi di effettiva e reale parità istituzionale» (in tal senso, i ricorsi nn. 26 e 34 della Regione Lombardia). Inoltre, la disciplina in esame risulterebbe affetta da irragionevolezza, sia perché la previsione del ripiano selettivo del disavanzo sanitario «sana retroattivamente i disavanzi di alcune Regioni senza preoccuparsi di agire sulle cause strutturali determinanti i risultati negativi di gestione», sia perché «tradisce il principio di responsabilità delle singole Regioni per la gestione della sanità e per la copertura degli eventuali relativi disavanzi, regola costantemente riaffermata dallo Stato stesso, sia nella propria produzione normativa sia in sede di accordo e intesa con le Regioni e le Province autonome, e divenuta ormai imprescindibile cardine per la corretta attuazione del disegno costituzionale» (così, in particolare, il ricorso n. 32 del 2007 della Regione Veneto). Infine, il difetto di ragionevolezza sarebbe ulteriormente confermato dalla «genericità» e dalla «inadeguatezza» dei «criteri recati dal decreto ai fini della quantificazione del finanziamento attribuito alle Regioni» (in tal senso i ricorsi nn. 26 e 34 della Regione Lombardia). 5.2.- È dedotta, poi, dalla Regione Veneto la violazione degli artt. 32 e 97 Cost. Si assume, difatti, che la scelta legislativa - già censurata ai sensi dell'art. 3 Cost. - di chiamare anche le Regioni "virtuose" «alla sopportazione degli oneri generali di una spesa inefficiente ed eccessiva» alla quale non hanno concorso, determinerebbe non solo una «discriminazione irragionevole» che «genera disuguaglianza», ma anche la mortificazione del buon andamento del Servizio sanitario nazionale, incidendo, infine, sul diritto alla salute di chi risiede in tali Regioni (ricorso n. 25 del 2007), giacché costoro soffrirebbero «della contrazione del livello qualitativo e quantitativo delle prestazioni sanitarie che inevitabilmente consegue al rilevante spreco delle risorse» complessivamente destinate a tale settore (ricorso n. 32 del 2007). 5.3.- Sempre l'art. 97 Cost. - ma in combinato disposto con l'art. 119, oltre che «in relazione agli artt. 23, 53 e 32» della medesima Carta fondamentale - è evocato pure dalla Regione Lombardia. Si assume, infatti, che la contestata disciplina costituirebbe «un grave ostacolo al conseguimento di prassi amministrative ordinate, in grado di fronteggiare con efficacia la complessità delle richieste che i cittadini, in materia di tutela della salute, devono vedere soddisfatte», con conseguente «lesione del generale principio costituzionale relativo al "buon andamento" dell'amministrazione pubblica», nonché di quello «per il quale l'onere relativo alle spese pubbliche è finanziato in ragione della capacità contributiva di ciascuno» (art. 53 Cost.). Detta disciplina inoltre violerebbe - dal momento che neppure precisa «l'entità delle misure fiscali da attivare» e, dunque, «l'entità della compartecipazione fiscale che verrà richiesta ai cittadini» - il principio (art. 23 Cost.) della «riserva di legge» in materia tributaria (ricorsi nn. 26 e 34 del 2007), il quale, esige che «la concreta entità della prestazione imposta sia chiaramente desumibile dagli interventi legislativi che riguardano l'attività dell'amministrazione» (ricorso n. 34 del 2007). Infine, la violazione del principio del buon andamento dell'amministrazione deriverebbe anche dal fatto che, «a fronte dell'oggettiva rilevanza dello stanziamento» disposto dal censurato decreto-legge, «le modalità di monitoraggio e di riscontro dell'estinzione dei debiti» risultano disciplinate solo «nell'ambito dei piani di rientro», con conseguente omissione, pertanto, «degli indispensabili strumenti di monitoraggio e di controllo sull'uso delle risorse», delle «pur necessarie sanzioni in caso di mancato conseguimento degli obiettivi», nonché della «quantificazione dell'aumento del prelievo fiscale» e, soprattutto, della «eventuale riduzione del finanziamento in caso di mancato rientro delle situazioni deficitarie», oltre che delle «modalità di restituzione del finanziamen to dalle Regioni allo Stato» (ricorsi nn. 26 e 34 del 2007). 5.4.- È dedotta, poi, da entrambe le ricorrenti la violazione dell'art. 117 Cost. Si evidenzia, difatti, che la contestata disciplina non appare riconducibile a nessuno dei titoli di competenza, pur astrattamente invocabili dallo Stato (e cioè la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ovvero la competenza a porre principi fondamentali nell'ambito della tutela della salute e del coordinamento della finanza pubblica), ed in particolare: non al primo, in quanto gli interventi legislativi di ripiano dei disavanzi di gestione del Servizio sanitario nazionale andrebbero valutati «nel quadro della competenza legislativa regionale concorrente in materia di tutela della salute», né al secondo, visto che la disciplina in esame, lungi dal recare "principi fondamentali", «si segnala, invece, per il suo carattere minuzioso, dettagliato, autoapplicativo, dal momento che indica quali Regioni e secondo quali modalità potranno beneficiare del finanziamento statale per ripianare i propri debiti sanitari» (così, in particolare, il ricorso n. 25 del 2007). 5.5.- La sola Regione Veneto, nel secondo dei suoi ricorsi, ipotizza il contrasto dell'impugnata disciplina anche con l'art. 118 Cost., atteso che la previsione di un intervento finanziario «del livello di governo centrale» si risolverebbe «in un'indebita interferenza nella gestione più propriamente organizzativa della sanità, ossia, in concreto, nell'esercizio delle funzioni amministrative che l'art. 118 Cost. vuole distribuire tra i diversi enti territoriali» (ricorso n. 32 del 2007). 5.6.- L'illegittimità costituzionale della censurata disciplina deriverebbe, poi, dal contrasto - dedotto da ambedue le ricorrenti, seppure con argomenti diversi - con l'art. 119 Cost. Esclusa, difatti, la possibilità di ricondurre l'intervento realizzato dal censurato decreto-legge n. 23 del 2007 alla materia di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. (giacché «tale titolo di legittimazione legislativa non può essere invocato se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione»), entrambe le ricorrenti concordano nel ritenere che la contestata disciplina darebbe vita, in una materia - la tutela della salute - oggetto di potestà legislativa concorrente, ad un finanziamento vincolato, destinato, dunq ue, a risolversi in «uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza» (così, in particolare, i ricorsi nn. 26 e 34 del 2007). La sola Regione Lombardia deduce, altresì, la violazione del comma sesto dell'art. 119 Cost., giacché la contestata disciplina - in contrasto, appunto, con la norma costituzionale che limita la «possibilità di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni di ricorrere all'indebitamento per il solo finanziamento delle spese di investimento» - «autorizza l'indebitamento di talune Regioni per la copertura dei disavanzi sanitari pregressi per il periodo 2001-2005, autorizzando, a tal fine, una spesa ancora non determinata, ma sicuramente rilevante (ricavabile dalla sommatoria dei piani di rientro) a carico dello Stato, a titolo di "regolazione debitoria"» (ricorsi nn. 26 e 34 del 2007).< /SPAN> 5.7.- Entrambe le ricorrenti deducono la violazione anche dell'art. 120 Cost., giacché la censurata disciplina, pur predisponendo un intervento «sostitutivo» ai sensi di detta norma costituzionale, «non pone per legge criteri oggettivi di monitoraggio del finanziamento e per l'estinzione del debito contratto dalle Regioni», né altresì individua «condizioni, garanzie e relative sanzioni». Ad avviso delle ricorrenti, la giurisprudenza costituzionale, per contro, ha sottolineato la necessità che «che l'esercizio dei poteri sostitutivi sia previsto e disciplinato dalla legge, la quale deve altresì definirne i presupposti sostanziali e procedurali», evenienza non verificatasi nel caso in esame, con conseguente violazione dell'art. 120 Cost., in quanto, se è vero che i poteri sostituivi «concorrono a limitare l'autonomia dell'ente nei cui confronti opera la sostituzione, è evidente che tale compressione di autonomia debba sottostare da un lato a forme e procedure certe e, sotto altro profilo, debba svolger si secondo modalità congrue alle finalità per le quali è posto in essere» (ricorso n. 26 del 2007). 5.8.- La sola Regione Lombardia, nel secondo dei suoi ricorsi (n. 34 del 2007), deduce, infine, la violazione di due ulteriori parametri, e cioè degli artt. 77, secondo comma, e 81, quarto comma, Cost. 5.8.1.- Quanto, in particolare, alla prima di tali censure, si ipotizza l'assenza dei presupposti previsti dalla Costituzione per il ricorso alla decretazione d'urgenza, vizio che la Corte costituzionale ha escluso possa ritenersi sanato dall'avvenuta conversione in legge del decreto (è citata la sentenza n. 171 del 2007) Ed invero, a dire della ricorrente, «le situazioni di deficit che il provvedimento intende ripianare, non possono essere realisticamente riguardate come "caso straordinario"», atteso che «rappresentano l'esito non improvviso né imprevedibile, quindi scontato», di «crisi gestionali e amministrative evidenziate da talune amministrazioni regionali». Né, d'altra parte, la sussistenza dei presupposti ai quali l'art. 77 Cost. subordina il ricorso alla decretazione d'urgenza potrebbe desumersi - sottolinea la Regione Lombardia - dal preambolo del censurato decreto-legge (che conterrebbe solo quell'apodittica enunciazione dell'esistenza delle ragioni di necessità ed urgenza, già censurata dalla menzionata sentenza n. 171 del 2007), ovvero dalla relazione governativa al disegno di legge di conversione. Non veritiera, in particolare, risulterebbe la circostanza riferita in detta relazione, secondo cui l'urgenza di provvedere sarebbe derivata dall'impossibilità di una tempestiva sottoscrizione di tutti i piani di rientro dai disavanzi, giacché proprio «alla data di emanazione del decreto-legge (20 marzo 2007), i piani di rientro delle Regioni ammesse al finanziamento risultavano ampiamente definiti», persino «sul punto dell'entità della partecipazione dello Stato al ripiano dei disavanzi regionali». Significativo, poi, sarebbe il fatto che, mentre il piano intervenuto il 6 marzo 2007 tra lo Stato e la Regione Lazio subordinava l'efficacia dello stesso, tra le altre condizioni, al «concorso straordinario dello Stato in favore delle Regioni con elevati disavanzi» (e dunque ad un finanziamento statale, illo tempore, «non ancora autorizzato e regolato da alcun testo normativo»), tra i requisiti che il d.l. n. 23 del 2007 «richiede per l'accesso al finanziamento dello Stato» vi sia «proprio la stipula dei piani di rientro»; si assiste, così, «ad un irrisolvibile tecnica di rimando per cui i piani di rientro richiedono un provvedimento futuro del Governo con cui s i dispone la partecipazione dello Stato al ripiano dei deficit regionali (ed anzi lo "presuppongono") e il provvedimento del Governo (e cioè il decreto-legge convertito qui impugnato) subordina l'erogazione delle somme stanziate alla stipula dei piani di rientro». 5.8.2.- Quanto, poi, alla dedotta violazione anche dell'art. 81, quarto comma, Cost., a dire della Regione Lombardia la scelta compiuta dal censurato decreto-legge, di «non prevedere misure puntuali relative alla restituzione delle somme erogate», sarebbe destinata a tradursi «nella mancata previsione di una adeguata copertura finanziaria per i costi che il provvedimento comporterà». Ed invero, le modalità di riscontro dell'estinzione del debito, assunto dalle «Regioni interessate» dall'erogazione del finanziamento, risultano disciplinate soltanto «nell'ambito» dei piani di rientro, ciò che significa che questi «dovranno semplicemente rendere conto dell'effettivo e progressivo ripiano», senza, invece, «nulla dire sulle modalità e sui tempi (che al contrario dovrebbero essere definiti e certi) circa la restituzione allo Stato delle somme erogate». Risulterebbe, pertanto, violata la suddetta norma costituzionale, la cui finalità «non può essere solo quella volta ad assicurare che ad ogni spesa sostenuta corrisponda un'adeguata copertura», essendo, invece, «necessariamente più ampia» e consistendo, in particolare, «nel necessario bilanciamento tra flussi in uscita e flussi in entrata, volto a realizzare sul piano finanziario un equilibrio di sistema nel lungo periodo». 6.- Si è costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità e l'infondatezza di ciascuno dei ricorsi. La difesa erariale evidenzia, difatti, come il contributo statale previsto dal censurato d.l. n. 23 del 2007 risulti «assolutamente necessario ad accompagnare finanziariamente le Regioni impegnate in piani di rientro dai deficit strutturali, affinché il peso del debito pregresso non comprometta il raggiungimento dell'equilibrio economico e finanziario della gestione corrente». Detto contributo, poi, oltre a giustificarsi in ragione «del principio di leale collaborazione tra gli enti territoriali» (il quale «ha accompagnato il consolidarsi nel settore sanitario di un nuovo spirito cooperativo incentrato sulla stipula periodica di "patti di stabilità" tra lo Stato e le Regioni per la fissazione del fabbisogno sanitario e il riparto delle spese disponibili»), troverebbe il proprio fondamento costituzionale nella competenza esclusiva statale nelle materie di cui alle lettere e) ed m) del secondo comma dell'art. 117 Cost. La disciplina censurata recherebbe, difatti, «disposizioni tese a perseguire il più efficiente funzionamento del Servizio sanitario nazionale», in un quadro nel quale «il concorso statale nel risanamento strutturale dei disavanzi pregressi è subordinato alla sottoscrizione, da parte delle Regioni interessate, di un apposito accordo con lo Stato per i piani di rientro, nonché all'attivazione di specifiche misure fiscali, ovvero all'utilizzo di quote di manovre fiscali già adottate o di tributi erariali». Ciò premesso, la difesa dello Stato rileva come la giurisprudenza costituzionale abbia «in più occasioni affrontato le problematiche afferenti al concorso statale alla riduzione del deficit dei servizi sanitari regionali»; in particolare, con la sentenza n. 98 del 2007, la Corte costituzionale, «con specifico riferimento alla violazione dell'autonomia legislativa in materia di tutela della salute e dell'autonomia finanziaria regionale», avrebbe evidenziato che, «pur in deroga all'obbligo espressamente previsto dalla legislazione sul finanziamento del Servizio sanitario nazionale che siano le Regioni a coprire gli eventuali deficit del servizio sanitario regionale», è legittimo uno «speciale contributo fina nziario dello Stato», purché sia «subordinato a particolari condizioni finalizzate a conseguire un migliore o più efficiente funzionamento del complessivo servizio sanitario». Principio, questo, si rileva, già affermato sin dalla sentenza n. 36 del 2005, con la quale è stata ritenuta conforme a Costituzione la scelta del legislatore statale di subordinare «l'accesso delle Regioni al finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale all'osservanza di determinate condizioni», e si è precisato in particolare - prosegue sempre la difesa erariale - «che l'incremento delle risorse per il Servizio sanitario nazionale, accompagnato da specifici adempimenti a carico delle Regioni, va letto in termini di "carattere incentivante del finanziamento statale ai fini del conseguimento degli obiettivi di programmazione sanitaria e del connesso miglioramento del livello di assistenza"». Pertanto, quella censurata non sarebbe «un'invasione di competenze da parte dello Stato», bensì «un'erogazione condizionata al rispetto di obiettivi precisi stabiliti a livello centrale, la cui realizzazione sarà monitorata periodicamente attraverso appositi nuclei di affiancamento formati da rappresentanti del Governo e della Conferenza delle Regioni», da ritenere, quindi, costituzionalmente legittima, essendo oltretutto «prerogativa del Governo quella di garantire l'unità della Repubblica nella fruizione di un diritto costituzionale come quello della salute». Ed invero, essendo compito dello Stato «garantire il diritto alla salute, agli stessi livelli, su tutto il territorio nazionale», risulterebbe «di tutta evidenza che negare il contributo straordinario» (previsto dalla censurata disciplina) equivarrebbe a vanificare tale compito, creando «un danno per l'intero sistema sanitario nazionale» e dando luogo «ad un perverso effetto a catena assolutamente negativo: il merito di credito delle Regioni in difficoltà crollerebbe visti i volumi delle cartolarizzazioni sanitarie, ne soffrirebbe inevitabilmente anche il merito di credito della Repubblica». Inoltre, conclude l'Avvocatura generale dello Stato, «nelle Regioni in difficoltà il sistema sanitario rischierebbe di diventare ingovernabile e si potrebbero verificare fenomeni quali il fallimento delle aziende sanitarie e con esso dell'intero settore produttivo collegato», senza contare che i «governi regionali sarebbero disincentivati dall'intraprendere il grande sforzo codificato nei piani di rientro e il bisogno di salute resterebbe un problema di cui, in ogni caso, lo Stato centrale sarebbe chiamato a farsi carico» 6.1.- In prossimità dell'udienza pubblica, la difesa dello Stato ha depositato, per ciascuno dei quattro giudizi, un'ulteriore memoria, ribadendo le eccezioni e difese già proposte. Con riguardo alle specifiche censure formulate dalle Regioni ricorrenti la difesa dello Stato - previamente eccepita l'inammissibilità delle questioni «non direttamente riconducibili alle norme costituzionali che regolano la competenza regionale» - ha dedotto quanto segue. Non sussisterebbe la violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., in quanto il concorso al ripiano del disavanzo è disposto nei confronti delle Regioni che sottoscrivono l'accordo per il rientro dai deficit, che attivano la leva fiscale dell'IRAP sul loro territorio e l'addizionale regionale dell'IRPEF nella misura consentita dalla legislazione vigente, ed inoltre, che destinano al settore sanitario ulteriori risorse. In riferimento alla dedotta violazione dell'art. 97 Cost., si rileva come le norme impugnate, a differenza di quanto ritenuto dalle ricorrenti, sarebbero dirette ad eliminare definitivamente le condizioni di cattiva amministrazione che hanno dato luogo ai deficit in questione. Con riguardo alla prospettata lesione dell'art. 117 Cost., si rileva che le disposizioni in esame, poiché non tendono a realizzare nuova offerta sanitaria, ma solo a consentite l'ammortamento di debiti cumulati fino al 31 dicembre 2005, non inciderebbero sulla materia della salute intesa in senso ampio. Non appare, altresì, leso il principio della piena responsabilità ed autonomia finanziaria di entrata e di spesa degli enti, ai sensi dell' art. 119 Cost., in quanto, al fine della responsabilizzazione delle Regioni interessate, alle stesse sono state richieste misure di copertura pluriennale e di attivazione di risorse regionali ulteriori, mentre l'intervento statale ha la mera funzione di consentire la effettiva realizzazione dei piani di rientro. Né sussiste violazione del divieto di indebitamento per il finanziamento della spesa corrente. Con riguardo alla prospettata violazione dell'art. 23 Cost., si rileva che l'obiettivo dell'intervento statale sarebbe quello di consentire una gestione dei servizi regionali interessati improntata a principi di economicità e di buona amministrazione, al fine di garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza ed appropriatezza . Né vi sarebbe la lesione del principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni, in quanto nessun accordo è stato cercato né raggiunto con tutte le Regioni a giustificazione dell'intervento statale. Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato non può, altresì, condividersi la tesi dell'irragionevolezza della norma, desunta dal carattere "retroattivo" che si evince dal riferimento ai disavanzi pregressi. In ordine alla prospettata assenza dei requisiti di necessità ed urgenza dell'impugnato decreto-legge, nella specie, l'esigenza di intervenire sul contenimento della spesa pubblica sarebbe, al contrario, del tutto idonea a giustificare lo strumento prescelto. A sostegno di tali ultime argomentazione sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 171 del 2007 e n. 29 del 1995, che hanno affermato come l'esistenza dei requisiti della straordinarietà del caso di necessità e d'urgenza può essere oggetto di scrutinio di costituzionalità, ma quest'ultimo non si sovrappone né si sostituisce a quello iniziale del Governo e a quello successivo del Parlamento. Non si ravvisa, inoltre, contrasto con l'art. 119, sesto comma, Cost., in quanto detta norma pone un limite alle Regioni e non allo Stato che intervenga in loro ausilio. Le norme impugnate, infine, sarebbero rispettose dei principi enunciati dagli artt. 23 e 53 Cost., in quanto la riserva di legge, in tal caso relativa, consentirebbe al legislatore statale di fissare i parametri contenuti nel testo censurato. Non risulterebbe, in ultimo, né fondata, né ammissibile la censura basata sulla dedotta violazione dell'art. 81, quarto comma, Cost., poiché l'indebitamento previsto dalla norma impugnata concerne un impegno statale rispetto al quale ogni conseguenza esula dalla questione attinente al rispetto della sfera di competenza regionale. 7.¾ In data 23 aprile 2008, la Regione Veneto ha depositato due memorie, di identico contenuto. Previamente ribadito il contenuto delle disposizioni censurate e le ragioni della proposte impugnazioni, la ricorrente reputa necessario prendere posizione sulla pregiudiziale eccezione di inammissibilità dei ricorsi sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato. Evidenzia, pertanto, di aver «chiaramente indicato» quali siano le proprie competenze, costituzionalmente garantite, lese dalla censurata disciplina recata dal d.l. n. 23 del 2007 (e dalla successiva legge di conversione n. 64 del 2007), e segnatamente «quelle legislative, amministrative e finanziarie di cui agli artt. 117, 118 e 119 Cost.», precisando, inoltre, di avere anche evidenziato come le impugnate disposizioni risultino «in grado di incidere pesantemente sulla realtà e sulle potestà della Regione anche in via indiretta». Difatti, la ricorrente e le altre Regioni che sono state in grado di controllare la propria spesa sanitaria, si vedrebbero «costrette a contribuire all'ennesima massiccia elargizione di risorse finanziarie a Regioni che, invece, per anni, hanno dimostrato di non operare in conformità ai principi di buon andamento e responsabilità», con la duplice conseguenza non soltanto di subire un immediato pregiudizio, dovendo provvedere in qualità di "coobbligate solidali" al finanziamento, ma anche di patire, nel prossimo futuro, le conseguenze dannose «determinate dalla diminuzione ulteriore delle risorse finanziarie a disposizione per l'erogazione dei Servizio sanitario». Ciò premesso in via generale, la ricorrente precisa nuovamente i termini delle proposte questioni di legittimità costituzionale, illustrando le ragioni poste a fondamento delle singole censure. In tale prospettiva, essa sottolinea - quanto, in primo luogo, alla dedotta violazione dell'art. 117 Cost. - che non condivisibile dovrebbe ritenersi la tesi sostenuta dalla difesa statale, secondo cui la disciplina in contestazione troverebbe il proprio titolo di legittimazione nelle previsioni di cui alle lettere e) ed m) del secondo comma dell'art. 117 Cost. Al riguardo, premesso che gli interventi di ripiano dei disavanzi nel settore sanitario dovrebbero essere valutati «nel quadro della competenza legislativa regionale concorrente in materia di salute» (la Regione Veneto cita le già richiamate sentenze n. 98 del 2007 e n. 36 del 2005 della Corte costituzionale), la ricorrente deduce l'impossibilità di considerare la disposizioni censurate come espressive di un principio fondamentale di tale materia, giacché, se così fosse, le stesse «sancirebbero la irresponsabilità degli enti regionali in materia sanitaria, in aperto contrasto con la Costituzione e la legislazione, anche e soprattutto, nazionale sul punto». Esclude, poi, che l'ambito materiale interessato dall'intervento legislativo in esame possa essere identificato, oltre che in quello della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali (per le ragioni già esposte nei due ricorsi), nella perequazione delle risorse finanziarie (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), atteso che essa coinciderebbe con la «distribuzione di ricchezze che lo Stato opera prima ed in funzione della concreta gestione dei servizi regionali tra i diversi enti, non - come qui accade - a posteriori per sanare i bilanci in rosso». In merito, poi, alla dedotta violazione dell'art. 119 Cost., nel ribadire che quello realizzato dalla censurata disciplina sarebbe un intervento finanziario a destinazione vincolata, la ricorrente esclude che lo stesso possa ritenersi giustificato, alternativamente, ai sensi dei commi terzo e quinto di detto articolo. Per un verso, infatti, di tale intervento «beneficeranno Regioni i cui problemi finanziari non sono stati determinati da una minore capacità fiscale degli abitanti sul territorio» (come esige il terzo comma dell'art. 119 Cost.), «ma da una gestione della cosa pubblica inefficace, inefficiente e antieconomica»; per altro verso, poi, esso non risulta diretto «a "provvedere a scopi diversi dal normale esercizio" delle funzioni regionali», né può ritenersi idoneo a promuovere «la solidarietà sociale» (condizioni entrambe richieste dal quinto comma del medesimo art. 119), giacché, anzi, detto intervento minerebbe «alle radici il federalismo c.d. solidaristico», suscitando nelle Regioni, chiamate a contribuire alla produzione delle risorse distribuite con provvedimenti del tipo di quello impugnato, «una crescente ostilità nei confronti di quegli enti che di quel tesoro beneficiano, e che dovrebbero impegnarsi a gestirlo secondo il principio del buon andamento». La Regione Veneto, poi, sottolinea nuovamente l'esistenza della dedotta violazione degli artt. 3, 32, 97 e 118 Cost., rimarcando in particolare l'irragionevolezza delle scelte compiute dal legislatore statale, specialmente per aver previsto quello che appare «un finanziamento a "fondo perduto", sprovvisto di controlli circa l'effettivo utilizzo a ripiano del deficit», ed oltretutto inidoneo ad attingere lo scopo avuto di mira. In tale prospettiva, difatti, la ricorrente segnala che l'art. 2, commi da 46 a 49, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annua le e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008) ha previsto «l'ennesimo intervento finanziario statale di rientro di deficit sanitari regionali», mentre il decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 28 febbraio 2008, n. 31, «ha cancellato l'automatico incremento fiscale (di IRPEF e IRAP) previsto a carico delle Regioni inadempienti agli obblighi assunti nei propri piani di rientro del debito pregresso», eliminando, così, la regola «della responsabilità normativa-gestionale-finanziaria delle Regioni in materia sanitaria». Infine, la ricorrente pone in luce quella che definisce come la «pesante violazione del principio di leale collaborazione operata dalla disciplina normativa impugnata», giacché l'amplissima competenza legislativa, ed ancor più amministrativa e finanziaria, delle Regioni in materia sanitaria avrebbe richiesto «che i diversi livelli di governo chiamati a gestire la salute collaborino lealmente tra loro». Di conseguenza, secondo la Regione Veneto, ogni decisione legislativa in materia avrebbe dovuto «essere oggetto di una preventiva verifica ed accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni, accordo che, invece, la normativa impugnata non contempla né nella fase di delibe razione del finanziamento, né in quella di concreta individuazione degli (e distribuzioni agli) enti beneficiari dello stesso». 8.- La Regione Lombardia ha depositato, egualmente in data 23 aprile 2008, un'unica memoria relativa ad entrambi i giudizi instaurati. Essa, in particolare, dopo aver sinteticamente rammentato il contenuto della disciplina in contestazione - non senza evidenziare, peraltro, come nelle more della conversione in legge del d.l. n. 23 del 2007, con provvedimento ministeriale del 4 maggio 2007, siano state individuate le Regioni destinatarie delle misure di ripiano del disavanzo per il periodo dal 2001 al 2005 (essendosi destinate alle Regioni Campania, Lazio, Molise e Sicilia, rispettivamente, le somme di euro 144 milioni, 363 milioni, 2079 milioni, 202 milioni e 212 milioni) - ha inteso soprattutto sottolineare come tale disciplina costituisca «un grave episodio di "finanza derivata" in materia di risorse per la sanità, che va in direzione diametralmente opposta all'attuazione del cd. federalismo fiscale e allo ntana sempre di più il pur necessario (in quanto imposto dalla Costituzione) ripensamento dell'intero sistema di relazioni finanziarie tra i differenti livelli di governo». Su tali basi, pertanto, la ricorrente ribadisce l'illegittimità costituzionale della censurata disciplina, rimarcando, in particolare, il grave vulnus che essa recherebbe all'art. 119, sesto comma, Cost., giacché, nell'autorizzare «a titolo di regolazione debitoria» la spesa statale di 3.000 milioni di euro per l'anno 2007, contravverrebbe a tale norma costituzionale che consente alle Regioni di ricorrere all'indebitamento per il solo finanziamento delle spese di investimento. Né, d'altra parte, tale prospettiva risulterebbe corretta dalle successive scelte legislative, sé è vero che la già citata legge n. 244 del 2007 ha previsto lo stanziamento, da parte dello Stato ed in favore delle medesime Regioni Campania, Lazio, Molise e Sicilia, di un ammontare complessivo di 9.100 milioni di euro, al fine di anticipare alle stesse «la liquidità necessaria per l'estinzione dei debiti contratti sui mercati finanziari e dei debiti commerciali cumulati fino al 31 dicembre 2005, (.) al netto delle somme già erogate a titolo di ripiano dei disavanzi». Il tutto, nel dichiarato intento - secondo quanto riferito dal Ministro della salute, in sede di audizione parlamentare - di favorire «la tr asformazione dei debiti contratti dalle regioni a tassi molto elevati in debiti trentennali verso lo Stato», ciò che imporrebbe di includere anche tale intervento legislativo - evidenzia la ricorrente - tra quelle «norme fortemente derogatorie del principio di finanziamento delle funzioni regionali con risorse regionali». Del resto, osserva ancora la ricorrente, che il ripiano da parte dello Stato dei disavanzi regionali stia «programmaticamente tramutandosi in vero e proprio metodo ordinario di finanziamento statale, con valenza generale, da applicare in futuro a tutte le Regioni che dovessero trovarsi in situazioni deficitarie», è quanto avrebbe nuovamente confermato il Ministro della salute nel corso della menzionata audizione parlamentare, ciò che evidenzierebbe - conclude sul punto la Regione Lombardia - la definitiva vanificazione di «quel carattere "incentivante" più volte individuato dalla Corte costituzionale in relazione al finanziamento statale ai fini del conseguimento degli obiettivi della programmazione s anitaria e del connesso miglioramento del livello di assistenza» (è citata, in particolare, la sentenza n. 36 del 2005). Alla medesima logica, infine, sarebbe da ricondurre l'intervento compiuto dal già citato d.l. n. 248 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 31 del 2008, e segnatamente dal suo art. 8, comma 1, lettera a). Esso, nello stabilire che in quelle Regioni - per le quali si è verificato il mancato raggiungimento degli obiettivi programmati di risanamento e riequilibrio economico-finanziario contenuti nello specifico piano di rientro dai disavanzi sanitari (di cui all'accordo sottoscritto, ai sensi dell'art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni) - non si applichino gli effetti previsti dall'art. 1, comma 796, lettera b), sesto periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha sancito - osserva sempre la ricorrente - il venir meno, nell'ipotesi di mancato rispetto da parte delle Regioni delle obbligazioni assunte nei relativi piani di rientro dal debito pregresso, dell'automatica applicazione dell'addizionale IRPEF e dell'aliquota IRAP oltre i livelli massimi previsti dalla legislazione vigente, fino all'integrale copertura dei mancati obiettivi. Risulterebbe, dunque, vieppiù confermata quella che la ricorrente definisce come la «insana propensione del legislatore ad un minore controllo della spesa, con ripercussioni gravi e facilmente prevedibili in riferimento alla esigibilità dei livelli essenziali di assistenza e alla effettiva attuazione, nel settore sanitario, del sempre rinviato federalismo fiscale». Considerato in diritto 1.- Vengono all'esame della Corte quattro ricorsi, rispettivamente proposti, due dalla Regione Veneto (ricorsi nn. 25 e 32 del 2007) e due dalla Regione Lombardia (ricorsi nn. 26 e 34 del 2007), avverso il decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 (Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonché in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale), impugnato sia nel testo originario, che in quello risultante all'esito delle modifiche apportate dalla relativa legge di conversione 17 maggio 2007, n. 64. Dei suddetti ricorsi va disposta, preliminarmente, la riunione, attesa la loro connessione. Le questioni qui in esame investono, nella sostanza, il solo art. 1 del citato decreto-legge, atteso che, per un verso, l'impugnativa dell'art. 1-bis - effettuata unicamente dalla Regione Veneto nel secondo dei suoi ricorsi (ricorso n. 32 del 2007) - forma oggetto di un separato giudizio, mentre, per altro verso, nessuna censura è indirizzata nei confronti dell'art. 2 (norma, peraltro, comunque richiamata, formalmente in entrambi i ricorsi della Regione Veneto, ed implicitamente nel primo di quelli proposti dalla Regione Lombardia, indirizzandosi lo stesso avverso l'intero testo dell'impugnato decreto-legge), che si limita a disciplinare le modalità di entrata in vigore del medesimo decreto. Molteplici sono i profili di illegittimità costituzionale dedotti dalle ricorrenti; la loro disamina, tuttavia, deve essere preceduta dalla specifica indicazione del contenuto delle disposizioni censurate. È da premettere che, secondo le ricorrenti, il decreto-legge in questione si pone in controtendenza rispetto alla più recente evoluzione legislativa avutasi in materia, poiché, pur essendo stato ammesso, più volte, l'intervento dello Stato nel percorso di risanamento dei deficit sanitari regionali, tale partecipazione è stata, di regola, subordinata alla adozione di misure fortemente indicative della progressiva responsabilizzazione delle Regioni; ciò in coerenza con la soppressione dei trasferimenti statali in favore delle stesse, relativi al finanziamento della spesa sanitaria corrente e in conto capitale, disposta dall'art. 1, lettera d), del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 (Disposizioni in materia di federalismo fisca le, a norma dell'articolo 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133). Anche alla luce di tali rilievi, pertanto, si deve chiarire la portata delle disposizioni impugnate. 2.- Al riguardo, l'art. 1 del decreto-legge in esame stabilisce, innanzitutto, che lo Stato - in deroga all'obbligo per le Regioni «di coprire gli eventuali disavanzi di gestione con oneri a proprio carico» - concorre «al ripiano dei disavanzi del Servizio sanitario nazionale per il periodo 2001-2005», in favore delle Regioni che soddisfino, però, alcuni requisiti (comma 1). Si richiede, in particolare, che, «al fine della riduzione strutturale del disavanzo nel settore sanitario», le Regioni sottoscrivano «l'accordo con lo Stato per i piani di rientro», nonché accedano «al fondo transitorio di cui all'articolo 1, comma 796, lettera b), della legge 296 del 2006» (lettera a del p redetto comma 1). È necessaria, poi, «al fine dell'ammortamento del debito accumulato fino al 31 dicembre 2005», ed «in via ulteriore rispetto all'incremento nella misura massima dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attività produttive», la destinazione, da parte delle Regioni, «al settore sanitario in modo specifico, anche in via alternativa», di «quote di manovre fiscali già adottate o quote di tributi erariali attribuiti alle Regioni stesse», ovvero, nei limiti dei poteri loro assegnati dalla normativa statale di riferimento ed in conformità ad essa, di «misure fiscali da attivarsi sul proprio territorio, in modo tale da assicurare complessivamente risorse superiori rispetto a quelle derivanti dal predetto incremento nella misura massima» (lettera b sempre del comma 1). È stabilito, inoltre, che, «per il periodo di imposta successivo al 31 dicembre 2006 e per i periodi seguenti fino all'anno 2010», per quelle Regioni - le quali approvino l'accordo «stipulato con i Ministri della salute e dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e dell'articolo 1, comma 796, lettera b), secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296» - «l'addizionale all'IRPEF e le maggiorazioni dell'aliquota dell'IRAP si applicano nella misura prevista al comma 174, ultimo periodo, dell'articolo 1 della medesima legge n. 311 del 2004)»; tali incrementi, invece, «non si applicano nelle regioni nelle quali sia scattato formalmente, in modo automatico, l'innalzamento dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e della maggiorazione dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attività produttive» e - a seguito del raggiungimento dell'accordo con il Governo sulla copertura dei disavanzi di gestione del servizio sanitario regionale previsto «all'articolo 1, comma 1-bis, del decreto-legge 7 giugno 2006, n. 206, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 234» - «tale innalzamento non sia stato applicato» (comma 2). Infine, è previsto che lo stanziamento per il ripiano delle situazioni debitorie accumulate dalle Regioni nel settore sanitario sia pari a 3.000 milioni di euro per l'anno 2007, da ripartire «tra le regioni interessate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali»; in particolare, poi, i criteri per l'erogazione dello stanziamento dovranno essere definiti «sulla base dei debiti accumulati fino al 31 dicembre 2005, della capacità fiscale regionale e della partecipazione delle regioni al finanziamento del fabbisogno sanitario», prevedendosi, conclusivamente, che alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dallo stesso decreto si provvede «mediante corrisp ondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007» (comma 3). 3.- Così precisato, nelle sue linee essenziali, il contenuto della disciplina in contestazione, deve osservarsi come le ricorrenti lamentino, in sostanza, che tale disciplina determinerebbe il paradossale risultato di penalizzare quelle Regioni «le cui capacità gestionali e amministrative» hanno garantito «situazioni di maggiore equilibrio e maggiore efficienza», non di rado «anche attraverso percorsi di responsabilizzazione della collettività regionale, come il ricorso alla leva fiscale». Per contro, il legislatore avrebbe compiuto una scelta che si traduce in «un forte disincentivo al reperimento di risorse nell'ambito della finanza regionale, finalizzate al mantenimento di un servizio sanitario efficiente ed economicamente sostenibile», tradendo così quel «carattere incent ivante», più volte individuato dalla giurisprudenza costituzionale «in relazione al finanziamento statale ai fini del conseguimento degli obiettivi di programmazione sanitaria e del connesso miglioramento del livello di assistenza» (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 98 del 2007 e n. 36 del 2005) e «finendo in realtà per incoraggiare soltanto politiche di minor rigore». Orbene, su tali basi entrambe le ricorrenti ipotizzano, sotto svariati profili, l'illegittimità costituzionale della disciplina del decreto-legge n. 23 del 2007, anche nel testo emendato dalla legge di conversione n. 64 del 2007, per contrasto, complessivamente, con gli artt. 3, 23, 32, 53, 77, 81, 97, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, nonché con il principio di leale collaborazione. 4.- Ciò premesso in via generale, deve essere, innanzitutto, dichiarata la inammissibilità delle questioni prospettate con riferimento ai parametri diversi da quelli ricavabili dal titolo V della parte seconda della Costituzione non attinenti specificamente alla produzione di fonti normative, poiché la loro evocazione non risulta, prima facie, destinata a far valere una menomazione delle attribuzioni costituzionalmente spettanti alle ricorrenti; ciò vale, in particolare, per i parametri di cui agli artt. 3, 23, 32, 53 e 97 della Costituzione. Secondo, infatti, «un consolidato indirizzo della giurisprudenza costituzionale (si vedano, tra le altre, le sentenze numeri 116 del 2006; 383 del 2005; 287, 196, e 4 del 2004; 274 del 2003), le Regioni sono legittimate a censurare, in via di impugnazione principale, leggi dello Stato esclusivamente per questioni attinenti al riparto delle rispettive competenze», essendosi «ammessa la deducibilità di altri parametri costituzionali soltanto ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite» (così, in particolare, oltre quelle già richiamate, la sentenza n. 401 del 2007); l'evenienza da ultimo indicata deve, però, escludersi nel caso di specie, atteso che la dedotta violazione, da parte delle ricorrenti, di parametri di versi da quelli contenuti nel titolo V della parte seconda della Costituzione non si risolve nella denuncia di una menomazione delle proprie competenze legislative, amministrative o finanziarie. Allo stesso esito, sostanzialmente per le medesime ragioni, sono destinate anche le questioni relative al sistema di produzione delle fonti normative, proposte dalla sola Regione Lombardia in ordine alla legge n. 64 del 2007, di conversione del decreto-legge n. 23 del 2007, sospettata di illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 77, secondo comma, e 81, quarto comma, Cost. Quanto, infatti, al primo di tali parametri, se è vero che - come rammenta la stessa ricorrente - il sindacato della Corte sulla sussistenza dei presupposti della necessità ed urgenza, ai quali è subordinato l'esercizio del potere di decretazione d'urgenza, è venuto ulteriormente precisandosi (essendosi in particolare escluso, con la sentenza n. 171 del 2007, che l'avvenuta conversione in legge di un decreto-legge valga, di per sé, a sanare tale vizio; nello stesso senso, di recente, anche la sentenza n. 128 del 2008), nondimeno anche tale profilo di illegittimità deve tradursi - nei giudizi in via principale promossi dalle Regioni - nella lesione di competenze regionali (ex multis, sentenza n. 116 del 2006). Gli stessi rilievi valgono anche per il dedotto contrasto con l'art. 81, quarto comma, Cost., in relazione al quale, peraltro, deve notarsi che il comma 2 dell'art. 1 del censurato decreto-legge n. 23 del 2007, comunque, individua i mezzi per fare fronte all'onere finanziario derivante dal contributo statale al ripiano dei disavanzi maturati in sede regionale nel settore della sanità. 5.- Del pari inammissibili, ma per motivi diversi da quelli sopra indicati, sono anche le questioni di legittimità costituzionale fondate sulla diretta evocazione di disposizioni contenute nel titolo V della parte seconda della Costituzione. 6.- In proposito, va premesso, in linea generale, che nei giudizi di legittimità costituzionale proposti in via principale, deve necessariamente sussistere, nel soggetto ricorrente, un interesse, attuale e concreto, a proporre l'impugnazione, in mancanza del quale il ricorso stesso è inammissibile. In particolare, ai sensi dell'art. 127, secondo comma, Cost., la Regione è legittimata a promuovere questione di legittimità costituzionale quando una legge o un atto avente forza di legge, dello Stato o di altra Regione, «leda la sua sfera di competenza». Allo stesso modo l'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, dispone che quando una Regione «ritenga che una legge od atto avente forza di legge della Repubblica invada la sfera della competenza ad essa assegnata dalla Costituzione», può «promuovere l'azione di legit timità costituzionale davanti alla Corte». E nella medesima prospettiva si pone l'art. 32 della legge 11 marzo 1953, n. 87, secondo il quale la «questione della legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato può essere promossa dalla Regione che ritiene dalla legge o dall'atto invasa la sfera della competenza assegnata alla Regione stessa dalla Costituzione e da leggi costituzionali». Analoga previsione, nei giudizi per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni è contenuta nell'art. 39 della medesima legge n. 87 del 1953. Dall'esame delle suddette disposizioni, in sostanza, emerge come l'unico interesse che le Regioni sono legittimate a far valere sia quello alla salvaguardia del riparto delle competenze delineato dalla Costituzione; esse, pertanto, hanno titolo a denunciare soltanto le violazioni che siano in grado di ripercuotere i loro effetti, in via diretta ed immediata, sulle prerogative costituzionali loro riconosciute dalla Costituzione. Da ciò consegue che è in tale quadro - caratterizzato dalla necessità che l'iniziativa assunta dalle Regioni ricorrenti sia oggettivamente diretta a conseguire l'utilità propria, ovviamente, del tipo di giudizio che, di volta in volta, venga in rilievo - che deve essere valutata la sussistenza dell'interesse ad agire, da postulare soltanto quando esso presenti le caratteristiche della concretezza e dell'attualità, consistendo in quella utilità diretta ed immediata che il soggetto che agisce può ottenere con il provvedimento richiesto al giudice. 7.- Alla luce dei suddetti principi, deve ritenersi che i quattro ricorsi oggi all'esame della Corte - anche laddove essi evocano parametri desumibili dal titolo V della parte seconda della Costituzione - siano inammissibili. In sostanza, le ricorrenti non lamentano la violazione, ad opera della normativa statale impugnata, delle norme sul riparto della competenza legislativa tra lo Stato e le Regioni, qual è delineato dall'art. 117 Cost. Esse, in particolare, non si dolgono di una presunta ingerenza dello Stato, mediante l'adozione del contestato decreto-legge e della relativa legge di conversione, nella potestà legislativa loro riconosciuta dalla Costituzione; né deducono la menomazione di alcuna loro prerogativa legislativa nella materia della tutela della salute. E neppure deducono che, in via di principio, lo Stato non avrebbe avuto alcuna legittimazione a dettare la normativa impugnata, ma si limitano a contestarne il contenuto senza l'affermazione di un loro autonomo titolo ad emanare quella stessa normativa. Le Regioni Veneto e Lombardia, in definitiva, si limitano a contestare la scelta legislativa di destinare, ad altre Regioni, determinate risorse finanziarie, sul presupposto che essa pregiudicherebbe la «qualità e quantità delle prestazioni» rese dalle ricorrenti nel settore sanitario, chiamandole, inoltre, «alla sopportazione degli oneri generali di una spesa inefficiente ed eccessiva» (alla quale non hanno concorso) che pertanto determinerebbe una «discriminazione irragionevole» che «genera disuguaglianza». A questo riguardo, pertanto, non può che rilevarsi come non spetti a questa Corte effettuare valutazioni diverse da quelle afferenti, sul piano costituzionale, al corretto riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni. Ciò premesso, proprio le considerazioni poc'anzi svolte, circa i limiti della legittimazione delle Regioni ad impugnare leggi dello Stato, inducono a ritenere che i quattro ricorsi in esame, non investendo il riparto di competenze legislative tra lo Stato e le Regioni, non possano essere considerati ammissibili. Sotto altro aspetto, non meno rilevante, va osservato - ancora con riferimento al suindicato parametro costituzionale - come nessuna utilità diretta ed immediata le ricorrenti potrebbero trarre, sul piano sostanziale, da una eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della contestata disciplina legislativa statale, per violazione del parametro in questione. Una tale declaratoria, infatti, non sarebbe comunque idonea ad arrecare alcun vantaggio, giuridicamente rilevante, né per le finanze delle ricorrenti, né per la loro capacità gestionale in materia sanitaria, né per il miglioramento dei livelli di assistenza sanitaria alla popolazione che esse già assicurano, ma si tradurrebbe unicamente in un danno per quelle «Regioni interessate» (cui fa riferimento il comma 3 dell'art. 1 del contestato decreto-legge) alle quali viene imputata, dalle ricorrenti, una gestione dei servizi sanitari di propria competenza non oculata e, dunque, causa principale, se non esclusiva, dei deficit di bilancio oggetto di parziale ripiano mediante l'intervento finanziario dello Stato. In definitiva, dunque, la eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa statale oggetto di censura presenterebbe, sul piano effettuale, quella portata di puro principio, di massima o accademica, inidonea ad integrare l'interesse ad agire. Neanche può ritenersi sussistente una astratta idoneità della disciplina in contestazione ad influire sull'autonomia finanziaria delle Regioni ricorrenti, di cui all'art. 119 Cost., in particolare limitando il reperimento di risorse da destinare alla gestione del servizio sanitario regionale. Quello previsto dalle norme impugnate è, infatti, un intervento che, da un lato, favorisce altre Regioni e, dall'altro, è effettuato con oneri a carico della fiscalità generale, sicché la eventuale caducazione di tali norme non comporterebbe - anche per l'assenza di un fondo sanitario nazionale (ora soppresso, come rammentano le stesse ricorrenti) destinato esclusivamente al finanziamento della spesa sanitaria - la ridistribuzione di maggiori risorse in favore di tutte le Regioni (Veneto e Lombardia comprese). Infine, nella stessa prospettiva, assume valore la constatazione, più volte ribadita da questa Corte, che l'autonomia finanziaria delle Regioni delineata dal novellato testo dell'art. 119 Cost. si presenta, in larga misura, ancora in fieri. Ed è evidente come, nell'attuale fase di perdurante inattuazione della citata disposizione costituzionale, le Regioni siano legittimate a contestare interventi legislativi dello Stato, concernenti il finanziamento della spesa sanitaria, soltanto qualora lamentino una diretta ed effettiva incisione della loro sfera di autonomia finanziaria; evenienza, questa, neppure dedotta in giudizio dalle due ricorrenti. Resta, tuttavia, fermo che, a prescindere dalla stessa attuazione dell'art. 119 Cost., potrà pur sempre trovare applicazione la disposizione del quinto comma di detto articolo, secondo cui, al fine di «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni». Da ultimo, il riferimento anche agli artt. 118 e 120 della Costituzione, pure prospettati come parametri violati, si presenta del tutto inconferente e parimenti inammissibili sono le censure. Quanto al primo, deve rilevarsi come, nella specie, si versi non in un'ipotesi di allocazione a livello statale di funzioni regionali o di altri enti territoriali, bensì di un intervento diretto dello Stato, a livello legislativo, destinato ad interessare soggetti diversi dalla Regioni ricorrenti, e quindi privo di un'incidenza - se non mediata - sulle funzioni da esse svolte. Analogamente, quanto al secondo, deve rilevarsi che il monitoraggio del finanziamento di cui alla normativa impugnata (monitoraggio, in particolare, previsto dal comma 3 dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007), nemmeno astrattamente può integrare un intervento di controllo sostitutivo dello Stato sulle Regioni, costituendo, invece, una misura diretta alla verifica della regolarità della utilizzazione, da parte delle Regioni interessate, del finanziamento stesso, concesso dallo Stato per il parziale ripiano dei deficit di bilancio verificatisi nel settore sanitario nel periodo preso in considerazione dallo stesso decreto-legge. LA CORTE COSTITUZIONALE riservata a separata pronuncia la decisione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1-bis del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 (Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonché in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 2007, n. 64, promossa dalla Regione Veneto con il ricorso n. 32 del 2007; riuniti i giudizi, dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 (Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonché in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale), sia nel loro testo originario, che in quello risultante all'esito delle modifiche apportate dalla legge di conversione 17 maggio 2007, n. 64, promosse dalla Regione Veneto, in riferimento agli articoli 3, 32, 97, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe; dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 del testo originario del decreto-legge n. 23 del 2007, e dell'art. 1 del medesimo decreto-legge n. 23 del 2007, come modificato dalla legge di conversione n. 64 del 2007, promosse dalla Regione Lombardia, in riferimento agli articoli 3, 23, 32, 53, 77, secondo comma, 81, quarto comma, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Alfonso QUARANTA, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOLA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ORDINANZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 186 del decreto legislativo n. 30 aprile 1992 n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall'art. 5 del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito con modificazioni dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, promossi con n. 2 ordinanze del 28 novembre 2006 dal Tribunale di Roma nei procedimenti penali a carico di Gianclaudio Loreti e Marco Iucci, iscritte ai nn. 822 e 823 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 2008. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2008 il Giudice relatore Luigi Mazzella. Ritenuto che, con ordinanze del 22 e del 28 novembre 2006, il Tribunale di Roma, ha sollevato, con riferimento agli articoli 3 e 25 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 186 del decreto legislativo n. 30 aprile 1992 n. 285, così come modificato dall'art. 5 del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, nella parte in cui prevede la competenza del Tribunale, a differenza di quanto previsto per il reato di cui al successivo art. 187; che il rimettente sottolinea l'analogia tra la fattispecie di cui all'articolo 186 e quella successiva di cui all'art. 187 del codice della strada, ravvisandola nel fatto che entrambi gli articoli puniscono chi si pone alla guida di un veicolo in stato di alterazione (sia esso dovuto all'assunzione di alcool o di sostanze psicotrope) tale da compromettere le normali condizioni psicofisiche necessarie per una guida sicura; che il rimettente desume da tale analogia la sussistenza di una palese disparità di trattamento del citato art. 186, codice della strada nella parte in cui prevede che, per la irrogazione della pena, è competente il tribunale, rispetto invece all'art. 187 codice della strada, ove è prevista la competenza del giudice di pace, in violazione degli articoli 3 e 25 della Costituzione; che, secondo il rimettente, sarebbe evidente la situazione più favorevole di chi risponde del reato previsto dall'art. 187 del codice della strada, rispetto a chi risponde dell'art. 186 dello stesso codice; che, prosegue il rimettente, mentre l'imputato per il reato di cui all'art. 187, codice della strada. potrebbe giovarsi della dichiarazione di improcedibilità del giudizio e del beneficio previsti negli articoli 34 e 52, comma 2, del d.lgs. del 20 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), nonché della richiesta di oblazione, della conseguente dichiarazione di estinzione del reato, chi è imputato per il reato previsto dall'art. 186, codice della strada, non potrebbe beneficiare di tali agevolazioni; che, per tali motivi, la diversa attribuzione di competenza, per fattispecie che presentano la stessa ratio, integrerebbe una violazione del principio di uguaglianza riconosciuto dalla Costituzione; che, intervenuto nei giudizi di costituzionalità, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito la manifesta inammissibilità delle sollevate questioni, per difetto di motivazione sulla rilevanza nei giudizi a quo; che il Presidente del Consiglio riferisce altresì che, per effetto delle modifiche apportate al codice della strada dall'art. 5 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione) convertito, con modificazione, dalla legge 20 ottobre 2007, n. 160, anche la competenza a giudicare del reato di guida in stato di alterazione da stupefacente sia ormai attribuita al giudice monocratico, chiedendo pertanto la restituzione atti al rimettente o la declaratoria di manifesta inammissibilità. Considerato che il Tribunale di Roma, dubita, con riferimento agli articoli 3 e 25 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'articolo 186 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall'art. 5 del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, nella parte in cui prevede la competenza del tribunale, a differenza di quanto previsto per il reato di cui al successivo art. 187; che le ordinanze di rimessione sono totalmente prive di descrizione delle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus; che tale omissione comporta - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (si vedano, da ultimo, le ordinanze numeri 45, 72, 91 e 132 del 2007 e 54 del 2008) - la manifesta inammissibilità della questione sollevata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 186 del decreto legislativo n. 30 aprile 1992 n. 285 (Nuovo codice della strada), così come modificato dall'art. 5 del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 25 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, con le ordinanze indicate in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Luigi MAZZELLA, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ORDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 37 del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), promosso con ordinanza del 23 agosto 2006 dalla Commissione tributaria regionale del Lazio sul ricorso proposto dalla Gestione Servizi Pubblici s.r.l. contro la A.P. Italia s.r. l. ed altro iscritta al n. 856 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 2008. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 21 maggio 2008 il Giudice relatore Ugo De Siervo. Ritenuto che, con ordinanza del 23 agosto 2006, pervenuta a questa Corte l'1 febbraio 2007, la Commissione tributaria regionale per il Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), in riferimento all'art. 23 della Costituzione; che la rimettente premette di essere investita dell'appello avverso la sentenza con cui il giudice tributario di primo grado ha annullato un avviso di accertamento, relativo all'imposta di pubblicità dovuta dalla società ricorrente per l'anno 2001; che tale accertamento avrebbe avuto ad oggetto l'«integrazione» dell'imposta base determinata ai sensi del decreto del Presidente Consiglio dei ministri 16 febbraio 2001, adottato in forza della norma censurata, con efficacia dal 1° marzo 2001; che, infatti, l'art. 37 del d.lgs. n. 507 del 1993 stabilisce che le tariffe in materia di imposta sulla pubblicità e di diritto sulle pubbliche affissioni possono essere adeguate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle finanze e previa deliberazione del Consiglio dei ministri; che la Commissione tributaria di primo grado, prosegue la rimettente, ha ritenuto che in tal modo si sia illegittimamente attribuita efficacia retroattiva ad un aumento del tributo, che avrebbe potuto viceversa produrre effetti solo per il periodo di imposta successivo al 2001; che nel frattempo, aggiunge il giudice a quo, il TAR per il Lazio ha respinto un ricorso proposto per l'annullamento del d.P.C.m. 16 febbraio 2001, muovendo dalla premessa interpretativa secondo cui, ai sensi dell'art. 3, comma 5, del d.lgs. n. 507 del 1993, è necessario, ai fini dell'entrata in vigore dell'adeguamento tariffario, che esso sia espressamente deliberato da ciascun Comune entro il 31 marzo di ogni anno; che il giudice a quo afferma che la linea interpretativa in tal modo tracciata dal Tar per il Lazio debba «essere verificata» nel giudizio principale, ove «l'atto impositivo impugnato è basato su un atto presupposto che, in tesi, non sarebbe stato completato nella sua efficacia»; che lo scioglimento di tale dubbio interpretativo, tuttavia, non sarebbe a parere del giudice a quo preliminare all'incidente di legittimità costituzionale, giacché sarebbe in ogni caso «rilevante accertare che (il d.P.C.M. 16 febbraio 2001) sia stato emanato in base ad una norma primaria non incostituzionale»; che, infatti, il rimettente dubita che la norma censurata, nell'affidare ad «una decisione politica» il compito di adeguare l'imposta, senza avere predeterminato nel contempo «i parametri della discrezionalità tecnica» cui attenersi a tal fine, violi la riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte, enunciata dall'art. 23 della Costituzione; che, secondo il giudice a quo, tale rilievo sarebbe rinforzato dalla constatazione per cui, nel caso di specie, l'adeguamento sarebbe stato disposto al solo fine di elevare l'importo minimo delle tariffe, così da consentirne l'inscrizione a ruolo, ai sensi dell'art. 12-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito); che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata; che a parere dell'Avvocatura generale, il d.lgs. n. 507 del 1993 indicherebbe esaustivamente il presupposto dell'imposta e la base imponibile, in quanto «al d.P.C.m. è demandato soltanto il compito di operare l'adeguamento della tariffa»; che tale attività non avrebbe carattere «meramente discrezionale», in quanto determinata «dal mutamento degli indici di mercato collegati ai vari fattori economici»; che l'Avvocatura dello Stato ha successivamente depositato memoria, con cui ha eccepito l'inammissibilità della questione, per difetto di rilevanza; che infatti, secondo la difesa erariale, la rimettente non sarebbe chiamata ad applicare la norma denunciata. Considerato che la Commissione tributaria regionale per il Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concern ente il riordino della finanza territoriale), in riferimento all'art. 23 della Costituzione; che, a parere della rimettente, la norma censurata, nello stabilire che le tariffe in materia di imposta sulla pubblicità e di diritto sulle pubbliche affissioni possono essere adeguate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle finanze e previa deliberazione del Consiglio dei ministri, non indicherebbe quali «parametri di discrezionalità tecnica» debbano orientare l'esercizio del potere; che sarebbe pertanto lesa la riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte di cui all'evocato parametro costituzionale; che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza, ed altrimenti infondata; che l'eccezione di inammissibilità merita accoglimento; che, infatti, il giudizio a quo ha per oggetto l'impugnazione di un avviso di accertamento, relativo all'adeguamento della tariffa disposto, in attuazione della disposizione censurata, tramite il d.P.C.m. 16 febbraio 2001; che la rimettente si mostra a conoscenza dell'indirizzo assunto dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui tale decreto del Presidente Consiglio dei ministri può produrre effetti solo a séguito dell'adozione, da parte di ciascun Comune, di una apposita delibera di recepimento; che la rimettente, nonostante non ritenga di discostarsi espressamente da tale indirizzo, non dà conto della circostanza relativa alla data di adozione della predetta delibera da parte del Comune interessato, elemento che può incidere sulla legge da applicare, in considerazione della modificazione della disposizione originaria di cui all'art.3, comma 5, del d.lgs. n. 507 del 1993; che, anzi, il giudice a quo prosegue osservando che l'accoglimento o il rigetto di tale tesi giurisprudenziale non interferirebbe con la rilevanza della questione di costituzionalità, giacché sarebbe in ogni caso necessario esprimere «un giudizio sulla valenza del d.P.C.m.»; che, con tutta evidenza, è vero il contrario; che, infatti, qualora si ritenesse necessaria una delibera comunale di recepimento dell'adeguamento tariffario, affinché esso divenga efficace, diverrebbe decisivo acclarare se, nel caso di specie, la delibera sia intervenuta, oppure no; che, nel secondo caso, è evidente che il d.P.C.m. 16 febbraio 2001 non potrebbe produrre effetti nel giudizio a quo, rendendo in tal modo manifesta l'irrilevanza del dubbio di costituzionalità che investe la norma in base alla quale tale d.P.C.m. è stato adottato; che, pertanto, il rimettente offre una motivazione sulla rilevanza in parte carente, ed in parte intrinsecamente contraddittoria; che tale vizio comporta, per pacifica giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, ordinanze n. 411 e n. 307 del 2007), la manifesta inammissibilità della sollevata questione. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), sollevata, in rife rimento all'art. 23 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale per il Lazio con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Ugo DE SIERVO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA |