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Deposito del 30/04/2008 (dalla 121 alla 127)

 
O.121/2008 del 16/04/2008
Camera di Consiglio del 27/02/2008, Presidente BILE, Relatore MADDALENA


Norme impugnate: Art. 186 del decreto legislativo 03/04/2006, n. 152.

Oggetto: Ambiente - Disciplina legislativa dei rifiuti - Esenzione dal relativo regime delle terre e rocce da scavo, anche di gallerie, destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati - Contrasto con la nozione di "rifiuto" stabilita dalle direttive 75/442/CEE e 91/156/CEE, secondo l'interpretazione della Corte di giustizia delle Comunità europee.

Dispositivo: restituzione atti - jus superveniens
Atti decisi: ord. 680/2006
O.122/2008 del 16/04/2008
Camera di Consiglio del 27/02/2008, Presidente BILE, Relatore MADDALENA


Conflitto: Ammissibilità di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione Camera dei deputati 02/08/2007.

Oggetto: Parlamento - Immunità parlamentari - Procedimento penale a carico dell'on. Carlo Taormina per il reato di diffamazione a mezzo televisione nei confronti della dott.ssa Maria Del Savio Bonaudo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Aosta - Deliberazione di insindacabilità della Camera dei deputati.

Dispositivo: ammissibile
Atti decisi: confl. pot. amm. 12/2007
O.123/2008 del 16/04/2008
Camera di Consiglio del 12/03/2008, Presidente BILE, Relatore MADDALENA


Norme impugnate: Art. 1, c. 231°, 232° e 233°, della legge 23/12/2005, n. 266.

Oggetto: Corte dei conti - Giudizio di responsabilità - Soggetti condannati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge censurata - Fase di appello - Possibilità di chiedere la definizione del giudizio mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado; Possibilità della sezione di appello della Corte dei conti, in caso di accoglimento della richiesta di definizione del giu dizio, di determinare la riduzione della somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado; Previsione che il giudizio si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello della somma dovuta dal condannato.

Dispositivo: manifesta infondatezza - manifesta inammissibilità
Atti decisi: ord. 524 e 525/2007
O.124/2008 del 16/04/2008
Udienza Pubblica del 01/04/2008, Presidente BILE, Relatore QUARANTA


Norme impugnate: Art. 1, c. 763°, secondo periodo, della legge 27/12/2006, n. 296.

Oggetto: Previdenza - Atti e deliberazioni adottati dagli enti previdenziali di cui all'art. 1, comma 763, della legge finanziaria 2007, ed approvati dai Ministeri vigilanti prima dell'entrata in vigore della legge stessa - Previsione di salvezza degli effetti.

Dispositivo: manifesta inammissibilità
Atti decisi: ord. 700/2007
O.125/2008 del 16/04/2008
Camera di Consiglio del 02/04/2008, Presidente BILE, Relatore QUARANTA


Norme impugnate: Art. 213, c. 2° sexies, del codice della strada (d.lgs. 30.4.1992, n. 285), introdotto dall'art. 5 bis, c. 1°, lett. c), n. 2, del decreto legge 30/06/2005, n. 115, convertito con modificazioni in legge 17/08/2005, n. 168.

Oggett o: Circolazione stradale - Sanzioni accessorie per violazioni del codice della strada - Disciplina vigente al momento della commessa violazione - Ritenuta inapplicabilità nel giudizio 'a quo' del più favorevole 'jus superveniens' - Confisca obbligatoria del ciclomotore o motoveicolo adoperato per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 cod. strada.

Dispositivo: manifesta infondatezza
Atti decisi: ord. 412, 510, 581 e 638/2007
O.126/2008 del 16/04/2008
Camera di Consiglio del 02/04/2008, Presidente BILE, Relatore QUARANTA


Norme impugnate: Artt. 171, c. 1° e 2° (modificati dall'art. 3, c. 11°, del decreto legge 27/06/2003, n. 151, convertito in legge 01/08/2003, n. 214 ) e 213, c. 2° sexies (introdotto dall'art. 5 bis, c. 1°, lett. c), n. 2, del decreto legge 30/06/2005, n. 115, convertito con modificazioni in legge 17/08/2005, n. 168) del codice della strada (d.lgs. 30.4.1992, n. 285).

Oggetto: Circolazione stradale - Sanzioni accessorie per violazioni del codice della strada - Confisca obbligatoria del ciclomotore o motoveicolo adoperato per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 cod. strada.

Dispositivo: manifesta inammissibilità
Atti decisi: ord. 374, 376, 520, 580, 597, 639 e 640/2007
O.127/2008 del 16/04/2008Camera di Consiglio del 02/04/2008, Presidente BILE, Relatore QUARANTA

Norme impugnate: Artt. 171, c. 1° e 2° (modificati dall'art. 3, c. 11°, del decreto legge 27/06/2003, n. 151, convertito in legge 01/08/2003, n. 214 ) e 213, c. 2° sexies (introdotto dall'art. 5 bis, c. 1°, lett. c), n. 2, del decreto legge 30/06/2005, n. 115, convertito con modificazioni in legge 17/08/2005, n. 168) del codice della strada (d.lgs. 30.4.1992, n. 285).

Oggetto: Circolazione stradale - Sanzioni accessorie per violazioni del codice della strada - Confisca obbligatoria del ciclomotore o motoveicolo adoperato per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 cod. strada.

Dispositivo: restituzione atti - jus superveniens
Atti decisi: ord. 423, 444, 445, 494 e 499/2007

pronuncia successiva

ORDINANZA N. 121

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfio           FINOCCHIARO       "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Sabino          CASSESE           "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 186 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promosso con ordinanza del 12 giugno 2006 dalla Commissione tributaria regionale della Toscana sul ricorso proposto dalla Regione Toscana contro Carta Bruno ed altri, iscritta al n. 680 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 2007.

    Visto l'atto di costituzione del Consorzio Cavet nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2008 il Giudice relatore Paolo Maddalena.

    Ritenuto che, con ordinanza in data 12 giugno 2006, la Commissione tributaria regionale della Toscana ha sollevato, in riferimento agli artt. 11 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 186 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui - in contrasto con la nozione di rifiuto stabilita dalle direttive 75/442/CEE e 91/156/CEE, ed elaborata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee - esclude, a certe condizioni, che le terre e le rocce da scavo, anche di gallerie, destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, costituiscano rifiuti;

    che, in punto di fatto, il giudice rimettente premette di essere investito in sede di appello di una controversia, vertente tra la Regione Toscana e il Consorzio CAVET - Consorzio Alta Velocità Emilia Toscana, relativa alla legittimità di atti impositivi, emessi in data 29 ottobre 2001, concernenti il mancato pagamento del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi;

    che il giudice a quo, dopo aver proceduto ad un'ampia disamina, anche dal punto di vista diacronico, della normativa nazionale in materia di rifiuti e di quella comunitaria, e dopo avere ricordato la distinzione, emergente dalla giurisprudenza comunitaria, tra residuo e sottoprodotto, osserva che, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, occorre circoscrivere la nozione di sottoprodotto alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima sia non solo eventuale ma certo, senza trasformazione preliminare e nel corso del processo di produzione;

    che il rimettente osserva che la Corte di cassazione «ha mostrato di avere definitivamente scelto l'opzione della non diretta applicabilità della normativa comunitaria, e della conseguente necessità di rimessione della questione alla Corte costituzionale in due recenti occasioni, anche se con riferimento alla pregressa disciplina: una prima volta con specifica attenzione alla nozione di rifiuto, ed una seconda volta con riguardo alla previsione agevolatrice contenuta nell'art. 30» del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, «riprodotta nel nuovo d.lgs. n. 152 del 2006»;

    che la Commissione tributaria regionale afferma di condividere la scelta processuale del giudice di legittimità, rilevando come «la ricaduta pratica delle osservazioni svolte sul presente procedimento è avvalorata dalla esistenza della vertenza tra la Commissione europea e la Repubblica italiana, causa C-194/05, per violazione della direttiva in materia in relazione alla disciplina introdotta» dall'art. 10 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e dall'art. 1, commi 17, 18 e 19, della legge 21 dicembre 2001, n. 443;

    che nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituito il Consorzio CAVET, parte del giudizio a quo, concludendo per l'inammissibilità o per l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale;

    che la questione sarebbe inammissibile, perché l'ordinanza di rimessione non indica in alcun modo le ragioni per cui ritiene che la questione sollevata sia rilevante ai fini della definizione del giudizio a quo, dato che la disposizione non era ancora in vigore all'epoca in cui la Regione Toscana ha esercitato la pretesa impositiva, e non manifestamente infondata, tanto più che, come risulta dalla relazione illustrativa al decreto legislativo, la disposizione censurata è stata formulata in recepimento delle indicazioni fornite dalla Commissione europea;

    che, in ogni caso, la questione sarebbe inammissibile, perché non rilevante ai fini della definizione del giudizio a quo, avente ad oggetto atti impositivi emessi nel 2001, in esso continuando a trovare applicazione altre disposizioni di legge, vale a dire gli artt. 7 e 8 del d.lgs. n. 22 del 1997, come modificati dall'art. 10 della legge n. 93 del 2001 ed interpretati in via autentica dall'art. 1, commi 17, 18 e 19, della legge n. 443 del 2001;

    che, nel merito, la questione sarebbe manifestamente infondata, giacché, ai sensi del denunciato art. 186 del d.lgs. n. 152 del 2006, le terre e le rocce da scavo non sono qualificabili come rifiuti a condizione che non siano inquinate (o meglio, presentino una concentrazione di inquinanti limitata), siano riutilizzate in modo certo, senza alcun trattamento preliminare, secondo modalità progettualmente previste e compatibili con l'ambiente, approvate dalle autorità competenti ed entro un determinato periodo di tempo;

    che, pertanto, il legislatore nazionale non avrebbe previsto alcuna generale esclusione a priori delle terre e delle rocce da scavo dalla normativa in materia di rifiuti, dato che le specifiche condizioni indicate, in presenza delle quali i materiali in questione non sono rifiuti, devono verificarsi di volta in volta;

    che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità e, comunque, per l'infondatezza della questione;

    che la difesa erariale osserva in particolare che i fatti, cui si correla la pretesa tributaria della Regione Toscana nei confronti del Consorzio CAVET, sono avvenuti anteriormente al 2001, epoca nella quale era vigente una disciplina delle terre da scavo diversa da quella censurata dal giudice rimettente, il quale avrebbe dovuto valutare questo aspetto prima di rimettere la questione al vaglio della Corte costituzionale;

    che l'Avvocatura generale, in una memoria depositata in prossimità della camera di consiglio, ricorda che la norma denunciata è stata novellata dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), il quale ha previsto garanzie ulteriori del certo riutilizzo delle terre e delle rocce da scavo, condizione, questa, ritenuta essenziale dalla Corte di Lussemburgo per escludere l'osservanza degli obblighi derivanti dalla gestione dei rifiuti;

    che la nuova disposizione - si osserva - conferma e rafforza il ruolo del progetto, oggetto di accurata analisi per verificare che il riutilizzo delle terre e delle rocce da scavo non solo sia stato previsto, ma sia anche tecnicamente possibile, ed introduce un termine massimo entro il quale il riutilizzo deve avvenire.

    Considerato che la questione, sollevata in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, investe l'art. 186 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui - in contrasto con la nozione di rifiuto stabilita dalle direttive 75/442/CEE e 91/156/CEE, ed elaborata dalla Corte di giustizia - esclude, a certe condizioni, che le terre e le rocce da scavo, anche di gallerie, destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e maci nati, costituiscano rifiuti;

    che, successivamente all'ordinanza di rimessione, la disposizione denunciata è stata sostituita dall'art. 2, comma 23, del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale);

    che, pertanto, è necessario restituire gli atti al giudice rimettente, onde consentirgli di valutare l'incidenza di tale modifica normativa sulla perdurante rilevanza nel giudizio a quo della sollevata questione di legittimità costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    ordina la restituzione degli atti alla Commissione tributaria regionale della Toscana.

        Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedentePronuncia successiva

ORDINANZA N. 122

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfio           FINOCCHIARO       "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Sabino          CASSESE           "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 2 agosto 2007 (Doc. IV-quater, nn. 19 e 20), relativa alla insindacabilità, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Carlo Taormina nei confronti della dott.ssa Maria Del Savio Bonaudo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Aosta, promosso con ricorso del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, depositato in cancelleria il 25 ottobre 2007 ed iscritto al n. 12 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2007, fase di ammissibilità.

    Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2008 il Giudice relatore Paolo Maddalena.

    Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, con ricorso in data 12 ottobre 2007, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati a seguito della delibera in data 2 agosto 2007 (Doc. IV-quater, nn. 19 e 20), con cui, in conformità alla proposta adottata a maggioranza da lla Giunta per le autorizzazioni, è stato dichiarato che i fatti per i quali il deputato Carlo Taormina è sottoposto a procedimento penale per il delitto di diffamazione, riguardano opinioni espresse dallo stesso nell'esercizio delle sue funzioni parlamentari e sono, quindi, insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;

    che il ricorrente premette di essere investito di un procedimento penale nei confronti del predetto deputato, imputato del delitto di cui agli artt. 61, numero 10, 81, secondo comma, 595, primo e terzo comma, del codice penale, 30 della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), per avere rilasciato, nel corso di trasmissioni televisive e a un'agenzia di stampa, dichiarazioni offensive dell'onore e della reputazione della dott.ssa Maria Del Savio Bonaudo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Aosta, accusata di avere, nel corso di un'indagine penale, nel quale il deputato Taormina rivestiva la q ualità di difensore, nascosto elementi in proprio possesso o dolosamente ritardato atti del proprio ufficio, con persecuzioni nei confronti dell'imputata e del suo difensore;

    che il Giudice per le indagini preliminari - riportate le argomentazioni utilizzate dalla Giunta per le autorizzazioni a sostegno della proposta di insindacabilità - ritiene che nella specie in realtà non sussista il nesso tra attività parlamentare e dichiarazioni extra moenia;

    che, dopo avere richiamato la giurisprudenza costituzionale sull'àmbito della prerogativa dell'insindacabilità parlamentare, il ricorrente osserva che la delibera in questione non conterrebbe alcun elemento concreto che lasci desumere la sussistenza di una corrispondenza sostanziale tra i contenuti delle dichiarazioni giornalistiche e televisive, oggetto della querela, e le opinioni già espresse dal parlamentare in specifici atti parlamentari, non essendo sufficiente una mera comunanza di tematiche e un generico riferimento alla rilevanza dei fatti pubblici;

    che, ad avviso del Giudice per le indagini preliminari, l'interpretazione prospettata dalla delibera della Camera comporterebbe, di fatto, una trasformazione dell'istituto previsto dalla norma costituzionale, da esenzione di responsabilità legata alla funzione in privilegio personale;

    che, ad avviso del ricorrente, la condotta addebitabile al deputato Taormina - astrattamente idonea, nella sua specificità e gravità, ad integrare un illecito - esulerebbe dall'esercizio delle funzioni parlamentari e non presenterebbe oggettivamente alcun legame con atti parlamentari, neppure nell'accezione più ampia;

    che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano chiede quindi che la Corte costituzionale voglia dichiarare che non spettava alla Camera dei deputati affermare l'insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Taormina e, conseguentemente, annullare la delibera in data 2 agosto 2007 (Doc. IV-quater, nn. 19 e 20).

    Considerato che, in questa fase, la Corte è chiamata, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, esclusivamente a deliberare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza, in riferimento ai requisiti soggettivi e oggettivi indicati nel primo comma dello stesso art. 37, restando impregiudicata ogni decisione definitiva, anche relativamente all'ammissibilità;

    che, sotto l'aspetto soggettivo, il Giudice per le indagini preliminari è legittimato a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, quale organo competente a dichiarare definitivamente - nel procedimento sottoposto al suo giudizio - la volontà del potere cui appartiene, in ragione dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali svolte in posizione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita;

    che, parimenti, la Camera dei deputati, che ha adottato la deliberazione di insindacabilità delle opinioni espresse da un proprio membro, è legittimata a essere parte del conflitto costituzionale, essendo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere che essa impersona, in relazione all'applicabilità della prerogativa dell'insindacabilità;

    che, sotto l'aspetto oggettivo del conflitto, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, in conseguenza dell'esercizio - ritenuto illegittimo perché non corrispondente ai criteri che la Costituzione stabilisce, come sviluppati dalla giurisprudenza di questa Corte - del potere, spettante alla Camera dei deputati, di dichiarare l'insindacabilità delle opinioni espresse da un proprio membro;

    che, pertanto, esiste la materia di un conflitto costituzionale di attribuzione, la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara ammissibile, a norma dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano nei confronti della Camera dei deputati, con l'atto indicato in epigrafe;

    dispone:

    a) che la cancelleria della Corte costituzionale dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente, Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano;

    b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati alla Camera dei deputati, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati nella cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, a norma dell'art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedentePronuncia successiva

ORDINANZA N. 123< /o:p>

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfio           FINOCCHIARO       "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Sabino          CASSESE           "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), promosso con ordinanze del 18 e 17 gennaio 2007 dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana, sui ricorsi proposti da Maggio Paolo e da Di Stefano Nunzio, iscritte ai numeri 524 e 525 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 2007.

    Udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2008 il Giudice relatore Paolo Maddalena.

    Ritenuto che con due ordinanze di identico tenore depositate in data 18 gennaio 2007 (reg. ord. n. 524 del 2007) e in data 17 gennaio 2007 (reg. ord. n. 525 del 2007), la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana, nel corso di altrettanti giudizi di responsabilità amministrativa nei quali gli interessati, condannati in primo grado, avevano chiesto di potersi avvalere del meccanismo di definizione agevolata del procedimento introdotto dall'art. 1, commi 231, 232 e 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dei commi 231, 232 e 233 del citato art. 1;

    che l'art. 1, comma 231, della legge n. 266 del 2005 prevede che «Con riferimento alle sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti per fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge, i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possono chiedere alla competente sezione di appello, in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza»;

    che il successivo comma 232 aggiunge che «La sezione di appello, con decreto in camera di consiglio, sentito il procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento»;

    che il comma 233 dispone che «Il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello»;

    che il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale del sistema introdotto dalle norme censurate, di definizione in appello dei giudizi di responsabilità amministrativa mediante il pagamento di una somma non superiore al trenta per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado;

    che, ad avviso della Corte rimettente, le norme censurate sarebbero caratterizzate da una indeterminatezza assoluta circa lo scopo perseguito dal legislatore, tale da precludere definitivamente la ricerca di una qualsiasi ratio normativa che non sia quella - puramente e semplicemente - della limitazione del risarcimento patrimoniale del soggetto condannato in primo grado; con la conseguenza che esse, dando luogo unicamente ad un effetto premiale ingiustificato, si paleserebbero come una negazione illogica e ingiustificata dei princìpi del buon andamento e del controllo contabile;

    che, a differenza dell'istituto del cosiddetto condono fiscale nel procedimento dinanzi alle commissioni tributarie, e dell'applicazione della pena su richiesta delle parti nel procedimento penale, le norme sottoposte a scrutinio di costituzionalità non inciderebbero minimamente (in senso riduttivo) sull'entità del contenzioso contabile, essendo destinate ad operare esclusivamente in sede di appello, nel cui àmbito il sostituire una pubblica udienza con una camera di consiglio e una sentenza con un decreto sarebbe di scarso significato;

    che, d'altra parte, le norme stesse, determinando una minore entrata (fra il novanta ed il settanta per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado), si risolverebbero in un irrazionale e incongruo "effetto premiale";

    che le norme denunciate contrasterebbero anche con il principio del libero convincimento del giudice (art. 101 Cost.), giacché non offrirebbero alcun criterio di orientamento per il giudice contabile;

    che il principio di eguaglianza sarebbe violato anche perché la normativa censurata sarebbe applicabile soltanto ai soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata in primo grado sentenza di condanna, con la conseguenza che essa, irragionevolmente, sarebbe inapplicabile ai soggetti che, assolti in primo grado, vedano tale sentenza riformata in appello, a séguito di gravame interposto dal pubblico ministero;

    che, secondo il giudice rimettente, sarebbe irrazionale una previsione legislativa che escluda dal beneficio della definizione agevolata quei soggetti la cui posizione - dopo la sentenza di primo grado - appare chiaramente meno "pesante" di quella dei convenuti condannati; né si potrebbe pervenire ad una interpretazione adeguatrice: «non solo perché, in tale caso, dovrebbe superarsi la "lettera" della "condanna" in primo grado, ma anche perché si dovrebbe "creare" il criterio al quale correlare le percentuali» del dieci, del venti o del trenta per cento previste dalla legge;

    che sarebbe violato, inoltre, l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, perché il pubblico ministero presso la Corte dei conti viene evocato nel solo comma 232 e soltanto per essere sentito in camera di consiglio quando la Sezione di appello deve deliberare in merito alla richiesta di definizione agevolata: infatti, «per tale funzione, limitata e marginale (che si sostanzia nell'espressione di un "parere"), del pubblico ministero, il procedimento regolato dai commi 231-233 dell'art. 1 della legge n. 266 del 2005 non assume, sostanzialmente, carattere bilaterale, per cui la funzione di "parte" del pubblico ministero contabile (nell'ottica - anche del "giusto processo" - dell'art. 111 Cost.) viene, nella specie, quasi pretermessa (con la co nseguenza - fra l'altro - che, in tal modo, vengono pesantemente compressi i diritti e gli interessi della pubblica amministrazione, dei quali il pubblico ministero è chiaramente portatore, in uno all'interesse generale dell'Ordinamento)».

    Considerato che le questioni sollevate dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana, investono le norme sulla definizione in appello dei giudizi di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti, introdotte dall'art. 1, commi 231, 232 e 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006);

    che, secondo le ordinanze di rimessione, le norme denunciate violerebbero gli artt. 3, 97 e 103 della Costituzione, perché sarebbero ancorate all'unica ratio di limitare il risarcimento patrimoniale dovuto dal soggetto condannato in primo grado e determinerebbero perciò un effetto premiale ingiustificato, con conseguente negazione, illogica e ingiustificata, dei princípi del buon andamento e del controllo contabile; inoltre, in contrasto con l'art. 101 della Costituzione, le norme stesse inciderebbero sul principio del libero convincimento del giudice, non prevedendo alcun criterio di orientamento per il giudice contabile, laddove nel sistema positivo vigente l'attenuazione della responsabilità amministrativa, nei singoli casi, è rimes sa al potere riduttivo di tale giudice che, a tal fine, può tenere conto del comportamento e del livello di responsabilità, nonché delle capacità economiche del soggetto responsabile;

    che le ordinanze di rimessione denunciano la violazione, ancora, dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del principio di eguaglianza, perché le norme censurate sarebbero applicabili soltanto ai soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata in primo grado sentenza di condanna, e non anche, irragionevolmente, ai soggetti nei cui confronti la sentenza di assoluzione in primo grado sia stata riformata, in appello, a séguito di gravame interposto dal pubblico ministero;

    che viene dedotto, altresì, il contrasto delle norme censurate con gli artt. 24 e 111 della Costituzione, perché al pubblico ministero contabile sarebbe assegnata una funzione, limitata e marginale, di carattere consultivo;

    che, considerata l'identità delle questioni prospettate, i giudizi possono essere riuniti, per essere esaminati congiuntamente e decisi con unica pronuncia;

    che, successivamente all'emanazione delle ordinanze di rimessione, questioni identiche sono state decise con la sentenza n. 183 del 2007 e con l'ordinanza n. 392 del 2007;

    che, come la Corte ha già statuito, le norme censurate non producono alcun ingiustificato ed automatico effetto premiale, in quanto l'operatività delle disposizioni denunciate presuppone una valutazione di merito, da parte del giudice contabile, sul fatto che l'esigenza di giustizia possa ritenersi soddisfatta a mezzo della procedura accelerata, sicché alla definizione in appello non può accedersi in presenza di dolo del condannato o di particolare gravità della condotta;

    che, inoltre, le norme denunciate vanno collocate nell'àmbito del sistema tradizionale della responsabilità amministrativa, in cui al giudice è affidato il compito di determinare e costituire il debito risarcitorio, stabilendo quanta parte del danno prodotto deve ritenersi risarcibile in relazione all'intensità della colpa del responsabile, da individuare in relazione a tutte le circostanze di fatto in cui si è svolta l'azione produttiva del danno; e, muovendosi all'interno del perimetro di tale discrezionalità decisionale, esse consentono l'accoglimento dell'istanza di definizione in appello solo se il giudice - avuto riguardo ai criteri in base ai quali egli forma la propria decisione - ritenga congrua una condanna entro il limite del trent a per cento del danno addebitato al responsabile nella sentenza di primo grado;

    che, pertanto, muovendo da un erroneo presupposto interpretativo, devono essere dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, sollevate in riferimento agli artt. 3, 97, 101 e 103 della Costituzione;

    che manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza, sono le questioni di legittimità costituzionale sollevate, ancora in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del principio di eguaglianza, sul rilievo che le norme censurate sarebbero applicabili soltanto ai soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata in primo grado sentenza di condanna, e non anche, irragionevolmente, ai soggetti nei cui confronti la sentenza di assoluzione in primo grado sia stata riformata, in appello, a séguito di gravame interposto dal pubblico ministero: difatti, nei giudizi a quibus, tutti i convenuti sono stati condannati in primo grado;

    che del pari manifestamente inammissibili sono le questioni di legittimità costituzionale concernenti la limitazione dei poteri del pubblico ministero contabile, giacché tali questioni sono state sollevate senza una previa verifica delle soluzioni interpretative ipotizzabili, non avendo i rimettenti verificato se il procedimento in camera di consiglio, applicabile nella specie, consenta o meno la partecipazione di tutte le parti ovvero se in detto procedimento il giudice si debba limitare ad un vaglio dell'istanza scritta e del parere scritto del pubblico ministero.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti in giudizi,

    1) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, 101 e 103 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana, con le ordinanze indicate in epigrafe;

      2) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233, della stessa legge n. 266 del 2005, sollevate, in riferimento agli artt. 3, sotto altro profilo, 24 e 111 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana, con le ordinanze indicate in epigrafe.

      Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedentePronuncia successiva

ORDINANZA N. 124< /o:p>

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME  DEL  POPOLO  ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-     Franco            BILE        Presidente

-     Giovanni Maria    FLICK          Giudice

-     Francesco         AMIRANTE          "

-     Ugo               DE SIERVO         "

-     Paolo             MADDALENA         "

-     Alfio             FINOCCHIARO       "

-     Alfonso           QUARANTA          "

-     Franco            GALLO             "

-     Luigi             MAZZELLA          "

-     Gaetano           SILVESTRI         "

-     Sabino            CASSESE           "

-     Maria Rita        SAULLE            "

-     Giuseppe          TESAURO           "

-     Paolo Maria       NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 763, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), promosso con ordinanza del 12 luglio 2007 dal Tribunale di Lucca nei procedimenti riuniti vertenti tra i signori P. G. e P. L. e la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, iscritta al n. 700 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2007.

    Visti gli atti di costituzione di P. G. e P. L., della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, nonché l'atto di intervento, fuori termine, di L. B. e di altri sei e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nell'udienza pubblica del 1° aprile 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

    uditi gli avvocati Anna Campilii per L. B. ed altri sei, Mario Lazzeretti per P. G. e P. L., Massimo Luciani e Matteo Fusillo per la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali e l'avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.

    Ritenuto che il Tribunale ordinario di Lucca, con ordinanza in data 12 luglio 2007 − pronunciata nel corso di un giudizio avente ad oggetto due cause riunite, promosse, rispettivamente, dai signori P. G. e P. L., entrambi iscritti all'albo dei ragionieri di Lucca e alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali (C.N.P.R.), nei confronti della Cassa medesima, per la rideterminazione dell'importo della pensione di anzianità − ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 763, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007);

    che il giudice a quo premette in fatto che i ricorrenti, con ricorsi depositati il 14 settembre 2006, hanno esposto di aver presentato domanda di pensione di anzianità, con decorrenza, rispettivamente, dal 1° settembre 2005 e dal 1° febbraio 2006, e che con delibere in data 9 febbraio 2006 è stata disposta la liquidazione provvisoria di dette pensioni secondo i criteri stabiliti dall'art. 49 del regolamento di esecuzione dello statuto della Cassa, come modificato dalla delibera del Comitato dei delegati della Cassa medesima del 22 giugno 2002;

    che, ad avviso dei ricorrenti, tale delibera sarebbe illegittima, in quanto non rispetterebbe il principio del pro-rata, di cui all'art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), determinando una decurtazione delle pensioni;

    che, in pendenza di giudizio, è stata emanata la legge n. 296 del 2006, la quale, con il primo periodo del citato art. 1, comma 763, sostituisce il primo ed il secondo periodo dell'art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995 con i seguenti: «nel rispetto dei princìpi di autonomia affermati dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e dal decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, e con esclusione delle forme di previdenza sostitutive dell'assicurazione generale obbligatoria, allo scopo di assicurare l'equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, del suddetto decreto legislativo n. 509 del 1994, la stabilità delle gestioni previdenziali di cui ai predetti decreti legislativi è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a trenta anni. Il bilancio tecnico di cui al predetto articolo 2, comma 2, è redatto secondo criteri determinati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le associazioni e le fondazioni interessate, sulla base delle indicazioni elaborate dal Consiglio nazionale degli attuari nonché dal Nucleo di valutazione della spesa previdenziale. In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dal suddetto articolo 2, comma 2, sono adottati dagli enti medesimi, i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell'equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro-rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifi che derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni. Qualora le esigenze di riequilibrio non vengano affrontate, dopo aver sentito l'ente interessato e la valutazione del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, possono essere adottate le misure di cui all'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509»;

    che il censurato secondo periodo dello stesso comma 763 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006 stabilisce: «sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge»;

    che, secondo il rimettente, tale disposizione sarebbe viziata da illegittimità costituzionale;

    che, infatti, la prevista salvezza avrebbe il valore di sanatoria della citata delibera del 22 giugno 2002, così ledendo l'affidamento nella sicurezza giuridica e le legittime aspettative dei lavoratori già in quiescenza, «quando sono già pendenti i giudizi fondati su tale illegittimità e così peggiorando in misura notevole ed in maniera definitiva il trattamento pensionistico in precedenza spettante, sulla base della normativa vigente al momento della cessazione dell'attività lavorativa, in contrasto con i principi desumibili dagli artt. 2, 3, 24, 38 della Costituzione»;

    che, a sostegno della prospettata interpretazione della norma denunciata, da cui discenderebbe la illegittimità costituzionale della stessa, il giudice a quo osserva, in particolare, che tale norma, intervenuta quando era già sorto «un nutrito contenzioso» al riguardo, da un lato, non può essere intesa come mera conferma di efficacia degli atti e delle deliberazioni già in precedenza legittimi; dall'altro, non può neppure essere interpretata come sanatoria ma con effetti limitati al solo periodo successivo all'entrata in vigore della legge;

    che il rimettente afferma, altresì, che la disposizione censurata risponde alla ratio - tenuto conto del contenuto precettivo dell'intero comma 763 − di salvaguardare e mantenere ferme le precedenti regolamentazioni già approvate in sede ministeriale, «anche se in ipotesi illegittime secondo la legge precedente, perché già in linea con i nuovi criteri, ovvero "più rigorose" dal punto di vista dell'arco di tempo di valutazione dell'equilibrio finanziario e del mancato rispetto (.) del criterio del pro-rata, a vantaggio delle generazioni future»;</ SPAN>

    che il Tribunale di Lucca ritiene di dover applicare alla controversia sottoposta al suo esame il secondo periodo del comma 763 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006, così disattendendo la tesi interpretativa avanzata dai ricorrenti in ragione di un indirizzo giurisprudenziale di merito già formatasi sul punto;

    che il rimettente afferma, altresì, di non poter pervenire ad una interpretazione conforme a Costituzione della disposizione censurata;

    che, a sostegno della fondatezza delle proprie argomentazioni, deduce che la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che l'intervento legislativo in sanatoria può essere ragionevolmente giustificato solo dallo stretto collegamento con le specifiche peculiarità del caso e che lo scrutinio di costituzionalità deve essere estremamente rigoroso;

    che si sono costituite nel presente giudizio le parti ricorrenti del giudizio a quo, chiedendo che la Corte pronunci sentenza interpretativa di rigetto;

    che le parti private richiamano diverse sentenze di merito, pronunciate in primo grado e in sede di appello, che hanno ritenuto, da un lato, che il legislatore non ha inteso stabilire alcuna sanatoria generale di qualsiasi violazione di legge commessa in precedenza dagli enti previdenziali privatizzati; dall'altro, che gli atti e le delibere adottati prima dell'entrata in vigore della modifica dell'art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995, rimangono efficaci e che la loro legittimità deve essere vagliata alla luce del vecchio testo di detta norma per i pensionamenti attuati entro il 2006, ed alla luce del nuovo testo per i pensionamenti successivi, con esiti che possono essere diversi;< /o:p>

    che si è costituita, altresì, anche la C.N.P.R., la quale ha chiesto dichiararsi la manifesta inammissibilità e, in subordine, la manifesta infondatezza della sollevata questione;

    che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo la manifesta inammissibilità e la infondatezza della questione;

    che, in via preliminare, la difesa erariale eccepisce l'inammissibilità della questione, in quanto il rimettente non avrebbe sperimentato un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma che si assume illegittima;

    che la stessa difesa erariale osserva, altresì, che il principio del pro-rata è evocato apoditticamente dal Tribunale, senza tener conto della giurisprudenza di legittimità sul punto;

    che, in data 21 febbraio 2008, le parti private hanno depositato memoria con la quale hanno ribadito le difese svolte;

    che in data 18 marzo 2008 la suddetta Cassa nazionale di previdenza ed assistenza ha depositato un'articolata memoria con la quale ha riaffermato le conclusioni già prospettate;

    che sempre in data 18 marzo 2008, hanno depositato atto di «intervento tardivo» il signor L. B. ed altri sei, tutti ragionieri pensionati, assicurati presso la C.N.P.R., parti ricorrenti in ulteriori giudizi proposti nei confronti della Cassa stessa.

     Considerato che il Tribunale ordinario di Lucca dubita della legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 763, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 38 della Costituzione;

    che hanno depositato atto di intervento in data 18 marzo 2008 il signor L. B. ed altri sei, parti ricorrenti di controversie distinte dal giudizio a quo;

    che, ai sensi dell'art. 4, commi 3 e 4, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l'atto di intervento «deve essere depositato non oltre venti giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'atto introduttivo del giudizio» (nella specie, l'ordinanza di rimessione è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 40 del 17 ottobre 2007);

    che l'anzidetto termine, così come quello stabilito per la costituzione delle parti, per costante orientamento della Corte, è perentorio (ex multis, sentenze n. 190 del 2006 e n. 257 del 2007);

    che, pertanto, non possono considerarsi ammissibili gli interventi proposti oltre il termine sopraindicato;

    che essendo questa la situazione che ricorre nel caso di specie, in via preliminare, l'intervento del signor L. B. e di altri sei deve essere dichiarato inammissibile;

    che - quanto all'oggetto del presente giudizio - il rimettente ritiene che la previsione contenuta nella norma censurata, secondo la quale «sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge», determinerebbe la sanatoria della delibe ra del 22 giugno 2002 del Comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, della cui legittimità si controverte nel giudizio a quo;

    che il rimettente, pur in assenza di un diritto vivente che attribuisca alla norma denunciata funzione di sanatoria e in presenza, invece, di un diverso orientamento della prevalente giurisprudenza di merito, ritiene di dover fare applicazione, nella controversia sottoposta al suo esame, del citato secondo periodo del comma 763 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006, attribuendo allo stesso l'effetto di sanatoria degli atti e delle deliberazioni precedentemente adottati dall'ente previdenziale in questione;

     che la norma, così interpretata, lederebbe, ad avviso del giudice a quo, l'affidamento nella sicurezza giuridica e le legittime aspettative dei professionisti già in quiescenza «sanando un atto ab origine illegittimo, quando sono già pendenti i giudizi fondati su tale illegittimità e così peggiorando in misura notevole ed in maniera definitiva il trattamento pensionistico in precedenza spettante, sulla base della normativa vigente al momento della cessazione dell'attività lavorativa»;

    che, così chiarito il thema decidendum, è di tutta evidenza che il giudice a quo chiede a questa Corte un avallo all'interpretazione (non univoca, né basata su un diritto vivente) che ritiene deve essere attribuita alla norma censurata;

    che il rimettente, oltretutto, illustra diverse letture ermeneutiche della norma, così dando atto di un dubbio interpretativo che chiede alla Corte di risolvere;

    che, pertanto, la questione non risulta diretta a dirimere un dubbio di legittimità costituzionale, ma si risolve nella richiesta alla Corte di avallare l'opzione ermeneutica che il remittente, tra le diverse prospettate, ritiene preferibile;

    che, quindi, la questione, così come proposta, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile (ex multis, ordinanze n. 299 del 2006 e n. 142 del 2004).

       per questi motivi

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara inammissibile l'intervento in giudizio del signor L. B. e di altri sei;

    dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 763, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 24 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Lucca, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA
pronuncia precedentePronuncia s
uccessiva

ORDINANZA N. 125

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-     Franco            BILE         Presidente

-     Giovanni Maria    FLICK          Giudice

-     Ugo               DE SIERVO         "

-     Paolo             MADDALENA         "

-     Alfio             FINOCCHIARO       "

-     Alfonso           QUARANTA          "

-     Franco            GALLO             "

-     Luigi             MAZZELLA          "

-     Gaetano           SILVESTRI         "

-     Sabino            CASSESE           "

-     Maria Rita        SAULLE            "

-     Giuseppe          TESAURO           "

-     Paolo Maria       NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze del 19 dicembre 2006 dal Giudice di pace di Vicenza, del 10 febbraio e del 16 aprile 2007 dal Giudice di pace di Francavilla al Mare e del 16 maggio 2007 dal Giudice di pace di Chioggia rispettivamente iscritte ai nn. 412, 510, 581 e 638 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 23, 27, 34 e 37, prima serie speciale, dell'anno 2007.

    Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 2 aprile 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

    Ritenuto che i Giudici di pace di Vicenza, Francavilla al Mare e Chioggia, con le ordinanze indicate in epigrafe, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale - in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 27 e 42 della Costituzione - dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo origi nario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

    che, in particolare, il Giudice di pace di Vicenza (r.o. n. 412 del 2007) premette di essere dover conoscere dell'opposizione proposta, ai sensi dell'art. 204-bis del codice della strada, avverso un verbale con il quale veniva contestata, al ricorrente nel giudizio principale, l'infrazione sanzionata dall'art. 170, comma 6, del medesimo codice della strada (per essere stato costui «trovato alla guida di un ciclomotore trasportando un'altra persona»), nonché disposto il «sequestro amministrativo del mezzo ai fini della confisca», ai sensi del predetto art. 213, comma 2-sexies;

    che, il rimettente deduce l'irrilevanza, nel giudizio principale, delle sopravvenute modifiche apportate alla norma censurata dall'art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), nel testo modificato dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286;

    che, infatti, sebbene la confisca - per effetto del citato ius superveniens - sia ormai prevista soltanto nei casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo «sia stato adoperato per commettere un reato» (e non più quale sanzione accessoria che colpisce anche le infrazioni amministrative di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada), ciò nondimeno, osserva il giudice a quo, la nuova disciplina non può applicarsi alla fattispecie oggetto del giudizio principale, «a ciò ostando, in materia di illeciti amministrativi, i principi di legalità, di irretroattività e di divieto di analogia», previsti dall'art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), con conseguente inapplicabilità della norma successiva più favorevole (è richiamata, sul punto, anche l'ordinanza della Corte costituzionale n. 245 del 2003);

    che il rimettente, peraltro, ritiene che il testo originario dell'art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada - del quale egli reputa di dover fare applicazione nel giudizio a quo, per le ragioni illustrate, nonché in mancanza «di una normativa transitoria» che disciplini «i casi avvenuti nel periodo di vigenza della mutata disposizione» - si ponga in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto vari profili;

    che, in primo luogo, viene ipotizzato che la scelta originariamente compiuta dal legislatore, e consistita nel limitare l'applicazione della confisca alle «sole violazioni derivanti dall'inosservanza delle disposizioni di cui agli artt. 169, 170, 171» del codice della strada, determinerebbe una disparità di trattamento «in relazione a condotte del tutto analoghe» (o meglio «di pari o maggiore gravità», quanto al potenziale pericolo che anch'esse recano al bene dell'incolumità individuale), «quali ad esempio la guida senza cinture di sicurezza»;

    che, in secondo luogo, la censurata disposizione contravverrebbe al principio secondo cui «le misure patrimoniali presuppongono necessariamente un rapporto tra i beni ed i soggetti portatori di pericolosità sociale che ne dispongano o che siano avvantaggiati dal loro impiego nell'ambito di attività illecite», derivando la pericolosità del bene «dalla pericolosità della persona che ne può disporre» (è citata l'ordinanza della Corte costituzionale n. 368 del 2004);

    che, infine, la norma si paleserebbe irragionevole, prevedendo una «generalizzata ed indiscriminata applicazione della confisca» per il solo fatto che sia posta in essere taluna delle infrazioni di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada, «senza possibilità di valutare la maggiore o minore gravita dell'episodio»;

    che, ciò premesso, il rimettente - non senza evidenziare come l'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata non potrebbe «ledere l'ambito di discrezionalità riservato al legislatore», in quanto la Corte costituzionale «ha più volte censurato la previsione della confisca obbligatoria in ipotesi che si rivelavano obiettivamente ingiuste ed irrazionali» (sono citate le sentenze n. 110 del 1996, n. 371 del 1994, n. 259 del 1976 e n. 229 del 1974) - ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada «nella versione vigente al momento della commessa violazione e nello specifico esclusivamente nella parte in cui prevede che venga disposta la confisca in tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo sia stato adoperato per commettere una delle violazioni amministrative di cui all'art. 170 del codice della strada»;

    che il Giudice di pace di Francavilla al Mare, con due ordinanze di contenuto pressoché identico (r.o. n. 510 e n. 581 del 2007), assume l'illegittimità costituzionale - per contrasto con gli artt. 2, 3, 27 e 42 Cost. - dell'art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, «in relazione all'art. 171, commi 1 e 2», dello stesso codice, «nella parte in cui prevedeva doversi sempre disporre la confisca in tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo fosse stato adoperato per commettere le violazioni amministrative di cui all'art. 171»;

    che, in punto di fatto, il rimettente deduce di doversi pronunciare - in entrambi i giudizi pendenti innanzi ad esso - in merito al ricorso proposto dal proprietario di un ciclomotore, sottoposto a sequestro in vista della successiva confisca, per essere stata contestata, ad altri, la violazione degli art. 171, commi 1 e 2, del codice della strada;

    che secondo il giudice a quo, a dispetto della modificazione subita nelle more dei processi principali, il testo originario del predetto art. 213, comma 2-sexies, continuerebbe ad applicarsi alle fattispecie oggetto di quei giudizi, in mancanza di una norma transitoria che disponga diversamente, «stante il principio dell'irretroattività della legge più favorevole nel campo dell'illecito amministrativo» previsto dall'art. 1 della legge n. 689 del 1981 (la conformità del quale alla Costituzione, oltretutto, sarebbe stata riconosciuta dall'ordinanza della Corte costituzionale n. 140 del 2002);

    che il rimettente deduce, tuttavia, l'illegittimità costituzionale del testo originario della norma censurata, implicitamente confermata - a suo dire - proprio dalla modifica operata dal già citato art. 2, comma 169, del decreto-legge n. 262 del 2006 (che ha limitato l'applicazione della confisca ai soli casi in cui motocicli e ciclomotori siano stati adoperati per commettere un reato);

    che, difatti, la norma censurata darebbe luogo, innanzitutto, ad «un trattamento di evidente disparità tra ciclomotoristi e automobilisti», operando la confisca del veicolo solo in presenza di infrazioni poste in essere dai primi e non pure nel caso di inosservanza, da parte dei secondi, di norme egualmente poste a salvaguardia dell'integrità fisica dei conducenti;

    che, inoltre, allorché la confisca - come nei casi oggetto dei giudizi a quibus - produca i suo effetti a carico di un soggetto diverso dal responsabile dell'infrazione essa finirebbe con il «colpire, immotivatamente, il patrimonio del proprietario del ciclomotore», non potendo ritenersi diretta ad eliminare il ripetersi del rischio costituito dall'inosservanza della norma trasgredita;

    che il rimettente, pertanto, reputa che nella specie «siano stati violati i principi di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione, di eguaglianza dei cittadini, di personalità della sanzione amministrativa e di diritto della proprietà privata, garantiti dai parametri costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 27 e 42 Cost.»;

    che anche il Giudice di pace di Chioggia (r.o. n. 638 del 2007) ha sollevato - in relazione all'art. 3 Cost., ed «in subordine» all'art. 42 della Carta fondamentale - questione di legittimità costituzionale dell'art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, «in riferimento all'art. 171, comma 1» del medesimo codice;

    che il rimettente - nel precisare di essere chiamato a giudicare dell'opposizione, proposta congiuntamente dal proprietario del ciclomotore e dal conducente, avverso un verbale con cui si contestava, ad entrambi, la violazione dell'art. 171, comma 1, del codice della strada (essendosi accertato che il secondo di tali soggetti circolava alla guida del mezzo indossando un casco non omologato) - censura il suddetto art. 213, comma 2-sexies «con riguardo al principio di ragionevolezza e di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.»;

    che, difatti, richiamato quell'indirizzo della giurisprudenza costituzionale - sono citate le sentenze n. 144 del 2005 e n. 180 del 1994, nonché le ordinanze n. 45 del 2006, n. 401 del 2005, n. 262 del 2005, n. 212 e n. 109 del 2004, n. 234 del 2003 - secondo cui la discrezionalità del legislatore, riguardo all'individuazione delle condotte punibili ed alla scelta delle relative sanzioni, può essere sottoposta al sindacato del Giudice delle leggi «ove il suo esercizio ne rappresenti un uso distorto o arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza», reputa che l'evenienza da ultimo indicata ricorra proprio nel caso di specie;

    che il giudice rimettente, difatti, evidenzia l'assenza, nel sistema del codice della strada, di «sanzioni così afflittive» come quella della confisca, sicché reputa che il legislatore - con la norma censurata - non abbia realizzato un adeguato «contemperamento degli opposti interessi», atteso che la salvaguardia del pur «superiore interesse alla sicurezza della circolazione stradale» (al quale la Corte costituzionale, nella sentenza n. 180 del 1994, ha ritenuto strettamente connesso quello all'incolumità individuale) non potrebbe giustificare «l'enorme sacrificio del diritto, anch'esso costituzionalmente g arantito, di proprietà sul veicolo», specialmente quando ne sia titolare «un soggetto diverso dal trasgressore»;

    che il carattere non ragionevole della previsione normativa in esame emergerebbe, inoltre, dal fatto che la sanzione accessoria della confisca è ricollegata a condotte - come la «non omologazione del casco, comunque ben allacciato, la non corretta posizione di guida, perché magari momentaneamente impegnati a sgranchirsi le gambe, il non impugnare il manubrio perché magari momentaneamente intenti a pulire la visiera del casco o ad aprire il rubinetto della riserva», o come, ancora, il «trasportare un passeggero laddove non previsto dal libretto di circolazione, oppure un oggetto non saldamente assicurato» - per le quali può essere ritenuta giustificata, al più, l'irrogazione della sola sanzione pecuniaria;

    che l'irragionevolezza della scelta legislativa sarebbe, inoltre, confermata dalla «disparità di trattamento sanzionatorio» tra il contegno punito con la confisca «ed analoghe condotte compiute, però, alla guida di altri tipi di veicoli» (sono indicate, a titolo esemplificativo, quella previste dagli artt. 164, 169 e 172 dello stesso codice della strada), dotate di analogo disvalore;

    che, infine, il giudice a quo ha anche censurato «l'enorme ed ingiustificata disparità di trattamento in ragione del sacrificio economico che ne deriverebbe, a fronte del medesimo illecito, fra proprietari di ciclomotori o motocicli di bassissimo o inesistente valore economico e proprietari di ciclomotori o motocicli di valore»;

    che dedotta, dunque, l'illegittimità costituzionale dell'art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, il Giudice di pace di Chioggia sottolinea di aver già sollevato identica questione di legittimità costituzionale, definita dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 73 del 2007, con la quale venivano restituiti gli atti ad esso rimettente, affinché valutasse la perdurante rilevanza e non manifesta infondatezza della questione alla luce delle modifiche apportata al testo della norma censurata dal già segnalato d.l. n. 262 del 2006;

    che il rimettente reputa, tuttavia, che la questione permanga rilevante, oltre che non manifestamente infondata, attesa l'applicabilità alla fattispecie sottoposta al suo vaglio della previsione originaria dell'art. 213, comma 2-sexies, ai sensi di quanto previsto dall'art. 1 della legge n. 689 del 1981, secondo cui le «leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati»;

    che è intervenuto in ciascun giudizio - ad eccezione di quello originato dall'ordinanza di rimessione n. 412 del 2007, emessa dal Giudice di pace di Vicenza - il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato;

    che la difesa dello Stato - eccepita, in via preliminare, l'inammissibilità delle questioni in quanto prive, a suo dire, di motivazione sulla rilevanza e non manifesta infondatezza - deduce «l'irrilevanza della questione sollevata in relazione all'art. 171, commi 1 e 2» del codice della strada, giacché essi «prevedono l'obbligo di indossare il casco e comminano la sanzione pecuniaria principale in caso di inosservanza», rimanendo, pertanto, estranea al loro contenuto precettivo ogni determinazione in riferimento al ciclomotore;

    che in tutti i casi sottoposti all'esame dei giudici rimettenti, pertanto, la «sola disposizione astrattamente rilevante potrebbe essere l'art. 213, comma 2-sexies, che prevede la confisca obbligatoria» proprio nell'ipotesi in cui ricorra taluna delle infrazioni di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del medesimo codice della strada;

    che, tuttavia, anche la questione avente ad oggetto tale norma si presenta «irrilevante», sebbene «sotto un diverso profilo»;

    che, difatti, i giudici a quibus non avrebbero chiarito se, nei casi oggetto dei giudizi principali, risulti provato «il fatto che il veicolo circolava contro la volontà del proprietario», giacché, ricorrendo detta ipotesi, difetterebbe un'adeguata motivazione sull'influenza del prospettato dubbio di costituzionalità;

    che, in subordine, l'Avvocatura generale dello Stato deduce l'infondatezza delle questioni sollevate;

    che, a suo dire, la confisca è rivolta a sottrarre la disponibilità di ciclomotori e motoveicoli a coloro i quali, mostrandosi indifferenti all'obbligo di indossare il casco protettivo, realizzano, con il proprio contegno, «una causa di incremento del pericolo di lesioni craniche da circolazione di motocicli», sicché - sottolinea la difesa erariale - anche «il proprietario che autorizzi o tolleri l'uso del motociclo da parte di soggetti che non rispettano l'obbligo in questione» è ragionevolmente sottoposto, dal censurato art. 213, comma 2-sexies, a tale sanzione;

    che l'applicazione di tale sanzione troverebbe, dunque, la sua ragion d'essere nella circostanza che il proprietario del veicolo «ha accettato di concorrere all'incremento complessivo del rischio da circolazione e, contemporaneamente, ha rinunciato ad esercitare un controllo personale e diretto sul comportamento del conducente», di talché, quella ipotizzabile nei suoi confronti, non sarebbe un'ipotesi di responsabilità per fatto altrui;

    che nessuna violazione del principio di eguaglianza, poi, potrebbe essere ravvisata nel caso di specie, essendo priva di fondamento, in particolare, la censura che tende a stigmatizzare il fatto che la confisca obbligatoria «non sia prevista per violazioni stradali che il giudice rimettente considera più gravi sotto il profilo degli interessi protetti», atteso che la legittimità costituzionale di una sanzione va riconosciuta «qualora sussista una ragionevole coerenza tra la sua misura ed entità e gli interessi protetti dal precetto di cui la sanzione è presidio»;

    che nella specie, prosegue la difesa erariale, «la prevenzione del rischio individuale e sociale da trauma cranico, specifico e peculiare della circolazione motociclistica, rende ragione sufficiente di una misura intesa a togliere la disponibilità del mezzo specifico della creazione di tale rischio»;

    che tali rilievi, inoltre, varrebbero a fugare l'ulteriore dubbio relativo alla violazione dell'art. 3 della Costituzione, dimostrando come nell'applicazione della sanzione de qua «non abbia alcun rilievo il valore dei motocicli confiscati», giacché attraverso di essa non si «tende a colpire il patrimonio del responsabile, bensì a rimuovere una causa di incremento del rischio di cui si è detto».

    Considerato che i Giudici di pace di Vicenza, Francavilla al Mare e Chioggia, con le ordinanze indicate in epigrafe, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale - in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 27 e 42 della Costituzione - dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conv ersione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

    che tutti i rimettenti censurano la norma suddetta nel testo anteriore a quello modificato dall'art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), come risultante dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286, e cioè nella parte in cui prevede (o meglio, prevedeva) la confisca di ciclomotori e motoveicoli quale sanzione accessoria che colpisce anche le infrazioni amministrative di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada;

     che, preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei giudizi, atteso che la loro identità di oggetto ne giustifica l'unitaria trattazione ai fini di un'unica decisione;

    che le questioni sono rilevanti, atteso che ciascuno del giudici a quibus muove dal corretto (ed adeguatamente motivato) presupposto di dover decidere la controversia devoluta al suo esame facendo applicazione del testo originario della norma suddetta;

    che nessuna delle questioni sollevate risulta meritevole di accoglimento;

    che, prima facie, non fondata è la dedotta violazione dell'art. 27 Cost., essendo la giurisprudenza costituzionale costante nell'affermare - in forza di un indirizzo reiteratamente ribadito, sino alla recente ordinanza n. 434 del 2007 (concernente, tra l'altro, proprio la disciplina della circolazione stradale) - che il parametro costituzionale suddetto si riferisce esclusivamente alle sanzioni penali e non pure a quelle amministrative;

    che, in limine, deve rilevarsi come le censure formulate in riferimento agli artt. 2 e 42 Cost. risultino prive di autonomo rilievo rispetto a quelle proposte ai sensi dell'art. 3 della Carta fondamentale;

    che il primo di tali parametri, difatti, è evocato per dedurre la violazione del «diritto fondamentale all'eguaglianza», e segnatamente la disparità di trattamento che la norma contestata introdurrebbe, innanzitutto, «tra ciclomotoristi e automobilisti» (operando la confisca del veicolo solo in presenza di infrazioni poste in essere dai primi e non pure nel caso di inosservanza, da parte dei secondi, di norme egualmente poste a salvaguardia dell'integrità fisica dei conducenti; così le ordinanze del rimettente di Francavilla al Mare), ovvero «fra proprietari di ciclomotori o motocicli di bassissimo o inesistente valore economico e proprietari di ciclomotori o motocicli di valore» (così il Giudice di pace di Chioggia);

    che, analogamente, anche l'ipotizzato contrasto con l'art. 42 Cost., risultando motivato con riferimento all'«enorme sacrificio del diritto, anch'esso costituzionalmente garantito, di proprietà sul veicolo», specialmente quando ne sia titolare «un soggetto diverso dal trasgressore», tende a riproporre la censura dell'art. 213, comma 2-sexies formulata per avere tale norma previsto una misura non conforme ai principi di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione;

    che, dunque, in entrambi i casi, si profila la necessità di prendere in considerazione tali profili di doglianza unitamente alle censure formulate in riferimento all'art. 3 Cost.;

    che, peraltro, nello scrutinare la conformità della norma censurata a detto parametro, appare necessario muovere dalla constatazione preliminare - oltre che della natura di inconveniente di mero fatto della disparità di trattamento, cui la disposizione in contestazione darebbe luogo, «fra proprietari di ciclomotori o motocicli di bassissimo o inesistente valore economico e proprietari di ciclomotori o motocicli di valore» - circa l'ampio margine di discrezionalità che contraddistingue ogni scelta sanzionatoria compiuta dal legislatore;

    che, ancora di recente, questa Corte - proprio con riferimento alla materia della circolazione stradale, anzi addirittura con specifico riguardo all'altra scelta compiuta dal testo originario del comma 2-sexies dell'art. 213 del codice della strada (ovvero quella di assoggettare alla sanzione della confisca ciclomotori e motoveicoli adoperati per commettere un reato) - ha inteso ribadire che «la valutazione della congruità della sanzione appartiene alla discrezionalità del legislatore, con il solo limite della manifesta irragionevolezza» (così, testualmente, la sentenza n. 345 del 2007);

    che, pertanto, tale discrezionalità può essere oggetto di censura, in sede di scrutinio di costituzionalità, soltanto nei casi di «uso distorto o arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza» (così, da ultimo, ordinanza n. 169 del 2006; nello stesso senso - tra le più recenti, e sempre con riferimento a previsioni contenute nel codice della strada - le ordinanze n. 45 del 2006; n. 401 del 2005);

    che siffatta evenienza, tuttavia, non ricorrere nel caso di specie, diversamente da quanto ipotizzato dai rimettenti;

    che, invero, la scelta del legislatore di reprimere più intensamente, mediante l'irrogazione anche della sanzione accessoria della confisca del mezzo, oltre che di quella pecuniaria, in primo luogo, l'infrazione consistente nell'inosservanza dell'obbligo di indossare il casco protettivo (posta in essere dal conducente di un veicolo a due ruote o da eventuali passeggeri trasportati a bordo dello stesso), nonché, in secondo luogo, altre infrazioni che condividono, con la prima, la medesima funzione di prevenire i rischi specifici derivanti da quegli incidenti nei quali risultino coinvolti veicoli a due ruote, appare sorretta, per vero, da una adeguata ragione giustificativa;

    che questa Corte, già chiamata in passato a decidere - proprio in relazione alla sua ipotizzata «manifesta irragionevolezza» - del più «severo regime sanzionatorio previsto» per l'inosservanza dell'obbligo di indossare il casco protettivo, «rispetto al regime relativo ad altre infrazioni del codice della strada», ha escluso la fondatezza di tale questione (sentenza n. 180 del 1994);

    che, difatti, si è ritenuto di identificare la ratio legis della più accentuata risposta punitiva, prevista per l'infrazione de qua, nella necessità di prevenire i rischi specifici conseguenti alla utilizzazione dei veicoli a due ruote, rilevando che le «misure dirette ad attenuare le conseguenze che possano derivare dai traumi prodotti da incidenti, nei quali siano coinvolti motoveicoli», risultano «dettate da esigenze tali da non far reputare irragionevolmente limitatrici della "estrinsecazione della personalità"» il più severo trattamento sanzionatorio previsto per tale infrazione, rispetto ad altre pure contemplate dal codice della strada;

    che tali rilievi possono essere estesi anche al caso in esame e, dunque, da un lato, applicati alle altre infrazioni stradali (artt. 169 e 170 del codice della strada) che - al pari di quella consistente nel mancato uso del casco protettivo (art. 171) - condividono la stessa finalità di «attenuare le conseguenze che possano derivare dai traumi prodotti da incidenti, nei quali siano coinvolti motoveicoli», nonché, dall'altro, ritenuti idonei a giustificare quell'intensificazione della risposta repressiva realizzata attraverso la previsione della sanzione accessoria della confisca;

    che, risultando la norma in contestazione sorretta da un'adeguata ragione giustificativa, debbono superarsi anche i dubbi avanzati con riferimento alle ipotizzate disparità di trattamento tra le infrazioni suddette ed altre aventi anch'esse la finalità di tutelare l'incolumità individuale;

    che questa Corte, sul punto, non può che ribadire quanto affermato nella già ricordata sentenza n. 345 del 2007, ovvero che «ogni iniziativa volta a superare questo trattamento differenziato non potrebbe che spettare al legislatore», essendo «principio ormai consolidato nella giurisprudenza costituzionale» quello secondo cui «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l'applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento» costituisce un intervento «riservato alla discrezionalità legislativa»;

    che, del pari, non fondata è la censura, sempre in riferimento all'art. 3 Cost. basata sul rilievo che la norma contestata, irragionevolmente, farebbe gravare la sanzione della confisca anche sul proprietario del mezzo che non sia il responsabile dell'infrazione stradale;

    che questa Corte ha più volte sottolineato che «la responsabilità del proprietario di un veicolo per le violazioni commesse da chi si trovi alla guida costituisce, nel sistema delle sanzioni amministrative previste per le violazioni delle norme relative alla circolazione stradale, un principio di ordine generale» (si vedano, da ultimo, le ordinanze nn. 323 e 319 del 2002 e l'ordinanza n. 33 del 2001), principio destinato ad operare in riferimento tanto alla sanzione pecuniaria principale quanto a quelle accessorie, salvo che queste ultime non presentino contenuto «afflittivo personale» (sentenza n. 27 del 2005);

    che quello da ultimo descritto non è, però, il caso della sanzione accessoria della confisca prevista dal censurato art. 213, comma 2-sexies, giacché essa mantiene i suoi effetti in un ambito puramente "patrimoniale", non incidendo - diversamente da quella della decurtazione dei punti della patente di guida (in relazione alla quale è intervenuta la citata sentenza n. 27 del 2005) - sulla «legittimazione soggettiva alla conduzione di ogni veicolo», bensì unicamente sulla proprietà di un bene;

    che è, quindi, proprio in virtù di siffatta circostanza che deve escludersi la paventata illegittimità costituzionale della norma censurata, nei termini in cui la stessa è stata prospettata dai giudici rimettenti.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,

    dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), so llevate - in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 27 e 42 della Costituzione - dai Giudici di pace di Vicenza, Francavilla al Mare e Chioggia, con le ordinanze indicate in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedentePronuncia successiva

ORDINANZA N. 126</ A>

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-     Franco            BILE         Presidente

-     Giovanni Maria    FLICK          Giudice

-     Ugo               DE SIERVO         "

-     Paolo             MADDALENA         "

-     Alfio             FINOCCHIARO       "

-     Alfonso           QUARANTA          "

-     Franco            GALLO             "

-     Luigi             MAZZELLA          "

-     Gaetano           SILVESTRI         "

-     Sabino            CASSESE           "

-     Maria Rita        SAULLE            "

-     Giuseppe          TESAURO           "

-     Paolo Maria       NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 213, comma 2 sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze del 20 dicembre 2006 dal Giudice di pace di Notaresco, del 6 giugno 2006 dal Giudice di pace di Afragola, del 26 settembre 2006 dal Giudice di pace di Foggia, del 12 gennaio 2007 dal Giudice di pace di Cervignano del Friuli, del 13 dicembre 2006 dal Giudice di pace di Melfi, d el 16 gennaio 2007 dal Giudice di pace di Catanzaro e del 18 settembre 2006 dal Giudice di pace di Piove di Sacco rispettivamente iscritte ai nn. 374, 376, 520, 580, 597, 639 e 640 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 21, 28, 34, 35 e 37, prima serie speciale, dell'anno 2007.

    Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 2 aprile 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

    Ritenuto che i Giudici di pace di Notaresco, Cervignano del Friuli e Catanzaro, con le ordinanze di cui in epigrafe, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale - in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 27, 16 e 42 della Costituzione - dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel test o originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

    che anche i Giudici di pace di Afragola, Foggia, Melfi e Piove di Sacco, con le ordinanze di cui in epigrafe, hanno, del pari, sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 213, comma 2-sexies del d.lgs. n. 285 del 1992, limitandosi, peraltro, il secondo dei rimettenti ad ipotizzare il contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nonché, l'ultimo di essi, anche con l'art. 27 Cost.;

    che il Giudice di pace di Notaresco (r.o. n. 374 del 2007), in particolare, ipotizza che la norma censurata violi gli artt. 3, 16 e 27 Cost.;

    che il rimettente - premesso di essere chiamato a giudicare dell'opposizione proposta dal genitore di un minorenne, avverso il verbale con il quale veniva contestata, al secondo, l'infrazione consistente nella guida di un veicolo a due ruote senza l'uso del casco protettivo, nonché disposto il sequestro del mezzo, di proprietà del primo, in vista della successiva confisca - reputa che il predetto art. 213, comma 2-sexies, contrasti, innanzitutto, con il principio dell'eguaglianza formale e sostanziale dei cittadini;

    che esso censura, in particolare, la circostanza che la sanzione della confisca venga applicata «solo nel caso in cui la violazione sia commessa utilizzando un ciclomotore o un motociclo e non nel caso in cui sia determinata servendosi di un altro tipo di veicolo, ad esempio un'automobile», e segnatamente allorché si realizzi, ad esempio, l'infrazione consistente nel mancato uso delle cinture di sicurezza;

    che il giudice a quo deduce, poi, la ricorrenza di «un aperto contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità» (artt. 3 e 27 Cost.), che impongo l'adozione di sanzioni adeguate, atteso che, nella specie, la sanzione della confisca «risulta sproporzionata rispetto alla pena principale», tanto da assumere «un carattere prevalente e preponderante»;

    che il rimettente - richiamato quell'indirizzo della giurisprudenza costituzionale che ammette il sindacato sulle scelte sanzionatorie del legislatore, allorché esse contrastino in modo manifesto con il canone della ragionevolezza, e rilevato che la Corte costituzionale, su tali basi, ha già dichiarato l'illegittimità dell'art. 134, comma 2, del codice della strada «che prevedeva la confisca del veicolo solo perché era scaduta la carta di circolazione dello stesso» - reputa che l'adozione di analoga soluzione s'imponga nel caso in esame;

    che, infine, ipotizza la violazione anche dell'art. 16 Cost., atteso che la libertà di circolazione «con la confisca del mezzo viene compressa e limitata notevolmente»;

    che anche il Giudice di pace di Cervignano del Friuli (r.o. n. 580 del 2007) censura il predetto art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada con riferimento agli artt. 2, 3 e 42 Cost.;

    che esso, nel premettere di essere investito dell'opposizione proposta avverso «verbale di accertamento di violazione dell'art. 171» del codice della strada, nonché avverso il «contestuale verbale di sequestro amministrativo di ciclomotore», assume, in primo luogo, la violazione dell'art. 3 Cost.;

    che viene dedotta, difatti, l'esistenza di un'evidente «sproporzione tra la violazione e le conseguenze economiche della sanzione», dipendente dalla «notevole diversità di valore economico» tra i singoli ciclomotori o motoveicoli colpiti dalla confisca, con la conseguenza, quindi, che «vengono puniti in modo ingiustificatamente diverso i trasgressori rispetto alla medesima violazione»;

    che, inoltre, poiché «il diritto di eguaglianza» rientra tra quelli inviolabili di cui all'art. 2 Cost., si assume che anche tale articolo risulterebbe violato dalla norma in esame, giacché essa «pone una evidente disparità di trattamento tra conducenti di ciclomotori e motoveicoli e conducenti di tutti gli altri veicoli»;

    che infine, è dedotta, la violazione dell'art. 42 della Carta fondamentale, in quanto la disposizione in contestazione, in particolar modo quando il veicolo confiscato appartenga ad un soggetto diverso dal trasgressore, darebbe luogo «ad una sottrazione illegittima del bene», gravando, per giunta, il proprietario del mezzo «delle spese di custodia senza limite di tempo»;

    che anche il Giudice di pace di Catanzaro (r.o. n. 639 del 2007) ipotizza l'illegittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 27 e 42 Cost. - del medesimo art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada;

    che il rimettente deduce preliminarmente, in punto di fatto, di essere investito dell'opposizione proposta - avverso un verbale di contestazione di infrazione stradale comportante il sequestro del mezzo in vista della successiva confisca - dal proprietario di un veicolo a due ruote sanzionato per aver condotto il mezzo senza l'uso del casco protettivo;

    che, ciò premesso, il giudice a quo assume che il citato articolo sarebbe «contrario agli artt. 3 (principio di uguaglianza) e 27 (principio della responsabilità penale personale) della Costituzione», oltre che ai principi «di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione»;

    che, in particolare, si evidenzia come, in presenza di violazioni analoghe, la sanzione accessoria della confisca sia prevista «soltanto quando la violazione sia commessa per l'utilizzo di un ciclomotore» e non pure di un altro veicolo;

    che, del pari, l'art. 3 Cost. risulterebbe violato «per l'incongruità tra la sanzione principale, piuttosto modesta e la sanzione accessoria eccessivamente penalizzante»;

    che, infine, la norma censurata contrasterebbe anche con l'art. 42 Cost., «il quale tutela la proprietà privata ammettendo l'espropriazione solo in presenza di motivi di interesse generale», tale, invece, non essendo «il mancato uso del casco»;

    che anche i Giudici di pace di Afragola (r.o. n. 376 del 2007), Foggia (r.o. n. 520 del 2007), Melfi (r.o. n. 597 del 2007) e Piove di Sacco (r.o. n. 640 del 2007), hanno, del pari, sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 213, comma 2-sexies del d.lgs. n. 285 del 1992, limitandosi, peraltro, il secondo dei rimettenti ad ipotizzare il contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nonché, l'ultimo di essi, anche con l'art. 27 Cost., nessuno dei giudici a quibus provvedendo, invece, né a descrivere le fattispecie oggetto dei giudizi principali, né a motivare le ragioni della non manifesta infondatezza e della rilevanza della questione sollevata;

    che è intervenuto in ciascun giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato;

    che la difesa dello Stato - eccepita, in via preliminare, l'inammissibilità delle questioni, in quanto prive di motivazione sulla rilevanza e non manifesta infondatezza (eccezione specificamente riproposta, con un ulteriore memoria, per la questione sollevata dal rimettente foggiano) - assume che i dubbi di costituzionalità sollevati dai rimettenti sarebbero «irrilevanti» per la definizione dei giudizi pendenti innanzi ad essi;

    che, difatti, i giudici a quibus non avrebbero chiarito se, nei casi oggetto dei giudizi principali, risulti provato «il fatto che il veicolo circolava contro la volontà del proprietario», giacché, ricorrendo detta ipotesi, difetterebbe un'adeguata motivazione sull'influenza dei prospettati dubbi di costituzionalità;

    che, in subordine, l'Avvocatura generale dello Stato deduce l'infondatezza delle questioni sollevate;

    che, a suo dire, la confisca è rivolta a sottrarre la disponibilità di ciclomotori e motoveicoli a coloro i quali, mostrandosi indifferenti all'obbligo di indossare il casco protettivo, realizzano, con il proprio contegno, «una causa di incremento del pericolo di lesioni craniche da circolazione di motocicli», sicché - sottolinea la difesa erariale - anche «il proprietario che autorizzi o tolleri l'uso del motociclo da parte di soggetti che non rispettano l'obbligo in questione» è ragionevolmente sottoposto, da censurato art. 213, comma 2-sexies, a tale sanzione;

    che l'applicazione di tale sanzione troverebbe, dunque, la sua ragion d'essere nella circostanza che il proprietario del veicolo «ha accettato di concorrere all'incremento complessivo del rischio da circolazione e, contemporaneamente, ha rinunciato ad esercitare un controllo personale e diretto sul comportamento del conducente», di talché, quella ipotizzabile nei suoi confronti, non è un'ipotesi di responsabilità per fatto altrui;

    che nessuna violazione del principio di eguaglianza, poi, potrebbe essere ravvisata nel caso di specie, essendo priva di fondamento, in particolare, la censura che tende a stigmatizzare il fatto che la confisca obbligatoria «non sia prevista per violazioni stradali che il giudice rimettente considera più gravi sotto il profilo degli interessi protetti», atteso che la legittimità costituzionale di una sanzione va riconosciuta «qualora sussista una ragionevole coerenza tra la sua misura ed entità e gli interessi protetti dal precetto di cui la sanzione è presidio»;

    che nella specie, prosegue la difesa erariale, «la prevenzione del rischio individuale e sociale da trauma cranico, specifico e peculiare della circolazione motociclistica, rende ragione sufficiente di una misura intesa a togliere la disponibilità del mezzo specifico della creazione di tale rischio»;

    che tali rilievi, inoltre, varrebbero a fugare l'ulteriore dubbio relativo alla violazione dell'art. 3 della Costituzione, dimostrando come nell'applicazione della sanzione de qua «non abbia alcun rilievo il valore dei motocicli confiscati», giacché attraverso di essa non si «tende a colpire il patrimonio del responsabile, bensì a rimuovere una causa di incremento del rischio di cui si è detto».

    Considerato che i Giudici di pace di Notaresco, Cervignano del Friuli e Catanzaro hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale - in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 27, 16 e 42 della Costituzione - dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relat iva legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

    che anche i Giudici di pace di Afragola, Foggia, Melfi e Piove di Sacco hanno, del pari, sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 213, comma 2-sexies, del d.lgs. n. 285 del 1992, limitandosi, peraltro, il secondo dei rimettenti ad ipotizzare il contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nonché, l'ultimo di essi, anche con l'art. 27 Cost.;

    che, preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei giudizi, atteso che la loro identità di oggetto ne giustifica l'unitaria trattazione ai fini di un'unica decisione;

    che tutte le questioni sono manifestamente inammissibili, ancorché per ragioni differenti;

    che quanto, in particolare, alle questioni sollevate dai Giudici di pace di Notaresco, Cervignano del Friuli e Catanzaro, deve rilevarsi che i predetti remittenti hanno assunto la propria iniziativa successivamente alle modifiche, recate al testo della norma censurata, dal comma 169 dell'art. 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), inserito dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286;

    che non avendo i medesimi minimamente affrontare il problema della incidenza di tale sopravvenienza normativa rispetto ai giudizi principali, le questioni da essi sollevate sono manifestamente inammissibili;

    che tale è, infatti, secondo l'indirizzo di questa Corte, l'esito della questione allorché il rimettente non abbia «svolto alcuna motivazione in ordine alla incidenza della novella sulla fattispecie al suo esame (.) quanto alla perdurante rilevanza della questione nel giudizio a quo» (così, in particolare, da ultimo, l'ordinanza n. 310 del 2007);

    che in merito, invece, alle questioni sollevate dai rimettenti di Afragola, Foggia, Melfi e Piove di Sacco, l'esito della manifesta inammissibilità appare imposto dalle gravissime carenze - non solo quanto alla descrizione delle fattispecie oggetto dei giudizi principali, ma anche quanto alla motivazione in ordine alla rilevanza e non manifesta infondatezza dei dubbi di costituzionalità (in due casi non sono neppure indicate le norme costituzionali asseritamente violate dalla censurata disposizione) - che inficiano le ordinanze di rimessione (cfr., da ultimo, proprio con riferimento alla norma oggi censurata, l'ordinanza n. 243 del 2007).

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,

    dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevate - in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 27, 16 e 42 della Costituzione - dai Giudici di pace di Notaresco, Afragola, Foggia, Cervignano del Friuli, Melfi, Catanzaro e Piove di Sacco, con le ordinanze indicate in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedente

ORDINANZA N. 127

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-     Franco            BILE         Presidente

-     Giovanni Maria    FLICK          Giudice

-     Ugo               DE SIERVO         "

-     Paolo             MADDALENA         "

-     Alfio             FINOCCHIARO       "

-     Alfonso           QUARANTA          "

-     Franco            GALLO             "

-     Luigi             MAZZELLA          "

-     Gaetano           SILVESTRI         "

-     Sabino            CASSESE           "

-     Maria Rita        SAULLE            "

-     Giuseppe          TESAURO           "

-     Paolo Maria       NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze del 25 luglio 2006 dal Giudice di pace di Napoli, del 5 maggio 2006 (nn. 2 ordinanze) dal Giudice di pace di Barra, del 13 giugno 2006 dal Giudice di pace di Varese e del 7 novembre 2006 dal Giudice di pace di Trecastagni, rispettivamente iscritte ai nn. 423, 444, 445, 494 e 499 del registro ordinanze 2007 e pub blicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 23, 24 e 26, prima serie speciale, dell'anno 2007.

    Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 2 aprile 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

    Ritenuto che i Giudici di pace di Napoli, Barra, Varese e Trecastagni, con le ordinanze indicate in epigrafe, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale - in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 27 e 42 della Costituzione - dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario r isultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

    che i rimettenti di Napoli e Trecastagni - con due ordinanze di contenuto analogo (r.o. n. 423 e n. 449 del 2007) - censurano il predetto art. 213, comma 2-sexies, «nella parte in cui prevede la sanzione amministrativa della confisca di un ciclomotore o motoveicolo che sia stato adoperato per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli articoli 169, commi 2 e 7, 170 e 171» del codice della strada, assumendo la violazione degli artt. 3 e 27 Cost.;

    che i giudici a quibus premettono di essere investiti dell'opposizione, rispettivamente, proposta (avverso due verbali con i quali si è contestata l'infrazione stradale di cui all'art. 171, comma 2, del codice della strada), nell'un caso, dal genitore di un minorenne resosi responsabile del mancato uso del casco protettivo, in occasione della conduzione del motoveicolo di proprietà del primo, ovvero, nell'altro, direttamente dal proprietario del mezzo, responsabile anche della commessa infrazione;

    che entrambi i Giudici di pace deducono l'esistenza di una «aperta violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione», nonché «la disparità di trattamento» che la norma suddetta introdurrebbe tra violazioni del codice della strada «che in alcuni casi coincidono», secondo che le stesse siano commesse con ciclomotori o autoveicoli;

    che i rimettenti, in particolare, pur premettendo che è di regola precluso alla Corte costituzionale il sindacato sulle scelte sanzionatorie del legislatore, sottolineano come la giurisprudenza costituzionale ne abbia riconosciuto l'ammissibilità allorché, come nel caso di specie, l'opzione normativa contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza, vale a dire «si appalesi, in concreto, come espressione di un uso distorto della discrezionalità» (sono citate, in proposito, la sentenza n. 313 del 1995, nonché le ordinanze n. 144 del 2001, n. 58 del 1999, n. 297 del 1998);

    che, pertanto, su tali basi la Corte costituzionale - evidenziano i giudici a quibus - non solo ha già riconosciuto l'illegittimità costituzionale di talune ipotesi di confisca (sentenza n. 110 del 1996), ma ha espresso più volte l'auspicio (sono citate le sentenze n. 349 e n. 435 del 1997) che il legislatore provveda a «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l'applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento»;

    che la norma censurata, viceversa, contravverrebbe a tali indicazioni, non solo dando luogo ad un'inammissibile «disparità di trattamento tra chi conduce una moto o un ciclomotore e chi guida un autoveicolo», ma anche violando il principio secondo cui la responsabilità penale è personale, nella misura in cui la sanzione della confisca da essa prevista colpisce «inevitabilmente ed esclusivamente» il proprietario del veicolo e non l'autore dell'infrazione stradale;

    che il Giudice di pace di Barra, con due ordinanze di contenuto pressoché identico (r.o. n. 444 e n. 445 del 2007), censura - sempre in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. - il medesimo art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada;

    che il rimettente premette di essere investito, in entrambi i casi, dell'opposizione proposta dai proprietari di motoveicoli avverso i verbali con i quali, ai sensi della norma del codice della strada sopra richiamata, è stata disposta la confisca dei mezzi, essendo stata accertata a carico di tali soggetti la violazione dell'obbligo di indossare il casco protettivo;

    che la disposizione censurata, secondo il giudice a quo, violerebbe, innanzitutto, «il principio di eguaglianza tra i cittadini», atteso che, sebbene il codice della strada ed altre leggi contemplino «comportamenti di pericolosità assimilabile - e finanche superiore - a quella di cui all'art. 171» del codice della strada («quali ad esempio il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza in auto o il superamento dei limiti di velocità», che «sono sanzionati in misura ridotta»), per essi non risulta prevista la sanzione accessoria della confisca;

    che, pertanto, la previsione di cui all'art. 213, comma 2-sexies, non sarebbe in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale, e segnatamente con l'invito da essa rivolto al legislatore a «rimodellare il sistema della confisca» nel senso di «evitare che l'applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento»;

    che è dedotta, poi, la violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione, in quanto «la sanzione accessoria della confisca del veicolo lede uno dei diritti costituzionalmente garantiti che è quello della proprietà privata», e ciò particolarmente quando «il trasgressore non sia proprietario del veicolo»;

    che il Giudice di pace di Varese (r.o. n. 494 del 2007) ipotizza, per parte sua, il contrasto degli artt. 3, 27 e 42 Cost. ad opera del censurato art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada;

    che il rimettente premette di dover conoscere anch'esso dell'opposizione proposta dal padre di un minorenne, sorpreso senza casco protettivo alla guida di un ciclomotore di proprietà del genitore, relativamente al verbale di contestazione dell'infrazione stradale e di sequestro del mezzo in vista della successiva confisca;

    che esso reputa, tuttavia, la norma suddetta costituzionalmente illegittima, in primo luogo per violazione dell'art. 3 Cost;

    che a suo dire, infatti, «il vincolo teleologico tra la sanzione della confisca e la violazione della norma ha senso solo se riferito alla commissione di un reato ma non alla violazione di norme del codice della strada», giacché solo «nel primo caso e non nel secondo la confisca svolge il ruolo di privare il reo di uno strumento per la commissione di reati»;

    che non si comprenderebbe, in particolare, per quale motivo «il minore che proceda su ciclomotore senza casco» debba essere «trattato alla stregua di un rapinatore o di uno spacciatore», i quali subiscono la confisca del ciclomotore «utilizzato o per la rapina o per nascondere gli stupefacenti»;

    che, del pari, non si comprende - prosegue il rimettente - «per qual motivo la confisca non sia comminata all'automobilista che non allaccia le cinture di sicurezza», atteso che, se il bene tutelato attraverso la previsione della sanzione della confisca fosse la vita dell'utente della strada, detta esigenza di protezione si porrebbe, identicamente, anche nel caso in cui sia commessa tale infrazione stradale;

    che non ragionevole, poi, sarebbe la scelta di ricollegare la sanzione accessoria della confisca anche all'infrazione consistente nella non corretta posizione di guida dei veicoli a due ruote, atteso che l'art. 170 del codice della strada «non precisa, esattamente, quale sia questa posizione», attribuendo, così, all'accertatore «una discrezionalità che comporta quale conseguenza la confisca del mezzo»;

    che viene dedotta, infine, anche la violazione dell'art. 42 Cost., in quanto «l'interesse generale alla repressione dei reati, cosa che rende sacrificabile la proprietà con la previsione della confisca del bene utilizzato per la sua commissione, non sussiste nel caso di conducente senza casco su ciclomotore», visto, oltretutto, che se la ratio della previsione di detta sanzione fosse quella della tutela della vita essa dovrebbe comportarne l'applicazione anche ad altre infrazioni stradali;

    che è intervenuto in ciascun giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato;

    che la difesa dello Stato - eccepita, in via preliminare, l'inammissibilità delle questioni in quanto, a suo dire, prive di motivazioni sulla rilevanza e non manifesta infondatezza - deduce «l'irrilevanza della questione sollevata in relazione all'art. 171, commi 1 e 2» del codice della strada, giacché essi «prevedono l'obbligo di indossare il casco e comminano la sanzione pecuniaria principale in caso di inosservanza», rimanendo, pertanto, estranea al loro contenuto precettivo ogni determinazione in riferimento al ciclomotore;

    che nei casi di specie, pertanto, la «sola disposizione astrattamente rilevante potrebbe essere l'art. 213, comma 2-sexies, che prevede la confisca obbligatoria» proprio nell'ipotesi in cui ricorra taluna delle infrazioni di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del medesimo codice della strada;

    che, tuttavia, anche la questione avente ad oggetto tale norma si presenta «irrilevante», sebbene «sotto un diverso profilo»;

    che, difatti, i giudici a quibus non avrebbero chiarito se, nei casi oggetto dei giudizi principali, risulti provato «il fatto che il veicolo circolava contro la volontà del proprietario», giacché, ricorrendo detta ipotesi, difetterebbe un'adeguata motivazione sull'influenza del prospettato dubbio di costituzionalità;

    che, in subordine, l'Avvocatura generale dello Stato deduce l'infondatezza delle questioni sollevate;

    che, a suo dire, la confisca è rivolta a sottrarre la disponibilità di ciclomotori e motoveicoli a coloro i quali, mostrandosi indifferenti all'obbligo di indossare il casco protettivo, realizzano, con il proprio contegno, «una causa di incremento del pericolo di lesioni craniche da circolazione di motocicli», sicché - sottolinea la difesa erariale - anche «il proprietario che autorizzi o tolleri l'uso del motociclo da parte di soggetti che non rispettano l'obbligo in questione» è ragionevolmente sottoposto, dal censurato art. 213, comma 2-sexies, a tale sanzione;

    che l'applicazione di tale sanzione troverebbe, dunque, la sua ragion d'essere nella circostanza che il proprietario del veicolo «ha accettato di concorrere all'incremento complessivo del rischio da circolazione e, contemporaneamente, ha rinunciato ad esercitare un controllo personale e diretto sul comportamento del conducente», di talché, quella ipotizzabile nei suoi confronti, non è un'ipotesi di responsabilità per fatto altrui;

    che nessuna violazione del principio di eguaglianza, poi, potrebbe essere ravvisata nel caso di specie, essendo priva di fondamento, in particolare, la censura che tende a stigmatizzare il fatto che la confisca obbligatoria «non sia prevista per violazioni stradali che il giudice rimettente considera più gravi sotto il profilo degli interessi protetti», atteso che la legittimità costituzionale di una sanzione va riconosciuta «qualora sussista una ragionevole coerenza tra la sua misura ed entità e gli interessi protetti dal precetto di cui la sanzione è presidio»;

    che nella specie, prosegue la difesa erariale, «la prevenzione del rischio individuale e sociale da trauma cranico, specifico e peculiare della circolazione motociclistica, rende ragione sufficiente di una misura intesa a togliere la disponibilità del mezzo specifico della creazione di tale rischio»;

    che tali rilievi, inoltre, varrebbero a fugare l'ulteriore dubbio relativo alla violazione dell'art. 3 della Costituzione, dimostrando come nell'applicazione della sanzione de qua «non abbia alcun rilievo il valore dei motocicli confiscati», giacché attraverso di essa non si «tende a colpire il patrimonio del responsabile, bensì a rimuovere una causa di incremento del rischio di cui si è detto».

    Considerato che i Giudici di pace di Napoli, Barra, Varese e Trecastagni, con le ordinanze indicate in epigrafe, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale - in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 27 e 42 della Costituzione - dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

     che, preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei giudizi, atteso che la loro identità di oggetto ne giustifica l'unitaria trattazione ai fini di un'unica decisione;

    che, nelle more del presente giudizio, i commi 167, 168 e 169 dell'art. 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), inseriti dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286, hanno, rispettivamente, sostituito il testo degli artt. 170, comma 7, 171, comma 3, e 213, comma 2-sexies, del codice della strada, norma, quest'ultima, denunciata da tutti giudici rimettenti;

    che, difatti, in virtù del citato ius superveniens, alla «sanzione pecuniaria amministrativa» prevista, rispettivamente, dal comma 6 dell'art. 170 e dal comma 2 dell'art. 171 del codice della strada, consegue - in luogo della confisca, contemplata dal testo censurato dell'art. 213, comma 2-sexies - «il fermo del veicolo per sessanta giorni ai sensi del capo I, sezione II del titolo VI» dello stesso codice (ovvero per la durata di novanta giorni allorché, «nel corso di un biennio», sia «stata commessa, almeno per due volte», una delle violazioni previste dai commi 1 e 2 dell'art. 170 e dal comma 1 dell'art. 171 del medesimo codice della strada);

    che ai sensi del novellato art. 213, comma 2-sexies, del predetto codice l'applicazione della confisca risulta ormai limitata a «tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo sia stato adoperato per commettere un reato, sia che il reato sia stato commesso da un conducente maggiorenne, sia che sia stato commesso da un conducente minorenne»;

    che, pertanto, alla luce di tale sopravvenienza normativa si impone la restituzione degli atti ai giudici rimettenti, per una rinnovata valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni dagli stessi sollevate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,

    ordina la restituzione degli atti ai Giudici di pace di Napoli, Barra, Varese e Trecastagni.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA




 
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