Ultime pronunce
pubblicate deposito del 07/03/2008 |
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50/2008 pres. BILE, rel. QUARANTA |
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51/2008 pres. BILE, rel. CASSESE |
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52/2008 pres. BILE, rel. SILVESTRI |
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Deposito del 07/03/2008 (dalla 50 alla 52) |
S.50/2008 del 27/02/2008 Udienza Pubblica del 12/02/2008, Presidente BILE, Relatore QUARANTA Norme impugnate: Legge 27/12/2006, n. 296 (legge finanziaria 2007); discussione limitata all'art. 1, c. 389°, 635°, 1250°, 1251°, 1252°, 1261°, 1267° e 1290°. Oggetto: Disabile - Abbattimento delle barriere architettoniche negli esercizi commerciali - Istituzione di un fondo ministeriale destinato all'erogazione di contributi - Determinazione delle condizioni e modalità di utilizzo del fondo con atto ministeriale; Istruzione - Scuole non statali - Scuole paritarie - Incremento dello stanziamento di bilancio, da destinare prioritariamente alle scuole dell'in fanzia; Famiglia - Fondo per le politiche della famiglia - Ripartizione - Incremento dello stanziamento di bilancio - Previsione dettagliata delle attività, delle iniziative e degli interventi sociali da sostenere - Determinazione degli interventi ed erogazione dei finanziamenti con atti ministeriali - Fondo per le politiche della famiglia - Fondo per le politiche giovanili - Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità - Incremento dello stanziamento di bilancio; Donna e pari opportunità - Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità - Incremento dello stanziamento di bilancio, con vincolo di destinazione di una quota al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere e alla istituzione di un Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere - Criteri di ripartizione del fondo determinati con atti ministeriali; Straniero - Istituzione del Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati - Previsione di un pian o per l'accoglienza degli alunni stranieri con utilizzo di mediatori culturali - Inserimento nella scuola di figure professionali madrelingua quali mediatori culturali. Dispositivo: illegittimità costituzionale - illegittimità costituzionale parziale - inammissibilità Atti decisi: ric. 10 e 14/2007 |
S.51/2008 del 27/02/2008 Udienza Pubblica del 15/01/2008, Presidente BILE, Relatore CASSESE Norme impugnate: Artt. 11 nonies, 11 decies, 11 undecies, 11 duodecies e 11 terdecies del decreto legge 30/09/2005, n. 203, convertito con modificazioni in legge 02/12/2005, n. 248. Oggetto: Porti e aeroporti civili - Disposizioni in materia di diritti aeroportuali - Modifica della precedente disciplina - Determinazione dei diritti aeroportuali, sulla base di criteri stabiliti dal CIPE, con decreti ministeriali distinti per singoli aeroporti - Introduzione di un meccanismo di calcolo. Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale - non fondatezza - inammissibilità Atti decisi: ric. 6, 7, 18, 19 e 20/2006 |
O.52/2008 del 27/02/2008 Camera di Consiglio del 30/01/2008, Presidente BILE, Relatore SILVESTRI Norme impugnate: Art. 14, c. 5° ter, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286, come sostituito dall'art. 1, c. 5° bis, del decreto legge 14/09/2004, n. 241, convertito con modificazioni in legge 1 2/11/2004, n. 271. Oggetto: Straniero e apolide - Espulsione amministrativa - Delitto di trattenimento, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato, in violazione dell'ordine di allontanamento impartito dal questore - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da uno a quattro anni. Dispositivo: manifesta inammissibilità Atti decisi: ord. 145, 146, 193 e 602/2006; 8, 120, 134, 203, 221, 247 e 248/2007 |
ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 389, 635, 1250, 1251, 1252, 1261, 1267 e 1290 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), promossi con ricorsi delle Regioni Veneto e Lombardia notificati il 23 e il 26 febbraio 2007, depositati in cancelleria il 1° e il 7 marzo successivi ed iscritti ai nn. 10 e 14 del registro ricorsi 2007. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 12 febbraio 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta; uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione Veneto, Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia e l'avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- la Regione Veneto, con ricorso (iscritto al n. 10 del reg. ric. 2007) notificato il 23 febbraio 2007 e depositato il successivo 1° marzo, ha promosso, tra l'altro, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 389, 635, 1250, 1251, 1252, 1261, 1267 e 1290, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, come desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, secondo comma, Cost., nonc hé dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). La ricorrente ha prospettato specifiche censure in ordine a ciascuno dei commi impugnati. 2.- L'art. 1, comma 389, della legge n. 296 del 2006 istituisce un Fondo, con una dotazione di 5 milioni di euro, «destinato all'erogazione di contributi ai gestori di attività commerciali per le spese documentate e documentabili sostenute entro il 31 dicembre 2007 per l'eliminazione delle barriere architettoniche nei locali aperti al pubblico» (detto termine è stato poi spostato al 31 dicembre 2008 dall'art. 4 del decreto-legge 31 dicembre 2007 n. 248, che reca «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria»). La Regione Veneto assume che il contenuto della predetta norma attiene alla materia servizi sociali, nonché, per alcuni versi, alla materia commercio. Poiché entrambi i suddetti ambiti materiali rientrano nella potestà legislativa residuale delle Regioni, lo Stato non potrebbe istituire e disciplinare, in questi settori, finanziamenti a destinazione vincolata, come la Corte costituzionale, più volte, ha avuto modo di affermare. Né il Fondo in esame potrebbe essere qualificato come perequativo, senza vincoli di destinazione, o quale risorsa aggiuntiva o intervento speciale, ai sensi dell'art. 119, terzo e quinto comma, Cost. La Regione ritiene, altresì, che la disposizione non potrebbe essere ricondotta alla materia determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., rimessa alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. A sostegno di tale deduzione, la difesa regionale richiama la sentenza n. 423 del 2004, con la quale la Corte ha ritenuto che l'art. 3, comma 116, lettera b), della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2004) - nel disporre che l'incremento della dotazione del Fondo nazionale per le politiche sociali doveva essere utilizzato anche per la finalità dell'abbattimento delle barriere architettoniche, di cui alla legge 9 gennaio 1989, n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), - violasse la competenza regionale in materia di servizi sociali. La norma impugnata, nel porre precisi vincoli di destinazione a risorse economiche in materie di competenza regionale, darebbe, quindi, luogo ad una lesione dell'autonomia finanziaria di spesa delle Regioni, e non sarebbe, dunque, conforme al nuovo modello di finanza regionale delineato dall'art. 119 della Costituzione. A ciò conseguirebbe, secondo la Regione, anche la violazione dell'autonomia amministrativa regionale, come costituzionalmente garantita dall'art. 118 Cost. 3.- È stato, inoltre, oggetto di impugnazione il comma 635 del citato art. 1, il quale prevede che «al fine di dare il necessario sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell'ambito del sistema nazionale di istruzione, a decorrere dall'anno 2007, gli stanziamenti, iscritti nelle unità previsionale di base "Scuole non statali" dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione, sono incrementati complessivamente di 100 milioni di euro, da destinare prioritariamente alle scuole dell'infanzia». Secondo la ricorrente la norma in esame, per il suo contenuto dettagliato, inciderebbe, ledendola, sulla competenza regionale concorrente in materia di istruzione. La stessa, nel contemplare un finanziamento a destinazione vincolata in una materia, come si è detto, concorrente, violerebbe anche l'art. 118 Cost. (si cita la sentenza n. 423 del 2004 della Corte costituzionale che, ad avviso della Regione, avrebbe dichiarato l'illegittimità costituzionale di una «norma analoga»). In subordine, la Regione assume che il comma impugnato sarebbe lesivo del principio di leale collaborazione, come desumibile, in particolare, dagli artt. 5, 120, secondo comma, Cost. e dall'art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001. 4.- I commi 1250, 1251, 1252, 1261 e 1290 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006 sono esaminati e censurati unitariamente dalla Regione Veneto. I commi 1250, 1251 e 1252 prevedono l'incremento del Fondo per le politiche della famiglia, e stabiliscono l'utilizzazione dello stesso per determinate finalità, demandando al Ministro delle politiche per la famiglia di ripartire, con proprio decreto, gli stanziamenti tra i diversi interventi previsti. A sua volta, il comma 1261 del citato art. 1 dispone l'incremento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, con la previsione della destinazione di una quota al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere. Spetta al Ministro per i diritti e le pari opportunità, di concerto con i Ministri della solidarietà sociale, del lavoro e della previdenza sociale, della salute e delle politiche per la famiglia, stabilire i criteri di ripartizione del Fondo medesimo; quest'ultimo dovrà prevedere una quota da destinare all'istituzione di un Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere e una quota da destinare al piano d'azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere. Il comma 1290 stabilisce che l'autorizzazione di spesa di cui al comma 2 dell'articolo 19 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, relativo al Fondo per le politiche giovanili, è integrata di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. La Regione ricorda come il suddetto art. 19 ha costituito oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte e richiama, altresì, a sostegno della lesività dei commi sopra citati, senza tuttavia esplicitarle nuovamente, le censure svolte in quella sede. La ricorrente assume, infine, che i commi 1251, 1252, 1261 e 1290 devono essere riferiti alla materia politiche sociali, attribuita alla potestà legislativa residuale delle Regioni e che, pertanto, sarebbero violate, oltre la suddetta potestà legislativa, anche le relative autonomia amministrativa (art. 118 Cost.) e autonomia finanziaria (art. 119 Cost.) della Regione. 5.- Il comma 1267 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006, anch'esso impugnato, dispone l'istituzione presso il Ministero della solidarietà sociale del Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati, per il quale è stanziata la somma di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. Il Fondo è, altresì, finalizzato alla realizzazione di un piano per l'accoglienza degli alunni stranieri, anche per favorire il rapporto scuola-famiglia, mediante l'utilizzo, per fini non didattici, di apposite figure professionali madrelingua quali mediatori culturali. Anche in questo caso, ad avviso della difesa regionale, si verte nella materia politiche sociali, con la conseguente violazione degli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost. In subordine, comunque, la Regione osserva che, tenuto conto delle possibili interferenze tra la suddetta materia e le materie diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (art. 117, secondo comma, lettera a) e immigrazione (art. 117, secondo comma, lettera b), attribuite alla potestà esclusiva dello Stato, vi sarebbe in ogni caso la lesione del principio di leale collaborazione, come desumibile dagli artt. 5 e 120, secondo comma, Cost., nonché dall'art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001. 6.- Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato non fondato. In primo luogo, la difesa dello Stato osserva che la previsione di cui all'art. 1, comma 389, della legge n. 296 del 2006 non è ascrivibile alle materie servizi sociali o commercio, quanto alla materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.), e ai diritti inviolabili fondamentali, quali quelli di estrinsecazione della personalità, di solidarietà sociale, di eguaglianza sostanziale, di libertà personale e di circolazione, garantiti dagli artt. 2, 3, 13 e 16 Cost. Sempre ai diritti fondamentali della persona, di cui agli artt. 2 e 3 Cost, con la conseguente competenza legislativa anche statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., dovrebbero essere ricondotti i commi 1250, 1251, 1252, 1261 e 1290. L'Avvocatura dello Stato, con specifico riguardo al Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, rileva come lo stesso serva ad ottemperare agli impegni assunti in sede internazionale alla luce della piattaforma di azione adottata dalla IV Conferenza mondiale delle Nazioni Unite tenutasi a Pechino nel settembre 1995, nonché all'adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento comunitario. Ad avviso del resistente, quindi, si è in presenza di competenze trasversali e di una concorrenza di competenze, alcune esclusive dello Stato, che, dunque, legittimerebbero l'emanazione delle norme impugnate. In ordine al Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce l'estraneità dello stesso alla materia delle politiche sociali, trattandosi, invece, di disposizione che deve essere riferita in via esclusiva, o comunque prevalente, alla materia immigrazione, di competenza dello Stato. 7.- Con ricorso (iscritto al n. 14 del reg. ric. 2007) notificato il 26 febbraio 2007 e depositato il successivo 7 marzo, la Regione Lombardia ha, anch'essa, promosso, tra l'altro, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 389, 1252, 1261 e 1267, della legge n. 296 del 2006, assumendo la violazione degli artt. 117, 118, 119 Cost., nonché dei principio di leale collaborazione (art. 120 Cost), di buon andamento (art. 97 Cost) e di ragionevolezza (art. 3 Cost.). La Regione premette come tutte le norme impugnate evidenzino l'inesistenza o il carattere del tutto marginale di un coinvolgimento della Regione medesima in materie di propria competenza, concorrente o residuale, con la conseguente violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost, oltre che dei principi di buon andamento dell'amministrazione e di ragionevolezza. Ciò, in particolare modo, ove si consideri che la riforma del Titolo V della Costituzione ha determinato una stretta correlazione tra gli artt. 117 e 119 Cost, per cui le funzioni pubbliche relative a materie di competenza regionale debbono essere finanziate con le risorse alle quali fa riferimento l'art. 119, quarto comma, Cost. Anche in ragione delle diverse pronunce della Corte costituzionale intervenute in materia, è del tutto evidente, sottolinea la ricorrente, che non risponde al novellato quadro costituzionale l'istituzione di Fondi statali in materie di competenza regionale. 8.- Con specifico riguardo all'art. 1, comma 389, della suddetta legge finanziaria, si rileva la mancanza di qualsivoglia coinvolgimento delle Regioni e comunque, da un lato l'operatività della norma nell'ambito dell'assistenza e dei servizi sociali, ricadente tra le materie di competenza residuale delle Regioni; dall'altro, l'impossibilità di considerare il Fondo come un intervento speciale di solidarietà. 9.- In ordine all'art. 1, comma 1252, la Regione osserva che, pur vertendosi nella materia politiche sociali, attribuita alla competenza legislativa della Regione, non sono previsti meccanismi di partecipazione di quest'ultima. La ricorrente ritiene che, in attesa dell'attuazione dell'art. 119 Cost., «non vi è alternativa - se non quella della dichiarazione di illegittimità "secca" del finanziamento - al coinvolgimento delle Regioni nella gestione del Fondo tramite un meccanismo di "intesa forte"». 10.- La lesione del principio di leale collaborazione, tenuto conto dell'ambito materiale in cui operano le norme impugnate, è prospettata anche in ordine all'art. 1, comma 1261, là dove si consideri il ruolo delle Regioni nella promozione delle pari opportunità, anche in ragione dei compiti alle stesse assegnati dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246), che rendono necessarie procedure concertative e di coordinamento delle politiche adottate a livello centrale con i soggetti regionali. 11.- Anche l'art. 1, comma 1267, secondo la prospettazione della Regione Lombardia, non riserverebbe nessuno spazio a forme di partecipazione e collaborazione nella determinazione degli interventi in un settore in cui le Regioni hanno indubbia competenza. Quanto previsto dall'art. 117, secondo comma, lettera b), che attribuisce allo Stato la potestà legislativa esclusiva nella materia dell'immigrazione, infatti, non può non tenere conto delle competenze regionali che si possono desumere dal decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e, in particolare, dall'art. 2-bis e dall'art. 42. Il primo articolo richiamato prevede che faccia parte del Comitato per il coordinamento ed il monitoraggio anche il Presidente di una Regione o di una Provincia autonoma, designato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome. L'art. 42, a sua volta, stabilisce che lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni, nell'ambito delle proprie competenze, favoriscano una serie di attività volte, tra l'altro, alla diffusione di ogni informazione utile al positivo inserimento degli stranieri nella società italiana. 12.- Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso e prospettando argomentazioni difensive analoghe a quelle prospettate in ordine all'impugnazione dei medesimi commi dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006, promossa dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2007. 13.- In data 29 gennaio 2008, la Regione Veneto ha depositato memoria con la quale, nel ribadire le difese svolte, ha osservato quanto di seguito, in sintesi, riportato. La ricorrente prospetta alcune osservazioni in ordine alla sentenza n. 453 del 2007 − che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 del decreto-legge n. 223 del 2006 − e rileva che la stessa, in uno con la sentenza n. 141 del 2007, avrebbe innovato la giurisprudenza della Corte costituzionale in ordine alla impugnazione delle norme che istituiscono Fondi a destinazione vincolata in materie rimesse alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, o residuale delle Regioni. Secondo la citata pronuncia, deduce la Regione, le disposizioni normative statali che istituiscono Fondi vincolati, limitandosi ad indicare mere finalità di intervento nei settori di rispettiva competenza, non ledono le competenze regionali, poiché la lesione può «derivare non già dall'enunciazione del proposito di destinare risorse per finalità indicate in modo così ampio e generico, bensì (eventualmente) dalle norme nelle quali quel proposito si concretizza, sia per entità delle risorse sia per modalità di intervento sia, ancora, per le materie direttamente e indirettamente implicate da tali i nterventi». Ad avviso della difesa regionale, tale orientamento contrasterebbe con la precedente giurisprudenza costituzionale in materia di Fondi vincolati, già richiamata nel ricorso introduttivo. Sul punto si osserva, altresì, che il termine di cui all'art. 127 Cost., necessariamente, determina l'impugnazione di una norma anche prima che la stessa abbia avuto attuazione. Passando all'esame delle singole disposizioni censurate, nel controdedurre alle prospettazioni difensive dell'Avvocatura generale dello Stato, la Regione espone alcune osservazioni in relazione a ciascuna di esse. L'art. 1, comma 389, non determinerebbe alcun livello essenziale di prestazione, ma si limiterebbe a prevedere somme a destinazione vincolata. L'art. 1, comma 635, a sua volta, non potrebbe essere ricondotto nell'ambito delle norme generali dell'istruzione. In ordine ai commi 1250, 1251 e 1252, 1261, 1290 del medesimo art. 1, in considerazione della relazione degli stessi con l'art. 19 del decreto-legge n. 223 del 2006, la Regione basa la propria difesa sul contenuto della sentenza n. 453 del 2007, osservando come detta decisione dovrebbe determinare una pronuncia di illegittimità costituzionale delle norme impugnate. Il comma 1267 dell'art. 1, infine, atterrebbe all'ambito delle politiche sociali e non alla materia immigrazione. 14.- Anche la Regione Lombardia, in data 30 gennaio 2008, ha depositato memoria con la quale ha dedotto quanto segue. La ricorrente, con riguardo al Fondo di cui all'art. 1, comma 389, della legge 296 del 2006, deduce, in particolare, come non sia stato ancora adottato il decreto per l'attribuzione dei contributi, ed anzi, che il termine previsto dalla norma sia slittato al 31 dicembre 2008 per effetto del decreto-legge n. 248 del 2007. In merito al Fondo di cui al comma 1252 dell'art. 1, la ricorrente deduce che alla ripartizione del Fondo si è provveduto con il decreto del Ministro delle politiche per la famiglia 2 luglio 2007 (Ripartizione degli stanziamenti del Fondo delle politiche per la famiglia, ai sensi dell'articolo 1, comma 1252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296), vista l'intesa sancita in sede di Conferenza unificata. Tuttavia, ciò non priverebbe di fondamento la questione di costituzionalità, in quanto la norma in questione, affidando ad un provvedimento unilaterale del Ministro delle politiche per la famiglia la ripartizione degli stanziamenti del Fondo, nulla dispone in ordine alla necessità di assicurare, attraverso un meccanismo di «intesa forte», il necessario coinvolgimento delle Regioni. Esaminando il comma 1261, la Regione rileva che, analogamente, non è previsto alcun coinvolgimento delle Regioni nella gestione degli stanziamenti, con grave lesione del generale principio di leale collaborazione. E' richiamato, altresì, l'art. 117, settimo comma, Cost., che attribuisce alle leggi regionali il compito di rimuovere ogni ostacolo alla piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica, nonché di promuovere la parità di accesso alle cariche elettive. Infine, rispetto all'art. 1, comma 1267, la difesa regionale rileva come l'art. 2, comma 536, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008), ha incrementato il Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati in misura di 50 milioni di euro per l'anno 2008. La norma impugnata, come già dedotto nel ricorso introduttivo del giudizio di costituzionalità, appare illegittima in quanto, benché si verta in materia di competenza regionale, non prevede alcuna forma di partecipazione delle Regioni. Da ultimo la Regione richiama la sentenza n. 156 del 2006, con la quale la Corte costituzionale ha affermato che misure di sostegno per i minori stranieri non accompagnati, avendo ad oggetto un'attività di assistenza, rientrano nelle attribuzioni regionali. Considerato in diritto 1.- Con ricorso notificato il 23 febbraio 2007 e depositato il successivo 1° marzo, la Regione Veneto ha promosso, insieme con altre, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 389, 635, 1250, 1251, 1252, 1261, 1267 e 1290, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2007), per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni come desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, secondo comma, Cost. e dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). La Regione Lombardia, con ricorso notificato il 26 febbraio 2007 e depositato il successivo 7 marzo, ha, invece, impugnato soltanto i commi 389, 1252, 1261 e 1267 dello stesso art. 1, deducendo la violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost., nonché dei principi di leale collaborazione (art. 120 Cost.), di buon andamento (art. 97 Cost.) e di ragionevolezza (art. 3 Cost.). 1.1.- Preliminarmente, riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con gli indicati ricorsi, aventi ad oggetto distinte norme contenute in altri commi del medesimo art. 1 della citata legge finanziaria, si deve disporre la riunione, ai fini di un'unica trattazione e di un'unica pronuncia, dei due giudizi, in ragione della analogia esistente tra le censure formulate. 2.- Le disposizioni impugnate prevedono l'erogazione di risorse finanziarie per l'espletamento di compiti che le ricorrenti considerano afferenti ad ambiti materiali di pertinenza regionale. 2.1.- Ai fini della disamina delle questioni prospettate, appare opportuno illustrare, in via preliminare, il contenuto delle singole norme censurate. Il comma 389 del citato art. 1, allo scopo di «incentivare l'abbattimento delle barriere architettoniche negli esercizi commerciali», prevede la istituzione presso il Ministero dello sviluppo economico di un Fondo con una dotazione di 5 milioni di euro «destinato all'erogazione di contributi ai gestori di attività commerciali per le spese documentate e documentabili sostenute entro il 31 dicembre 2007 per l'eliminazione delle barriere architettoniche nei locali aperti al pubblico». Tale scadenza è stata prorogata al 31 dicembre 2008 dall'art. 4 del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e dispo sizioni urgenti in materia finanziaria). La norma stabilisce, inoltre, che entro settanta giorni dalla data di entrata in vigore della stessa legge «il Ministro dell'economia e delle finanze, con proprio decreto, adottato d'intesa con i Ministri dello sviluppo economico e della solidarietà sociale, definisce modalità, limiti e criteri per l'attribuzione dei contributi di cui al presente comma». Il successivo comma 635 prevede, a sua volta, che, «al fine di dare il necessario sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell'ambito del sistema nazionale di istruzione, a decorrere dall'anno 2007, gli stanziamenti, iscritti nelle unità previsionali di base "Scuole non statali" dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione, sono incrementati complessivamente di 100 milioni di euro, da destinare prioritariamente alle scuole dell'infanzia». I commi 1250, 1251 e 1252, da un lato, incrementano il Fondo per le politiche della famiglia di cui all'art. 19, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248; dall'altro, stabiliscono le finalità e le modalità di ripartizione delle somme stanziate. Il comma 1261 prevede che il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, di cui all'articolo 19, comma 3, del citato decreto-legge n. 223 del 2006 «è incrementato di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, di cui una quota per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, da destinare al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere». La medesima disposizione stabilisce, inoltre, che «il Ministro per i diritti e le pari opportunità, con decreto emanato di concerto con i Ministri della solidarietà sociale, del lavoro e della previdenza sociale, della salute e delle politiche per la famiglia, stabilisce i criteri di ripartizione del Fondo, che dovrà prevedere una quota parte da destinare all'istituzione di un Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere e una quota parte da destinare al piano d'azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere». Il comma 1267 istituisce, poi, presso il Ministero della solidarietà sociale, un Fondo, a cui è assegnata la somma di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, finalizzato a «favorire l'inclusione sociale dei migranti e dei loro familiari». Tale Fondo persegue, altresì, lo scopo di realizzare «un piano per l'accoglienza degli alunni stranieri, anche per favorire il rapporto scuola-famiglia, mediante l'utilizzo per fini non didattici di apposite figure professionali madrelingua quali mediatori culturali». Infine, il comma 1290 dispone l'integrazione di 120 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, dell'autorizzazione di spesa di cui al comma 2 dell'articolo 19 del decreto-legge n. 223 del 2006. 3.- Come emerge dalla lettura delle disposizioni censurate, questa Corte è chiamata nuovamente a pronunciarsi su questioni di legittimità costituzionale relative all'istituzione di Fondi statali e ai vincoli di destinazione di risorse finanziarie. Al riguardo, deve essere ricordato che la giurisprudenza costituzionale ha più volte sottolineato come, nella perdurante mancata attuazione dell'art. 119 della Costituzione, tale disposizione pone comunque precisi limiti al legislatore statale nella disciplina delle modalità di finanziamento delle funzioni spettanti al sistema delle autonomie. Non sono, infatti, consentiti finanziamenti a destinazione vincolata in materie di competenza regionale residuale ovvero concorrente, in quanto ciò si risolverebbe in uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni n egli ambiti materiali di propria competenza (sentenza n. 423 del 2004; nello stesso senso, tra le altre, sentenze nn. 77 e 51 del 2005). La Corte ha, inoltre, puntualizzato che le funzioni attribuite alle Regioni «ricomprendono pure la possibilità di erogazione di contributi finanziari a soggetti privati, dal momento che in numerose materie di competenza regionale le politiche pubbliche consistono appunto nella determinazione di incentivi economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalità per la loro erogazione» (sentenza n. 423 del 2004, punto 7.6. del Considerato in diritto). È necessario, inoltre, aggiungere che la disciplina di Fondi vincolati, che ha normalmente anche un contenuto dettagliato, in ambiti materiali di pertinenza regionale si pone pure in contrasto con il sistema di riparto delle competenze normative delineato dall'art. 117 della Costituzione. 4.- Chiarito ciò, prima di analizzare le specifiche censure formulate dalle Regioni ricorrenti, devono essere prese in esame le argomentazioni addotte dalla Avvocatura generale dello Stato a sostegno della competenza statale alla adozione delle norme impugnate. Innanzitutto, non può ritenersi fondato il rilievo secondo cui le suddette norme rinverrebbero un autonomo titolo di legittimazione nella competenza statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.). Questa Corte ha, infatti, più volte avuto modo di affermare che l'attribuzione allo Stato della competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di d iritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di genericità, a tutti gli aventi diritto (tra le tante, le sentenze n. 387 del 2007 e n. 248 del 2006). Le norme in esame, invece, non determinando alcun livello di prestazione, ma prevedendo soltanto meri finanziamenti di spesa, non potrebbero giammai rinvenire la propria legittimazione nel titolo di competenza in esame (sentenza n. 423 del 2004, punto 7.3.1. del Considerato in diritto). Allo stesso modo, non può ritenersi pertinente il rilievo della difesa dello Stato secondo cui le disposizioni censurate, contemplando diritti fondamentali ex artt. 2, 3, 13 e 16 Cost., sarebbero, per ciò stesso, riconducibili ad ambiti materiali di spettanza statale. I suddetti diritti, di natura costituzionale, non rappresentano, infatti, una materia in senso tecnico, come tale riconducibile ad una specifica competenza dello Stato o delle Regioni, ma costituiscono situazioni soggettive le quali possono eventualmente inerire ad ambiti materiali contemplati dall'art. 117, nei commi secondo, terzo e quarto, della Costituzione. Infine, privo di pregio è l'assunto dell'Avvocatura generale dello Stato secondo cui sussisterebbero obblighi internazionali e comunitari che imporrebbero una diretta attuazione degli stessi soltanto da parte del legislatore statale. A prescindere dalla effettiva esistenza di siffatti obblighi, sul punto è agevole osservare come le Regioni abbiano comunque il potere/dovere di dare attuazione, nell'ambito delle proprie competenze legislative, siano esse di natura concorrente o residuale, a disposizioni di natura internazionale o a norme dell'ordinamento comunitario (art. 117, quinto comma, Cost.). Né, d'altra parte, la prospettata esigenza di uniformità della disciplina sull'intero territorio nazionale può essere richiamata come esclusiva fonte di legittim azione statale al di fuori dei meccanismi della sussidiarietà, che nella specie non sono stati neppure invocati. 4.1.- Così individuato l'ambito delle questioni sottoposte all'esame di questa Corte, devono essere preliminarmente dichiarate inammissibili le censure di violazione degli artt. 3 e 97 Cost., proposte da entrambe le ricorrenti. Sul punto, infatti, i ricorsi non soltanto presentano un contenuto generico, ma prospettano la violazione di parametri costituzionali che non afferiscono al riparto delle competenze tra Stato e Regioni, né ridondano nella lesione di competenze di queste ultime (tra le altre, sentenze n. 116 del 2006; n. 383 del 2005; nn. 287, 196, e 4 del 2004; n. 274 del 2003). Altresì inammissibile è la prospettata violazione del principio di leale collaborazione, con riferimento al parametro di cui all'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Tale norma, al secondo comma, demanda ai regolamenti parlamentari di prevedere la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Province e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali, affinché la stessa esprima un parere su progetti di leggi riguardanti materie «di cui al terzo comma dell'articolo 117 e all'articolo 119 della Costituzione». Il metodo collaborativo, prefigurato da detta norma, da un lato, non è allo stato utilizzabile in mancanza dell'emanazione della suindicata fonte regolativa (sentenza n. 6 del 2004), dall'altro, avrebbe comunque uno spazio di applicazione limitato, non riguardando tutti gli ambiti materiali di pertinenza regionale. 5.- Passando al merito delle censure proposte dalle ricorrenti, con riferimento ai parametri costituzionali di cui agli artt. 117 e 119 Cost., deve essere, innanzi tutto, esaminata quella concernente il comma 389. La questione è fondata. Tale norma prevede, come si è già sottolineato, la istituzione di un Fondo, con una dotazione di 5 milioni di euro, «destinato all'erogazione di contributi ai gestori di attività commerciali» per l'eliminazione delle barriere architettoniche nei locali aperti al pubblico. Questione analoga a quella oggetto del presente giudizio è stata già esaminata con la sentenza n. 423 del 2004, che ha scrutinato, tra l'altro, l'art. 3, comma 116, lettera b), della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2004). Detta disposizione stabiliva che il disposto incremento della dotazione del Fondo nazionale per le politiche sociali dovesse essere utilizzato per la finalità dell'abbattimento delle barriere architettoniche di cui alla legge 9 gennaio 1989, n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati). In tale occasione la Corte ha ritenuto che la citata disposizione, ponendo precisi vincoli di destinazione nella materia dei servizi sociali, violasse gli artt. 117 e 119 della Costituzione. Tale materia identifica, infatti, tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia (art. 128, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59»; sentenza n. 287 del 2004). Le suddette conclusioni devono essere ribadite con riguardo al comma oggetto della impugnazione ora in esame. Poiché anche in questo caso il legislatore ha perseguito la finalità di tutelare le persone diversamente abili che si trovino, in quanto tali, in una situazione di «bisogno e di difficoltà», il contenuto della norma impugnata deve essere ricondotto alla materia dei servizi sociali. Da ciò consegue che il comma in questione, prevedendo un finanziamento vincolato in una materia di spettanza residuale delle Regioni, viola l'autonomia finanziaria e legislativa regionale. Né è idonea ad escludere il suddetto contrasto la circostanza che le somme stanziate (per le relative spese sostenute entro il 31 dicembre 2008) sono attribuite direttamente a soggetti privati, in quanto, come questa Corte ha già chiarito, le funzioni attribuite alle Regioni «ricomprendono pure la possibilità di erogazione di contributi finanziari a soggetti privati» (citata sentenza n. 423 del 2004, punto 7.6. del Considerato in diritto). Pertanto, la disposizione censurata si pone in contrasto con il riparto delle competenze legislative, nonché con il sistema di autonomia finanziaria delle Regioni, quali configurati dalla riforma del Titolo V. 6.- Le ricorrenti hanno, altresì, impugnato il comma 635 della medesima legge n. 296 del 2006, il quale dispone un incremento degli stanziamenti iscritti nelle unità previsionali di base «Scuole non statali» del Ministero della pubblica istruzione, «al fine di dare il necessario sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell'ambito del sistema nazionale di istruzione». Anche tale questione è fondata. Sul punto, questa Corte ha già avuto modo di sottolineare che il settore dei contributi relativi alle scuole paritarie «incide sulla materia della "istruzione" attribuita alla competenza legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, della Costituzione)» (sentenza n. 423 del 2004, punto 8.2. del Considerato in diritto). Con la sentenza citata si è, inoltre, sottolineato come, già prima della riforma del Titolo V, l'art. 138, comma 1, lettera e), del d.lgs. n. 112 del 1998 avesse conferito alle Regioni le funzioni amministrative relative ai «contributi alle scuole non statali», nel cui ambito devono essere ricomprese anche le scuole paritarie. Consegue da ciò che sarebbe «implausibile che il legislatore co stituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita» nella forma della competenza delegata dal citato art. 138 (stessa sentenza n. 423 del 2004, che richiama, sul punto, la sentenza n. 13 del 2004). Da quanto esposto discende che la norma, nella parte in cui prevede un finanziamento vincolato in un ambito materiale di spettanza regionale, si pone in contrasto con gli artt. 117, quarto comma, e 119 della Costituzione. La natura delle prestazioni contemplate dalla norma censurata, le quali ineriscono a diritti fondamentali dei destinatari, impone, però, che si garantisca continuità nella erogazione delle risorse finanziarie. Ne consegue che devono rimanere «salvi gli eventuali procedimenti di spesa in corso, anche se non esauriti» (così anche la citata sentenza n. 423 del 2004). 7.- I commi 1250, 1251 e 1252 del medesimo art. 1 - la cui analisi deve essere svolta congiuntamente - disciplinano le finalità di impiego degli stanziamenti del Fondo per le politiche della famiglia, prevedendo, altresì, un incremento dello stesso. Tale Fondo è stato istituito con l'art. 19, comma 1, del decreto-legge n. 223 del 2006, il quale ha previsto che esso è volto «a promuovere e realizzare interventi per la tutela della famiglia, in tutte le sue componenti e le sue problematiche generazionali, nonché per supportare l'Osservatorio nazionale sulla famiglia». Questa Corte, con la sentenza n. 453 del 2007, ha escluso che il citato art. 19 sia in contrasto con l'art. 119 della Costituzione, atteso che le disposizioni in esso contenute, limitandosi «ad indicare mere finalità di intervento nei settori di rispettiva competenza», non possono ritenersi idonee a ledere sfere di spettanza regionale, «potendo la lesione derivare non già dall'enunciazione del proposito di destinare risorse per finalità indicate in modo così ampio e generico, bensì (eventualmente) dalle norme nelle quali quel proposito si concretizza, sia per entità delle risorse sia per modalità di intervento sia, ancora, per le materie direttamente e indirettamente implicate da tali interventi» (citata sentenza n. 453 del 2007 che richiama, sul punto, l a sentenza n. 141 del 2007). Orbene, questo postulato non può essere utilizzato de plano per la risoluzione della questione che ha investito i commi ora in esame, in quanto con essi il legislatore ha inteso proprio concretizzare il generico proposito enunciato nelle norme istitutive del Fondo. Innanzitutto, deve rilevarsi come la finalità complessiva e unitaria che si è inteso perseguire con i commi qui esaminati si sostanzia nella previsione di interventi di politica sociale volti a rimuovere o superare le situazioni di bisogno o di difficoltà che la persona incontra nel corso della sua vita. Ne consegue che le norme impugnate, sotto questo aspetto, sono riconducibili all'ambito materiale dei servizi sociali di spettanza regionale. Tuttavia, deve rilevarsi come nelle norme stesse siano presenti ulteriori specifiche finalità, che possono essere ricondotte anche ad ambiti materiali di competenza esclusiva dello Stato. Sotto tale profilo, viene in rilievo, innanzitutto, il riferimento contenuto nelle suindicate disposizioni all'istituzione e al finanziamento dell'Osservatorio nazionale, la cui disciplina, attenendo alle modalità organizzative della struttura in esame, rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. Sono, invece, riconducili sia alla materia dell'ordinamento civile che a quella dell'organizzazione amministrativa dello Stato (art. 117, secondo comma, lettere l e g, Cost.), le disposizioni che prevedono la finalizzazione dei finanziamenti al sostegno delle adozioni internazionali e a garanzia del pieno funzionamento della relativa Commissione. Per quanto attiene, infine, alla previsione volta a sostenere l'attività dell'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile di cui all'art. 17 della legge 3 agosto 1998, n. 269 (Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù), deve ritenersi che - trattandosi di misure finalizzate a prevenire la commissione di gravi fatti di reato - esse rinvengano una specifica legittimazione nella competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia dell'ordine pubblico e sicurezza, nonché in quella dell'ordinamento penale (art. 117, secondo comma, lettere h e l, Cost.). 7.1.- Dall'analisi del contenuto complessivo delle disposizioni censurate risulta, pertanto, come la relativa normativa si trovi all'incrocio di materie attribuite dalla Costituzione alla potestà legislativa statale e regionale, senza che sia individuabile un ambito materiale che possa considerarsi nettamente prevalente sugli altri. E in ipotesi di tal genere, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, la concorrenza di competenze, in assenza di criteri contemplati in Costituzione e avendo riguardo alla natura unitaria e indivisa del Fondo in esame, giustifica l'applicazione del principio di leale collaborazione (sentenze nn. 201, 24 del 2007; nn. 234 e 50 del 2005), che deve, in ogni caso, permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema dell e autonomie. La natura degli interessi implicati impone, nella specie, che tale principio si concretizzi nella previsione dello strumento dell'intesa con la Conferenza unificata, che, peraltro, è stata prevista dal legislatore con la legge ora in esame solo per l'attuazione, comprensiva anche della fase di ripartizione delle suddette risorse, delle finalità contemplate dal comma 1251; mentre il meccanismo dell'intesa deve operare con riferimento anche a quanto disposto dal comma 1250. Né appare sufficiente, per escludere la lesività delle norme impugnate, che, di fatto, il Ministro delle politiche per la famiglia abbia disposto, con decreto del 2 luglio 2007 (Ripartizione degli stanziamenti del Fondo delle politiche per la famiglia, ai sensi dell'articolo 1, comma 1252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296), la ripartizione degli stanziamenti del Fondo in esame d'intesa con la Conferenza unificata, per un duplice, concorrente, ordine di motivi: innanzitutto, il fatto che il suddetto decreto ministeriale sia stato adottato previa intesa con la richiamata Conferenza unificata, non incide in alcun modo sul contenuto precettivo delle disposizioni censurate, che tale meccanismo non prevedono; in secondo luogo, lo stesso decreto ha una valenza temporalmente limitata al solo anno 2007, mentre le norme impugnate proiettano la loro efficacia sul triennio 2007-2009. Ne consegue che il comma 1252, il quale detta le modalità di distribuzione degli stanziamenti di cui ai due commi che lo precedono, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non contiene, dopo le parole «con proprio decreto», le parole «da adottare d'intesa con la Conferenza unificata» di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali). 8.- Il comma 1261 prevede, da un lato, l'incremento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità di cui all'art. 19, comma 3, del decreto-legge n. 223 del 2006, dall'altro, stabilisce che una quota debba essere destinata al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere. Nel prosieguo, tale norma demanda al Ministro per i diritti e le pari opportunità di stabilire con decreto le modalità di ripartizione delle relative risorse finanziarie, «che dovrà prevedere una quota parte da destinare all'istituzione di un Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere e una quota parte da destinare al piano d'azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere». In via preliminare, appare opportuno sottolineare che il comma 3 del citato art. 19 - istitutivo del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità - è stato anch'esso scrutinato da questa Corte e che, con la sentenza n. 453 del 2007, è stata ritenuta la insussistenza, in ragione del generico contenuto precettivo della norma, ivi censurata, della lesione della sfera di autonomia regionale. Allo stesso modo, la disposizione ora in esame, prevedendo soltanto un incremento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, si sottrae alle censure delle ricorrenti, in quanto non è, allo stato, idonea a incidere in alcun modo sull'autonomia finanziaria delle Regioni (sentenza n. 423 del 2004, punto 9. del Considerato in diritto). Nella parte in cui la norma, invece, destina risorse al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere, essa, essendo finalizzata ad assicurare la prevenzione e repressione di reati, è riconducile sia all'ambito materiale dell'ordine pubblico e sicurezza, sia a quello dell'ordinamento penale, attribuiti entrambi alla competenza legislativa esclusiva statale (art. 117, secondo comma, lettere h e l, Cost.). Nondimeno, perseguendo il legislatore anche l'obiettivo di proteggere le vittime dei predetti fatti delittuosi, attraverso apposite misure di carattere sociale contenute, in particolare, nel «piano d'azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere», de ve ritenersi sussistente anche la competenza delle Regioni in materia di servizi sociali. Non potendo comporsi il concorso di competenze statali e regionali mediante l'applicazione del principio di prevalenza, ne consegue la necessità che debbano essere previste forme di leale collaborazione che, nelle specie, avendo riguardo agli interessi implicati e alla peculiare rilevanza di quelli connessi agli ambiti materiali rimessi alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, possono dirsi adeguatamente attuate mediante la previa acquisizione del parere della Conferenza unificata in sede di adozione del decreto di fissazione dei criteri di ripartizione del Fondo. Da ciò consegue che il comma in esame deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il suddetto decreto sia emanato previa acquisizione del pare re della Conferenza unificata. 9.- Il comma 1267 istituisce un Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati, e finalizza lo stesso alla realizzazione di un piano per l'accoglienza degli alunni stranieri, anche per favorire il rapporto scuola‑famiglia, attraverso «l'utilizzo per fini non didattici di apposite figure professionali madrelingua quali mediatori culturali». La questione è fondata. Il legislatore ha inteso perseguire, come risulta anche dalla stessa denominazione del Fondo, una chiara finalità di politica sociale, prevedendo uno stanziamento di risorse finanziarie al fine di assicurare l'adozione delle suddette misure di assistenza. Ne consegue che la norma in esame, non prevedendo un intervento pubblico connesso alla programmazione dei flussi di ingresso ovvero al soggiorno degli stranieri nel territorio nazionale, non rientra nella competenza legislativa esclusiva statale in materia di immigrazione, ma inerisce ad ambiti materiali regionali, quali quelli dei servizi sociali e dell'istruzione (sentenza n. 300 del 2005, nonché, sia pure con riferimento ad una fattispecie diversa, sentenza n. 156 del 2006). Del resto, lo stesso legislatore statale ha attribuito alle Regioni il compito di adottare misure di «integrazione sociale» nell'ambito «delle proprie competenze» secondo quanto previsto dall'art. 42 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante «Testo unico delle disposi zioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero». D'altronde, non è senza significato che la direttiva emanata in data 9 agosto 2007 dal Ministro della solidarietà sociale, di concerto con il Ministro per i diritti e le pari opportunità, individui, «in ordine alle modalità di utilizzo del suddetto Fondo», gli obiettivi e le linee guida generali, nonché le priorità finanziabili, in aree di intervento di specifica attinenza ai servizi sociali. Deve, pertanto, essere dichiarata la illegittimità costituzionale della norma impugnata per violazione degli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost. Anche in questo caso, così come si è già rilevato a proposito dei finanziamenti a favore delle scuole paritarie (punto 6), deve ritenersi che la natura sociale delle provvidenze erogate, le quali ineriscono a diritti fondamentali, richiede che si garantisca, in ossequio ai principi di solidarietà sociale, continuità di erogazione, con conseguente salvezza degli eventuali procedimenti di spesa in corso, anche se non esauriti (sentenze n. 423 del 2004 e n. 370 del 2003). 10.- Infine, il comma 1290 prevede che l'autorizzazione di spesa di cui al comma 2 dell'art. 19 del decreto-legge n. 223 del 2006 è integrata di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. La questione è inammissibile. La Corte, con la più volte citata sentenza n. 453 del 2007, ha ritenuto che il suddetto art. 19, comma 2 - istitutivo del Fondo per le politiche giovanili - per il suo contenuto precettivo, del tutto generico, non sia idoneo a ledere gli evocati parametri costituzionali. Alla stessa conclusione deve pervenirsi per quanto attiene alla norma ora censurata, atteso che essa, limitandosi a disporre un mero incremento del Fondo, nella misura ivi stabilita, non è suscettibile di violare, allo stato, l'autonomia normativa e finanziaria delle Regioni. LA CORTE COSTITUZIONE riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007) promosse dalla Regione Veneto e dalla Regione Lombardia con i ricorsi indicati in epigrafe; riuniti i giudizi, a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 389, della legge n. 296 del 2006; b) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 635, della legge n. 296 del 2006; c) dichiara l'illegittimità costituzionale del comma 1252 (in riferimento ai commi 1250 e 1251) dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006, nella parte in cui non contiene, dopo le parole «con proprio decreto», le parole «da adottare d'intesa con la Conferenza unificata»; d) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1261, della legge n. 296 del 2006, nella parte in cui non contiene, dopo le parole «il Ministro per i diritti e le pari opportunità» le parole «previa acquisizione del parere della Conferenza unificata»; e) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1267, della legge n. 296 del 2006; f) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1290, della legge n. 296 del 2006, promossa dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe; g) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 389, 635, 1250, 1251, 1252, 1261, 1267 e 1290, della legge n. 296 del 2006, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, nonché all'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), dalla Regione Veneto, con il ricorso di cui in epigrafe; h) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 389, 1252, 1261 e 1267, della legge n. 296 del 2006, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Regione Lombardia, con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Alfonso QUARANTA, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 11-nonies, 11-decies, 11-undecies, 11-duodecies e 11-terdecies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), promossi con ricorsi della Regione Toscana, della Regione Siciliana, della Regione Piemonte, della Regione Campania e della Regione Emilia-Romagna, notificati il 30, il 26, il 30 ed il 31 gennaio 2006, depositati in cancelleria il 2, il 3, il 6, il 7 e l'8 febbraio 2006 ed iscritti ai nn. 6, 7, 18, 19 e 20 del registro ricorsi 2006. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di intervento delle società Aeroporti di Roma e Alitalia-Linee Aeree Italiane s.p.a.; udito nell'udienza pubblica del 15 gennaio 2008 il Giudice relatore Sabino Cassese; uditi gli avvocati Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Michele Conte per la Regione Piemonte, Vincenzo Cocozza per la Regione Campania, Maria Chiara Lista per la Regione Emilia-Romagna e l'avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - La Regione Toscana ha proposto questione di legittimità costituzionale degli articoli 11-nonies e 11-decies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), con riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione. 1.1. - Premette la Regione che l'art. 11-nonies del decreto-legge n. 203 del 2005, modificando l'art. 10, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), ha stabilito che la misura dei diritti aeroportuali è determinata, per i singoli aeroporti, sulla base di criteri stabiliti dal CIPE, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, tenendo conto: a) dei ricavi e dei costi di competenza afferenti a ciascuno dei servizi, regolamentati e non regolamentati, quali lo svolgimento di attività commerciali, offerti sul sedime aeroportuale; b) del livello qualitativo e quantitativo dei servizi of ferti; c) delle esigenze di recupero dei costi, in base a criteri di efficienza e di sviluppo delle strutture aeroportuali; d) dell'effettivo conseguimento degli obiettivi di tutela ambientale; e) di una quota non inferiore al 50 per cento del margine conseguito dal gestore aeroportuale in relazione allo svolgimento - nell'ambito del sedime aeroportuale - di attività non regolamentate, vale a dire di attività cosiddetta non aviation svolte in ambito aeroportuale, quali, ad esempio, l'utilizzo di spazi, la pubblicità, i parcheggi. Tale meccanismo di calcolo (cosidetto price cap) viene esteso anche ai servizi di sicurezza ed alla tassa di imbarco e sbarco delle merci. La stessa disposizione sopprime la maggiorazione del 50 per cento dei diritti aeroportuali sui voli notturni e prevede una determinazione semplificata dei medesimi diritti per gli aeroporti aventi un traffico inferiore a 600.000 unità di carico. L'art. 11-decies del decreto-legge n. 203 del 2005 stabilisce che, fino alla data di introduzione del sistema di determinazione dei diritti aeroportuali sopra descritto, i canoni di concessione demaniale dovuti dai gestori allo Stato sono ridotti del 75 per cento; nella stessa misura viene ridotta, fino alla stessa data, la misura dei diritti aeroportuali. Un'ulteriore riduzione di tali diritti, nella misura del 10 per cento, è stabilita a carico dei gestori che non siano dotati di un sistema di contabilità analitica. 1.2. - Ad avviso della Regione, le suddette disposizioni incidono pesantemente sullo sviluppo degli aeroporti, che costituiscono strutture portanti dell'economia regionale. I diritti aeroportuali, infatti, rappresentano per i gestori il corrispettivo per la costruzione, la gestione, la manutenzione e lo sviluppo delle infrastrutture aeroportuali. Donde la rilevante limitazione che, a tali attività, deriva dalla riduzione del 75 per cento imposta dall'art. 11-decies e dall'applicazione dei criteri di price cap introdotti dall'art. 11-nonies del decreto-legge n. 203 del 2005. 1.2.1. - Secondo la ricorrente, ciò si traduce, anzitutto, nella lesione delle attribuzioni regionali garantite dall'art. 117, terzo comma, Cost., atteso che la disciplina contestata attiene ad una materia, quella dei «porti e aeroporti civili», che rientra tra le materie soggette a potestà legislativa concorrente. In tale ambito, lo Stato dovrebbe limitarsi a fissare i soli principi fondamentali, «competendo alla Regione dettare la disciplina regolatrice applicabile, anche nei rapporti con i terzi»; laddove le norme contestate «stabiliscono una disciplina completa, autoapplicativa, dettagliata e puntuale, senza prevedere alcuno spazio possibile per il legislatore regionale». 1.2.2. - In secondo luogo, le impugnate disposizioni violerebbero l'art. 118 Cost., poiché da esse non risultano i presupposti che giustificherebbero la cosiddetta «chiamata in sussidiarietà» dell'amministrazione statale e, quindi, le esigenze di carattere unitario che consentirebbero l'adozione di una disciplina legislativa statale. Comunque, anche in tal caso, la norma non sarebbe conforme a Costituzione alla luce della giurisprudenza della Corte, secondo cui devono assumere il «dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenze nn. 383 e 378 del 2005 e n. 303 del 2003). Ad avviso della Regione ricorrente, le norme impugnate, invece, non prevedono alcuna forma di intesa Stato-Regioni rispetto al procedimento di nuova determinazione della misura dei diritti aeroportuali e tale mancata previsione «configura un vizio palese di legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 118 Cost.», specie considerando che esse, riducendo l'ammontare dei diritti percepiti dalle società di gestione, finiscono per penalizzare fortemente la competitività del sistema, poiché i loro «effetti negativi si producono sia sul sistema aeroportuale che sulle attività industriali e commerciali, sui trasporti e sul turismo»; vale a dire «in ambiti materiali che la Regione è chiamata a governare perché a ttribuiti alla propria competenza sia concorrente (aeroporti civili, trasporti), che residuale (turismo, sviluppo economico)». 1.2.3. - Un ulteriore motivo di illegittimità sarebbe dato dalla violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost. Tale norma, infatti, prevede che lo Stato possa esercitare la potestà regolamentare solo nelle materie affidate alla propria potestà legislativa esclusiva. Ne consegue che, nel caso in esame, sono illegittime le previsioni che rimettono ad atti ministeriali, di contenuto regolamentare, la determinazione delle nuove misure dei diritti aeroportuali, posto che in tal caso non si verte in materie statali di cui all'art. 117, secondo comma, Cost. 2. - La Regione Siciliana ha proposto questione di legittimità costituzionale degli articoli 11-nonies¸ comma 1, e 11-decies, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito dalla legge n. 248 del 2005, in riferimento agli artt. 17, lettera a), 20, 36 e 37 dello Statuto regionale, agli artt. 1 e 4 del d.P.R. 17 dicembre 1953, n. 1113 (Norme di attuazione dello statuto della Regione Siciliana in materia di comunicazioni e trasporti e successive modificazioni ed integrazioni), agli artt. 117, terzo comma, 118 e 119 Cost., e all'art. 10, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione). 2.1. - Secondo la Regione, le norme impugnate, siano esse da ricondurre alla materia «comunicazioni e trasporti regionali di qualsiasi genere» (art. 17 dello Statuto regionale, in relazione agli artt. 1 e 4 del d.P.R. n. 1113 del 1953) o a quella «porti e aeroporti civili» (art. 117, terzo comma, Cost.) risultano in evidente contrasto con la ripartizione delle competenze legislative fra lo Stato e la Regione Siciliana. 2.1.1. - Osserva la ricorrente come, nella lettera a) dell'art. 17 dello Statuto regionale, la materia «comunicazioni e trasporti regionali di qualsiasi genere» sia compresa fra quelle per le quali, «entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, l'Assemblea regionale può, al fine di soddisfare [...] gli interessi propri della regione, emanare leggi, anche relative all'organizzazione dei servizi», precisando altresì che «il presidente e gli assessori regionali [...] svolgono nella regione le funzioni esecutive ed amministrative concernenti le materie di cui [all'articolo] 17». Si aggiunga che le norme di attuazione dello Statuto regionale assegnano alla Regione «le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato nelle materie concernenti le comunicazioni ed i trasporti di qualsiasi genere» (art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 1113 del 1953), elencando altresì i servizi di trasporto di interesse regionale, fra i quali sono compresi «i servizi di trasporto aereo ed elicotteristico che si svolgano esclusivamente nell'ambito della regione» (art. 4, comma 3, lettera b) del citato d.P.R.). Inoltre, a norma dell'art. 1 del d.lgs. 11 settembre 2000, n. 296 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Siciliana recanti modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 17 dicembre 1953, n. 1113, in materia di comunicazioni e trasporti), «la Regione Siciliana esercita, nell'ambito del proprio territorio, tutte le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato nelle materie concernenti le comunicazioni e i trasporti regionali di qualsiasi genere». Tanto premesso, secondo la ricorrente, le norme impugnate contrastano con la riserva di competenza legislativa nella materia dei trasporti. La disciplina contenuta negli artt. 11-nonies e 11-decies ha, infatti, ad oggetto la materia del trasporto aereo tout court (ancorché le menzionate disposizioni non siano strettamente attinenti al «trasporto» quanto, piuttosto, alla «razionalizzazione» delle gestioni aeroportuali) poiché introduce una dettagliata normativa in tema di diritti aeroportuali, la misura dei quali viene determinata in relazione ad una serie di parametri che riguardano direttamente tanto la gestione dei singoli aeroporti (si veda l'art. 11-nonies, comma 1, lettere b, c, d), quanto il transito degli aeromobili (si veda l'art. 11-decies, «al fine di [...] razionalizzare il sistema del trasporto aereo nazionale»). In tal senso, sia la determinazione della misura dei diritti aeroportuali e delle relative modalità di calcolo (ivi compresa la soppressione della maggiorazione per il transito notturno), sia la riduzione dei canoni di concessione demaniale non possono che ritenersi, ad avviso della Regione, materie riservate alla potestà legislativa regionale, in quanto ricomprese «nell'ambito della più ampia competenza in tema di trasporti». Per tal motivo, gli artt. 11-nonies, comma 1, e 11-decies, commi 1 e 2, sarebbero costituzionalmente illegittimi, siccome in contrasto con gli artt. 17, lettera a), e 20 dello Statuto regionale, nonché con gli artt. 1 e 4 del d.P.R. n. 1113 del 1953. 2.1.2. - Aggiunge la ricorrente che le norme denunciate violerebbero gli artt. 117, terzo comma, 118, 119 Cost., l'art. della 10 legge cost. n. 3 del 2001 e gli artt. 36 e 37 dello Statuto regionale siciliano. Ai sensi dell'art. 117 Cost., terzo comma, la materia «porti e aeroporti civili» rientra nella legislazione concorrente e, per essa, spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Attesa l'appartenenza della disciplina normativa impugnata alla materia del trasporto aereo ovvero della gestione aeroportuale, ad avviso della Regione, non par dubbio che essa debba essere fatta ricadere nell'alveo della potestà legislativa concorrente fra lo Stato e le Regioni. Il legislatore statale, perciò, avrebbe dovuto limitarsi alla sola individuazione dei principi generali e fondamentali della materia, mentre la disciplina di dettaglio sarebbe riservata a ciascuno dei legislatori regionali, in ragione delle specificità territoriali. Invece, gli artt. 11-nonies e 11-decies sono stati dettati «in assenza di un qualsivoglia coinvolgimento della Regione Siciliana e, quindi, in aperto co ntrasto con i principi di sussidiarietà ed adeguatezza cui è informato l'art. 118 Cost.». 2.1.3. - Secondo la ricorrente la normativa in oggetto, introducendo un sistema di rideterminazione e calcolo dei diritti aeroportuali e, soprattutto, prevedendo la soppressione della maggiorazione del 50 per cento dei suddetti diritti per il transito notturno, nonché la riduzione del 75 per cento dei canoni di concessione demaniale, violerebbe, inoltre, l'art. 119, primo e quarto comma, Cost. e gli artt. 36 e 37 dello Statuto siciliano, che garantiscono l'autonomia finanziaria della Regione e degli enti locali. Difatti, essa comporterebbe «un grave nocumento ai bilanci delle società siciliane di gestione aeroportuale», con effetti che finiscono per ripercuotersi anche sugli enti locali che partecipano al capitale delle società. 2.1.4. - La ricorrente invoca, ancora, l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, il quale - nel prevedere che «le disposizioni [...] si applicano anche alle regioni a statuto speciale [...] solo per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite» - correlato agli artt. 17 e 20 dello Statuto siciliano, consentirebbe al legislatore regionale una più ampia autonomia normativa anche rispetto alle eventuali limitazioni «di principio» imposte dal legislatore statale (art. 117, terzo comma, Cost.). 2.1.5. - Sarebbe, infine, violato il principio di leale collaborazione. Il legislatore statale, nel disciplinare le modalità di determinazione dei diritti aeroportuali e delle tariffe di concessione demaniale, anche sul territorio regionale, trattandosi di una materia riservata alla competenza concorrente della Regione avrebbe dovuto, comunque, agire d'intesa con la stessa. 3. - La Regione Piemonte impugna gli articoli 11-nonies, 11-decies, 11-undecies, 11-duodecies, 11-terdecies del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito dalla legge n. 248 del 2005 con riferimento all'art. 117, primo, terzo, quarto e sesto comma, e all'art. 11 Cost. 3.1. - Anzitutto, sarebbe violato l'art. 117, terzo comma, Cost., sulla competenza concorrente della Regione in materia di aeroporti civili. Le norme impugnate, infatti, oltre a violare una serie di parametri costituzionali che non possono essere fatti valere dalla Regione (artt. 3, 41, 42 e 77 Cost.), confliggono con l'assetto regionale delle competenze quale delineato nell'art. 117 Cost. Invero, le norme censurate ignorano completamente la competenza concorrente della Regione, recando specifiche e minute regole precettive, così invadendo la competenza regionale (vengono richiamati, come casi analoghi, quelli risolti con le sentenze nn. 147 e 120 del 2005, n. 282 del 2004 e n. 329 del 2003). Alle medesime conclusioni, secondo la Regione, si giungerebbe ove si sostenesse che la materia trattata dalla legge n. 248 del 2005, nella parte in cui riguarda gli aeroporti, non sia da ricomprendere nella sola materia «aeroporti civili» di competenza concorrente, ma costituisca piuttosto una materia cosidetta trasversale, in cui sono «raccolti ed intrecciati tra loro interessi molteplici che mettono capo a competenze differenziate, distribuite tra enti locali, regioni e Stato» (sentenza n. 96 del 2003). Si può infatti sostenere che le disposizioni impugnate tocchino anche materie come la «tutela della concorrenza», la «sicurezza» e la «tutela dell'ambiente» di competenza esclusiva statale ai sensi delle lette re e), h) ed s) dell'art. 117, secondo comma, Cost., ed altre di competenza concorrente, come il «governo del territorio» (art. 117, terzo comma). Si tratterebbe, in buona sostanza, di un ambito in cui interferiscono più materie, spettanti alcune esclusivamente allo Stato, altre alla competenza concorrente, altre ancora alla competenza residuale delle Regioni. Osserva la Regione che la Corte costituzionale si è già trovata ad affrontare casi del genere, osservando (rispetto all'intreccio di competenze relativo al mercato del lavoro) che «in tali ipotesi può parlarsi di concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o concorrente. Per la composizione di siffatte interferenze la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed è quindi necessaria l'adozione di principi diversi: quello di leale collaborazione, che per la sua elasticità consente di aver riguardo alle peculiarità delle singole situazioni, ma anche quello dell a prevalenza, cui pure questa Corte ha fatto ricorso, qualora appaia evidente l'appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre» (sentenza n. 50 del 2005). Nell'una e nell'altra prospettiva, è palese, secondo la Regione, che le disposizioni impugnate violerebbero le competenze regionali. Nel caso, infatti, in cui si opini che nella materia aeroportuale disciplinata dalla legge n. 248 del 2005 ricorra una «concorrenza di competenze», mancherebbe ogni forma collaborativa per salvaguardare i profili di competenza regionale. Nel caso, invece, in cui si voglia applicare il criterio della prevalenza, nella specie è senz'altro da ritenere prevalente la materia «aeroporti civili» rispetto alle altre sopra richiamate («tutela della concorrenza», «sicurezza», «tutela dell'ambiente», «governo del territorio»), e quindi si ricadrebbe nel vizio di mancata limitazione della dis ciplina ai soli principi fondamentali della materia. L'invasione delle competenze regionali sarebbe, poi, ancor più grave, ad avviso della ricorrente, in quanto le disposizioni in discussione prescindono del tutto da ogni forma collaborativa delle Regioni rispetto ai decreti che dovranno essere emanati per fissare i nuovi diritti in materia aeroportuale, ai sensi dell'art. 11-nonies, e le nuove misure in tema di sicurezza aeroportuale, ai sensi dell'art. 11-duodecies. A tale riguardo, la Regione ricorda che, di recente, la Corte è stata chiamata a giudicare della nuova normativa statale sulle nomine delle autorità portuali (materia analoga a quella degli aeroporti, tanto da essere affiancata ad essa nella declaratoria costituzionale delle materie). Alcune Regioni avevano impugnato tali disposizioni proprio sulla base dell'assunto che erano state violate le competenze regionali concorrenti, trattandosi della materia «porti e aeroporti civili». Ebbene, la Corte costituzionale ha in parte accolto le questioni sollevate, facendo specificamente leva sull o svilimento del potere di codeterminazione riconosciuto alla Regione (sentenza n. 378 del 2005). Se ne desume, secondo la Regione, che i meccanismi dell'intesa qualificano in modo determinante la legittimità costituzionale delle disposizioni che ricadono nelle materie di competenza concorrente. 3.2. - Un secondo motivo di illegittimità atterrebbe alla violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost., in quanto la concreta determinazione delle nuove misure dei diritti aeroportuali è stata affidata ad atti regolamentari di organi statali. A parere della ricorrente, gli elementi disciplinati dalle norme impugnate vanno ricondotti, almeno per la gran parte, alla materia «aeroporti civili», di competenza concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., ne discende che la relativa potestà regolamentare non può che spettare alle Regioni, come la Corte ha più volte ribadito rispetto a casi analoghi (sentenze n. 31 del 2005, nn. 256, 36 e 26 del 2004 e n. 329 del 2003). A questa stessa conclusione si deve giungere, secondo la Regione, ove si consideri la (possibile) sovrapposizione di competenze statali esclusive e di competenze concorrenti nella medesima materia. In buona sostanza, conclude la Regione, la compresenza di titoli di competenza statale esclusiva e concorrente fra Stato e Regioni su una medesima materia comporta che il potere regolamentare possa essere esercitato dallo Stato, ma con un'intesa regionale (viene richiamata la sentenza n. 270 del 2005). 3.3. - Secondo la Regione, le norme impugnate violerebbero anche gli artt. 117, primo comma, e 11 Cost. sull'obbligo del rispetto dei vincoli comunitari. Ad avviso della ricorrente, le misure così disposte costituiscono, infatti, aiuti di Stato ai sensi dell'art. 87 del Trattato CE, in quanto realizzano benefici economici a favore dei vettori aerei, in particolare di quelli che maggiormente operano sugli scali italiani, mediante l'utilizzo di risorse statali. Osserva la Regione che attraverso queste misure si determina una riduzione ingiustificata di alcuni costi di produzione delle compagnie aeree (soprattutto diritti aeroportuali) che operano in Italia, concedendo loro un chiaro vantaggio competitivo rispetto alle compagnie che non utilizzano gli scali italiani e producendo, così, effetti lesivi della concorrenza sul mercato europeo del trasporto aereo (viene richiamata, sul punto, la sentenza della Corte di Giustizia, 17 settembre 1980, causa C-730/1979, Philip Morris c. Commissione). In particolare, l'art. 11-nonies, comma 1, della legge n. 248 del 2005, nel riformare il sistema di determinazione dei diritti aeroportuali, rappresenterebbe un aiuto di Stato in quanto determinerebbe una «compressione» dei ricavi dei gestori aeroportuali «pubblici», a vantaggio dei vettori aerei. Inoltre, il nuovo metodo di calcolo della misura iniziale dei diritti, includendo i ricavi del gestore aeroportuale derivanti dalle attività commerciali e non regolamentate, non sarebbe conforme all'attuale posizione comunitaria in materia di corrispettivi per l'utilizzo delle infrastrutture aeroportuali (viene citato il Documento della Commissione in merito alla capacità aeroportuale, efficienza e sicurezza in Europa, 15 settembre 2005). Ancora, le disposizioni impugnate comporterebbero un'ingiustificata riduzione degli introiti dei gestori aeroportuali, nonché un grave pregiudizio e la discriminazione dei gestori privati dovuta alla evidente penalizzazione del capitale dagli stessi investito. Esse, pertanto, si porrebbero in contrasto con il principio di non discriminazione tra proprietà pubblica e privata (artt. 43 e seguenti del Trattato CE), e con i principi di libera circolazione dei capitali e dei servizi ( artt. 56 e seguenti e 49 e seguenti del Trattato CE). Inoltre, il regime di aiuti introdotto dalla legge n. 248 del 2005 non essendo stato preventivamente notificato alla Commissione, avrebbe violato altresì l'obbligo di comunicazione (art. 88, par. 3, del Trattato CE), e costituirebbe, pertanto, un aiuto illegale (Regolamento CE n. 659/99 del Consiglio del 22 marzo 1999 sulle modalità di applicazione dell'art. 88 del Trattato CE). 4. - La Regione Campania impugna gli artt. 11-nonies, 11-decies, 11-undecies, 11-duodecies, 11-terdecies del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito dalla legge n. 248 del 2005 in relazione agli artt. 114, 117, 118 Cost., nonché per violazione del principio di leale cooperazione fra Stato e Regione e per «lesione della sfera di competenza della Regione» prevista dagli artt. 102 e seguenti del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).</ P> 4.1. - Ad avviso della Regione, gli articoli impugnati intervengono in modo significativo nelle politiche di programmazione in un ambito materiale attinente ai «porti e aeroporti civili», che appartiene alla potestà legislativa concorrente della Regione. Vero è che gli specifici contenuti normativi hanno ad oggetto, per lo più, l'individuazione della misura di corrispettivi ed oneri a carico dei soggetti operanti nell'ambito aeroportuale, ma tali interventi, per così dire quantitativi, costituiscono, anche per espressa previsione legislativa, strumenti di programmazione e gestione della politica di settore. In particolare, con l'art. 11-nonies, il legislatore statale interviene illegittimamente, ad avviso della Regione, in tre direzioni: fissa rigidissimi parametri per la individuazione della misura dei diritti aeroportuali; affida, in via esclusiva, ad un atto interministeriale la precisa fissazione delle misure, sulla base dei criteri individuati; attribuisce, ancora, ad un atto ministeriale, la definizione di norme regolamentari di semplificazione per la determinazione dei diritti aeroportuali da applicare agli aeroporti di minor traffico. Ebbene, secondo la Regione, tali interventi di carattere finanziario, lungi dal costituire una mera manovra di carattere erariale, hanno precise ricadute - in senso limitativo - sulle scelte che la Regione è competente a compiere sul piano delle politiche attinenti al citato ambito materiale; il che emergerebbe chiaramente non solo dal tenore della normativa, ma anche dalle stesse finalità esplicitate nella normativa medesima, laddove il legislatore statale qualifica la disciplina come strumento di «[r]azionalizzazione e incremento dell'efficienza del settore dei gestori aeroportuali», definendone, in questo modo, l'ambito di operatività. In tal senso, osserva la Regione, «la disciplina impugnata, analogamente a quanto accade con i c.d. "finanziamenti vincolati", "può divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza" (Corte cost. 51/05; 424/2004; 423/2004; 320/2004; 16/2004 e 370/2003)». Duplice, dunque, secondo la Regione, la violazione dell'art. 117 Cost., sia perché sono state poste in essere norme autoapplicative prive dei caratteri di norma di principio (terzo comma); sia perché, in ambito di potestà legislativa regionale concorrente, si è affidato ad organi statali la concreta attuazione, tramite fonti di rango regolamentare, della normativa di cui si eccepisce l'incostituzionalità (sesto comma). La sfera di competenza della Regione sarebbe, altresì, violata dall'art. 11-decies, poiché la diminuzione del canone demaniale e la precisa determinazione della misura dei diritti aeroportuali costituiscono strumento incidente in via indiretta nell'ambito materiale di competenza regionale. Allo stesso modo, gli artt. 11-duodecies e 11-terdecies intervengono nell'ambito del settore materiale indicato in precedenza, senza prevedere alcun ruolo da parte dell'ente Regione. 4.1.2. - Ulteriore violazione delle stesse disposizioni costituzionali sopra richiamate viene riferita dalla Regione all'art. 11-undecies, che disciplina le modalità di redazione di piani di intervento infrastrutturale, non prevedendo alcuna partecipazione della Regione in merito. Trattandosi, infatti, di interventi infrastrutturali, la disciplina deve considerarsi attratta nell'ambito dei cosiddetti «lavori pubblici», i quali, come ha chiarito la Corte costituzionale, «non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti» (sentenza n. 303 del 2003). Trattandosi di interventi finalizzati, come espressamente previsto, allo «sviluppo delle infrastrutture aeroportuali», si deve ritenere che, anche in questo caso, la norma impugnata vada ad incidere illegittimamente sulla potestà legislativa concorrente dell a Regione in tema di «porti e aeroporti civili», oltre che del «governo del territorio». In tal senso, l'illegittimità della norma discenderebbe dalla totale assenza di un ruolo degli enti locali nella definizione dei programmi previsti. 4.1.3. - Un ulteriore motivo di illegittimità delle norme impugnate atterrebbe alla violazione del principio di leale cooperazione e alla violazione degli artt. 117 e 118 Cost. Sul punto, ricorda la Regione, la Corte costituzionale ha chiarito che l'adozione di meccanismi che consentano un idoneo coinvolgimento della Regione, riequilibra, attraverso la leale cooperazione, le esigenze di carattere unitario con gli interessi e le competenze locali riconosciute dalla Costituzione (sono richiamate le sentenze n. 50 del 2005 e n. 407 del 2002; e l'ordinanza n. 252 del 2005). 5. - La Regione Emilia-Romagna impugna gli artt. 11-nonies e 11-decies della legge n. 248 del 2005, per violazione degli artt. 117, primo comma, 118, 11 e 41 Cost., «nella parte in cui prevedono una regolazione dei diritti aeroportuali mediante una forma di sussidio incrociato fra le attività commerciali e le attività aeronautiche ed apportano consistenti riduzioni alle entrate assicurate alle società di gestione, senza alcuna giustificazione di interesse pubblico (in particolare, art. 11-nonies, lettera a); nonché nella parte in cui non prevedono, ai fini della determinazione degli obiettivi di produttività e per la individuazione dei diritti aeroportuali degli scali minori (art. 11-nonies lettera b), le procedure di leale collaborazione della previa intesa e del confronto con le Regioni, nella sede appropriata». 5.1. - Ad avviso della Regione, le disposizioni contenute negli artt. 11-nonies e 11-decies prevedono, sostanzialmente, interventi statali a favore delle compagnie aeree, e una regolazione dei diritti aeroportuali che pregiudica gravemente le società di gestione aeroportuali - per legge partecipate anche dagli enti territoriali - così da incidere sullo sviluppo degli scali regionali e sulla complessiva politica economica del settore, creando, per di più, effetti distorsivi della concorrenza. Sul punto, la Regione giustifica il proprio interesse precisando che, fin dalla legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), la legislazione dello Stato ha riconosciuto l'interesse delle Regioni e degli enti locali a prendere parte alle costituende società di capitali per la gestione dei servizi e la realizzazione delle infrastrutture degli aeroporti (art. 10, comma 13). Per quanto riguarda l'Emilia-Romagna, mentre lo Stato è del tutto assente fra gli azionisti, la Regione detiene una quota rilevante (9 per cento) della società di gestione del principale aeroporto della Regione, quello di Bologna; gli altri enti locali, Comune e Provincia di Bologna, complessivamente detengono una quota del 30 per cento e la Camera di commercio di Bologna la quota di maggioranza (52 per cento). Inoltre, il Piano regionale integrato dei trasporti ipotizza politiche di coordinamento fra i quattro aeroporti regionali di Parma, Forlì, Rimini e Bologna, al fine di una gestione razionale e unitaria di tali infrastrutture, essendo, inolt re, prevista a tal fine l'acquisizione di quote azionarie consistenti di tutti i quattro aeroporti. Sotto tale profilo, emerge, quindi, il diretto interesse della Regione e degli enti locali a contrastare interventi legislativi statali che pregiudichino la funzionalità delle società aeroportuali, il loro equilibrio finanziario e in sostanza il buon andamento delle gestioni degli aeroporti. Ciò premesso, la Regione rileva che la propria legittimazione a ricorrere deriva dalla «materia» in cui ricade la legge impugnata, che è quella dei «porti e aeroporti civili» attribuita dall'art. 117, terzo comma, alla competenza concorrente. Ritiene che l'intervento legislativo dello Stato, oggetto di impugnazione, non ha, infatti, altri titoli giustificativi, non avendo come obiettivo né il coordinamento della finanza pubblica, né la tutela della concorrenza, ma attiene propriamente alla gestione delle infrastrutture «porti e aeroporti». 5.2. - Gli artt. 11-nonies e 11-decies sarebbero altresì illegittimi per violazione degli artt. 117, primo comma, 118, 11 e 41 Cost. Osserva la Regione che gli interventi disposti con le norme impugnate non appaiono giustificati con riguardo alla circostanza che lo Stato sia proprietario dei suoli e soggetto concedente (e, quindi, in base al diritto dominicale di fissare il canone demaniale di concessione); né in nome del coordinamento della finanza pubblica; né in ragione della tutela della concorrenza; né in nome di un principio di sussidiarietà; né a titolo di competenza concorrente su porti e aeroporti. 5.2.1. - Ad avviso della ricorrente, sotto il primo profilo, in base alla disposizione di cui all'art. 11-decies, il canone demaniale viene ridotto solo in via transitoria, per provocare la pari riduzione dei canoni aeroportuali. Tale disciplina, però, non tende a stabilire una nuova regola di determinazione del canone demaniale, ma prelude ad una nuova disciplina dei canoni aeroportuali, promettendo, in sostanza, uno «sconto» su quello demaniale, a parziale ristoro della perdita che le società aeroportuali vengono a subire per effetto del disposto di cui all'art. 11-nonies (che compendia la misura dei diritti aeroportuali con il computo di una quota non inferiore al 50 per cento del margine economico conseguito dal gestore aeroportuale in relazione alle attivit à non regolamentate, dal medesimo poste in essere come soggetto imprenditore), «con la conseguenza che la materia sulla quale la legge interviene va individuata con esclusivo riferimento alla determinazione dei canoni aeroportuali, restando la disciplina del canone demaniale solo un intervento transitorio e strumentale». 5.2.2. - Estranee all'intervento dello Stato sono anche le ragioni del coordinamento finanziario, poiché le disposizioni impugnate non producono alcuna utilità, in termini di maggiori entrate o di minori uscite per i bilanci pubblici. Anzi, «al contrario, l'art. 11-decies determina una consistente diminuzione del canone demaniale, pari al 75 per cento, fino alla data, del tutto incerta, di introduzione del nuovo sistema dei diritti aeroportuali, come delineato dall'art. 11-nonies mentre, sotto altro profilo, la predetta riduzione dell'importo del canone demaniale di concessione ha un effetto nullo sul conto economico delle società aeroportuali». 5.2.3. - Quanto al terzo profilo, relativo alla materia della concorrenza, osserva la Regione che «lo Stato può sicuramente intervenire con regole che riguardano il mercato - e questo è un segmento di mercato rilevante - ma l'intervento deve essere giustificato al fine di tutelare la concorrenza, non per distorcerla». Invece, continua la Regione, «l'effetto distorsivo qui è multiplo», poiché, lungi dall'elevare il livello di concorrenza fra gli operatori del mercato, cioè fra le strutture aeroportuali, le disposizioni in esame prevedono esattamente il contrario: «[s]i impone alle società aeroportuali di abbassare i loro canoni, appiattendoli, non tenendo conto dei costi progettuali dalle medesime già assunti e approvati, ma, soprattutto, si violano alcuni principi comunitari di tutela della concorrenza, appositamente diretti ad imporre la separazione fra ricavi di attività di gestione degli impianti, e ricavi derivanti da altre attività che l'ente aeroporto può gestire come attività accessorie, in regime di concorrenza, competendo con altri soggetti gestori di servizi a terra». D'altra parte, la direttiva comunitaria n. 96/67/CEE del 15 ottobre 1996 «ha previsto la liberalizzazione del mercato dei servizi di assistenza a terra [.] finalizzata alla riduzione dei costi, ma senza pregiudicar[e] il buon funzionamento» degli aeroporti. Ricorda la Regione come la Corte di giustizia abbia ritenuto, con riguardo al diritto di proprietà, che «la circostanza che l'ente gestore di un aeroporto non è autorizzato a percepire un canone di accesso, non vuol dire [.] che il detto ente sia privato della facoltà di ricavare utili dalle prestazioni economiche da esso fornite sul mercato dell'assistenza a terra al quale deve dare accesso. A questo proposito, l'art. 16, n. 3, della direttiva richiede che il corrispettivo economico che può essere percepito quale contropartita dell'accesso agli impianti aeroportuali sia determinato secondo criteri pertinenti, obiettivi, trasparenti e non discrimin atori. Di conseguenza, tale disposizione non osta a che il detto corrispettivo sia fissato in modo tale che l'ente gestore dell'aeroporto possa non solo coprire i costi connessi con la messa a disposizione degli impianti aeroportuali e alla loro manutenzione, ma anche realizzare margini di utili» (Corte di giustizia, sentenza C-363/01 del 16 ottobre 2003). Ne risulta violato, secondo la Regione ricorrente, il principio di libertà di iniziativa economica, perché, all'opposto di quanto sottolineato dalla Corte di giustizia nella sentenza citata, si impedisce alle società aeroportuali di gestire l'aeroporto in modo imprenditoriale, non solo coprendo i costi, ma anche realizzando utili, dei quali si impone la destinazione vincolata alla copertura dei costi delle attività principali. Inoltre, si viola la concorrenza, imponendo ad una categoria di soggetti economici (enti aeroportuali) vincoli che favoriscono imprenditori situati in altro settore economico (le compagnie aeree). Infine, si pratica una politica, vietata, di vendita sottocosto o dumping, che comporta costi differenziati per le compagnie aeree, favorendo le compagnie estere rispetto a quelle nazionali, così da attrarre verso gli scali italiani voli di compagnie estere, applicando condizioni di illegittimo ribasso. 5.2.4. - Sotto altro profilo, la disciplina in esame, violerebbe anche il principio della leale collaborazione, essendo essenzialmente caratterizzata, sul piano legislativo, da una normativa completa ed autoapplicativa, senza distinzione fra principi e dettagli e, sul piano amministrativo, da un modello di gestione statalistico. La Regione ricorrente sostiene l'illegittimità costituzionale sia dell'art. 11-nonies, lettera a), nella parte in cui non viene prevista la procedura di leale collaborazione della previa intesa nella determinazione degli obiettivi di produttività e dei contratti di programma che dovranno essere stipulati con l'Enac, sia l'illegittimità dell'art. 11-nonies, lettera b), nella parte in cui, inserendo il comma 10-ter dopo l'art. 10 della legge n. 537 del 1993, prevede che sia il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, senza una procedura di leale collaborazione, ad emanare atti amministrativi di tipo regolamentare, per la semplificazione della determinazione dei diritti aeroportuali negli aeroporti minori. 5.2.5. - Secondo la ricorrente, infine, il carattere autoapplicativo di queste norme esclude la loro configurabilità come «principi» della materia e, perciò, la loro compatibilità con la potestà legislativa concorrente in materia di «porti e aeroporti». 6. - In tutti i giudizi si è costituita, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato contestando che le disposizioni impugnate ledano le attribuzioni regionali in materia di porti e aeroporti civili di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., e determinino una limitazione dei diritti aeroportuali tale da impedire la realizzazione di efficienti infrastrutture e non incentivare la competitività del sistema. Contesta, altresì, l'affermazione per cui le stesse disposizioni violerebbero il sesto comma dello stesso art. 117, perché la determinazione delle nuove misure dei diritti aeroportuali sarebbe rimessa ad atti ministeriali di contenuto regolamentare pur non vertendosi in materia di potestà legislativa esclusiva dello Stato. Rileva, infine, che sarebbero evidenziati i presupposti della chiamata in sussidiarietà, senza violazione dell'art. 118 Cost. A parere dell'Avvocatura generale dello Stato, con le disposizioni impugnate, il legislatore statale ha inteso rendere più competitivo il settore aeroportuale italiano. In particolare, con l'art. 11-nonies, sostituendo l'art. 10, comma 10, della legge n. 537 del 1993, ha introdotto un nuovo sistema di commisurazione dei «diritti aeroportuali», da determinare, per singoli aeroporti, sulla base di criteri stabiliti dal CIPE con decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze ed, ai fini di tale determinazione, ha dettato una serie di canoni. I nuovi criteri tendono a privilegiare l'adozione di un sistema di contabilità analitica, certificato da società di revisione contabile, al fine di rendere più trasparente l'individuazione dei ricavi e dei costi sostenuti dal concessionario aeroportuale, con riferimento a ciascuno dei servizi, regolamentati e non, offerti sul sedime aeroportuale, ivi compreso lo svolgimento delle attività commerciali. Il tutto finalizzato all'obiettivo di favorire gli investimenti e consentire un recupero della produttività del sistema aeroportuale. La disposizione di cui all'art. 11-decies ha disposto che, fino alla entrata in vigore del nuovo sistema di determinazione dei diritti aeroportuali, i canoni di concessione demaniale dovuti dai gestori allo Stato siano ridotti del 75 per cento e che tale diminuzione dei costi sostenuti dai gestori debba tradursi in un corrispondente minore ammontare dei diritti aeroportuali. Per i gestori che non abbiano provveduto a dotarsi di contabilità analitica, è prevista una ulteriore riduzione del 10 per cento di tali diritti. Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, appare dunque evidente l'erroneità della prospettiva alla base dell'impugnativa regionale. Le disposizioni impugnate intendono razionalizzare la gestione di beni e servizi statali attribuiti in concessione al gestore aeroportuale. Premette che «"a proposito della spettanza della potestà di imposizione e riscossione del canone [demaniale] determinante è la titolarità del bene e non invece la titolarità di funzioni legislative e amministrative intestate alle Regioni in ordine all'utilizzazione dei beni stessi" (cfr. sentenze n. 286 del 2004, n. 150 del 2003, n. 343 del 1995 e n. 326 del 1989)» e sottolinea che le disposizioni impugnate sono finalizzate alla tutela della concorrenza, attribuita dall'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. alla competenza esclusiva statale. Del resto, ricorda l'Avvocatura generale dello Stato che, secondo la giurisprudenza costituzionale, «la tutela della concorrenza ... costituisce una delle leve della politica economica statale e pertanto non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di equilibrio perduto, ma anche in quell'accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali»; inoltre, «la destinazione della misura a tutte le imprese operanti a livello nazionale, e insieme la finalità evidente di stimolare la propensione agli investimenti e l'espansione del mercato di settore, rappresentano i ndici dell'attinenza dell'intervento alla funzione di stabilizzazione macroeconomica propria dello Stato e della sua riconducibilità alla materia della tutela della concorrenza, nel suo profilo dinamico e promozionale» (sentenza n. 14 del 2004). Risulterebbero, in definitiva, non pertinenti gli evocati parametri e le dedotte censure. Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, inoltre, le Regioni ricorrenti non considererebbero i vantaggi per la stessa economia regionale derivanti dal rilancio in termini concorrenziali dell'intero sistema aeroportuale, per il conseguente maggior richiamo di vettori anche stranieri, con incremento sia del commercio che del turismo. L'Avvocatura generale dello Stato conclude, pertanto, perché i ricorsi siano dichiarati inammissibili o, comunque, infondati. 7. - E' intervenuta, in tutti i giudizi, la società Aeroporti di Roma, riservandosi di depositare memorie e produrre documenti nei termini previsti, rilevando comunque che la questione è sicuramente fondata, come emerge dai motivi esposti dalle amministrazioni regionali. 8. - Nei giudizi promossi dalla Regione Piemonte e dalla Regione Campania è intervenuta la Società Alitalia-Linee Aeree Italiane s.p.a., chiedendo che la questione di costituzionalità degli artt. 11-nonies, 11-decies, 11-undecies, 11-doudecies e 11-terdecies del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, venga dichiarata inammissibile, non rilevante e comunque infondata. 9. - Dopo che il giudizio era stato rinviato a nuovo ruolo, in prossimità della data fissata per l'udienza, le Regioni Campania e Emilia-Romagna, l'Avvocatura generale dello Stato e le intervenute società Alitalia-Linee Aeree Italiane s.p.a. e Aeroporti di Roma, hanno depositato ulteriori memorie illustrative in cui hanno ribadito rispettivamente le precedenti deduzioni. In particolare, la Regione Emilia-Romagna ha segnalato l'emanazione della delibera CIPE 15 giugno 2007 (Direttiva in materia di regolazione tariffaria dei servizi aeroportuali offerti in regime di esclusiva), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 22 settembre 2007, serie generale n. 221, con cui è stata sostituita la precedente deliberazione CIPE n. 86 del 2000 alla luce delle modifiche normative introdotte dalla legge oggetto di impugnazione. Considerato in diritto 1. - Le Regioni Toscana, Siciliana, Piemonte, Campania e Emilia-Romagna, con cinque distinti ricorsi (rispettivamente r. ric. nn. 6, 7, 18, 19 e 20 del 2006), hanno promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11-nonies e 11-decies, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), nonché le sole Regioni Piemonte e Campania anche degli artt. 11-undecies, 11- duodecies e 11-terdecies dello stesso decreto-legge, così come convertito, per asserita violazione degli artt. 11 (Regioni Piemonte e Emilia-Romagna), 41 (Regione Emilia-Romagna), 114 (Regione Campania), 117 (tutte le Regioni, sotto diversi profili), 118 Cost. (Regioni Toscana, Siciliana, Campania e Emilia-Romagna), e del principio di leale collaborazione (Regioni Campania, Emilia-Romagna e Siciliana), nonché degli artt. 17, lettera a), 20, 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello Statuto regionale della Regione Siciliana), degli artt. 1 e 4 del d.P.R. 17 dicembre 1953, n. 1113 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana in materia di comunicazioni e trasporti e successive modificazioni ed integrazioni) e dell'art. 119 Cost. (Regione Siciliana). Poiché i ricorsi pongono questioni analoghe, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi ai fini di una trattazione unitaria e di un'unica decisione. 2. - In via preliminare, devono essere dichiarati inammissibili gli interventi spiegati nel presente giudizio dalle società Aeroporti di Roma e Alitalia-Linee Aeree Italiane s.p.a., atteso che, per consolidato orientamento di questa Corte, nei giudizi di costituzionalità promossi in via d'azione sono legittimati ad essere parti soltanto i soggetti titolari delle attribuzioni legislative in contestazione (da ultimo, sentenza n. 265 del 2006). 3. - Prima di procedere all'esame delle questioni di legittimità costituzionale proposte, appare opportuno ricostruire l'iter normativo che ha portato all'emanazione del decreto-legge n. 203 del 2005 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, oggetto di impugnazione. 3.1. - I diritti aeroportuali rappresentano i corrispettivi dovuti - in base a contratti - dalle imprese di trasporto aereo (i vettori) e dagli utenti del trasporto aereo (i passeggeri, gli operatori del trasporto merci, ecc.) alle società di gestione delle infrastrutture aeroportuali per i servizi da queste resi alle une e agli altri. Pertanto, la materia dei diritti aeroportuali è parte della disciplina avente ad oggetto la fornitura di tali servizi. La prima disciplina normativa in tema di diritti aeroportuali risale alla legge 9 gennaio 1956, n. 24 (Diritti per l'uso degli aerodromi aperti al traffico aereo civile), poi integralmente sostituita dalla legge 5 maggio 1976, n. 324 (Nuove norme in materia di diritti per l'uso degli aeroporti aperti al traffico civile), che li distinse nelle due categorie dei «diritti lato aria» e «diritti lato terra», prevedendone una revisione biennale, da effettuare con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dei trasporti, di concerto con i Ministri del tesoro e delle finanze, tenendo conto delle esigenze di politica tariffaria del settore e dell'andamento dei costi dei servizi aeroportuali. Il sistema fu modificato dalla legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), che previde - a decorrere dal 1995 - la revisione annuale dei diritti, da attuarsi con decreto del Presidente della Repubblica sulla base di criteri stabiliti dal CIPE su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, tenendo conto di una serie di obiettivi e parametri stabiliti dalla stessa legge. Successivamente, la legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), stabilì, a decorrere dal 1997, che, nelle more dei decreti di revisione, i diritti fossero comunque aumentati annualmente in base al tasso di inflazione programmato (art. 2, comma 190). Sempre nel 1996, la deliberazione CIPE del 24 aprile (Linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità) dettò le linee-guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità, riconoscendo nel price cap il criterio più idoneo a garantire l'efficienza delle imprese regolate e la realizzazione di investimenti per la modernizzazione dei servizi. Essa dispose, inoltre, il ricorso al contratto di pr ogramma quale ordinario strumento per la definizione dei rapporti fra le amministrazioni competenti e le aziende regolate. La stessa delibera istituì, presso la segreteria del CIPE, un organo tecnico, il NARS (Nucleo di consulenza per l'attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità non regolati da autorità indipendenti),) incaricato di promuovere le linee-guida, di favorire l'omogeneizzazione dei contratti di programma e di monitorarne gli effetti. Nel 2000, il CIPE, in attuazione delle leggi del 1993 e del 1996, adottò la deliberazione 4 agosto, n. 86, con la quale applicava la metodologia del price cap alla tariffazione dei servizi aeroportuali offerti in regime di esclusiva. 3.2. - In questo contesto è intervenuta la legge n. 248 del 2005 che, nel convertire il decreto-legge n. 203 del 2005, ha introdotto in esso norme di un altro decreto-legge (a sua volta in corso di conversione, relativo - fra l'altro - all'aggiornamento dei diritti aeroportuali), tra cui gli articoli da 11-nonies a 11-terdecies, impugnati nel presente giudizio. Le norme in esame hanno modificato il sistema di tariffazione dei servizi aeroportuali offerti in regime di esclusiva, elevando al rango di legge i criteri stabiliti dal CIPE con la deliberazione n. 86 del 2000 e aggiungendo altre disposizioni anch'esse oggetto di impugnazione da parte di tutte o alcune delle Regioni ricorrenti. 3.3. - In particolare, l'articolo 11-nonies, (Razionalizzazione e incremento dell'efficienza del settore dei gestori aeroportuali), al comma 1, lettera a), prevede che la misura dei diritti aeroportuali è determinata e successivamente variata - sulla base di una metodologia (cosiddetto price cap) stabilita dalla stessa disposizione e di criteri stabiliti dal CIPE - con decreti del Ministro delle infrastrutture e dei tr asporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. La norma stabilisce che alla determinazione della misura dei diritti aeroportuali concorrono i costi e i ricavi sia dei servizi soggetti a regolamentazione, sia dei servizi non soggetti a regolamentazione, per una quota non inferiore al 50 per cento. Sono inclusi nel novero di questi servizi tutti quelli per i quali è configurabile una qualche forma di rendita di localizzazione o di monopolio per il gestore aeroportuale; rendita che discende dalla possibilità di utilizzare in esclusiva i sedimi aeroportuali anche per fini commerciali e dall'ulteriore possibilità di limitare l'accesso ai sedimi di terzi concorrenti. Alla determinazione dei diritti concorrono, quindi, i proventi dei servizi prodotti sul sedime aeroportuale (ad esempio, parcheggi ed attività commerciali) e i proventi relativi ai servizi che, sebbene prodotti al di fuori del sedime, sono erogati al suo interno, con l'aggiunta che, rispetto ad essi, è possibile l'esercizio, da parte dei gestori, di controlli sull'accesso di altri concorrenti all'area aeroportuale. Sono, invece, escluse le attività svolte in regime di concorrenza con terzi, per le quali il gestore può dimostrare l'insussistenza di rendite di localizzazione, ovvero di limitazioni dell'accesso alle infrastrutture. Presupposto essenziale del nuovo sistema di tariffazione è che le società aeroportuali siano dotate di un sistema di contabilità analitica, di modo che siano distintamente riscontrabili i costi e i ricavi imputabili ai diversi servizi, regolamentati e non. L'art.11-nonies prevede, inoltre, che per un periodo tra 3 e 5 anni, è fissata la variazione massima annuale applicabile ai diritti aeroportuali (si fissa, dunque, un cap a loro incremento). La variazione massima consentita è determinata prendendo in considerazione i seguenti elementi: il tasso d'inflazione programmato; l'obiettivo di recupero della produttività assegnato dall'amministrazione al gestore del servizio (secondo il contratto di programma fra amministrazione e gestore); la remunerazione del capitale investito; gli ammortamenti dei nuovi investimenti realizzati con capitale proprio o di credito. Lo stesso articolo, al comma 1, lettera b), stabilisce che è soppressa la maggiorazione del 50 per cento dei diritti aeroportuali applicata sui voli notturni; che sono determinati, nello stesso modo dei diritti aeroportuali, i corrispettivi per i servizi di sicurezza attribuiti in concessione dall'amministrazione e le tasse di imbarco e sbarco delle merci; che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, può definire norme semplificative per la determinazione dei diritti aeroportuali, relativamente agli aeroporti aventi un traffico inferiore a 600.000 unità di carico. Il comma 2 abolisce l'adeguamento annuale dei diritti a eroportuali al tasso d'inflazione programmato. L'articolo 11-decies (Competitività del sistema aeroportuale) stabilisce la riduzione del 75 per cento del canone di concessione dovuto dai gestori aeroportuali, in attesa dell'entrata a regime del nuovo meccanismo di determinazione dei diritti aeroportuali, con corrispondente immediata riduzione dell'ammontare di questi. La norma, inoltre, prevede l'ulteriore riduzione della misura dei diritti aeroportuali per i gestori aeroportuali che non adottano un sistema di contabilità analitica, certificato da società di revisione contabile, che consenta l'individuazione, per tutti i servizi offerti, dei ricavi e dei costi relativi a ciascun servizio. L'articolo 11-undecies (Sviluppo delle infrastrutture aeroportuali) assegna la revisione della «programmazione in via prioritaria» degli interventi infrastrutturali di collegamento con gli aeroporti di interesse nazionale per il settore dell'aviazione civile alla competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e stabilisce che «i piani d'intervento infrastrutturale dell'Ente nazionale per l'aviazione civile-Enac e dell'Ente nazionale per l'assistenza al volo-Enav S.p.A. sono redatti in coerenza con le linee d'indirizzo contenute nella programmazione» effettuata dal ministero, consultat e le associazioni rappresentative dei vettori aerei e dei gestori aeroportuali. L'articolo 11-duodecies (Sicurezza aeroportuale) rimette a decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro dell'interno, previa istruttoria effettuata dall'Enac, la definizione delle attività necessarie a garantire la sicurezza aeroportuale relativa al controllo bagagli e passeggeri, nonché ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la ripartizione di tali attività fra gestori aeroportuali e vettori e la determinazione degli importi dovuti all'erario dai concessionari dei servizi di controllo esistenti in ambito aeroportuale e di quelli posti a carico de ll'utenza. L'articolo 11-terdecies (Royalties sui carburanti) stabilisce, relativamente ai servizi regolamentati e sottoposti alla vigilanza Enac in base alla direttiva 96/67/CE del Consiglio del 15 ottobre 1996, che non possono essere applicati dai gestori aeroportuali e dai fornitori dei servizi, sovrapprezzi, in particolare le royalties, sulla fornitura di carburanti, non effettivamente connessi ai costi sostenuti per l'offerta del medesimo servizio. 4. - Si può ora passare all'esame delle questioni di costituzionalità formulate con riferimento a ciascuna delle disposizioni oggetto di impugnazione. 5. - La questione di legittimità costituzionale degli artt. 11-nonies e 11-decies, prospettata dalla Regione Emilia-Romagna, con riferimento all'art. 41 Cost., è inammissibile. La Regione ricorrente invoca un parametro costituzionale non attinente alla propria sfera di autonomia costituzionalmente garantita, senza neanche prospettare una lesione delle competenze regionali, ma limitandosi a far valere la circostanza di essere azionista di una società di gestione aeroportuale. 6. - La questione di legittimità costituzionale degli artt. 11-nonies e 11-decies, prospettata dalla Regione Siciliana con riferimento all'art. 119, primo e quarto comma, Cost. e agli artt. 36 e 37 dello Statuto regionale, sul presupposto che la soppressione della maggiorazione del 50 per cento dei diritti per il transito notturno, nonché la riduzione del 75 per cento dei canoni di concessione demaniale, comporti «un grave nocumento ai bilanci delle società siciliane di gestione aeroportuale», è inammissibile. Anche in questo caso, la Regione non lamenta la lesione della propria autonomia finanziaria, ma fa valere la circost anza di essere essa azionista di società di gestione aeroportuale. 7. - La questione di legittimità costituzionale degli artt. 11-nonies, 11-decies, 11-undecies, 11-duodecies, 11-terdecies, concernente la violazione degli artt. 117, comma primo, e 11 Cost. in base all'asserita natura di «aiuti di Stato» delle norme in esame, in quanto volte a favorire i vettori aerei, prospettata dalla Regione Piemonte, non è fondata. Il price cap, previsto dall'art. 11-nonies, è un meccanismo di regolazione della dinamica tariffaria. Esso non può essere configurato come «aiuto di Stato». Le nuove misure dei diritti aeroportuali sono determinate con una metodologia di calcolo che commisura il prezzo delle prestazioni rese dai gestori a parametri obiettivi, fondati sulla redditività dell'investimento. Di esso si avvantaggiano tutti i vettori, italiani e stranieri; manca, quindi, l'elemento della selettività che è connotato necessario della nozione di aiuto di Stato (Corte di giustizia, sentenza 6 settembre 2006, C-88/03; sentenza 1 dicembre 1998, C-200/97). 8. - Le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11-nonies, 11-decies, 11-undecies, 11-duodecies, 11-terdecies, relative alla violazione di competenze legislative regionali in base agli artt. 114, 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, e 118 Cost. e alla violazione del principio di leale cooperazione, prospettate, con diversità di argomentazioni, dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Siciliana, da un lato, e Piemonte e Campania, dall'altro, sono fondate limitatamente all'art. 11-nonies e nei termini che seguono. La disciplina in esame si colloca alla confluenza di un insieme di materie: ha per oggetto i rapporti civilistici che attengono agli aeroporti (e, quindi, rientra nella materia dell'ordinamento civile, di potestà legislativa esclusiva dello Stato), investe profili che ineriscono alla tutela della concorrenza (materia anch'essa di potestà legislativa esclusiva dello Stato), ma riguarda gli aeroporti (che rientrano nell'ambito della potestà legislativa concorrente). In ragione della molteplicità degli oggetti disciplinati e degli interessi perseguiti, la disciplina non è, quindi, riferibile ad un unico ambito materiale. La determinazione, con metodi necessariamente uniformi, dei criteri per stabilire il price cap incide sui meccanismi contrattuali tra concessionario, da un lato, e imprese e utenti, dall'altro, ponendo limiti all'autonomia contrattuale (art. 1322, comma primo, codice civile), ed è, pertanto, riconducibile alla materia dell'ordinamento civile prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera i), Cost. Essa, infatti, evita che il concessionario sfrutti il proprio potere di mercato applicando tariffe ingiustamente gravose, attuando pratiche abusive a danno dei consumatori. A ciò va aggiunto che, come già chiarito da questa Corte, sono presenti, in linea generale, nell'ordinamento ipotesi in cui un istituto «sebbene caratterizzato da elementi di sicura matrice pubblicistica, [.] conserva una natura privatistica e rientra nell'ambito materiale dell'ordinamento civile. Nondimeno, esso, per taluni profili non secondari, assolve anche ad una funzione di garanzia della concorrenzialità del mercato e, quindi, anche per questo aspetto appartiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato» (sentenza n. 401 del 2007). Nella specie, la disciplina in esame può essere perciò parzialmente ricondotta anche all'ambito della tutela della concorrenza, prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., perc hé risponde alla finalità di evitare che il concessionario estenda abusivamente la propria posizione dominante in mercati contigui. Infine, le disposizioni impugnate, pur riguardando gli aeroporti, non possono essere interamente ricondotte alla relativa materia. Questa, collocata nell'art. 117, terzo comma, Cost. dopo il «governo del territorio» e prima delle «grandi reti di trasporto e navigazione», riguarda principalmente le infrastrutture e la loro collocazione sul territorio. Per la stessa ragione, la disciplina non può essere interamente compresa nella materia delle «comunicazioni e trasporti regionali di qualsiasi genere» (art. 17 Statuto regionale siciliano), come prospettato dalla Regione Siciliana. Nel caso in esame, però, la disciplina delle relazioni contrattuali incide sulla gestione degli aeroporti civili. Viene, quindi, in rilievo una ipotesi di interferenza di competenze legislative statali e regionali, che rende necessario applicare il principio di leale collaborazione. Questo «si deve sostanziare in momenti di reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento dei livelli di governo statale e regionale» (sentenze n. 240 del 2007 e n. 213 del 2006). Tale incidenza rende necessaria l'applicazione di uno dei moduli di concertazione tra organi statali e regionali. Pertanto, considerate le interferenze e le connessioni esistenti - come sopra rilevato - fra le diverse materie, è ragionevole ritenere che, prima della adozione della delibera del CIPE p revista dall'art.11-nonies, debba essere acquisito il parere della Conferenza unificata di cui dall'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali). Questa Corte ha già rilevato che «il principale strumento che consente alle Regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale è costituito dal sistema delle Conferenze. Esso [.] realizza una forma di cooperazione di tipo organizzativo e costituisce una delle sedi più qualificate per l'elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione» (sentenze nn. 401 e 201 del 2007, nonché, con riferimento ad un procedimento di deliberazione CIPE, sentenza n. 242 del 2005). 9. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 11-duodecies sollevata dalla Regione Piemonte perchè i decreti che dovranno essere emanati per stabilire le nuove misure in tema di sicurezza aeroportuale illegittimamente prescindono da ogni intesa o collaborazione da parte delle regioni, non è fondata. La norma impugnata rimette a decreti del Ministero dei trasporti, previa istruttoria effettuata dall'Enac, la definizione delle attività necessarie a garantire la sicurezza aeroportuale relativa al controllo bagagli e passeggeri, la ripartizione di tali attività fra gestori aeroportuali e vettori e la determinazione degli importi dovuti all'erario dai concessionari dei servizi di controllo esistenti in ambito aeroportuale e di quelli posti a carico dell'utenza. Questa norma attiene alla materia della sicurezza dei passeggeri e degli operatori in ambito aeroportuale, che ricade nella «sicurezza dello Stato e ordine pubblico» e nella «protezione dei confini nazionali» e rientra, quindi, nella competenza esclusiva dello Stato in base all'art. 117, secondo comma, lettere d), h) e q), Cost. Spetta, quindi, allo Stato, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione ricorrente, di adottare una disciplina applicativa. 10. - La questione proposta dalla Regione Campania in relazione all'art. 118 Cost. e riguardante le modalità di redazione dei piani di intervento infrastrutturale previsti dall'art. 11-undecies, è fondata. La Corte ha affermato che «per le ipotesi in cui ricorra una "concorrenza di competenze", la Costituzione non prevede espressamente un criterio di composizione delle interferenze. In tal caso - ove [...] non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, che renda dominante la relativa competenza legislativa - si deve ricorrere al canone della "leale collaborazione", che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze» (sentenze nn. 219 e 50 del 2005). Nella materia aeroportuale, per il rilascio della concessione per la gestione di aeroporti, la nuova formulazione dell'art. 704 del codice della navigazione, introdotta dal d. lgs. 9 maggio 2005, n. 96 (Revisione della parte aeronautica del codice della navigazione, a norma dell'art. 2 della legge 9 novembre 2004, n. 265), prevede che sia sentita la Regione competente nel cui territorio ricade l'aeroporto oggetto di concessione. Inoltre l'art. 698 del codice della navigazione, prevede che, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, siano individuati gli aeroporti di interesse nazionale . Considerato che la materia dei piani d'intervento infrastrutturale coinvolge interessi della Regione e degli enti locali, la questione deve essere accolta nella parte in cui l'art. 11-undecies non prevede, su tali piani, il parere della Regione interessata. 11. - Le residue censure riferite agli altri parametri evocati, restano assorbite. LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara inammissibile l'intervento in giudizio di Aeroporti di Roma e Società Alitalia-Linee Aeree Italiane s.p.a.; 2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 11-nonies e 11-decies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), sollevata dalla Regione Emilia-Romagna con riferimento all'art. 41 della Costituzione con il ricorso in epigrafe; 3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 11-nonies e 11-decies del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, sollevata dalla Regione Siciliana con riferimento all'art. 119, primo e quarto comma, della Costituzione e agli artt. 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello Statut o regionale della Regione Siciliana), con il ricorso in epigrafe; 4) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 11-nonies del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, nella parte in cui non prevede che, prima dell'adozione della delibera CIPE, sia acquisito il parere della Conferenza unificata; 5) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 11-undecies, comma 2, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, nella parte in cui, con riferimento ai piani di intervento infrastrutturale, non prevede che sia acquisito il parere della Regione interessata; 6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11-nonies, 11-decies e 11-terdecies, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, sollevate, con riferimento agli artt. 117, primo comma, e 11 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso in epigrafe; 7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11-nonies, 11-decies, 11-undecies, 11-duodecies, 11-terdecies, relative alla violazione di competenze legislative regionali in base agli artt. 114, 117, secondo, terzo, quarto, e sesto comma, e 118 della Costituzione, prospettate dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Siciliana, Piemonte e Campania, con i ricorsi in epigrafe. Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Sabino CASSESE, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Franco BILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " ORDINANZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), promossi con ordinanze del 24 gennaio (n. 2 ordinanze) e del 10 maggio 2006 dal Tribunale di Castrovillari, del 22 agosto 2005 e del 26 luglio 2006 dal Tribunale di Firenze, del 14 ottobre 2005 dal Tribunale di Genova, del 18 agosto 2006 dal Tribunale di Trieste, del 13 aprile e del 2 novembre 2006 (n. 2 ordin anze) dal Tribunale di Torino, del 18 luglio 2006 dal Tribunale di Gorizia, rispettivamente iscritte ai nn. 145 e 146 del registro ordinanze 2006 e al n. 8 del registro ordinanze 2007; al n. 193 del registro ordinanze 2006 e al n. 120 del registro ordinanze 2007; al n. 602 del registro ordinanze 2006; al n. 134 del registro ordinanze 2007; ai nn. 203, 247 e 248 del registro ordinanze 2007; al n. 221 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 21 e 26, prima serie speciale, dell'anno 2006, nn. 2, 7, 12, 13, 15, 16, prima serie speciale, dell'anno 2007 e nella edizione straordinaria del 26 aprile 2007. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 30 gennaio 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri. Ritenuto che il Tribunale di Castrovillari in composizione monocratica, con tre ordinanze di tenore analogo, deliberate rispettivamente il 24 gennaio 2006 (r.o. nn. 145 e 146 del 2006) e il 10 maggio 2006 (r.o. n. 8 del 2007), ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito da ll'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis; che il rimettente - il quale procede in tutti i giudizi a quibus, sia pure con riti diversi, nei confronti di persone di nazionalità straniera, accusate di non avere ottemperato all'ordine di lasciare il territorio nazionale - dubita che la previsione edittale, entro i cui limiti dovrebbe fissare le pene nel caso di condanna degli imputati, sia stata introdotta in armonia con i precetti costituzionali; che per un verso, secondo il giudice a quo, l'inasprimento sanzionatorio attuato con la legge n. 271 del 2004 non trova corrispondenza nella «effettiva offensività della condotta», ma risponde al solo scopo di «ripristinare l'arresto obbligatorio», dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004 (dichiarativa della illegittimità dell'art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui prescriveva l'arresto per il reato di cui al precedente comma 5-ter, all'epoca delineato in forma contravvenzionale); che, per altro verso, l'attuale entità della sanzione applicabile per i reati contestati darebbe luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento rispetto a fattispecie che pure riguarderebbero condotte analoghe, perché relative all'inosservanza di provvedimenti espulsivi e dunque lesive degli identici interessi; che il rimettente richiama, a tale proposito, sia l'inadempienza conseguente all'espulsione disposta dal Ministro dell'interno a norma del comma 1 dell'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, che sarebbe addirittura immune da sanzione penale, sia l'inottemperanza dello straniero espulso per non aver rinnovato il permesso di soggiorno, punita con la pena dell'arresto da sei mesi ad un anno; che il principio di uguaglianza risulterebbe violato anche in esito al raffronto tra la previsione sanzionatoria per l'indebito trattenimento e le pene comminate per condotte che sarebbero ad esso comparabili, come l'inosservanza dei provvedimenti dell'autorità di cui all'art. 650 del codice penale e la disobbedienza all'ordine di rimpatrio prevista dall'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza); che dal difetto di proporzione scaturirebbe, secondo il giudice a quo, anche un contrasto con la prescrizione del terzo comma dell'art. 27 Cost., posto che solo una pena corrispondente alla gravità del fatto può esplicare una vera funzione rieducativa; che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in ciascuno dei tre giudizi, con atti depositati rispettivamente il 13 giugno 2006 (r.o. nn. 145 e 146 del 2006) ed il 6 marzo 2007 (r.o. n. 8 del 2007); che la difesa erariale, con i primi due tra gli atti sopra citati, ha chiesto che la questione di legittimità sia dichiarata manifestamente infondata; che infatti, secondo l'Avvocatura generale, rientra appieno nell'esercizio della discrezionalità legislativa la determinazione di «un trattamento sanzionatorio che, nel rispetto dei principi di legalità, miri ad assicurare un ordinato flusso migratorio», e dunque costituisca adempimento dell'obbligo, per lo Stato ineludibile, di presidiare le proprie frontiere; che la stessa difesa erariale, con l'atto di intervento nel giudizio r.o. n. 8 del 2007, ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o manifestamente infondata; che il rimettente, infatti, avrebbe omesso un'adeguata indicazione in punto di rilevanza della questione sollevata nel giudizio da lui condotto; che l'evoluzione del quadro sanzionatorio per effetto della legge n. 271 del 2004, d'altro canto, non sarebbe affatto irragionevole, posto che il reato di indebito trattenimento era già in precedenza considerato grave (tanto da prevedersi per esso l'obbligatorietà dell'arresto), e che residua, pur dopo la riforma, un'opportuna articolazione tra forme di responsabilità contravvenzionale, per l'ipotesi più lieve dell'inottemperanza ad un ordine di espulsione per mancato rinnovo del permesso di soggiorno, e più gravi fattispecie a carattere delittuoso, che riguardano l'ingresso clandestino nel territorio dello Stato oppure l'omessa richiesta del permesso di soggiorno nei termini prescritti, o infine la revoca del permesso medesimo; che il Tribunale di Firenze in composizione monocratica, con due ordinanze di tenore analogo, deliberate rispettivamente il 22 agosto 2005 (r.o. n. 193 del 2006) e il 26 luglio 2006 (r.o. n. 120 del 2007), ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a qu attro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis; che il rimettente - il quale procede nei giudizi a quibus, sia pure con riti diversi, nei confronti di persone accusate del reato di indebito trattenimento - dubita che i limiti edittali della sanzione, cui dovrebbe far riferimento in caso di applicazione della pena su richiesta o di condanna degli imputati, siano stati fissati in armonia con i precetti costituzionali; che l'incongruenza del trattamento sanzionatorio sarebbe manifesta alla luce della vicenda evolutiva che ha segnato la materia, posto che le pene per l'indebito trattenimento sarebbero state «macroscopicamente» inasprite, per specie e quantità, ad appena due anni dall'introduzione della fattispecie incriminatrice, senza alcuna corrispondenza con una modificazione sostanziale del fenomeno regolato; che del resto, a parere del rimettente, il legislatore avrebbe reso manifesta la ratio diversa ed effettiva del proprio intervento, mirato a contrastare gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004 - con cui era stata dichiarata l'illegittimità dell'art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui stabiliva che, per il reato previsto dal precedente comma 5-ter, fosse obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto - ed a consentire, in particolare, il ripristino della previsione di arresto per lo straniero illegalmente trattenutosi nel territorio nazionale; che la «trasposizione di un'esigenza processuale nel diritto penale sostanziale», secondo il giudice a quo, sarebbe sintomo evidente della rottura del rapporto di proporzionalità tra fatto e pena; che una violazione del principio di uguaglianza emergerebbe anche in esito al raffronto del trattamento previsto per l'indebito trattenimento con quello riservato ad altre ipotesi criminose - quali l'inosservanza di un provvedimento legalmente dato per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o di igiene (art. 650 cod. pen.) e la contravvenzione al foglio di via obbligatorio (art. 2 della legge n. 1423 del 1956) - che sarebbero ad esso comparabili in quanto consistenti, a loro volta, nella disobbedienza ad un ordine impartito dall'autorità amministrativa a fini di tutela dell'ordine pubblico; che pertanto, secondo il rimettente, la norma censurata contrasterebbe con il principio di uguaglianza sia in rapporto alle sanzioni previste per la medesima fattispecie soltanto due anni prima della sua introduzione, sia in esito al raffronto con le pene comminate per comportamenti illeciti della stessa natura; che dal difetto di proporzionalità scaturirebbe anche un contrasto della norma censurata con l'art. 27, terzo comma, Cost., posto che solo una pena corrispondente alla gravità del fatto può esplicare una vera funzione rieducativa; che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel solo giudizio r.o. n. 193 del 2006, con atto depositato il 18 luglio 2006, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata; che infatti, secondo la difesa erariale, rientra appieno nell'esercizio della discrezionalità legislativa la determinazione di «un trattamento sanzionatorio che, nel rispetto dei principi di legalità, miri ad assicurare un ordinato flusso migratorio», e dunque costituisca adempimento dell'obbligo, per lo Stato ineludibile, di presidiare le proprie frontiere; che il Tribunale di Genova in composizione monocratica, con ordinanza del 14 ottobre 2005 (r.o. n. 602 del 2006), ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dell o Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis; che il rimettente, il quale procede con rito abbreviato nei confronti di uno straniero accusato del reato di indebito trattenimento, ritiene che i valori edittali della sanzione, entro i quali dovrebbe essere fissata la pena da irrogare per il caso di condanna, siano irragionevolmente alti, comportando una violazione del principio di uguaglianza e di necessaria funzionalità rieducativa della pena; che anzitutto, secondo il giudice a quo, l'inasprimento sanzionatorio attuato con la legge n. 271 del 2004 non troverebbe corrispondenza in un concreto aggravamento del fenomeno criminoso regolato, ed avrebbe avuto il solo scopo di legittimare una nuova previsione di arresto dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004, la quale aveva stabilito l'illegittimità della misura in riferimento alla natura contravvenzionale che all'epoca caratterizzava il reato di indebito trattenimento; che d'altra parte gli attuali livelli della sanzione, ed in particolare quello minimo, risulterebbero eccessivi sia considerando fattispecie punite in modo sostanzialmente analogo, ma pertinenti a fatti di maggiore gravità, sia considerando fattispecie sanzionate in termini assai più blandi, per quanto pertinenti a comportamenti sostanzialmente analoghi a quello in considerazione; che il rimettente evoca, nella prima prospettiva, il delitto di cui all'art. 14, comma 5-quater, dello stesso d.lgs. n. 286 del 1998, consistente nell'indebito reingresso nel territorio nazionale di persona già espulsa: fattispecie più grave di quella cui si riferisce la norma censurata, e come tale trattata dal legislatore fino alla riforma introdotta con la legge n. 271 del 2004, che avrebbe invece irragionevolmente equiparato (salvo che per una lieve differenza nel massimo) il trattamento sanzionatorio delle due ipotesi di reato; che l'indebito trattenimento sarebbe, invece, comparabile per gravità ad altre figure criminose - sanzionate con pene assai più lievi per specie e quantità - quali l'inosservanza di un provvedimento dell'autorità, di cui all'art. 650 cod. pen., e la contravvenzione al foglio di via obbligatorio, di cui all'art. 2 della legge n. 1423 del 1956; che secondo il rimettente la deroga al principio di proporzionalità, oltre che integrare una violazione del criterio di uguaglianza, priverebbe la pena della necessaria funzione rieducativa, con conseguente lesione del principio di cui al terzo comma dell'art. 27 Cost.; che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 30 gennaio 2007, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata; che la riforma attuata con la legge n. 271 del 2004 avrebbe riguardato un reato già considerato grave, vista l'originaria previsione dell'arresto, e comunque avrebbe opportunamente distinto tra le varie ipotesi di condotta conseguenti all'espulsione, conservando la forma contravvenzionale per le fattispecie meno gravi e realizzando, di conseguenza, una ragionevole ed articolata dosimetria della pena; che il Tribunale di Trieste in composizione monocratica, con ordinanza del 18 agosto 2006 (r.o. n. 134 del 2007), ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartitogli dal questore ai sensi del precedente comma 5-bis; che il rimettente è chiamato a deliberare sentenza, in esito a giudizio abbreviato, nei confronti di uno straniero imputato del reato di indebito trattenimento, per il quale il pubblico ministero ha formulato richiesta di irrogazione della minima pena consentita dalla legge, e ritiene che i valori edittali della sanzione, entro i quali dovrebbe essere fissata la pena per il caso di condanna, siano irragionevolmente elevati; che il giudice a quo - nel richiamarsi alla giurisprudenza costituzionale che avrebbe prospettato l'illegittimità di previsioni concernenti sanzioni irragionevoli o sproporzionate, alla luce del principio di uguaglianza ed anche di quello di necessaria finalizzazione rieducativa della pena - concentra la propria attenzione, in particolare, sulla pronuncia con la quale è stata dichiarata manifestamente infondata una questione concernente la pena minima edittale per il delitto di estorsione, che il legislatore aveva aumentato dal valore originario (tre anni) fino alla soglia dei cinque anni (ordinanza n. 368 del 1995); che l'illegittimità della disposizione era stata esclusa, nella specie, in quanto l'inasprimento della pena non aveva determinato «macroscopiche differenze» rispetto al trattamento sanzionatorio della rapina, fattispecie giudicata per altro «non del tutto assimilabile» a quella dell'estorsione, ed era stato attuato anche per indurre una risposta repressiva più determinata ad un fenomeno criminale in piena evoluzione; che il rimettente deduce dalla pronuncia evocata, a contrario, che una «macroscopica differenza» nel trattamento sanzionatorio, non giustificata da mutamenti del fenomeno criminale sottostante, darebbe luogo ad un contrasto con i parametri costituzionali dell'uguaglianza e della finalizzazione rieducativa della pena; che, nella specie, una «differenza» risolutiva - a fini dimostrativi dell'illegittimità della riforma attuata con la legge n. 271 del 2004 - risulterebbe evidente comparando la relativa previsione sanzionatoria con quella introdotta appena due anni prima, e constatando come il fenomeno regolato non avesse subito modificazioni sostanziali; che la sproporzione per eccesso della pena per l'indebito trattenimento sarebbe documentata, inoltre, dal raffronto con altre previsioni concernenti fattispecie di inottemperanza ad un ordine dato dall'autorità per ragioni di sicurezza ed ordine pubblico (sono citati l'art. 650 cod. pen. e l'art. 2 della legge n. 1423 del 1956); che la previsione sanzionatoria sarebbe assimilabile, d'altro canto, a quella concernente la contravvenzione agli obblighi ed alle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno (art. 9, comma 2, della citata legge n. 1423 del 1956), cioè una condotta assai più grave, in quanto riferibile a soggetto dalla pericolosità già accertata con un provvedimento giudiziale, e caratterizzata dall'attiva violazione del precetto, consistente, a seconda dei casi, nell'allontanarsi da un certo luogo o nel raggiungere un certo luogo; che, in definitiva, la previsione oggetto della censura, risultando sproporzionata sia rispetto ai valori di pena precedentemente fissati per il medesimo reato, sia rispetto alle sanzioni previste per fattispecie analoghe, implicherebbe un sacrificio non giustificato del bene della libertà personale, che per lo straniero trova tutela in tutto corrispondente a quella assicurata per il cittadino; che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 17 aprile 2007, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata per ragioni analoghe a quelle già illustrate con l'atto di intervento nel giudizio r.o. n. 602 del 2006; che il Tribunale di Torino in composizione monocratica, con tre ordinanze di tenore analogo, deliberate rispettivamente il 13 aprile 2006 (r.o. n. 203 del 2007) e il 2 novembre 2006 (r.o. nn. 247 e 248 del 2007), ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis; che il rimettente - il quale procede nei giudizi a quibus, sia pure con riti diversi, nei confronti di persone accusate del reato di indebito trattenimento - assume che la previsione concernente i limiti edittali della sanzione, cui dovrebbe far riferimento in caso di applicazione della pena su richiesta o di condanna degli imputati, sarebbe irrazionale, e comunque discriminatoria, per il trattamento più severo previsto rispetto a quello concernente altre condotte, del tutto assimilabili eppure sanzionate in misura assai minore, o addirittura immuni da conseguenze penali; che il giudice a quo richiama in proposito norme contenute nello stesso d.lgs. n. 286 del 1998, che riguardano ulteriori condotte di inottemperanza all'ordine di lasciare il territorio dello Stato, punite solo con la pena dell'arresto da sei mesi ad un anno (in caso di espulsione conseguente alla mancata richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno), o addirittura penalmente irrilevanti (come nel caso dell'espulsione disposta dal Ministro dell'interno a norma del comma 1 dell'art. 13 del citato d.lgs. n. 286 del 1998); che, secondo il rimettente, il legislatore non avrebbe potuto differenziare il trattamento penale delle varie condotte di inottemperanza in ragione della causa del provvedimento di espulsione rimasto ineseguito, posto che la lesione del bene giuridico sarebbe per tutte identica, e per tutte si realizzerebbe con l'inutile scadenza del termine per l'abbandono del territorio nazionale; che piuttosto lo stesso legislatore, in osservanza del criterio di proporzionalità, avrebbe dovuto assimilare il trattamento della condotta in esame a quello di comportamenti previsti da altre norme poste a tutela dell'ordine pubblico, come l'art. 650 cod. pen. e l'art. 2 della legge n. 1423 del 1956; che in particolare, a parere del rimettente, la piena comunanza di struttura e di oggetto giuridico tra le previsioni appena citate e quella censurata comproverebbe che il più severo trattamento dipende, nella specie, dalla cittadinanza straniera dell'autore della violazione, e quindi introduce una discriminazione inammissibile, se riferita ad un diritto fondamentale qual è la libertà della persona; che l'incongruenza del trattamento sanzionatorio rispetto alle caratteristiche offensive della condotta sarebbe documentata, secondo il giudice a quo, anche dall'evidente finalismo dell'opzione compiuta con la legge n. 271 del 2004, volta a fissare una pena che consentisse, a mente dell'art. 280 del codice di procedura penale, l'applicazione di una misura cautelare carceraria e dunque, pur dopo la sentenza n. 223 del 2004 della Corte costituzionale, la previsione dell'arresto obbligatorio; che, infine, la sproporzione per eccesso della previsione sanzionatoria determinerebbe anche la violazione del terzo comma dell'art. 27 Cost., atteso che la finalità rieducativa della pena deve essere assicurata non solo con riguardo alla fase esecutiva, ma anche in sede di astratta comminazione, e che detta finalità sarebbe vanificata da una punizione manifestamente eccessiva dell'interessato; che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in ciascuno dei tre giudizi, con atti depositati rispettivamente il 30 aprile 2007 (r.o. n. 203 del 2007) e il 16 maggio 2007 (r.o. nn. 247 e 248 del 2007), chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata; che l'intervento di riforma attuato con la legge n. 271 del 2004 avrebbe riguardato un reato già considerato grave, vista l'originaria previsione dell'arresto per il responsabile, e comunque avrebbe opportunamente distinto tra le varie ipotesi di condotta conseguenti all'espulsione, conservando la forma contravvenzionale per le fattispecie meno gravi e realizzando, di conseguenza, una ragionevole ed articolata dosimetria della pena; che il Tribunale di Gorizia in composizione monocratica, con ordinanza del 18 luglio 2006 (r.o. n. 221 del 2007), ha sollevato - in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 27, terzo comma, Cost. - questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede il limite edittale minimo di un anno di reclusione per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis; che il rimettente - chiamato a deliberare sentenza, in esito a giudizio abbreviato, nei confronti di uno straniero imputato del reato di indebito trattenimento - dubita della legittimità della previsione che fissa il minimo edittale della pena in un anno di reclusione, previsione che dovrebbe in concreto applicare, nel caso di condanna, dato tra l'altro che l'imputato è immune da precedenti; che secondo il rimettente, alla luce della giurisprudenza costituzionale, le scelte del legislatore nella determinazione delle pene, discrezionali solo entro il limite della ragionevolezza, non potrebbero risolversi nella comminatoria di sanzioni sproporzionate al disvalore del fatto criminoso (è citata qui, soprattutto, la sentenza n. 341 del 1994), e non potrebbero implicare, senza pregiudizio per la funzionalità rieducativa del trattamento, una palese eccedenza del sacrificio della libertà personale in rapporto all'offesa recata dalla condotta punibile (sentenze n. 313 del 1990 e n. 343 del 1993); che l'esame dei lavori preparatori della legge n. 271 del 2004 - svelando la strumentalità delle modificazioni introdotte per la fattispecie sostanziale al ripristino dell'arresto obbligatorio dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004 - porrebbe in luce come la discrezionalità legislativa non sia stata esercitata, nella specie, in aderenza ai principi sopra indicati; che in particolare, secondo il rimettente, la definizione di un istituto del diritto penale sostanziale alla luce di un'esigenza di carattere processuale varrebbe per se stessa a determinare una lesione dei «principi di ragionevolezza e proporzionalità della pena rispetto alla offensività della condotta»; che, comunque, l'elevata quantificazione del minimo edittale non sarebbe giustificata neppure dall'intento di legittimare la rinnovata prescrizione dell'arresto obbligatorio, posto che l'art. 280 cod. proc. pen., per individuare i fatti suscettibili di dar luogo all'arresto del responsabile, assegna rilevanza esclusiva al massimo della pena prevista dalla disposizione sostanziale; che la disciplina censurata, sempre secondo il Tribunale, sarebbe ingiustamente discriminatoria con riguardo agli stranieri extracomunitari, posto che i cittadini comunitari, per condotte ritenute assimilabili, sarebbero assoggettati ad un trattamento assai meno severo, come avviene per i reati di cui all'art. 650 cod. pen. ed all'art. 2 della legge n. 1423 del 1956; che la previsione oggetto di censura sarebbe in contrasto anche con gli artt. 2 e 3 Cost. «in relazione» al successivo art. 10, posto che tra i diritti inviolabili dell'uomo sarebbe naturalmente compreso anche quello alla libertà personale, rispetto al quale le norme di tutela, appunto «in ragione dell'art. 10 della Costituzione», spiegano «piena vigenza anche nei confronti degli stranieri presenti sul territorio della Repubblica»; che secondo il rimettente, infine, la norma in questione contrasta con il principio di necessaria finalizzazione rieducativa della pena, sia perché riferita a persone non pericolose, e dunque prive di «soggettività criminale da rieducare», sia perché uno scopo di reinserimento sociale non sarebbe configurabile per stranieri non legittimati a restare nel territorio italiano o dell'Unione europea; che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato l'8 maggio 2007, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata per ragioni analoghe a quelle già illustrate con l'atto di intervento nel giudizio r.o. n. 602 del 2006. Considerato che tutte le ordinanze fin qui descritte sollevano questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui determina i limiti edittali della pena per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis; che i Tribunali di Castrovillari, Firenze, Genova, Trieste e Torino censurano la norma indicata con riguardo ai valori asseritamente troppo elevati della previsione edittale (reclusione da uno a quattro anni), e con riferimento generalizzato agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione; che il Tribunale di Gorizia censura la medesima norma nella parte in cui prevede la pena minima della reclusione per un anno, con riferimento, oltre che agli artt. 3 e 27, terzo comma, anche agli artt. 2 e 10 Cost.; che nel complesso i giudici a quibus, dopo aver ricordato che la sanzione originariamente prevista per il reato di indebito trattenimento consisteva nell'arresto da sei mesi ad un anno, e che, a seguito delle modifiche recate dalla legge n. 271 del 2004, la medesima condotta è oggi punita con la reclusione da uno a quattro anni, rilevano che l'inasprimento sarebbe stato attuato per finalità di carattere processuale (la legittimazione di una nuova previsione di arresto obbligatorio), senza alcuna sostanziale modifica del fenomeno criminoso sottostante, e per ciò stesso in violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità della pena; che le sanzioni comminate dalla norma censurata sarebbero palesemente sproporzionate per eccesso rispetto alla gravità effettiva del fatto incriminato; che, nel complesso, i rimettenti pongono in comparazione il trattamento sanzionatorio dell'indebito trattenimento con quello, assai più mite, previsto da disposizioni ritenute assimilabili, perché concernenti a loro volta condotte di inottemperanza a provvedimenti adottati dall'autorità amministrativa per ragioni di sicurezza e di ordine pubblico; che a tale proposito vengono evocati, in particolare, l'art. 650 del codice penale (recante la rubrica «Inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità»), che prevede l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino ad euro 206; l'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza), relativo alla contravvenzione al foglio di via obbligatorio, punita con l'arresto da uno a sei mesi; l'art. 14, comma 5-ter, seconda parte, dello stesso d.lgs. n. 286 del 1998, che punisce con l'arresto da sei mesi ad un anno lo straniero che non ottemperi all'ordine di allontanamento dopo essere stato espulso per non aver chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno in precedenza ottenuto; che il Tribunale di Genova, inoltre, istituisce una comparazione tra la norma censurata e l'art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, che prevede pene di analoga portata per condotte di gravità asseritamente maggiore, in quanto riferibili, nel complesso, ad uno straniero già espulso dal territorio dello Stato e nondimeno sorpreso sul territorio nazionale in violazione delle norme sull'immigrazione; che una comparazione di senso analogo è istituita, dal Tribunale di Trieste, con riguardo alla contravvenzione agli obblighi ed alle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno (art. 9, comma 2, della citata legge n. 1423 del 1956), cioè ad una condotta ritenuta assai più grave dell'indebito trattenimento, e però sanzionata in misura equivalente; che tutte le ordinanze di rimessione prospettano il contrasto tra la norma censurata ed il terzo comma dell'art. 27 Cost., in quanto la relativa previsione sanzionatoria, essendo priva di proporzionalità rispetto al fatto incriminato, non potrebbe assolvere alla necessaria funzione rieducativa della pena; che inoltre, secondo il Tribunale di Gorizia, non potrebbe configurarsi un fine di reinserimento sociale per pene inflitte a stranieri comunque destinati all'espulsione dal territorio dello Stato e da quello dei Paesi dell'Unione europea; che, sempre a parere del Tribunale di Gorizia, la norma censurata comporterebbe anche una violazione degli artt. 2 e 3 Cost., in relazione al successivo art. 10, posto che sarebbe compresso il diritto inviolabile alla libertà personale, cui deve assicurarsi tutela anche per quanto concerne gli stranieri presenti nel territorio della Repubblica; che, data la pertinenza di tutte le questioni sollevate al trattamento sanzionatorio del reato previsto dall'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, può essere disposta la riunione dei relativi giudizi; che dette questioni sono sostanzialmente identiche ad altre, che questa Corte ha già dichiarato inammissibili con la sentenza n. 22 del 2007 e manifestamente inammissibili con le ordinanze nn. 167 e 354 del 2007; che, non sussistendo ragioni per discostarsi dalle valutazioni recentemente compiute, deve dichiararsi la manifesta inammissibilità anche delle questioni in esame. LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in v iolazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dai Tribunali di Castrovillari, Firenze, Genova, Trieste e Torino con le ordinanze indicate in epigrafe; dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena minima di un anno di reclusione per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 27, terzo comma, Cost., dal Tribunale di Gorizia con l'ordinanza indicata in epigrafe; Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 2008. F.to: Franco BILE, Presidente Gaetano SILVESTRI, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2008. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA |