REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.1405/2006
Reg.Dec.
N. 4623 Reg.Ric.
ANNO 2005
Disp.vo 627/2005
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 4623/2005, proposto dall’Autorita' per l'energia elettrica e il gas, in persona del rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio eletto in Roma via dei Portoghesi n. 12;
contro
S.I.ME. S.p.a., in persona del rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Luca A. Lanzalone, Luigi Manzi e Marco Mazzarelli con domicilio eletto in Roma via Federico Confalonieri n. 5, presso l’avv. Luigi Manzi;
Amga Commerciale S.p.a., in persona del rappresentante legale p.t., non costituitasi;
Energia S.p.a., Consorzio Friuli Energia, in persona dei rispettivi rappresentanti legali p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Marcello Mole', Mario Bucello e Simona Viola con domicilio eletto in Roma via delle Quattro Fontane n.15, presso l’avv. Marcello Mole';
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia sede di Milano sez. IV n. 681/2005;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 6 dicembre 2005 il relatore estensore Consigliere Francesco Caringella e il relatore Consigliere Roberto Chieppa ed uditi, altresì, gli avvocati Manzi, Mazzarelli, Mole’, Viola e l’avv. dello Stato Tortora;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O E D I R I T T O
1. Con la deliberazione n. 170/04 l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (di seguito, Autorità) ha stabilito i criteri per la determinazione delle tariffe relative all’attività di distribuzione del gas naturale nel secondo periodo di regolazione del mercato, intercorrente dal 1° ottobre 2004 al 30 settembre 2008.
Numerosi operatori del settore della distribuzione del gas naturale, tra cui l’odierna appellata, hanno impugnato tale deliberazione davanti al Tar Lombardia.
Con l’impugnata sentenza il Tar ha accolto in parte il ricorso, annullando la deliberazione limitatamente alle parti:
a) in cui è stato determinato il VRD per il secondo periodo di regolazione senza tenere conto degli investimenti che sono stati, e che saranno, effettuati dalle imprese successivamente all’anno termico 2002/2003;
b) in cui è stato stabilito un recupero di produttività costante per l’intera durata del periodo regolatorio.
Avverso tale decisione è stato proposto, per i motivi di seguito indicati, appello principale da parte dell’Autorità e appello incidentale da parte dell’impresa ricorrente in primo grado.
Altri operatori del settore sono intervenuti per contrastare il ricorso in appello incidentale.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Preliminarmente è opportuno descrivere il quadro normativo e il contenuto della deliberazione n. 170/04.
L’articolo 1, comma 1, della legge n. 481/95 prevede che l’Autorità definisce un ordinamento tariffario: - "certo, trasparente e basato su criteri predefiniti"; - di tutela degli interessi di clienti e consumatori attraverso "la promozione della concorrenza e dell’efficienza"; - in grado di assicurare la fruibilità e la diffusione del servizio con adeguati livelli di qualità in condizioni di economicità e redditività e di "armonizzare gli obiettivi economico-finanziari dei soggetti esercenti il servizio con gli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse".
L’articolo 2, della legge n. 481/95 prevede: - che l’Autorità stabilisce ed aggiorna, in relazione all’andamento del mercato, la tariffa base, i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le tariffe, nonché le modalità per il recupero dei costi eventualmente sostenuti nell’interesse generale, in modo da assicurare la qualità, l’efficienza del servizio e l’adeguata diffusione del medesimo sul territorio nazionale, nonché la realizzazione degli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse, tenendo separato dalla tariffa qualsiasi tributo od onere improprio; - che le tariffe devono essere intese come prezzi massimi del servizio al netto delle imposte.
L’articolo 23, commi 2 e 4 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 stabilisce, tra l’altro, che l'Autorità determina le tariffe per la distribuzione di gas naturale: - in modo da assicurare una congrua remunerazione del capitale investito; - tenendo conto della necessità di remunerare iniziative volte ad innalzare l’efficienza di utilizzo dell’energia; - promuovendo l’uso delle fonti rinnovabili, la qualità, la ricerca e l’innovazione finalizzata al miglioramento del servizio; - non penalizzando le aree in corso di metanizzazione e quelle con elevati costi unitari.
La distribuzione del gas naturale consiste nel trasporto di gas naturale attraverso reti di gasdotti locali per la consegna ai clienti (art. 2, lett. n) del D. Lgs. n. 164/00).
Ai fini dell’aggiornamento delle tariffe, la legge n. 481/95 prevede l’utilizzo da parte dell’Autorità del meccanismo del price-cap, cioè di uno schema tariffario incentivante in base al quale l’Autorità, identificando, tra l’altro, il livello di costi da riconoscere agli esercenti, persegue un obbiettivo annuale di recupero di produttività.
Per il primo periodo di regolazione, l’Autorità, con deliberazione 28 dicembre 2000, n. 237/00, ha definito i criteri per la determinazione delle tariffe per le attività di distribuzione del gas e di fornitura ai clienti del mercato vincolato.
Tale deliberazione è stata annullata con diverse sentenze del Tar Lombardia, passate in giudicato, con cui, tra l’altro, è stata ritenuta l’illegittimità dell’introduzione di un metodo esclusivamente parametrico per il calcolo delle tariffe di distribuzione del gas, senza consentire il calcolo del capitale investito sulla base dei costi effettivamente sostenuti dalle imprese (metodo individuale).
Con la deliberazione n. 170/04 l’Autorità ha fissato il criterio c.d. parametrico per la determinazione delle tariffe di distribuzione del gas per il secondo periodo di regolazione (1° ottobre 2004 al 30 settembre 2008), rinviando ad una successiva deliberazione l’adozione del criterio di determinazione della tariffa secondo il metodo individuale.
L’Autorità ha ritenuto di dover applicare al gas naturale il criterio desumibile dall’art.1 quinquies, comma 7, della legge 27 ottobre 2003, n. 290, con cui per il settore elettrico è stato stabilito che il meccanismo del price-cap di aggiornamento delle tariffe elettriche sia applicato limitatamente ai costi operativi e agli ammortamenti, escludendo quindi i costi riconosciuti a remunerazione del capitale investito.
Il nuovo criterio introdotto consiste nell’applicare al valore del vincolo sui ricavi (VRD) riconosciuto per l’anno termico 2003-2004, il meccanismo del price cap, tenuto conto del tasso di variazione medio annuo, riferito ai dodici mesi precedenti, dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, rilevato dall’Istat e di un coefficiente di recupero di produttività pari al 5%, ponderato per la quota parte delle componenti costo di gestione e quota ammortamento sul totale del vincolo sui ricavi.
E’ poi necessaria una successiva operazione, in relazione alla quale assume rilievo il tasso di remunerazione sul capitale, fissato per il secondo periodo di regolazione al 7,5% rispetto all’8,8% del periodo precedente.
3. Con il ricorso in appello l’Autorità ha innanzitutto precisato di aver prestato acquiescenza ed ottemperato al profilo sub a) indicato in precedenza e relativo all’omessa considerazione ai fini del calcolo del vincolo sui ricavi di distribuzione dei nuovi investimenti.
L’oggetto del ricorso in appello principale è quindi limitato alla seconda statuizione con cui il Tar ha ritenuto la deliberazione n. 170/04 illegittima nella parte in cui era stata prevista una percentuale di recupero di produttività costante (5%) per l’intero periodo regolatorio, anziché decrescente.
Secondo l’Autorità, il recupero di produttività, contrariamente a quanto sostenuto dal Tar, non sarebbe stato determinato in maniera costante, ma sarebbe stato invece decrescente perché applicato su una base di calcolo rappresentata dal vincolo sui ricavi dell’anno precedente, già ridotta a seguito dell’applicazione nell’anno precedente del c.d. metodo del price-cap.
Il motivo è privo di fondamento.
L’Autorità ha utilizzato il coefficiente del recupero di produttività al fine di incentivare le imprese al progressivo raggiungimento dei costi efficienti, attraverso l’indicazione dell’obiettivo di efficienza per il settore. Il metodo del price cap per l’aggiornamento del vincolo sui ricavi risulta infatti lo strumento essenziale per stimolare il recupero di efficienza, incentivando le imprese ad attivare azioni di riduzione dei costi con obiettivi ed effetti anche superiori al tasso prefissato dall’Autorità, al fine di trattenere i maggiori recuperi di produttività all’interno dell’azienda stessa a titolo di profitto.
Costituisce fatto notorio la circostanza che i risparmi derivanti dal miglioramento di efficienza vanno diminuendo con gli anni fino addirittura ad esaurirsi (in assenza ad esempio di nuove tecnologie o di nuovi processi produttivi, come avviene negli Stati Uniti dove il recupero di produttività nel comparto gas, elettricità e acqua è ormai prossimo allo zero).
Di conseguenza, è corretto quanto affermato dal Tar, secondo cui il recupero produttività deve essere decrescente.
Il coefficiente di recupero di produttività è stato invece fissato dall’Autorità in maniera costante per l’intero periodo di regolazione nella misura del 5 %.
Come già detto, l’Autorità non contesta che il recupero di produttività debba essere decrescente, ma sostiene che tale obiettivo sia stato, nel caso di specie, raggiunto non attraverso una percentuale decrescente del recupero di produttività, ma tramite una percentuale di recupero di produttività costante applicata però su una quota di VRD relativa a costi operativi e ammortamento decrescente.
Pur essendo vero che la percentuale di recupero di produttività si applica su una base di calcolo decrescente (per effetto della riduzione del VRD effettuata nell’anno precedente), si osserva che in realtà tale riduzione non è assolutamente significativa e soprattutto non è idonea a compensare in modo proporzionato il fisiologico contrarsi dei livelli di efficienza, che si determina man mano che il recupero di produttività raggiunge un punto di equilibrio in cui non c’è più spazio per significativi miglioramenti.
Come rilevato dal Tar, l’Autorità avrebbe, quindi, dovuto stabilire livelli di efficienza in progressiva riduzione da raggiungere nel periodo in questione, e parametrare a questi il recupero di produttività obbligatorio per gli operatori.
Nell’impugnato provvedimento e negli atti istruttori non vi è invece alcuna traccia di una indagine mirata ad accertare il corretto livello di progressiva diminuzione del recupero di produttività in relazione ai decrescenti margini di recupero di efficienza.
L’impugnata sentenza deve quindi essere sul punto confermata.
4. L’Autorità ha anche impugnato la sentenza di primo grado, in via meramente cautelativa nel caso in cui fosse ritenuto che la statuizione di annullamento del Tar abbia coinvolto anche la determinazione del tasso di recupero di produttività fissato al 5 % da calcolare limitatamente ai costi operativi e agli ammortamenti, escludendo quindi i costi riconosciuti a remunerazione del capitale investito.
La censura è inammissibile per difetto di interesse, in quanto deve ritenersi che con l’impugnata sentenza il giudice di primo grado non abbia annullato la deliberazione n. 170/04 anche sotto tali profili.
Pur essendo presenti nell’impugnata sentenza alcune considerazioni relative all’aumento del livello di produttività dal 3 % al 5 %, l’unica censura effettivamente accolta dal Tar è stata quella relativa alla determinazione in misura costante della percentuale del recupero di produttività.
Del resto, con la recente sentenza n. 3403/2005, resa in sede di esecuzione, lo stesso Tar Lombardia ha sostanzialmente “interpretato autenticamente” le proprie decisioni, qui impugnate, rilevando che “la citata sentenza, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non ha annullato, per quel che qui interessa, la delibera 170/04 nella parte in cui l’AEEG ha aumentato il tasso di recupero della produttività dal 3% al 5%, ma l’ha annullata nella parte relativa agli artt. 7, punto 7.1 ed 8, che mantenevano il tasso di recupero del 5% costante nel tempo. La misura del tasso iniziale di recupero non è stata pertanto oggetto di annullamento giurisdizionale”.
Peraltro, anche volendo convertire in motivi di ricorso in appello incidentale le deduzioni svolte dall’impresa appellata sul punto, si osserva che il coefficiente di recupero di produttività adottato per la determinazione del vincolo sui ricavi del secondo periodo di regolazione, pari al 5%, risulta essere in linea con quello stabilito per il primo periodo di regolazione, pari al 3%.
Infatti, la nuova percentuale del 5 % si applica solo sulle componenti del vincolo relative ai costi di gestione e alla quota ammortamento e non sul totale del vincolo, comprensiva dei costi riconosciuti a remunerazione del capitale investito, come avveniva per il primo periodo di regolazione.
Tale scelta, effettuata in applicazione analogica di quanto previsto per il settore elettrico dall’art. 1 quinques della legge n. 290/2003, è del tutto logica e ragionevole in quanto i costi del capitale investito sono variabili non dipendenti dalla migliore efficienze delle imprese.
Inoltre, l’applicazione della nuova percentuale viene effettuata su una quota parte del vincolo, corrispondente in media al 58,16 % del vincolo, con la conseguenza che il tasso del 5 % corrisponde, ed anzi è lievemente inferiore a quello determinato nel primo periodo di regolazione nella misura del 3 % ma da applicare all’intero vincolo (v. punto 6.4. della Relazione tecnica).
E’ infine anche logico e ragionevole che l’Autorità determini la base di partenza del recupero di produttività in misura corrispondete a quella utilizzata nel precedente periodo di regolazione, a condizione però che tale recupero sia poi decrescente, come in precedenza affermato.
Di per sé non costituisce quindi motivo di illegittimità il fatto che il tasso di recupero di produttività sia stato determinato per il settore elettrico nella misura del 3,5 % (deliberazione n. 5/04), in quanto proprio in considerazione della descritta esigenza di rendere decrescente tale margine l’Autorità dovrà tenere conto anche di quanto effettuato in relazione al settore elettrico, considerato che nella stessa delibera 170/04 tale settore è stato richiamato per analogie con il mercato del gas.
5. Si deve a questo punto passare ad esaminare i motivi dell’appello incidentale proposto dalla ricorrente in primo grado.
Con una prima censura viene dedotta la violazione del principio del giusto procedimento: gli operatori del settore non sarebbero stati posti in grado di partecipare in modo effettivo al procedimento.
La censura è infondata non perché ai procedimenti regolatori non si applichino le norma sulla partecipazione e sulla motivazione degli atti amministrativi, ma perché le regole del giusto procedimento sono state in concreto rispettate.
Ai procedimenti regolatori condotti dalle Autorità indipendenti non si applicano, infatti, le generali regole dell’azione amministrativa che escludono dall’obbligo di motivazione e dall’ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione l'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi ed amministrativi generali (art.3 e 13 l. n. 241/90).
L’esercizio di poteri regolatori da parte di Autorità, poste al di fuori della tradizionale tripartizione dei poteri e al di fuori del circuito di responsabilità delineato dall’art. 95 della Costituzione, è giustificato anche in base all’esistenza di un procedimento partecipativo, inteso come strumento della partecipazione dei soggetti interessati sostitutivo della dialettica propria delle strutture rappresentative.
In assenza di responsabilità e di soggezione nei confronti del Governo, l’indipendenza e neutralità delle Autorità può trovare un fondamento dal basso, a condizione che siano assicurative le garanzie del giusto procedimento e che il controllo avvenga poi in sede giurisdizionale.
Del resto, non è pensabile che l’attività di regulation venga svolta senza la necessaria partecipazione al procedimento dei soggetti interessati: nei settori regolati dalle Autorità, in assenza di un sistema completo e preciso di regole di comportamento con obblighi e divieti fissati dal legislatore, la caduta del valore della legalità sostanziale deve essere compensata, almeno in parte, con un rafforzamento della legalità procedurale, sottoforma di garanzie del contraddittorio (la dottrina ha sottolineato che si instaura una correlazione inversa tra legalità sostanziale e legalità procedurale: quanto meno è garantita la prima, per effetto dell’attribuzione alle Autorità indipendenti di poteri normativi e amministrativi non compiutamente definiti, tanto maggiore è l’esigenza di potenziare le forme di coinvolgimento di tutti i soggetti interessanti nel procedimento finalizzato all’assunzione di decisioni che hanno un impatto così rilevante sull’assetto del mercato e sugli operatori).
Uno strumento essenziale per arricchire la base conoscitiva dell’attività di regolazione è costituito dalla consultazione preventiva, volta a raccogliere il contributo informativo e valutativo dei soggetti interessati.
Tale consultazione preventiva viene svolta da tempo proprio dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas attraverso audizioni e meccanismi di “notice and comment”, con cui viene data preventivamente notizia del progetto di atto e viene consentito agli interessati di fare pervenire le proprie osservazioni, che richiedono poi necessariamente che l’atto regolatorio venga motivato.
Nel caso di specie, tutto questo è avvenuto: in data 29 luglio 2004 l’Autorità ha pubblicato un documento per la consultazione finalizzato all’adozione della deliberazione impugnata, composto da ben 51 pagine in cui erano esposti i contenuti e le finalità del provvedimento da adottare.
Contestualmente alla pubblicazione di tale documento è stato fissato il termine del 10 settembre 2004 per presentare osservazioni da parte dei soggetti interessati.
Tale termine, superiore a 40 giorni, era certamente idoneo a consentire la partecipazione al procedimento, come dimostra la presentazione di osservazioni.
In alcun modo può assumere rilievo la scadenza del termine nel periodo feriale, tenuto conto che una sospensione di termini in tale periodo è prevista per i soli procedimenti giurisdizionali e non per quelli amministrativi, quali sono i procedimenti condotti dalle Autorità indipendenti.
Inoltre, sia nelle premesse dell’impugnato provvedimento che nella allegata relazione tecnica sono contenute le motivazioni della deliberazione e sono anche prese in considerazione alcune delle osservazioni pervenute.
Tutto ciò dimostra come nel caso di specie non vi sia stata alcuna lesione delle regole del giusto procedimento.
6. Con altra censura viene sostenuto che con l’impugnata deliberazione sarebbero stati definiti criteri puntuali e precisi solo per gli operatori che intendono utilizzare il metodo parametrico, mentre la regolamentazione del calcolo per il vincolo sui ricavi basato sui dati concreti della gestione è stata rinviata ad un futuro provvedimento.
Sotto questo profilo, il sistema tariffario sarebbe tutt’altro che “certo, trasparente e basato su criteri predefiniti”, come prescrive l’art. 1 della legge 14 novembre 1995, n. 481; inoltre, in tal modo le imprese sarebbero impossibilitate a programmare la propria attività nel lungo periodo.
Sarebbe inoltre irragionevole affermare, come fatto dall’Autorità, che il metodo di calcolo individuale sarebbe quello ordinario, quando poi, in contrasto con tale premessa, l’adozione di tale metodo viene rinviata ad un futuro provvedimento.
La censura è infondata.
Sulla base delle considerazioni svolte in precedenza, la determinazione della tariffa con metodo individuale doveva essere preceduta dalla definizione dei relativi criteri e dalla necessaria consultazione degli operatori.
E’ quindi del tutto ragionevole che l’Autorità abbia rinviato l’adozione di tale metodo dopo l’espletamento della necessaria istruttoria, tanto più che già stata riconosciuta agli operatori la possibilità di avvalersi del metodo de quo con effetto retroattivo dal 1° ottobre 2004 (art. 13.2 della deliberazione impugnata).
Il rinvio del temine previsto per la conclusione di tale procedimento costituisce elemento estraneo all’oggetto del presente giudizio, anche perché i soggetti interessati avrebbero comunque potuto utilizzare gli strumenti previsti dall’ordinamento per reagire all’eventuale inerzia o a ritardi dell’Autorità.
Con deliberazione n. 171 del 2 agosto 2005 l’Autorità ha approvato le modalità applicative del regime individuale e, di conseguenza, ogni questione relativa al contenuto di tali modalità potrà essere eventualmente fatta valere in sede di impugnazione di tale deliberazione.
7. E’ infondata anche l’ulteriore censura con cui viene contestata la quantificazione del tasso di remunerazione del capitale investito, fissato al 7,5 % invece del precedente 8,8 % (la remunerazione sarebbe inoltre inferiore rispetto ad attività meno rischiose, quali il trasporto del gas).
Si osserva che il tasso di remunerazione del capitale investito viene generalmente calcolato come somma di due componenti: tasso di attività senza rischio e premio per il rischio imprenditoriale, che è più alto quanto più è rischiosa l’attività di cui si tratta.
In relazione al livello del tasso di rendimento delle attività prive di rischio, la decisione di utilizzare la media di 12 mesi (1 gennaio 2003 – 31 dicembre 2003) dei rendimenti lordi del BTP decennale benchmark rilevato dalla Banca d’Italia quale tasso delle attività prive di rischio risulta del tutto logica e ragionevole.
E’ corretto utilizzare per tale elemento dati storici e costanti, laddove ci si trovi in condizioni economiche sufficientemente stabili (come negli ultimi anni), mentre invece negli anni di forti fluttuazioni inflazionistiche e di tassi vengono valutate anche le aspettative.
Pertanto, è legittima la determinazione di un tasso delle attività prive di rischio nella misura costante del 4,25 % per tutto il periodo regolatorio (le stesse considerazioni valgono per il tasso di inflazione).
Tale scelta è stata correttamente motivata dall’Autorità, che ha evidenziato come “il riferimento a un lasso temporale di 12 mesi rappresenti un ragionevole punto di equilibrio tra l’esigenza di sterilizzare gli effetti di situazioni contingenti e il mantenimento del valore prospettico del rendimento di titoli di lungo periodo”.
Peraltro in presenza di una inattesa e rilevante modifica dei dati presi in considerazione, le imprese potranno sempre chiedere all’Autorità di intervenire in autotutela e modificare i parametri del criterio in questione.
La riduzione del tasso di remunerazione del capitale investito al 7,5 % è stata quindi in parte determinata dalla riduzione del tasso di rendimento delle attività prive di rischio, sceso dal 4,7 % del precedente periodo regolatorio al 4,25 %.
Anche il raffronto con i tassi fissati per altre attività, quali il trasporto del gas e l’energia elettrica, non dimostra l’irragionevolezza del tasso del 7,5 % fissato per la distribuzione del gas, in quanto, a differenza di quanto sostenuto dall’appellante incidentale, per tali altre attività è oggi fissato un tasso di remunerazione del capitale investito inferiore al 7,5 % (nella misura del 6,7 % per il trasporto del gas sulla base della deliberazione n. 166/05 e del 6,8 % per l’attività di distribuzione dell’energia elettrica sulla base della deliberazione n. 5/04).
Non è quindi vero che con l’impugnata deliberazione sia stata prevista una remunerazione ridotta rispetto ad attività meno rischiose o una contraddittoria fissazione del c.d. parametro Beta.
Va inoltre rilevato come la riduzione del tasso in questione non deriva da un errore di calcolo commesso dall’Autorità nell’applicare il valore del parametro Drp, che è stato evidentemente ridotto rispetto al precedente periodo regolatorio.
Si deve quindi ritenere che la determinazione del tasso del 7,5 % per la remunerazione del capitale investito sia esente da vizi di legittimità e in alcun modo si pone in contrasto con altre deliberazioni della stessa Autorità.
8. Con ulteriore censura l’appellante incidentale lamenta che l’articolazione tariffaria determinata dall’Autorità, la quale prevede una quota fissa ed una variabile su scaglioni di consumo, stabilisca che la prima resti costante al variare di questi ultimi: in tal modo, la copertura dei costi fissi avverrebbe attraverso ricavi variabili e dipendenti dal gas consumato.
La censura è infondata, in quanto la previsione di una quota costante della tariffa è del tutto ragionevole con riguardo alla copertura dei costi fissi sostenuti dalle imprese.
Con riferimento all’esiguità della quota fissa, si osserva che la censura è stata proposta senza alcuna idonea dimostrazione dell’effettiva inadeguatezza della quota fissata dall’Autorità.
9. L’appellante incidentale deduce anche che il metodo tariffario adottato con l’impugnata deliberazione n. 170/04 è inattendibile, in quanto fondato sul mero aggiornamento di dati relativi a precedenti anni termici, determinati sulla base della precedente deliberazione n. 237/00, già annullata sul punto dal Tar con sentenze passate in giudicato.
Osserva il Collegio che l’analisi delle indicazioni rivenienti dalla relazione istruttoria che accompagna il provvedimento consentono di confutare l’assunto svolto dall’appellante incidentale.
Nella relazione si dà atto che la citata deliberazione n. 237/00 è stata annullata nella parte in cui non riconosceva agli esercenti che disponevano di “dati concreti” e certi relativi ai costi del capitale investito, di determinare la componente del VRD corrispondente a tali costi (componente CCD) sulla base di tali dati (profilo sub (a)).
In ottemperanza alle pronunce relative a tale profilo, l’Autorità ha introdotto (prima con la deliberazione 26 giugno 2002, n. 122/02 e poi, in seguito all’annullamento di tale deliberazione per motivi di ordine procedurale, con la deliberazione 31 luglio 2003, n. 87/03) una procedura di calcolo del capitale investito di tipo “individuale”, fondata sul metodo del costo storico rivalutato, cui potevano accedere gli esercenti che disponevano di dati concreti.
Nella medesima relazione si significa altresì che il contesto normativo e fattuale nel quale intervenivano le pronunce giurisdizionali relative al predetto profilo era caratterizzato dal fatto che (non sussistendo particolari obblighi circa le modalità di redazione e di predisposizione dei bilanci) pochi erano gli operatori che potevano disporre di dati di bilancio sufficientemente attendibili dai quali potessero trasparire in modo certo ed univoco gli investimenti effettuati nella realizzazione e manutenzione delle infrastrutture.
In un tale contesto, pertanto, la possibilità di accedere ad una metodologia di calcolo “alternativa” a quella fondata sul metodo parametrico (c.d. metodologia “individuale”) è stata configurata dal giudice amministrativo come uno strumento di natura “eccezionale”, in quanto un esercente, solo “in virtù della propria efficienza”, era in grado di disporre di tali “dati concreti”.
L’“eccezionalità” dell’accesso alla metodologia individuale di calcolo dei costi del capitale investito ha enfatizzato l’esigenza che la metodologia parametrica fosse in grado di riflettere la ricca fenomenologia delle forme di gestione del servizio, nonché le conseguenti specificità che connotano ciascuna di tali forme. Conseguentemente il giudice amministrativo ha asserito la non significatività del campione originariamente assunto dall’Autorità alla base della determinazione della metodologia parametrica.
Peraltro, il contesto normativo e fattuale nel quale sono intervenute le pronunce giurisdizionali è radicalmente mutato.
Infatti, ai sensi dell’articolo 14, comma 10, del decreto legislativo n. 164/00, a decorrere dall’1 gennaio 2002, tutte le imprese del gas (e quindi anche le imprese di distribuzione) sono tenute alla certificazione di bilanci; dall’altro lato, dal 2003 sono divenuti efficaci gli obblighi di separazione contabile ed amministrativa previsti dalla deliberazione n. 311/01.
Conseguentemente, la disponibilità di “dati concreti” non è condizione “eccezionale” di pochi esercenti particolarmente efficienti, ma costituisce la condizione generale in cui tutti gli esercenti versano. In altre parole: tutti gli esercenti sono nelle condizioni di poter disporre di “dati concreti” che evidenzino in modo certo ed univoco i costi afferenti l’esercizio dell’attività di distribuzione.
Inoltre, il provvedimento consente di determinare l’intero vincolo sui ricavi VRD sulla base del metodo individuale. Una tale previsione amplia gli orizzonti di tutela richiesti dalle pronunce del Tribunale (e riconosciuti dalla richiamata deliberazione n. 87/03), in base alle quali il metodo individuale doveva avere ad oggetto la componente relativa al capitale investito (con la conseguenza che la componente relativa ai costi di gestione doveva essere calcolata secondo le formule parametriche previste dalla deliberazione n. 237/00).
A fronte di una tale ampia possibilità riconosciuta dal nuovo sistema e della piena tutela che esso offre a tutti gli esercenti il servizio, vengono meno le esigenze, emerse nel primo periodo di regolazione, di adeguare le “rigidità” del metodo parametrico alla ricca fenomenologia delle gestioni del servizio che caratterizza il settore.
La Sezione deve allora convenire, in adesione alle indicazioni svolte in sede difensiva dalla difesa erariale sulla scorta dei dati risultanti dalla citata relazione istruttoria, che il suddetto mutamento strutturale delle coordinate in relazione alle quali era intervenuto il suddetto annullamento giurisdizionale consente di reputare superate le ragioni delle illegittimità originariamente colte con riguardo alla precedente delibera tariffaria.
Ed invero, poiché tutti gli esercenti possono accedere al metodo individuale –metodo che risulta definitivamente varato nelle more del giudizio- non v’è alcuna esigenza che il metodo parametrico sia rappresentativo della peculiarità di ciascun esercente. Il metodo “ordinario” è infatti uno strumento alternativo del quale può disporre l’esercente che ritiene assicurata, dalle tariffe approvate dall’Autorità per il precedente anno termico, un’adeguata copertura dei costi sostenuti per l’erogazione del servizio. In tale ipotesi, infatti, l’esercente può ritenere meno dispendioso applicare tariffe già approvate, piuttosto che porre in essere gli adempimenti procedimentali, certamente più articolati e complessi, che una procedura di calcolo fondata sull’esame di dati concreti ragionevolmente prevederà.
10. Con ulteriore censura viene affermato che la delibera n. 170/04 fonda il calcolo delle tariffe di distribuzione su bilanci che non contemplavano gli adempimenti, con i relativi oneri, imposti successivamente dall’Autorità in tema di qualità, libero accesso alla rete e predisposizione dei codici di rete, e pertanto non prevede la possibilità di recuperare i costi sostenuti per adeguarvisi.
Anche detta censura non merita favorevole considerazione.
Occorre infatti rimarcare, in primo luogo, che gli obblighi imposti alle imprese in tema di predisposizione del codice di rete, libero accesso alla stessa ed adeguamento a determinati livelli di qualità nell’erogazione dei servizi si fondano su disposizioni di legge che non prevedono la corresponsione di alcuna somma per il recupero dei costi necessari ad adeguarvisi. Non risulta poi richiamato in modo pertinente il principio di remunerazione del capitale, visto che tali adempimenti comportano per le imprese costi operativi e non investimenti di capitali.
Il Primo Giudice ha poi correttamente rimarcato che il libero accesso alle reti, che implica la predisposizione del codice di rete, è principio fondante del sistema di liberalizzazione, sicché sarebbe illogico prevedere una copertura tariffaria dei relativi costi. Non è concettualmente ammissibile che i costi di una condotta costituente la naturale esplicazione di un sistema liberalizzato debbano essere oggetto di una specifica remunerazione in sede tariffaria.
A tale rilievo si aggiunga,per quel che afferisce agli obblighi in tema di qualità dei servizi, che si tratta di una misura fondata sull’art. 2, comma 12, lett. h) della legge n. 481/95, che grava in eguale misura su tutti gli operatori, ed é atta a garantire l’efficienza del sistema e delle imprese che vi operano.
La Sezione deve in definitiva convenire che la scelta dell’Autorità di non prevedere una copertura dei costi connessi all’adempimento di tali obblighi appare logica nella misura in cui l’efficienza nel settore non può essere raggiunta a spese dei consumatori i cui interessi sono oggetto di tutela legislativa ex art. 1, comma 1, legge n. 481/95.
11. Va inoltre disattesa che la censura ulteriore con la quale si lamenta che la delibera impugnata non avrebbe tenuto conto, nella determinazione delle tariffe, della diversità dei costi di distribuzione da zona a zona.
Dall’analisi del documento di consultazione e della relazione istruttoria si ricava che l’Autorità, nel rideterminare il sistema tariffario, si è data carico di effettuare una semplificazione del medesimo, allo scopo di favorire un incremento della concorrenza nel mercato del gas naturale. Premessa di tale scelta è stata la considerazione che la differenziazione tariffaria tra località costituisce, in effetti, un costo aggiuntivo per le imprese che intendono entrarvi e si traduce, in definitiva, in un ostacolo alla concorrenza. Donde la percepita necessità di operare sulla struttura delle tariffe al fine sia di impedire sussidi incrociati tra imprese di distribuzione e imprese di vendita appartenenti al medesimo gruppo societario; sia di facilitare l’ingresso di nuovi operatori mercé la definizione di regole certe ed uniformi per la determinazione del costo di accesso alla rete (vedi il documento di consultazione del 24 luglio 2004 che, a pagina 16, osserva come la variabilità del sistema tariffario ostacoli lo sviluppo della concorrenza nella fornitura al cliente finale nella misura in cui costringe gli operatori a complicate procedure di calcolo ed a differenziare l’offerta per ciascuna località; similmente a pagina 8 della relazione si mette in evidenza che la semplificazione del sistema tariffario può favorire l’entrata sul mercato di imprese che intendano operare su ampia scala).
Occorre soggiungere che la necessità di favorire una semplificazione del sistema tariffario è chiaramente connessa al passaggio, giusta il decreto legislativo n. 164/2000, dal sistema basato sull’esercizio delle attività di distribuzione e di vendita da parte di un unico soggetto integrato ad un modello connotato dalla necessaria separazione societaria e contabile tra le attività di distribuzione e di vendita. A fronte di detta operazione si poneva infatti la necessità di garantire la neutralità delle scelte operate dall’impresa di distribuzione in termini di articolazione delle tariffe.
In altre parole, la misura di riduzione della variabilità dell’articolazione tariffaria si è posta come supporto strutturale all’avviato processo di liberalizzazione onde evitare che la libertà di determinazione della struttura tariffaria fosse utilizzata come strumento distorsivo della concorrenza a favore delle società collegate alle imprese di distribuzione nella logica dei sussidi incrociati, dando la stura ad una vera e propria sostanziale barriera di ingresso ai danni dei new comers.
Nell’effettuare tale operazione l’Autorità non ha però obliterato le differenze esistenti tra i vari ambiti della distribuzione, perché all’articolo 4 dell’impugnato provvedimento ha previsto l’applicazione alle tariffe determinate con metodologia uniforme di un apposito coefficiente correttivo di ambito, costituito dal rapporto tra la somma dei valori dei vincoli per l’anno 2004 nelle località di ciascun ambito interessato e la somma dei ricavi convenzionali calcolati con riferimento ai consumi effettuati nell’anno termico 2001/2002 ed ai clienti forniti al 30 giugno 2002.
Le diversità di ambito sono state quindi prese in considerazione nel provvedimento impugnato in guida da evidenziare la fragilità della censura al riguardo mossa dall’appellante incidentale sul punto.
Quanto, poi, allo specifico profilo di censura teso a stigmatizzare la previsione di una quota costante nonché l’esiguità della quota, il Collegio di prime cure ha coerentemente opposto, per un verso, che la copertura dei costi fissi non può che avvenire tramite una quota tariffaria anch’essa costante; e, sotto altro aspetto, che la quota pesa in modo consistente sulla determinazione della tariffa sulla bade di indicazioni che non sono vinte, neanche in appello, da una convincente prova in senso contrario. Posto infatti che la congrua remunerazione dei costi e del capitale deve essere assicurata dalla tariffa complessivamente traguardata, non risulta dimostrato che detta esigenza sia frustrata dalla mera articolazione della tariffa in una quota fissa ed una variabile. Sul punto giova poi rammentare che l’articolo 4 in contestazione non incide sull’entità della tariffa ma solo sulla variabilità della sua articolazione.
Non è poi persuasivo l’ulteriore rimprovero mosso in sede di appello al provvedimento impugnato teso ad evidenziare la necessità di non intaccare la leva commerciale data dalla possibilità di articolare la tariffa sulla base della specialità dei mercati di riferimento, delle fasce climatiche e del mix dei clienti. L’attività di distribuzione non è infatti un mercato contendibile ma un servizi di pubblica utilità svolto in regime concessorio. La semplificazione tariffaria costituisce quindi un intervento coerente con i parametri legislativi di cui all’articolo 1 della legge n. 481/1995 ed all’articolo 23 del decreto legislativo n. 164/2000 in punto di trasparenza e certezza del regime tariffario; e tanto in una prospettiva attenta a valorizzare il miglioramento del servizio ed il perseguimento di obiettivi sociali.
Quanto infine all’accento posto sul rischio che la previsione di una quota fissa, indipendente dalla capacità richiesta e conferita, possa incentivare comportamenti contrari al regolare funzionamento del servizio, segnatamente sotto il profilo della prenotazione di più capacità rispetto a quella necessaria, occorre rilevare che la soluzione di questo problema è stato affidato, a partire dalla delibera n. 138/2004, alla predisposizione di penali; e tanto proprio al fine di evitare che la repressione di comportamenti scorretti od opportunistici degli utenti si riflettesse nel meccanismo di formazione della tariffa in relazione al metodo di formazione della quota fissa.
In questo solco si inserisce la delibera 170. In particolare a pagina 12 della relazione tecnica si rileva che “a differenza del precedente sistema tariffario, che prevedeva l’applicazione di un corrispettivo per la capacità conferita nei punti di riconsegna con prelievo superiore a 200.000 mc/anno, per il secondo periodo di regolazione è definito un unico corrispettivo fisso identico per scaglione di consumo a livello nazionale, indipendente dai consumi e quindi dallo scaglione di appartenenza del cliente finale”. Le ragioni di questa scelta sono illustrate e alla pagina 18 del già citato documento per la consultazione.
12. Viene infine dedotto che la delibera impugnata non preveda penali per gli utenti che prelevano quantità di gas maggiori rispetto a quelle stabilite dalla delibera n. 138/04, la quale rimandava proprio all’odierno provvedimento la loro definizione.
Anche questo motivo deve essere respinto.
La determinazione delle penali per il superamento dell’impegno giornaliero nei punti di riconsegna con prelievi superiori a 200.000 metri cubi standard non è stata obliterata, ma correttamente riportata nella materia delle modalità di accesso alla rete di distribuzione e, quindi, troverà una sua compiuta disciplina nel codice di rete tipo per il servizio di distribuzione, in corso di emanazione da parte dell’Autorità. Nelle more del varo di detta disciplina deve reputarsi ultravigente il sistema delineato dalla delibera 138 di cui sopra.
13. In conclusione, il ricorso in appello principale deve essere in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile e anche deve essere respinto il ricorso in appello incidentale.
Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, in parte respinge e in parte dichiara inammissibile il ricorso in appello principale.
Respinge il ricorso in appello incidentale.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 6-12-2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Mario Egidio Schinaia Presidente
Giuseppe Romeo Consigliere
Giuseppe Minicone Consigliere
Francesco Caringella Consigliere Rel. ed Est.
Roberto Chieppa Consigliere
Rel.
Presidente
MARIO EGIDIO SCHINAIA
Consigliere Segretario
FRANCESCO CARINGELLA GIOVANNI
CECI
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il..16/03/2006
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
MARIA RITA OLIVA
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale
(Sezione Sesta)
Addì...................................copia
conforme alla presente è stata trasmessa
al
Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87 del
Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria
N.R.G. 4623/2005