Sentenze Civili della Corte di Cassazione #ANNO/NUMERO 2008/08521 #SEZ 1 #NRG 2005/30796 #UDIENZA DEL 06/02/2008 #DEPOSITATO IL 03/04/2008 #MASSIMATA NO #RICORRENTE g.A. #AVV RICORRENTE Marra Alfonso Luigi #RESISTENTE Presidenza Del Consiglio Dei Ministri #AVV RESISTENTE REPUBBLICA ITALIANA Ud. 06/02/08 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO R.G.N. 30796/2005 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LOSAVIO Giovanni - Presidente - Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - rel. Consigliere - Dott. VITRONE Ugo - Consigliere - Dott. FELICETTI Francesco - Consigliere - Dott. DEL CORE Sergio - Consigliere - ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: G.A., nella qualita' di familiare di C. A., M.A.L., in proprio, domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'avvocato MARRA ALFONSO LUIGI, giusta procura a margine del ricorso; - ricorrenti - contro PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI; - intimata - avverso il decreto della Corte d'Appello di ROMA, depositato il 02/12/04; udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio il 06/02/2008 dal Consigliere Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo; lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che chiede che la Corte di Cassazione, in Camera di consiglio, accolga per quanto di ragione il ricorso per manifesta fondatezza. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto depositato in data 2.12.2004 la Corte d'Appello di Roma - pronunciando sulla domanda di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 proposta da G.A. in relazione al giudizio dalla medesima promosso avanti al TAR della Regione Campania e successivamente, a seguito di impugnazione della Regione Campania, avanti al Consiglio di Stato per il riconoscimento e la liquidazione dei contributi di cui alla L.R. Campania 15 marzo 1984, n. 11, art. 26, e protrattosi, relativamente al giudizio avanti al Consiglio di Stato al quale era stata limitata la domanda, dal 16.11.1996 al 29.9.2003 - determinava la durata non ragionevole in anni quattro e liquidava per il dedotto danno non patrimoniale la somma complessiva di Euro 2.000,00, in considerazione della pretesa economica fatta valere in giudizio e del conseguente modesto patema d'animo che la vicenda processuale puo' aver cagionato, in parte compensato dal riconoscimento degli interessi. Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione G. A. che deduce sei motivi di censura. La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto alcuna attivita' difensiva. Il Procuratore Generale ha depositato le proprie conclusioni chiedendo l'accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di ricorso G.A. denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e dell'art. 6 paragrafo 1 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. Lamenta che la Corte d'Appello, nel fissare in anni tre la durata ragionevole del procedimento avanti al Consiglio di Stato, non ha considerato che avanti al giudice amministrativo la durata di una causa di natura assistenziale non deve superare il termine di sei mesi. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ancora violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e dell'art. 6 della Convenzione Europea. Sostiene che in base alla richiamata normativa e della giurisprudenza della Corte Europea il Giudice di merito avrebbe dovuto riconoscere un indennizzo pari ad Euro 1.000,00 - 1.500,00, per ogni anno di durata del procedimento. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione delle normative sopra richiamate nonche' vizio di motivazione nella parte in cui la Corte d'Appello assume che la tardiva definizione del giudizio, essendo stata compensata dal riconoscimento degli interessi, abbia determinato un modesto patema d'animo, senza considerare l'ammontare del contributo richiesto (Euro 10.000,00, oltre agli interessi ed alla rivalutazione per complessivi Euro 35.000,00, circa). Lamenta altresi' che la Corte d'Appello non abbia considerato che la L. n. 89 del 2001, e' stata emanata per assicurare una tutela interna in tema di applicazione dell'art. 6, della Convenzione relativa all'equa riparazione correlata alla durata non ragionevole del procedimento e che pertanto ai fini del riconoscimento del diritto all'indennizzo per il danno non patrimoniale si deve tener conto della giurisprudenza della Corte Europea per la quale la prova del danno e' "in re ipsa" e che i tempi di durata del procedimento sono da considerare non ragionevoli se superano i due anni per il primo grado ed un anno e mezzo per il secondo, termini ridotti a mesi sei nella cause di lavoro, con la conseguenza pero' in tal caso che l'indennizzo deve essere riconosciuto per l'intera durata del procedimento con ulteriore "bonus" di Euro 2.000,00, trattandosi di causa previdenziale. Con il quarto motivo il difensore in proprio, denunciando la violazione delle stesse norme, lamenta che le spese del giudizio siano state liquidate in misura inferiore al dovuto. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 1034 del 1971, deducendo che ai fini in esame deve tenersi conto anche della fase stragiudiziale di costituzione in mora della P.A. che e' prodromica e necessaria per la successiva instaurazione del procedimento. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia ancora violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e dell'art. 6, paragrafo 1 della Convenzione europea, deducendo che il giudice nazionale deve applicare le norme della Convenzione secondo l'interpretazione della Corte europea, come del resto hanno affermato anche le Sezioni Unite. Il ricorso e' fondato nei limiti che saranno qui di seguito espressi. La Corte europea dei Diritti dell'Uomo, ai cui principi il Giudice nazionale deve tendenzialmente uniformarsi nella determinazione della durata ragionevole del procedimento, oltre che come si vedra' nella determinazione dell'indennizzo (Sez. Un. 1340/04), ha in linea di massima stimato tale durata in anni tre per quanto riguarda il giudizio di primo grado ed in anni due per quello di secondo grado, non tralasciando di precisare che da detto parametro il Giudice possa discostarsi, riconoscendo una durata ragionevole maggiore o minore in considerazione della maggiore o minore complessita' del procedimento. Nell'ipotesi in esame la Corte d'Appello non si e' attenuta a tali principi, determinando la durata ragionevole per il giudizio di secondo grado avanti al Consiglio di Stato in anni tre anziche' in anni due e, conseguentemente, quella non ragionevole in anni quattro anziche' in anni cinque. Uno scostamento da tali parametri per una durata ragionevole minore non puo' essere pero' giustificato dal mero riferimento alla natura assistenziale della questione sottoposta al giudice amministrativo. Questa Corte, sia pure con riferimento alle cause di lavoro avanti al giudice ordinario, ha infatti sottolineato che la violazione del principio della ragionevole durata del processo non possa discendere in modo automatico ed astratto dalla natura delle questioni trattate, dovendo in ogni caso il Giudice procedere a tale valutazione alla luce degli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, (Cass. 6856/04) ed effettuare il suddetto apprezzamento in concreto (Cass. 21390/05). Sul punto non sono state pero' formulate censure sufficientemente specifiche. Fondata e' anche la censura relativa alla entita' dell'indennizzo riguardante il danno non patrimoniale, essendosi la Corte d'Appello, nella sua determinazione, discostata dai parametri fissati dalla Corte europea e recepiti anche sotto tale profilo dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito come una tale valutazione non possa prescindere anche qui, in considerazione del rinvio operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, dall'interpretazione della Corte di Strasburgo e debba pertanto uniformarsi, per quanto possibile, alla liquidazione effettuata in casi simili dal Giudice europeo, sia pure con possibilita' di apportare, purche' in misura ragionevole, le deroghe suggerite dalla singola vicenda (Sez. Un. 1340/04). Orbene, dalle decisioni adottate a carico dell'Italia (vedi in particolare la pronuncia sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Pizzati e sul ricorso n. 64897/01 proposto da Zullo) risulta che la Corte europea ha individuato nell'importo compreso fra Euro 1.000,00, ed Euro 1.500,00, il parametro medio annuo per la quantificazione dell' indennizzo. In tali limitati termini vanno accolti pertanto anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso. La Corte d'Appello infatti, nell'ambito di una durata complessiva non ragionevole ritenuta, peraltro erroneamente, di anni quattro, ha riconosciuto infatti solo la complessiva somma di Euro 2.000,00, discostandosi in tal modo in misura rilevante da detti parametri. Ne' una tale minore valutazione puo' essere giustificata, come ha fatto invece la Corte d'Appello, dalla modesta entita' della posta in gioco, non potendosi a tal fine tener conto unicamente dell'importo richiesto, di cui del resto non v'e' traccia nella sentenza impugnata, ma dovendosi considerare anche le condizioni economiche in cui versa il richiedente e la conseguente rilevanza che detto importo puo' assumere nel caso concreto. Infondato deve ritenersi pero' l'assunto secondo cui, una volta superato il termine ragionevole, l'indennizzo debba essere parametrato all'intera durata del procedimento, prevedendo espressamente la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, che, ai fini in esame, rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo. Al riguardo questa Corte ha gia' sottolineato che, anche se per la Corte europea l'indennizzo calcolato in ragione d'anno debba essere moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il Giudice nazionale e', sul punto, vincolante della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, secondo cui e' influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Si e' sostenuto infatti che detta diversita' di calcolo non tocca la complessa attitudine della L. n. 89 del 2001, ad assicurare l'obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e pertanto non autorizza dubbi sulla compatibilita' di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all'art. 6, paragrafo 1 della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; Cass. 8714/06). Del pari non puo' trovare accoglimento la richiesta di riconoscimento di un "bonus" di Euro 2.000,00, in relazione alla natura della controversia, non essendo previsto dalla legislazione nazionale e non potendo comunque considerarsi un effetto automatico, slegato dalla particolarita' della fattispecie sulla quale nulla e' stato pero' detto al di la' di un generico richiamo al carattere assistenziale della controversia. Inammissibili devono ritenersi il quinto ed il sesto motivo di ricorso. Quanto al quinto, con cui si sostiene la necessita' di far riferimento anche alla fase stragiudiziale di costituzione in mora della Amministrazione in quanto prodromica alla instaurazione del procedimento civile, dalla sentenza impugnata non solo non e' dato desumere una richiesta del genere ma addirittura risulta precisato che la domanda verteva unicamente sul procedimento avanti al Consiglio di Stato. La ricorrente pertanto avrebbe dovuto rilevarne l'avvenuta deduzione in sede di merito, contestando l'affermazione della Corte e lamentarne poi eventualmente la mancata pronuncia con il presente ricorso. Al di la' pertanto di ogni valutazione di ordine sostanziale, la censura, cosi' come prospettata, non puo' trovare ingresso in questa sede di legittimita'. Relativamente infine al sesto motivo, il suo contenuto, circa la necessita' di far riferimento alla giurisprudenza europea, e' assolutamente generico, non svolgendo censure specifiche riferibili al provvedimento impugnato. Ad ogni modo le argomentazioni sopra esposte a sostegno della presente decisione a tale giurisprudenza hanno fatto piu' volte riferimento. Orbene, non essendo necessari ulteriori accertamenti, ricorrono le condizioni per una pronuncia nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2. Si ritiene pertanto, in considerazione della durata non ragionevole del procedimento come sopra confermata (anni 5), dei richiamati parametri europei nonche' della mancanza di valide circostanze che potrebbero giustificare uno scostamento nel caso concreto dai parametri minimi, di riconoscere a titolo di equo indennizzo la somma di Euro 5.000,00, pari ad Euro 1.000,00, per ciascun anno di durata non ragionevole oltre agli interessi dalla domanda al saldo. In considerazione della soccombenza solo parziale della Presidenza del Consiglio dei Ministri si ritiene di compensare per meta' le spese del presente giudizio di legittimita' e di condannare il resistente all'altra meta', spese da distrarsi a favore del difensore dichiaratosi antistatario e che si liquidano come in dispositivo, ferma restando la liquidazione delle spese operata in sede di merito, ritenendosi adeguate anche al maggior importo riconosciuto. Su tale ultimo punto v'e' altresi' da osservare che la censura, prospettata con il quarto motivo di ricorso, deve ritenersi inammissibile, essendo stata proposta dal difensore in proprio il quale puo' ritenersi legittimato solo se, dichiaratosi antistatario, non sia stata pronunciata direttamente a suo favore la condanna della controparte al pagamento delle spese e non gia' per contestare, come invece e' stato fatto, l'entita' delle spese liquidate. P.Q.M. LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento della somma di Euro 5.000,00, oltre agli interessi dalla domanda al saldo. Compensa per meta' le spese del giudizio di legittimita' che liquida, gia' compensate, in Euro 400,00, per onorario ed Euro 35,00, per spese oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge. Condanna inoltre la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento delle spese del giudizio di merito che liquida in Euro 750,00, di cui Euro 500,00, per onorario ed Euro 50,00, per spese effettive. Distrae dette spese a favore del difensore della ricorrente dichiaratosi antistatario. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5. Cosi' deciso in Roma, il 6 febbraio 2008. Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2008