Ultime pronunce pubblicate deposito del 20/05/2010
 
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Deposito del 20/05/2010 (dalla 179 alla 185)

 
S.179/2010 del 12/05/2010
Udienza Pubblica del 13/04/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore MAZZELLA


Norme impugnate: Artt. 12 e 54, c. 1° e 2°, della legge della Regione Calabria 12/06/2009, n. 19.

Oggetto: Bilancio e contabilità pubblica - Norme della Regione Calabria - Collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2009 - Interventi in materia di attrattività sociale e religiosa, riferiti a strutture religiose tassativamente elencate - Allocazione della relativa spesa alla unità previsionale di base (UPB) 3.2.02.01 dello stato di previsione del bilancio 2009, includente i fondi ex GESCAL e concernente interv enti di edilizia pubblica residenziale per il potenziamento delle politiche abitative - Lamentata violazione dei principi fondamentali in materia di bilancio e contabilità delle regioni, storno dalle finalità proprie dei contributi GESCAL e destinazione ad interventi diversi;
Amministrazione pubblica - Norme della Regione Calabria - Modifica e attuazione dell'art. 43 della legge regionale n. 15/2008 - Piano di stabilizzazione del personale, nonché generalizzata trasformazione a domanda dei contratti di collaborazione in contratti di lavoro a tempo determinato senza la necessaria indicazione di limiti e presupposti - Deroghe alla disciplina e ai termini previsti dalla legge statale, nonché contrasto con la normativa statale in materia di assunzioni e di contenimento della spesa del personale.

Dispositivo: illegittimità costituzionale - non fondatezza - cessata materia del contendere
Atti decisi: ric. 55/2009
S.180/2010 del 12/05/2010
Udienza Pubblica del 09/03/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore FINOCCHIARO


Norme impugnate: Art. 1 della legge della Regione Emilia-Romagna 23/07/2009, n. 8.

Oggetto: Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Norme della Regione Emilia-Romagna - Inserimento dell'art. 8-bis nella legge regionale n. 9 del 2002 - Demanio marittimo e di zone di mare territoriale - Concessioni demaniali marittime di cui al d.l. n. 400/1993, convertito nella legge n. 494/1993 - Possibilità di chiedere, entro il 31 dicembre 2009, la proroga della durata della concessione fino al massimo di 20 anni a partire dalla data di rilascio - Lamentata introduzione di automatismo determinante disparità di tr attamento tra gli operatori economici.

Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale
Atti decisi: ric. 63/2009
S.181/2010 del 12/05/2010
Udienza Pubblica del 27/04/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore QUARANTA


Norme impugnate: Art. 74, c. 3°, della legge della Regione Lombardia 14/07/2009, n. 11.

Oggetto: Appalti pubblici - Ferrovie - Norme della Regione Lombardia - Affidamento dei servizi ferroviari - Obbligo di ricorrere esclusivamente al criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa - Contrasto con il codice dei contratti pubblici e con il principio, di matrice comunitaria, della libera scelta del criterio di aggiudicazione da parte dell'amministra zione aggiudicatrice.

Dispositivo: inammissibilità
Atti decisi: ric. 61/2009
S.182/2010 del 12/05/2010
Udienza Pubblica del 28/04/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore GALLO


Norme impugnate: Decreto legge 01/07/2009, n. 78, convertito con modificazioni in legge 03/08/2009, n. 102; discussione limitata all'art. 13 bis, c. 8°.

Oggetto: Bilancio e contabilità pubblica - Finanza regionale - Regioni a statuto speciale - Rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato - Affluenza delle maggiori entrate ad un'apposita contabilità speciale per essere destinate all'a ttuazione della manovra di bilancio per gli anni 2010 e seguenti.

Dispositivo: non fondatezza
Atti decisi: ric. 80/2009
O.183/2010 del 12/05/2010
Camera di Consiglio del 14/04/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore MADDALENA


Norme impugnate: Art. 2 della deliberazione legislativa dell'Assemblea Regionale Siciliana 10/12/2008 (disegno di legge n. 192).

Oggetto: Impiego pubblico - Norme della Regione Siciliana - Liquidazione e cessazione delle attività dell'Ente Acquedotti Siciliani - Inserimento del personale in un ruolo speciale ad esaurimento presso la Presidenza della Regione, con conservazione della posizione g iuridica, economica e previdenziale posseduta - Prevista utilizzazione del personale medesimo dall'Ente in liquidazione o dalle amministrazioni degli altri enti locali e regionali.

Dispositivo: cessata materia del contendere
Atti decisi: ric. 100/2008
O.184/2010 del 12/05/2010
Camera di Consiglio del 14/04/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore MAZZELLA


Norme impugnate: Decreto legge 25/06/2008, n. 112, convertito con modificazioni in legge 06/08/2008, n. 133; discussione limitata all'art. 57, c. 1° e 2°.

Oggetto: Trasporto pubblico - Trasporto marittimo - Servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico - Attribuzione alle Regioni dei relativi compiti di programmazione e amministrazion e - Compartecipazione dello Stato alla spesa sostenuta dalle Regioni per l'erogazione dei servizi, "nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente" - Lamentato trasferimento di funzioni senza integrale copertura finanziaria

Dispositivo: estinzione del processo
Atti decisi: ric. 74/2008
O.185/2010 del 12/05/2010
Udienza Pubblica del 27/04/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore CRISCUOLO


Norme impugnate: Art. 5, c. 3°, lett. c), della legge della Regione Puglia 30/07/2009, n. 14.

Oggetto: Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Puglia - Interventi edilizi straordinari - Realizzazione subordinata al reperi mento di spazi per parcheggi pertinenziali - Obbligo di trascrizione d ei relativi atti di asservimento nei registri immobiliari - Lamentata introduzione con norma regionale di nuova fattispecie di pubblicità immobiliare e relativa fattispecie imponibile.

Dispositivo: estinzione del processo
Atti decisi: ric. 65/2009

pronuncia successiva

SENTENZA N. 179

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 12 e 54, commi 1 e 2 della legge della Regione Calabria 12 giugno 2009 n. 19 [Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2009) - Art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8], promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 17-20 agosto 2009, depositato in cancelleria il 25 agosto 2009 ed iscritto al n. 55 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Calabria;

udito nell’udienza pubblica del 13 aprile 2010 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

uditi l’avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giuseppe Naimo per la Regione Calabria.

Ritenuto in fatto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 81, quarto comma, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12, commi 1 e 2, e 54, commi 1 e 2, della legge della Regione Calabria 12 giugno 2009, n. 19 [Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2009) - Art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8].

1.1. – Circa l’art. 12, il ricorrente afferma che tale norma autorizza la spesa di 37 milioni di euro al fine di sostenere e garantire interventi di avvio e completamento di opere di attrattiva regionale di natura sociale o religiosa atte a migliorarne e adeguarne dal punto di vista infrastrutturale la ricettività e la fruibilità per sostenerne gli scopi, con allocazione all’unità previsionale di base 3.2.02.01 (capitolo 2322224) dello stato di previsione del bilancio 2009.

Questa unità previsionale di base si riferisce agli interventi di edilizia pubblica residenziale nell’àmbito della funzione obiettivo volta a potenziare le politiche abitative; in essa sono presenti anche i fondi ex GESCAL, cioè i contributi prelevati ai lavoratori per la realizzazione di edilizia residenziale pubblica a loro destinata.

Il ricorrente deduce che l’art. 12, comma 2, della legge della Regione Calabria n. 19 del 2009 contiene un elenco tassativo degli interventi che verranno realizzati, nessuno dei quali attiene ad edilizia pubblica residenziale.

Il ricorrente richiama le pronunce con le quali questa Corte ha affermato che non è ammissibile lo storno dalle finalità proprie dei contributi GESCAL e la loro destinazione alla realizzazione di interventi diversi (sentenze n. 241 del 1989 e n. 424 del 1995).

Pertanto l’impugnato art. 12, disponendo interventi di avvio e completamento di opere di attrattiva regionale di natura sociale o religiosa con allocazione delle spese all’unità di previsione di base 3.2.02.01, violerebbe sia l’art. 117, terzo comma, Cost., contrastando con i principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci delle Regioni contenuti nel decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Princìpi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle Regioni, in attuazione dell’articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208), sia l’art. 81, quarto comma, Cost., che dispone l’obbligo del legislatore di indicare i mezzi per far fronte a nuove spese.

1.2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri censura anche l’art. 54, comma 1, della legge della Regione Calabria n. 19 del 2009, il quale, nel sostituire l’art. 43, comma 2, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15 [Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8)], dispone che: a) il piano di stabilizzazione del personale non dirigenziale utilizzato dalla Regione (di cui al precedente comma 1 dello stesso art. 43) riguardi i dipendenti che maturino i requisiti di legge entro il 31 dicembre 2009; b) il rimanente personale che maturi i requisiti di legge successivamente al 31 dicembre 2009 sarà progressivamente stabilizzato; c) il piano deve tenere conto anche del personale contrattualizzato a seguito dell’attuazione di progetti ministeriali.

Ad avviso del ricorrente, tale norma violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché dispone in maniera difforme dalla legislazione statale in tema di stabilizzazione – rappresentata dall’art. 3, commi 90 e 94, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008) – la quale, essendo diretta al contenimento della spesa, detta principi in materia di coordinamento della finanza pubblica e introduce una disciplina molto rigida e scadenzata.

In particolare, la menzionata disciplina statale stabilisce, in primo luogo, che, ferma restando la subordinazione dell’accesso ai ruoli della pubblica amministrazione all’espletamento di procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge e fatte salve le procedure di stabilizzazione di cui all’art. 1, comma 519, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), per gli anni 2008 e 2009 le amministrazioni regionali e locali possono ammettere alla procedura di stabilizzazione di cui all’art. 1, comma 558, della legge n. 296 del 2006 anche il personale che consegua i requisiti di anzianità di servizio ivi previsti in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 28 settembre 2007 (art. 3, comma 90, della legge n. 244 del 2007).

In secondo luogo, la stessa disciplina statale dispone che, fatte salve le intese stipulate, ai sensi dell’art. 1, commi 558 e 560, della legge n. 296 del 2006, le amministrazioni pubbliche predispongono, entro il 30 aprile 2008, nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni per gli anni 2008, 2009 e 2010, piani per la progressiva stabilizzazione del personale non dirigenziale già utilizzato con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, in essere alla data di entrata in vigore della legge n. 244 del 2007 e che alla stessa data abbia già espletato attività lavorativa per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio antecedente al 28 settembre 2007, presso la stessa amministrazione, fermo restando quanto previsto dall’art. 1, commi 529 e 560, della legge n. 296 del 2006 (art. 3, comma 94, della legge n. 244 del 2007).

L’art. 54, comma 1, della legge calabrese, invece, nel prevedere termini completamente differenti, di fatto allargherebbe a dismisura la forbice prevista dalla legge statale per la stabilizzazione del personale precario.

1.3. – Quanto al successivo comma 2 dello stesso art. 54, la difesa erariale espone che esso stabilisce che, anche ai fini dell’attuazione dell’art. 43 della legge della Regione Calabria n. 15 del 2008, la Giunta regionale è autorizzata alla trasformazione in contratti a tempo determinato dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa in essere alla data di entrata in vigore della legge in esame ovvero a quella di entrata in vigore della legge n. 244 del 2007, e che abbiano maturato o che maturino nel corso del periodo contrattuale almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, nel quinquennio precedente alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 19 del 2009 o nell’arco del periodo contrattuale in corso, ed abbiano superato una selezione pubblica finalizzata all’instaurazione del rapporto di lavoro.

Ad avviso del ricorrente tale norma, oltre ad essere suscettibile di censure analoghe a quelle svolte in riferimento al comma 1, sarebbe illegittima perché prevede una generalizzata trasformazione a domanda dei suddetti contratti di collaborazione in contratti di lavoro a tempo determinato, senza indicare limiti e presupposti. Sussisterebbe dunque una lesione degli artt. 3 e 97 Cost., mancando sia il riferimento a specifiche esigenze organizzative, sia l’individuazione e la programmazione del fabbisogno di personale, in contrasto con i principi di buon andamento della pubblica amministrazione.

Il Presidente del Consiglio dei ministri aggiunge che il legislatore statale, all’art. 17, comma 10, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 3 agosto 2009, n. 102, ha previsto che nel triennio 2010-2012 le amministrazioni pubbliche, nel rispetto della programmazione triennale del fabbisogno e dei vincoli finanziari stabiliti dalla normativa vigente in materia di assunzioni e di contenimento della spesa di personale, secondo i rispettivi regimi limitativi fissati dai documenti di finanza pubblica, possono bandire concorsi per le assunzioni a tempo indeterminato con una riserva di posti, non superiore al 40 per cento dei posti messi a concorso, per il personale non dirigenziale in possesso dei requisiti di cui all’art. 1, commi 519 e 558, della legge n. 296 del 2006 e dell’art. 3, comma 90, della legge n. 244 del 2007. A norma dell’art. 17, comma 11, del decreto-legge n. 78 del 2009, poi, nello stesso triennio 2010-2012, le amministrazioni possono altresì bandire concorsi pubblici per titoli ed esami, finalizzati a valorizzare con apposito punteggio l’esperienza professionale maturata dal personale di cui al precedente comma 10 e dal personale di cui all’art. 3, comma 94, lettera b), della legge n. 244 del 2007. Anche queste disposizioni statali si inseriscono nell’ambito del coordinamento della finanza pubblica in quanto disposizioni volte al contenimento della spesa e quindi la legge regionale, disciplinando in modo difforme da esse, violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

2. – La Regione Calabria si è costituita ed ha chiesto che la Corte dichiari irricevibile il ricorso o comunque inammissibili o non fondate le questioni di legittimità costituzionale con esso sollevate.

2.1. – Ad avviso della difesa regionale, il ricorso sarebbe irricevibile o inammissibile, perché notificato oltre il termine di sessanta giorni decorrente dalla data di pubblicazione della legge regionale n. 19 del 2009.

2.2. – Circa la questione sollevata in riferimento all’art. 12 della stessa legge regionale, la resistente deduce che essa sarebbe inammissibile per inconferenza dei parametri evocati.

Nel merito la questione sarebbe non fondata, non essendovi prova della distrazione dei fondi ex GESCAL dalla loro destinazione istituzionale, poiché nell’unità di previsione di base 3.2.02.01 sono allocati anche fondi di altra provenienza e non risulta che questi ultimi sarebbero incapienti rispetto agli stanziamenti disposti dalla norma impugnata.

Inoltre, non sarebbe possibile sostenere che la norma stessa vìoli i principi fondamentali in materia di bilancio o che essa sia priva di copertura finanziaria, poiché la legge regionale non ha omesso di quantificare la spesa pluriennale da essa introdotta.

2.3. – La Regione Calabria afferma che sono infondate anche le censure svolte contro l’art. 54, commi 1 e 2, della legge regionale n. 19 del 2009, disposizioni che rispettano i limiti imposti dalla legislazione statale in tema di stabilizzazione. Infatti le Regioni sarebbero vincolate solamente dai principi dettati dalla normativa statale in riferimento ai soggetti che hanno la possibilità di vedere stabilizzato il relativo rapporto. Non rientrerebbe tra i principi vincolanti per le Regioni, invece, l’àmbito temporale previsto dalla legislazione statale.

3. – Con successivo atto depositato il 12 gennaio 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato all’impugnazione contenuta nel ricorso limitatamente all’art. 12, commi 1 e 2, della legge della Regione Calabria n. 19 del 2009.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 81, quarto comma, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12, commi 1 e 2, e 54, commi 1 e 2, della legge della Regione Calabria 12 giugno 2009, n. 19 [Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2009) - Art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8].

1.1. – L’art. 12 autorizza la spesa di complessivi euro 37 milioni per interventi di avvio o completamento di opere di attrattiva regionale di natura sociale o religiosa, con allocazione all’unità previsionale di base 3.2.02.01 (capitolo 2322224) dello stato di previsione del bilancio 2009.

Ad avviso del ricorrente, la norma violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., poiché nella predetta unità previsionale di base sono presenti anche i fondi ex GESCAL, cioè i contributi prelevati ai lavoratori per la realizzazione di edilizia residenziale pubblica a loro destinata, con inammissibile storno dei predetti fondi dalle finalità loro proprie e conseguente contrasto con i principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci delle Regioni contenuti nel decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Princìpi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle Regioni, in attuazione dell’art. 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208). Sussisterebbe, inoltre, contrasto con l’art. 81, quarto comma, Cost., che dispone l’obbligo del legislatore di indicare i mezzi per far fronte a nuove spese.

1.2. – E’ impugnato anche l’art. 54, comma 1, della legge calabrese n. 19 del 2009, il quale, nel sostituire l’art. 43, comma 2, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15 [Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8)], dispone che il piano di stabilizzazione del personale non dirigenziale utilizzato dalla Regione (di cui al precedente comma 1 dello stesso art. 43) riguardi i dipendenti che maturino i requisiti di legge entro il 31 dicembre 2009 e che il rimanente personale che maturi i requisiti di legge successivamente al 31 dicembre 2009 sarà progressivamente stabilizzato.

Il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che la disposizione viola l’art. 117, terzo comma, Cost., perché dispone in maniera difforme dalla legislazione statale in tema di stabilizzazione [art. 3, commi 90 e 94, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008)], la quale, in quanto diretta al contenimento della spesa, detta prìncipi in materia di coordinamento della finanza pubblica e stabilisce una disciplina molto rigida e scadenzata, mentre la norma regionale, nel prevedere termini diversi, allargherebbe a dismisura la forbice prevista dalla legislazione statale per la stabilizzazione del personale precario.

1.3. – Il ricorrente censura, infine, l’art. 54, comma 2, della legge della Regione Calabria n. 19 del 2009, il quale prevede che la Giunta regionale è autorizzata alla trasformazione, a domanda, dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa in contratti a tempo determinato, in essere alla data di entrata in vigore della medesima legge regionale ovvero in essere alla data di entrata in vigore della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e che abbiano maturato o che maturino nel corso del periodo contrattuale almeno tre anni di servizio, anche non continuativi nel quinquennio precedente alla data di entrata in vigore della legge o nell’arco del periodo contrattuale in corso, ed abbiano superato una selezione pubblica finalizzata all’instaurazione del rapporto di lavoro.

La norma lederebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., per gli stessi motivi indicati a proposito dell’analoga censura svolta rispetto al comma 1 dello stesso art. 54 e perché contrastante con l’art. 17, commi 10 e 11, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 3 agosto 2009, n. 102, che detta norme in materia di coordinamento della finanza pubblica, in quanto dirette al contenimento della spesa. Contrasterebbe, poi, con gli artt. 3 e 97 Cost., essendo priva del necessario riferimento a specifiche esigenze organizzative, mancando l’individuazione e la programmazione del fabbisogno di personale, in contrasto con i principi di buon andamento della pubblica amministrazione.

2. – La Regione Calabria ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità del ricorso perché tardivo.

L’eccezione non è fondata.

Come ripetutamente affermato da questa Corte, al fine della tempestività dell’impugnazione proposta in via principale, rileva non già la data in cui il ricorso sia stato ricevuto dalla parte alla quale esso deve essere notificato, bensì la data in cui il notificante ha consegnato l’atto all’ufficiale giudiziario incaricato della notificazione.

Nella fattispecie, il ricorso è stato consegnato all’ufficio notifiche presso la Corte d’appello di Roma il 17 agosto 2009 e, dunque, entro il termine di 60 giorni dalla pubblicazione della legge sul Bollettino ufficiale della Regione Calabria (pubblicazione avvenuta il 19 giugno 2009).

3. – Deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione alla questione sollevata avverso l’art. 12 della legge della Regione Calabria n. 19 del 2009.

Successivamente alla proposizione del ricorso, la norma impugnata è stata integralmente sostituita dall’art. 1 della legge della Regione Calabria 19 ottobre 2009, n. 33 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 12 giugno 2009, n. 19). Nella sua nuova formulazione, essa prevede che le risorse di cui all’unità previsionale di base 3.2.02.01 (capitolo 2322224) dello stato di previsione del bilancio 2009 sono utilizzate per la copertura finanziaria di «Interventi per la soluzione di problemi abitativi di particolari categorie sociali».

A seguito di tale modificazione, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato al proprio ricorso limitatamente alla parte in cui esso si riferisce appunto all’art. 12 della legge regionale n. 19 del 2009.

Questa Corte ha costantemente affermato che la rinuncia non accettata dalla controparte può fondare, unitamente ad altri elementi, la dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

Ed in effetti, dopo circa quattro mesi dalla sua entrata in vigore, la norma censurata è stata modificata in conformità ai rilievi sollevati dallo Stato e non risulta che essa abbia avuto attuazione.

Sussistono dunque pienamente le condizioni per dichiarare cessata la materia del contendere.

4. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 54, comma 1, della legge della Regione Calabria n. 19 del 2009 non è fondata nei sensi indicati di seguito.

Tale norma sostituisce il comma 2 dell’art. 43 della legge della Regione Calabria n. 15 del 2008. Questo articolo, al comma 1, autorizza la Giunta regionale a predisporre un piano per la progressiva stabilizzazione del personale utilizzato dalla Regione «nei limiti dei posti disponibili in organico, determinati dalla programmazione triennale del fabbisogno di personale ed in coerenza con la normativa statale di principio»; esso, dunque, non individua autonomamente i requisiti che deve possedere il personale da stabilizzare, facendo rinvio, in proposito, alla «normativa statale di principio». Quindi i lavoratori interessati alla stabilizzazione sono unicamente quelli in possesso dei requisiti stabiliti dalla legislazione statale e, precisamente, dall’art. 1, comma 558, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), e dall’art. 1, comma 90, lettera b), della legge n. 244 del 2007.

Il comma 2 dell’art. 43 della legge della Regione Calabria n. 15 del 2008, nel testo introdotto dalla norma oggetto della presente questione, non tocca minimamente i requisiti che i lavoratori debbono possedere per poter aspirare alla stabilizzazione. Esso, invece, stabilisce, nel primo periodo, che il piano di stabilizzazione di cui al precedente comma 1, «riguarderà i dipendenti che matureranno i requisiti di legge entro il 31 dicembre 2009» e, nel secondo periodo, che «Il rimanente personale che maturerà i requisiti di legge successivamente al 31 dicembre 2009 sarà progressivamente stabilizzato».

La norma, quindi, indica tale data per individuare i soggetti interessati in via immediata dalla stabilizzazione.

Il riferimento alla maturazione dei requisiti in epoca successiva alla suddetta data, contenuto nel secondo periodo della norma, non può certamente implicare alcuna modifica in senso estensivo dei requisiti che i lavoratori debbono possedere per poter aspirare alla stabilizzazione. Il richiamo resta sempre quello ai requisiti «di legge», onde la norma censurata finisce con il prefigurare un’ulteriore stabilizzazione solamente a condizione che ricorrano i presupposti stabiliti dalla legislazione dello Stato. Conseguentemente, nessuna stabilizzazione è possibile, neppure in virtù dell’art. 54, comma 1, della legge della Regione Calabria n. 19 del 2009, non solo a favore di lavoratori sforniti dei requisiti richiesti dalla disciplina statale, ma neppure in periodi di tempo per i quali tale disciplina non consente alcuna stabilizzazione.

Così ricostruito il significato della norma impugnata, essa non contrasta con l’art. 117, terzo comma, Cost., appunto perché rispetta i principi fondamentali enunciati dalla legislazione statale in tema di stabilizzazione e, in particolare, non amplia il novero dei potenziali interessati alla stabilizzazione così come definito dalla suddetta normativa dello Stato.

4. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 54, comma 2, della legge della Regione Calabria n. 19 del 2009, sollevata in riferimento all’art. 97 Cost., è fondata.

Tale norma dispone che «Anche ai fini dell’attuazione dell’art. 43 della legge regionale 13 giugno 2008, n. 15» (e, cioè, ai fini della successiva stabilizzazione del personale interessato) la Giunta regionale è autorizzata alla trasformazione, a domanda, dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa in contratti a tempo determinato.

In sostanza, l’art. 54, comma 2, della legge calabrese non prevede l’assunzione come lavoratori subordinati a tempo indeterminato dei titolari dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Essa, invece, stabilisce l’indiscriminata trasformazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa in rapporti di lavoro a tempo determinato.

La norma censurata non richiede che sussistano esigenze organizzative e di fabbisogno di personale, né fissa alcun limite numerico ai contratti da trasformare, né infine, prevede alcuna forma di selezione. Indicazioni, queste, che sarebbero state necessarie a cagione della differente natura giuridica delle prestazioni lavorative rese in regime di contratti di collaborazione coordinata e continuativa (aventi natura autonoma) e di quelle eseguite in virtù di contratti di lavoro a termine (aventi natura subordinata). Tutto ciò induce ad avere dubbi sulla corrispondenza ad effettive esigenze dell’amministrazione dei nuovi rapporti di lavoro instaurati in applicazione della norma ed a ritenere che è stato violato il principio del buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall’art. 97 della Costituzione.

4.1. – Restano assorbiti gli altri profili di illegittimità costituzionale della norma censurata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 2, della legge della Regione Calabria 12 giugno 2009, n. 19 [Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2009) - Art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8];

dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, commi 1 e 2, della legge della Regione Calabria n. 19 del 2009, promosse, in riferimento agli artt. 81, quarto comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata, nei termini indicati in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 54, comma 1, della legge della Regione Calabria n. 19 del 2009, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2010

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedentePronuncia successiva

SENTENZA N. 180

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Emilia-Romagna 23 luglio 2009, n. 8 (Modifica della legge regionale 31 maggio 2002, n. 9 – Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriali – in attuazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 21-24 settembre 2009, depositato in cancelleria il 24 settembre 2009 ed iscritto al n. 63 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;

udito nell’udienza pubblica del 9 marzo 2010 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;

uditi l’avvocato dello Stato Anna Lidia Caputi Iambrenghi per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Maria Chiara Lista e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso del 24 settembre 2009 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 1 della legge della Regione Emilia-Romagna 23 luglio 2009, n. 8, (Modifica della legge regionale 31 maggio 2002, n. 9 – Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriali in attuazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296), per violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, anche in relazione agli articoli 43 e 81 del Trattato dell’Unione europea, nella parte in cui ha inserito, nella legge regionale n. 9 del 2002, l’art. 8-bis, comma 2, il quale così dispone: « i titolari di concessioni demaniali marittime di cui al decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazioni dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazi oni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, potranno chiedere, entro il 31 dicembre 2009, la proroga della durata della concessione fino ad un massimo di 20 anni a partire dalla data di rilascio, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 253, della legge n. 296 del 2006 ed in conformità a quanto disposto dal presente articolo».

Riferisce il ricorrente che l’intervento legislativo della Regione Emilia-Romagna si colloca nel solco di una normativa preesistente che attiene alla disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriale. Tuttavia, disponendo nei termini sopra riportati, la norma regionale impugnata violerebbe l’art. 117, primo comma, della Costituzione, per la incoerenza con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di libertà di stabilimento e tutela della concorrenza (rispettivamente gli articoli 43 e 81 del Trattato CE) cui detto parametro offre copertura. Ed infatti la norma regionale prevede ed introduce un diritto di proroga in favore del soggetto già possessore della concessione, consentendo il rinnovo automatico della medesima. Detto automatismo determinerebbe una disparità di trattamento tra gli operatori economici in violazione dei principi di conc orrenza e di libertà di stabilimento.

Non sono infatti previste né procedure di gara né forme idonee di pubblicità afferenti la procedura relativa al rinnovo, al fine di tutelare le esigenze concorrenziali di altre imprese presenti sul mercato, in contrapposizione al titolare della concessione scaduta o in scadenza.

Del resto – prosegue il ricorrente – la procedura selettiva è del tutto auspicabile in funzione della più proficua utilizzazione della concessione demaniale e del miglior uso della stessa nell’interesse pubblico.

A conforto della tesi sostenuta, il ricorrente fa presente che è già in corso, in danno dell’Italia, la procedura di infrazione n. 2008/4908. La Commissione, infatti, ha sollevato questioni di compatibilità con il diritto comunitario della normativa italiana in materia di concessioni del demanio marittimo, nonché delle conseguenti iniziative legislative regionali.

2. – Con memoria del 18 settembre 2009, si è costituita la Regione Emilia-Romagna, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata.

Secondo la Regione resistente, la norma impugnata è dettata dal fine di dare attuazione all’art. 1, commi 251 e 253, della legge n. 296 del 2006, e dalla volontà di collegare la durata delle concessioni agli investimenti effettuati dal concessionario per la valorizzazione del bene e delle relative infrastrutture, anziché mantenere il criterio vigente nella legislazione statale, che si basa, invece, sul principio del rinnovo automatico per un periodo di sei anni, come previsto dall’art. 1 del d.l. n. 400 del 1993, del tutto svincolato da qualsivoglia adempimento, suscettibile di migliorare, ottimizzandola, la qualità dei servizi offerti alla collettività.

La norma regionale impugnata prevede la possibilità di una proroga della durata della concessione a seguito della presentazione di un programma di investimenti per la valorizzazione del bene dato in concessione, che, se apprezzato dall’amministrazione di riferimento, determinerà una maggiore durata del rapporto concessorio, proporzionale alla tipologia di investimento proposto, al fine di consentire l’ammortamento dei costi e l’equa remunerazione dei capitali investiti. La ratio della norma – rileva la Regione – è dunque la stessa della direttiva 2006/123 CE del 12 dicembre 2006 sui servizi del mercato interno, al 62° “considerando”, secondo cui la durata delle concessioni deve essere tale da garantire l’ammortamento degli investimenti e l’equa remunerazione dei capitali investiti.

Non è in particolare previsto un rinnovo automatico della concessione, come lamentato dallo Stato, ma unicamente la possibilità, subordinata alla presentazione di un piano di investimenti e all’assunzione del relativo piano economico, da esercitarsi, fra l’altro, entro un arco temporale circoscritto (entro il 31 dicembre 2009), di agganciare la durata della concessione all’investimento assunto e validato dalla competente autorità comunale, per un termine, non concesso in maniera automatica e proporzionale alla tipologia dell’investimento.

Non vi sarebbe, dunque, violazione del principio di concorrenza, in quanto la norma impugnata è preordinata a tutelare il principio dell’affidamento e le legittime aspettative dei concessionari in ragione dei loro obiettivi di miglioramento delle infrastrutture serventi il bene demaniale in concessione.

3. – Con memoria del 16 febbraio 2010, l’Avvocatura generale dello Stato ha rilevato che l’impugnativa attiene al solo comma 2 dell’art. 8-bis della legge regionale n. 9 del 2002, come del resto è reso palese dallo sviluppo argomentativo del ricorso.

In subordine, si rileva come la Regione Emilia-Romagna ometta di considerare che l’oggetto del giudizio è costituito dalla legittimità costituzionale di una norma regionale per incompatibilità con i parametri comunitari – artt. 43 (ora 49) e 81 (ora 101) del Trattato 7 febbraio 1992 sull’Unione europea – invocati quali elementi integrativi del parametro costituzionale di cui all’art. 117, primo comma, Cost., e pertanto risulta inconferente il richiamo al quadro normativo nazionale, cui è ancorata la difesa regionale.

3.1. – Con memoria del 16 febbraio 2010, la Regione Emilia-Romagna ribadisce che la norma impugnata non lede i principi costituzionali a tutela della concorrenza, perché aggancia la durata dei termini della concessione alla consistenza e portata dei piani di investimento e di valorizzazione del bene dato in concessione.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Emilia-Romagna 23 luglio 2009, n. 8 (Modifica della legge regionale 31 maggio 2002, n. 9 – Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di Demanio marittimo e di zone di mare territoriali in attuazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296), nella parte in cui ha inserito, nella legge regionale n. 9 del 2002, l’art. 8-bis, comma 2 – il quale dispone che «I titolari di concessioni demaniali marittime di cui al d.l. 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, potranno chiedere, entro il 31 dicembre 2009, la proroga della durata della concessione fino ad un massimo di venti anni a partire dalla data di rilascio» – per violazione dellR 17;art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli articoli 43 (ora 49) e 81 (ora 101) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in quanto determinerebbe una disparità di trattamento tra gli operatori economici in violazione dei principi di concorrenza e di libertà di stabilimento, dal momento che non sono previste procedure di gara al fine di tutelare le esigenze concorrenziali delle imprese non titolari di una concessione scaduta o in scadenza.

Il ricorrente ritiene che la norma limiti illegittimamente la concorrenza, mentre la Regione si difende affermando che la proroga è necessaria per garantire l’ammortamento degli investimenti effettuati dai gestori degli stabilimenti balneari e che la domanda di proroga non sarà accettata in ogni caso, ma solo se corredata di un adeguato piano di investimenti.

2. – La questione è fondata.

2.1. – La norma regionale impugnata viola l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza. Infatti la norma regionale prevede un diritto di proroga in favore del soggetto già possessore della concessione, consentendo il rinnovo automatico della medesima. Detto automatismo determina una disparità di trattamento tra gli operatori economici in violazione dei principi di concorrenza, dal momento che coloro che in precedenza non gestivano il demanio marittimo non hanno la possibilità, alla scadenza della concessione, di prendere il posto del vecchio gestore se non nel caso in cui questi non chieda la proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti.

Secondo la Regione Emilia-Romagna, invece, la norma impugnata si giustifica perché collega la durata delle concessioni agli investimenti effettuati dal concessionario per la valorizzazione del bene e delle relative infrastrutture. La norma regionale impugnata prevederebbe, infatti, la possibilità di una proroga della durata della concessione solo a seguito della presentazione di un programma di investimenti per la valorizzazione del bene dato in concessione, che, solo se apprezzato dall’amministrazione di riferimento, determinerà una maggiore durata del rapporto concessorio, proporzionale alla tipologia di investimento proposto, al fine di consentire l’ammortamento dei costi e l’equa remunerazione dei capitali investiti. Non vi sarebbe, dunque, violazione del principio di libertà di concorrenza, in quanto la norma impugnata sarebbe preordinata a tutelare il principio dell’affidamento e le legittime aspettative dei c oncessionari, in ragione dei loro obiettivi di miglioramento delle infrastrutture serventi il bene demaniale in concessione.

Questo argomento, però, avrebbe un senso solo se – per ipotesi – la norma impugnata avesse lo scopo di ripristinare la durata originaria della concessione, neutralizzando gli effetti di una precedente norma che, sempre per ipotesi, avesse arbitrariamente ridotto la durata della stessa. Nel caso all’odierno esame, invece, si tratta della proroga di una concessione già scaduta, e pertanto non vi è alcun affidamento da tutelare con riguardo alla esigenza di disporre del tempo necessario all’ammortamento delle spese sostenute per ottenere la concessione, perché al momento del rilascio della medesima il concessionario già conosceva l’arco temporale sul quale poteva contare per ammortizzare gli investimenti, e su di esso ha potuto fare affidamento.

Al contempo, la disciplina regionale impedisce l’accesso di altri potenziali operatori economici al mercato, ponendo barriere all’ingresso tali da alterare la concorrenza tra imprenditori.

La norma impugnata determina, dunque, un’ingiustificata compressione dell’assetto concorrenziale del mercato della gestione del demanio marittimo, invadendo una competenza spettante allo Stato, violando il principio di parità di trattamento (detto anche “di non discriminazione”), che si ricava dagli artt. 49 e ss. del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in tema di libertà di stabilimento, favorendo i vecchi concessionari a scapito degli aspiranti nuovi.

La previsione di una proroga dei rapporti concessori in corso, in luogo di una procedura di rinnovo che «apra» il mercato, è del tutto contraddittoria rispetto al fine di tutela della concorrenza e di adeguamento ai principi comunitari (sentenza n. 1 del 2008).

Queste conclusioni sono del resto avvalorate dai rilievi formulati dalla Commissione europea nella suddetta procedura di infrazione, secondo cui la Repubblica italiana è venuta meno «agli obblighi che le incombono ai sensi dell’articolo 43 del Trattato CE», prevedendo un diritto di preferenza a favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni del demanio pubblico marittimo.

Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Emilia-Romagna n. 8 del 2009.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Emilia-Romagna 23 luglio 2009, n. 8 (Modifica della legge regionale 31 maggio 2002 n. 9 – Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di Demanio marittimo e di zone di mare territoriali – in attuazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296), nella parte in cui ha inserito nella legge regionale n. 9 del 2002 l’art. 8-bis, comma 2.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedentePronuncia successiva

SENTENZA N. 181

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 74, comma 3, della legge della Regione Lombardia 14 luglio 2009, n. 11 (Testo unico delle leggi regionali in materia di trasporti), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 21 settembre 2009, depositato in cancelleria il successivo 22 settembre ed iscritto al n. 61 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;

udito nell’udienza pubblica del 27 aprile 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Nicolò Zanon e Andrea Manzi per la Regione Lombardia.

Ritenuto in fatto

1.— Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’articolo 74, comma 3, della legge della Regione Lombardia 14 luglio 2009, n. 11 (Testo unico delle leggi regionali in materia di trasporti), per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed l), della Costituzione.

1.1.— In via preliminare, il ricorrente illustra il contenuto dell’impugnata disposizione.

In base ad essa, la Regione Lombardia provvede, quanto all’organizzazione dei servizi ferroviari, all’affidamento progressivo degli stessi attraverso la procedura ristretta prevista dall’art. 3, comma 38, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), «utilizzando il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui all’art. 83 dello stesso decreto legislativo».

La norma impugnata, tuttavia, contrasterebbe con l’art. 81, comma 2, del medesimo Codice degli appalti, il quale stabilisce – sottolinea il ricorrente – che «la stazione appaltante sceglie l’operatore economico che ha offerto le condizioni più vantaggiose, secondo il criterio del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa». Detto articolo, a propria volta, avrebbe recepito quanto affermato dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 7 ottobre 2004 resa nella causa C-247/02, secondo cui «la fissazione da parte del legislatore, in termini generali ed astratti, di un unico criterio di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici priva le amministrazioni aggiudicatrici della possibilità di prendere in considerazione la natura e le caratteristiche peculiari di tali appalti, isolatamente considerati, scegliendo per ognuno di essi il criterio più idoneo a garantir e la libera concorrenza e ad assicurare la selezione della migliore offerta».

Infine, la disposizione regionale impugnata contrasterebbe con l’art. 54, comma 1, del medesimo Codice, secondo cui – prosegue il ricorrente – «per l’individuazione degli operatori economici che possono presentare offerte per l’affidamento di un contratto pubblico, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte, ristrette, negoziate, ovvero il dialogo competitivo, lasciando, quindi, nuovamente un ampio margine di autonomia alle amministrazioni aggiudicatrici, rispetto, in tal caso, alla scelta della procedura di aggiudicazione».

1.2.— Tanto premesso, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, nella disciplina degli appalti – come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale (è richiamata, in particolare, la sentenza n. 411 del 2008) – «si profila un’interferenza tra materie di competenza statale e materie di competenza regionale», destinata, però, a risolversi «normalmente con la prevalenza della disciplina statale su ogni altra fonte normativa» (è citata, a riguardo, anche la sentenza n. 401 del 2007).

In particolare, secondo il ricorrente, sarebbe stato chiarito che «la disciplina delle procedure di gara» e, segnatamente, «la regolamentazione della qualificazione e della selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione» sono dirette «a garantire che le stesse si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, delle libertà di stabilimento, nonché dei principi costituzionali di trasparenza e della parità di trattamento» (sentenze n. 431 e n. 401 del 2007).

Vengono, pertanto, in rilievo quelle esigenze, connesse alla necessità di «consentire la piena apertura del mercato nel settore degli appalti», che risultano «riconducibili alla tutela della concorrenza, di esclusiva competenza statale». Parimenti, ad un ambito di esclusiva competenza dello Stato deve essere ricondotta anche «la fase negoziale dei contratti della pubblica amministrazione, che ricomprende l’intera disciplina di esecuzione del rapporto contrattuale», connotandosi «per la normale mancanza di poteri autoritativi in capo al soggetto pubblico, sostituiti dall’esercizio di autonomie negoziali», sicché essa «deve essere ascritta all’ambito materiale dell’ordinamento civile» (sentenze n. 411 del 2008 e n. 401 del 2007).

Sulla base, dunque, di tali premesse il ricorrente ha concluso che l’impugnato art. 74, comma 3, della legge regionale n. 11 del 2009, «introducendo il criterio esclusivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa nell’affidamento dei servizi ferroviari, viola il principio, di matrice anche comunitaria, della libera scelta del criterio di aggiudicazione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice e, conseguentemente, invade la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza».

2.— Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o, in subordine, non fondata.

2.1.— La Regione eccepisce, innanzitutto, l’inammissibilità del ricorso sotto un duplice profilo.

2.1.1.— Viene dedotta, in primo luogo, la «violazione dei termini di cui all’art. 127 Cost.».

Si rileva, infatti, che la proposta impugnazione «ha ad oggetto una norma fedelmente riproduttiva di una disposizione entrata in vigore nel gennaio del 2002», ovvero il comma 2-bis dell’art. 22 della legge regionale 29 ottobre 1998, n. 22 (Riforma del trasporto pubblico locale in Lombardia), comma ivi inserito dall’art. 3, comma 1, della legge regionale 2 febbraio 2001, n. 3 (Modifiche ed integrazioni a disposizioni legislative regionali in materia di assetto istituzionale, sviluppo economico, territorio e ambiente e infrastrutture e servizi alla persona, finalizzate all’attuazione del documento di programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’art. 9-ter della legge regionale n. 34 del 1978).

La presente questione si indirizzerebbe, dunque, nei confronti di una previsione legislativa contenuta in un testo unico di natura meramente compilativa, nel quale sono riprodotte disposizioni già da tempo vigenti per la Regione Lombardia, sicché una eventuale declaratoria di ammissibilità di ricorsi – come quello in esame – che investono testi unici esclusivamente compilativi «finirebbe per consentire una sostanziale elusione del disposto dell’art. 127 Cost., secondo cui le leggi regionali vanno impugnate entro 60 giorni dalla loro pubblicazione». Per queste ragioni la Regione Lombardia insiste, in via preliminare, per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

2.1.2.— Il medesimo esito, in secondo luogo, si imporrebbe – prosegue la difesa regionale – anche a causa della «erronea indicazione dei termini della questione di costituzionalità».

Il ricorrente, difatti, assume che la norma sarebbe invasiva della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza. In particolare, essa violerebbe il principio della libera scelta del criterio di aggiudicazione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, sancito dall’art. 81, comma 2, del Codice degli appalti, nonché il principio secondo cui le stazioni appaltanti sono libere di scegliere se fare ricorso ad una procedura aperta o ad una ristretta, ex art. 54 dello stesso Codice.

Tale presupposto – secondo la Regione – sarebbe, però, erroneo, giacché, in base a quanto previsto dall’art. 3, comma 5, del medesimo Codice, «il servizio del trasporto (incluso quello ferroviario) disciplinato dalla legge regionale rientra in uno dei cosiddetti “settori speciali” dei contratti pubblici», per i quali, ai sensi dell’art. 206, comma 2, del Codice non si applicano né l’art. 54 né il comma 2 dell’art. 81, ovvero le due norme statali delle quali il ricorso lamenta la violazione.

L’errore effettuato dal ricorrente renderebbe inammissibile il ricorso, giacché – conclude sul punto la difesa regionale – costringerebbe, di fatto, la parte resistente, ovvero la Corte costituzionale, «a sostituirsi al ricorrente nell’individuare le eventuali norme statali» con le quali la legge regionale si pone, in ipotesi, in contrasto.

2.2.— Nel merito, la Regione Lombardia assume che la disposizione impugnata sarebbe immune dai vizi denunciati, presentandosi pienamente conforme alla normativa statale.

Essa nega, infatti, che la disciplina in esame possa considerarsi lesiva dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., giacché essa, nell’ottica di favorire la concorrenza, «si colloca nel solco di quanto già disposto dal legislatore statale in merito alla procedura di scelta del contraente per i settori speciali».

Ribadisce, infatti, che, ai sensi dell’art. 206 del d.lgs. n. 163 del 2006, è stabilito «che per i contratti pubblici nei settori speciali, quale è il trasporto ferroviario, non trovi applicazione l’art. 81, comma 2, dello stesso Codice, che prevede la possibilità per le stazioni appaltanti di scegliere tra il criterio del prezzo più basso e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa». Opererebbe, viceversa, il comma 1 del medesimo art. 81, secondo cui «la migliore offerta è selezionata con il criterio del prezzo più basso o con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa».

Ne consegue, secondo la Regione Lombardia, che in base a tale sistema residua – per i settori speciali – «uno spazio di discrezionalità che ben può essere occupato dal legislatore regionale».

Infine, si sottolinea che l’impugnato art. 74, comma 3, della legge regionale n. 11 del 2009 sarebbe conforme alla normativa comunitaria, ed in particolare alla citata sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 7 ottobre 2004, intervenuta all’esito della causa C-247/02.

La ratio della pronuncia in esame sarebbe, difatti, solo quella – secondo la resistente – «di consentire, con tutti gli strumenti a tal fine necessari, all’amministrazione aggiudicatrice di scegliere l’offerta migliore», impedendo l’automatica applicazione del criterio del prezzo più basso, ma non anche di quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

3.— Con memoria depositata il 24 marzo 2010, la Regione Lombardia ha insistito per la declaratoria di inammissibilità o, in alternativa, per il rigetto della questione.

4.— Con memoria del 6 aprile 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto rigettarsi l’eccezione di inammissibilità della questione, per intempestività del ricorso, sollevata dalla difesa regionale.

Rileva, difatti, l’Avvocatura generale dello Stato che – anche a voler ritenere «meramente formali le differenze tra la disposizione qui impugnata e la previgente norma regionale, che si assume meramente riprodotta nel Testo Unico» – l’oggetto del ricorso statale «è il contrasto tra la disposizione regionale ed una norma statale contenuta nel Codice dei contratti pubblici del 2006, l’art. 81, comma 2». Quest’ultima, in particolare, «innovando rispetto al passato», ha «stabilito che non esistono preclusioni normative rispetto all’adozione di uno dei criteri di selezione delle offerte, la cui scelta è demandata alla discrezionale valutazione dell’Amministrazione».

Ne consegue, pertanto, che se la norma regionale del 2002 era conforme alla disciplina statale allora vigente – prosegue il Presidente del Consiglio dei ministri – «non è possibile ipotizzare», come assume la difesa regionale, «che la sua mancata impugnazione costituisca manifestazione di acquiescenza da parte del Governo». Il contrasto, per contro, con la disciplina del Codice degli appalti, «che si assume essere espressione della competenza legislativa esclusiva in materia di concorrenza», ha determinato «una situazione di illegittimità costituzionale sopravvenuta, derivante dall’omesso adeguamento della disciplina regionale a quella statale», quest’ultima, a sua volta, costituente applicazione dell’interpretazione delle norme comunitarie effettuata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.

5.— Con nuova memoria depositata il 6 aprile 2010, la Regione Lombardia ha ribadito le proprie difese.

In particolare, sottolinea come l’infondatezza della censura statale risulti confermata «anche alla luce di quanto prevede l’art. 18, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 422 del 1997». Tale norma, infatti, stabilisce che le gare per la scelta dei gestori dei servizi pubblici regionali e locali di trasporto devono essere aggiudicate «sulla base delle migliori condizioni economiche e di prestazione del servizio, nonché dei piani di sviluppo e potenziamento delle reti e degli impianti, oltre che della fissazione di un coefficiente minimo di utilizzazione per la istituzione o il mantenimento delle singole linee esercite». Sarebbe, in tal modo, ribadito che, «al fine di poter verificare l’esistenza dei requisiti richiesti per l’aggiudicazione dei servizi di trasporto ferroviario e verificare quali siano le migliori condizioni di prestazione del servizio, si rende necessario il ricorso al criterio dell’offerta economicamente pi 9; vantaggiosa».

Considerato in diritto

1.— Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’articolo 74, comma 3, della legge della Regione Lombardia 14 luglio 2009, n. 11 (Testo unico delle leggi regionali in materia di trasporti), in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed l), della Costituzione.

1.1.— Secondo il ricorrente, la norma impugnata, «introducendo il criterio esclusivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa nell’affidamento dei servizi ferroviari», sarebbe in contrasto con il «principio, di matrice anche comunitaria, della libera scelta del criterio di aggiudicazione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice» e, conseguentemente, invaderebbe «la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza». Detta norma, infatti, violerebbe, per un verso, l’art. 81, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), il quale, nello stabilire che «la stazione appaltante sceglie l’operatore economico che ha offerto le condizioni più vantaggiose, secondo il criterio del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa», si por rebbe come «puntuale applicazione» del criterio di delega contenuto nell’art. 25, comma 1, della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), in base al quale il legislatore delegato era tenuto ad adeguare la normativa vigente in materia alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 7 ottobre 2004 resa nella causa C-247/02. Per altro verso, la disposizione censurata violerebbe l’art. 54, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 163 del 2006, secondo cui – ad avviso del ricorrente – «per l’individuazione degli operatori economici che possono presentare offerte per l’affidamento di un contratto pubblico, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte, ristrette, negoziate, ovvero il dialogo competitivo, lasciando, quindi, nuovamente un ampio margine di autonomia alle amministrazioni a ggiudicatrici, rispetto, in tal caso, alla scelta della procedura di a ggiudicazione».

2.— La resistente Regione Lombardia – oltre a contestare nel merito la fondatezza della presente questione – ha eccepito, preliminarmente, l’inammissibilità dell’impugnativa statale sotto un duplice profilo.

Ha dedotto, innanzitutto, la violazione del termine stabilito dall’art. 127 Cost., giacché il ricorso investirebbe una norma contenuta in un testo unico compilativo, e dunque «fedelmente riproduttiva di una disposizione entrata in vigore nel gennaio del 2002», ed esattamente il comma 2-bis dell’art. 22 della legge regionale 29 ottobre 1998, n. 22 (Riforma del trasporto pubblico locale in Lombardia), comma ivi inserito dall’art. 3, comma 1, della legge regionale 2 febbraio 2001, n. 3 (Modifiche ed integrazioni a disposizioni legislative regionali in materia di assetto istituzionale, sviluppo economico, territorio e ambiente e infrastrutture e servizi alla persona, finalizzate all’attuazione del documento di programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’art. 9-ter della legge regionale n. 34 del 1978).

In secondo luogo, l’inammissibilità della questione viene argomentata sul presupposto che ricorra un’«erronea indicazione dei termini della questione di costituzionalità», giacché, in base a quanto previsto dall’art. 3, comma 5, del citato d.lgs. n. 163 del 2006, «il servizio del trasporto (incluso quello ferroviario) disciplinato dalla legge regionale rientra in uno dei cosiddetti “settori speciali” dei contratti pubblici», per i quali, ai sensi dell’art. 206, comma 2, del medesimo Codice, non si applicano né l’art. 54 né il comma 2 dell’art. 81, ovvero le due norme statali delle quali il ricorrente lamenta la violazione.

Nel merito, la difesa regionale esclude che l’impugnato art. 74, comma 3, della legge regionale n. 11 del 2009 possa ritenersi in contrasto con l’obiettivo, sancito dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., della tutela della concorrenza.

3.— In limine, è necessario vagliare l’ammissibilità dell’impugnazione.

3.1.— Ritiene, in particolare, questa Corte – cui spetta, nel valutare il complesso delle eccezioni e delle questioni costituenti il thema decidendum devoluto al suo esame, «stabilire, anche per economia di giudizio, l’ordine con cui affrontarle nella sentenza e dichiarare assorbite le altre» (da ultimo, sentenza n. 262 del 2009) – che l’eccezione di inammissibilità per «erronea indicazione dei termini della questione di costituzionalità» meriti accoglimento.

3.2.— In base a quanto previsto dall’art. 3, comma 5, del già citato d.lgs. n. 163 del 2006, rientra tra i «settori speciali» dei contratti pubblici, tra gli altri, anche quello dei trasporti (compresi quelli ferroviari). Ne consegue che, ai sensi dell’art. 206, comma 2, dello stesso decreto legislativo, non si applicano, alla fattispecie disciplinata dalla norma impugnata, né l’art. 54 né il comma 2 dell’art. 81, del medesimo Codice, vale a dire proprio le due norme statali delle quali il ricorrente lamenta, invece, la violazione.

Il riferimento esclusivamente a disposizioni statali non conferenti rispetto al caso in esame, compiuto dal Presidente del Consiglio dei ministri nel suo ricorso, non consentendo neppure di stabilire «se le norme impugnate vengano censurate per il solo fatto di invadere la competenza esclusiva dello Stato in tema di tutela della concorrenza o di ordinamento civile» (competenze, entrambe, la cui violazione è contestata con il ricorso), si risolve nella proposizione di un’impugnazione le cui censure risultano «formulate in modo generico ed indeterminato» (sentenza n. 45 del 2010).

Deve, dunque, dichiararsi l’inammissibilità della questione, giacché il ricorrente avrebbe dovuto indicare le esatte disposizioni del predetto Codice «eventualmente recanti prescrizioni difformi rispetto a quelle oggetto di impugnazione» (così, nuovamente, la sentenza n. 45 del 2010).

Resta assorbito l’esame di ogni altra questione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 74, comma 3, della legge della Regione Lombardia 14 luglio 2009, n. 11 (Testo unico delle leggi regionali in materia di trasporti), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed l), della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfonso QUARANTA , Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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SENTENZA N. 182

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13-bis, comma 8, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso notificato il 3 ottobre 2009, depositato in cancelleria il 7 ottobre 2009 ed iscritto al n. 80 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 28 aprile 2010 il Giudice relatore Franco Gallo;

uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento e l'avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 3 ottobre 2009, la Provincia autonoma di Trento ha impugnato, tra altre disposizioni dello stesso decreto-legge, l’art. 13-bis, comma 8, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, per violazione dell’art. 75, comma 1, lettera g), del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e degli artt. 9 e 10, commi 6 e 7, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), attuativo del Titolo VI dello statuto speciale.

La ricorrente premette che il menzionato art. 13-bis, introdotto dalla legge di conversione, detta «Disposizioni concernenti il rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato», istituendo, al comma 1, «un’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali: a) detenute fuori del territorio dello Stato senza l’osservanza delle disposizioni del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167 [...]; b) a condizione che le stesse siano rimpatriate in Italia da Stati non appartenenti all’Unione europea, ovvero regolarizzate o rimpatriate perché detenute in Stati dell’Unione europea e in Stati aderenti allo Spazio economico europeo che garantiscono un effettivo scambio di informazioni fiscali in via amministrativa».

Il censurato comma 8 – prosegue la ricorrente – prevede che «le maggiori entrate derivanti dal presente articolo affluiscono ad un’apposita contabilità speciale per essere destinate alle finalità indicate all’articolo 16, comma 3», e cioè, «in conformità alle indicazioni contenute nel Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2010-2013, all’attuazione della manovra di bilancio per gli anni 2010 e seguenti».

La ricorrente sostiene che, qualora la norma denunciata, nel disporre delle maggiori entrate, si riferisse anche a quelle riscosse nell’àmbito della Provincia autonoma di Trento, essa lederebbe l’autonomia finanziaria di tale Provincia, regolata dal Titolo VI dello statuto speciale, dalla legge 30 novembre 1989, n. 386 (Norme per il coordinamento della finanza della regione Trentino-Alto Adige e delle province autonome di Trento e di Bolzano con la riforma tributaria), e dal d.lgs. n. 268 del 1992.

La Provincia propone la sua impugnazione per l’ipotesi che la disposizione censurata vada intesa nel senso di riservare al bilancio statale anche la quota delle entrate di sua competenza. Osserva, infatti, che l’art. 13-bis non menziona specificamente le Province autonome, «per cui non è chiaro se realmente tale disposizione intenda sottrarre alla Provincia le entrate tributarie derivanti dall’applicazione dell’art. l3-bis e relative a soggetti residenti (o aventi sede) nel territorio provinciale», in quanto «in tale situazione di non chiarezza» dovrebbe prevalere l’interpretazione che fa salva l’autonomia finanziaria della Provincia come definita dallo statuto.

In caso contrario – osserva la ricorrente – la disposizione censurata violerebbe l’art. 75, comma 1, lettera g), dello statuto di autonomia, secondo cui spettano alle Province autonome «i nove decimi di tutte le altre entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate», e gli artt. 9 e 10, commi 6 e 7, del d.lgs. n. 268 del 1992, in quanto essa riserverebbe allo Stato la quota di spettanza della Provincia in assenza dei presupposti indicati da tali disposizioni.

L’art. 9, in particolare, stabilisce che «il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi» è riservato allo Stato se destinato per legge – per finalità diverse da quelle di cui al comma 6 dell’art. 10 e al comma 1, lettera b), dell’art. 10-bis – alla copertura, ai sensi dell’art. 81 Cost., di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della Regione o delle Province, ivi comprese quelle relative a calamità naturali, e «purché risulti temporalmente delimitato, nonché contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile».

L’art. 10 prevede, al comma 6, che una quota del previsto incremento del gettito tributario, con alcune esclusioni, «può essere destinata», limitatamente agli esercizi previsti dall’accordo relativo alla determinazione della quota variabile di cui all’art. 78 dello statuto, «al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica previsti dai precedenti provvedimenti». Al successivo comma 7 prevede, poi, che «Nella determinazione della quota di cui al comma 6 si tiene conto altresí: a) dei gettiti derivanti da maggiorazioni di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi se destinati per legge alla copertura, ai sensi dell’art. 81 della Costituzione, delle spese di cui all’art. 9, nel caso in cui i predetti gettiti non risultino contabilizzati distintamente nel bilancio dello Stato, o non risultino temporalmente delimitati; b) delle spese relative a nuove competenze trasferite o delegate dallo Sta to alle province».

La ricorrente lamenta, in conclusione, che la destinazione delle nuove entrate tributarie – stabilita dall’art. 16, comma 3, richiamato dalla disposizione censurata –, «in conformità alle indicazioni contenute nel Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2010-2013, all’attuazione della manovra di bilancio per gli anni 2010 e seguenti», non concreta alcuno dei presupposti di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992, non essendo previsti né le «spese specifiche», né il «carattere non continuativo», né l’estraneità alle materie regionali.

2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, rilevando l’infondatezza della questione prospettata.

A detta della difesa dello Stato, l’eccezionalità del prelievo, la sua natura peculiare – data dal fatto che esso surroga l’applicazione delle sanzioni nei confronti di chi violò le norme amministrative, tributarie e previdenziali riguardanti l’esportazione di capitali – e la limitatezza nel tempo dell’operatività della disposizione escludono che essa possa violare gli evocati parametri.

Osserva la stessa difesa che l’art. 117, secondo comma, Cost. riserva alla competenza esclusiva dello Stato il sistema tributario e contabile statale e l’ordinamento civile e penale, materie alle quali il prelievo in questione deve essere ricondotto, perché esso sostituisce «le sanzioni (anche) pecuniarie per gli illeciti commessi, ora, appunto, regolarizzati, le cui sanzioni pecuniarie non furono mai destinate al bilancio provinciale».

3. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Provincia autonoma di Trento ha insistito nell’accoglimento della questione prospettata, rilevando che: a) la legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), ha inserito nello statuto speciale l’art. 75-bis, il quale conferma che, a prescindere dall’ufficio al quale pervengono le somme pagate ai sensi dell’art. 13-bis censurato, quelle provenienti da soggetti residenti o aventi sede nella provincia di Trento spettano per i nove decimi alla Provincia; b) l’osservazione della difesa erariale secondo la quale le entrate tributarie di cui all’art. 75, comma 1, lettera g), dello statuto speciale non comprendono le sanzioni amministrative non si attaglia alla fattispecie in esame, perché le somme di cui si tratta non sono riscosse a titolo di sanzione, bens í a titolo di imposta straordinaria, con l’esclusione di sanzioni; c) trova applicazione, nel caso di specie, la disposizione di cui all’art. 75, comma 1, lettera g), dello statuto speciale, perché l’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 268 del 1992 precisa che «ai fini dell’art. 75, comma 1, lettera g), dello statuto per entrate tributarie si intendono le entrate qualificate come tali nel bilancio dello Stato»; d) la corresponsione alla Provincia di quanto le compete ai sensi dello statuto risulta pienamente giustificata dalla considerazione che l’imposta straordinaria tiene luogo di quelle non pagate dai soggetti residenti o aventi sede nella provincia «sulle attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato senza l’osservanza delle disposizioni del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, imposte che sarebbero affluite alla Provincia secondo le norme dello Statuto»; e) il fatto che, in caso di applicaz ione di sanzioni, queste sarebbero affluite al bilancio statale non pu ò condurre a disapplicare il regime delle entrate tributarie, perché «l’’acquisizione al bilancio statale delle sanzioni si spiega con la considerazione che l’attività amministrativa sanzionatoria è svolta dagli uffici statali, mentre la norma impugnata […] vorrebbe distrarre dal bilancio provinciale somme che i privati pagano a titolo di imposta, in sostituzione delle imposte non pagate, senza neppure che vi sia un’attività amministrativa statale volta a scoprire gli illeciti o a far “emergere” le attività»; f) non si contesta la competenza statale in materia di «sistema tributario e contabile dello Stato», che consente a quest’ultimo di istituire e regolare l’imposta, «ma solo la norma che, secondo l’interpretazione prospettata nel ricorso a titolo cautelativo, sottrarrebbe alla Provincia le entrate di sua spettanza»; g) non si contesta neanche la competenza statale nella materia dell ’ordinamento civile e penale, in base alla quale possono legittimamente essere disciplinate le conseguenze del rimpatrio o della regolarizzazione dei capitali, ma si contesta soltanto la destinazione delle somme riscosse a titolo di imposta straordinaria.

4. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto già dedotto, insistendo per il rigetto del ricorso e sostenendo, in primo luogo, che l’imposta straordinaria di cui si tratta non è una vera imposta, ma è «un pagamento stabilito in cambio di un rimpatrio non rischioso di capitali illecitamente esportati», che si concretizza nel «prezzo di un “perdono” che cancella le conseguenze penali, fiscali, amministrative e civili dell’illecita condotta». La difesa dello Stato rileva, in particolare, che il prelievo in questione si paga «a condizione che si compia una certa attività e che si chieda di pagarlo» e che, nel caso di specie, la somma corrisposta non è altro che il “riscatto” dell’illecito, «la sostituzione (favorevole per il colpevole) delle sanzioni penali ed amministrative altrimenti irrogabili, alle quali lo Stato rinuncia» e che non sarebbero comunque spettate alla Provincia autonoma.

L’Avvocatura generale dello Stato sostiene, in secondo luogo, che la norma denunciata afferisce alle competenze legislative statali nelle materie del coordinamento della finanza pubblica e dell’ordinamento civile e penale, perché ha l’effetto di “decriminalizzare” e “desanzionare” un certo comportamento in cambio di un ravvedimento operoso accompagnato dal pagamento di una determinata somma.

In terzo luogo – sempre per la difesa statale – il prelievo in questione sarebbe di spettanza dello Stato anche se fosse considerato di carattere tributario, perché ha i requisiti richiesti a tal fine dall’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992, evocato dalla ricorrente quale parametro di costituzionalità, essendo diretto «alla copertura, ai sensi dell’art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo» ed essendo temporaneo. In particolare: «la destinazione legale del rientro dei capitali e del pagamento della sanatoria è data dall’art. 16, c. 3, D.L. n. 78/09, e cioè la destinazione è l’attuazione della manovra di bilancio per gli anni 2010-2013»; mentre «la “temporaneità” è data dal termine di scadenza della regolarizzazione al 30 aprile 2010 (termine cosí prorogato dall’art. 1 D.L. 30 dicembre 2009, n. 194)».

Considerato in diritto

1. – La Provincia autonoma di Trento censura l’art. 13-bis, comma 8, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, il quale prevede che «le maggiori entrate derivanti dal presente articolo affluiscono ad un’apposita contabilità speciale per essere destinate alle finalità indicate all’articolo 16, comma 3», e cioè «all’attuazione della manovra di bilancio per gli anni 2010 e seguenti», «in conformità alle indicazioni contenute nel Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2010-2013».

Sono evocati quali parametri di legittimità costituzionale: a) l’art. 75, comma 1, lettera g), del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), il quale prevede che spettano alle Province autonome «i nove decimi di tutte le altre entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate»; b) gli artt. 9 e 10, commi 6 e 7, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale). In particolare, le evocate disposizioni del d.lgs. n. 268 del 1992 prevedono, rispettivamente, che: (b.1.) «Il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi, se destinato per legge, per finalità diverse da quelle di cui al comma 6 dell’art. 10 e al comma 1, lettera b), dell’art. 10-bis, alla coper tura, ai sensi dell’art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province, ivi comprese quelle relative a calamità naturali, è riservato allo Stato, purché risulti temporalmente delimitato, nonché contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile. Fuori dei casi contemplati nel presente articolo si applica quanto disposto dagli articoli 10 e 10-bis» (art. 9); (b.2.) una quota del previsto incremento del gettito tributario, con alcune esclusioni, «può essere destinata», limitatamente agli esercizi previsti dall’accordo relativo alla determinazione della quota variabile di cui all’art. 78 dello statuto, «al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica previsti dai precedenti provvedimenti» (art. 10, comma 6); (b.3.) «Nella determinazione della quota di cui al comma 6 si tiene cont o altresí: a) dei gettiti derivanti da maggiorazioni di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi se destinati per legge alla copertura, ai sensi dell’art. 81 della Costituzione, delle spese di cui all’art. 9, nel caso in cui i predetti gettiti non risultino contabilizzati distintamente nel bilancio dello Stato, o non risultino temporalmente delimitati; b) delle spese relative a nuove competenze trasferite o delegate dallo Stato alle province» (art. 10, comma 7).

Secondo la Provincia ricorrente, la disposizione impugnata, se interpretata – come lo Stato l’interpreta – nel senso che essa riserva al bilancio statale anche la quota dell’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali disciplinata dai precedenti commi dello stesso art. 13-bis, víola gli evocati parametri, perché dispone una tale riserva per un’entrata tributaria erariale destinata, invece, alla Provincia stessa; e ciò, senza che sussista la condizione prevista dall’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992, e cioè la destinazione del gettito alla copertura di «spese specifiche», aventi «carattere non continuativo» ed estranee «alle materie regionali».

2. – La trattazione della questione di legittimità costituzionale relativa alla suddetta disposizione viene qui separata da quella delle altre questioni, promosse con il medesimo ricorso, per le quali è opportuno procedere ad un esame distinto.

3. – La difesa dello Stato eccepisce, in primo luogo, che la riserva al bilancio statale della suddetta imposta straordinaria esula dall’àmbito di applicazione degli evocati parametri, perché essi si riferiscono ad entrate tributarie, mentre il prelievo in questione non ha natura tributaria.

L’eccezione non è fondata.

Il prelievo di cui al citato art. 13-bis ha la seguente disciplina: a) è dovuto, in via straordinaria, in relazione al rimpatrio o alla regolarizzazione, limitatamente al periodo indicato dal comma 6, delle attività finanziarie e patrimoniali «detenute fuori del territorio dello Stato senza l’osservanza delle disposizioni del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni» (comma 1, lettera a); b) si applica «su un rendimento lordo presunto in ragione del 2 per cento annuo per i cinque anni precedenti il rimpatrio o la regolarizzazione» e con «un’aliquota sintetica del 50 per cento per anno, comprensiva di interessi e sanzioni» (comma 2); c) è corrisposto per il tramite di intermediari (banche e altri soggetti individuati dall’art. 11, comma 1, lettera b, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 350) e previa presentazione agli stessi intermedia ri di una dichiarazione riservata delle attività finanziarie rimpatriate o regolarizzate (art. 13 del d.l. n. 350 del 2001); d) il suo gettito è destinato a finanziare la manovra di bilancio per gli anni 2010 e seguenti, «in conformità alle indicazioni contenute nel Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2010-2013».

La suesposta disciplina conferma la qualificazione di «imposta straordinaria» data dallo stesso legislatore al menzionato prelievo. Quest’ultimo – secondo la ricostruzione appena delineata nelle lettere da a) a d) – risponde, infatti, a tutti i criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale (ex plurimis: sentenze n. 141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005) per qualificare come tributarie alcune entrate. Esso costituisce, in particolare, una prestazione obbligatoria straordinaria stabilita per legge (lettere a, b, c), collegata ad una pubblica spesa (lettera d), in relazione ad un presupposto economicamente rilevante (lettera a).

Dalla natura tributaria di detto prelievo – desumibile dai criteri sostanziali sopra indicati e non certo dalle modalità di contabilizzazione del gettito – consegue la pertinenza degli evocati parametri, i quali si riferiscono, appunto, alle entrate tributarie.

4. – Nel merito, la questione non è fondata.

Per valutare se la riserva al bilancio statale dell’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali disposta dalla norma censurata sia legittima, occorre verificare se essa soddisfi le condizioni previste dall’evocato art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992. In particolare, tale articolo richiede, per la legittimità della riserva statale, che: a) detta riserva sia giustificata da «finalità diverse da quelle di cui al comma 6 dell’art. 10 e al comma 1, lettera b), dell’art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992, e cioè da finalità diverse tanto dal «raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica» (art. 10, comma 6) quanto dalla copertura di «spese derivanti dall’esercizio delle funzioni statali delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b); b) il gettito sia destinato per legge «alla copertura, ai sensi dell’art. 81 della Costituzione, di nuove specif iche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province, ivi comprese quelle relative a calamità naturali»; c) il gettito sia «temporalmente delimitato, nonché contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile».

Il denunciato ultimo comma dell’art. 13-bis del d.l. n. 78 del 2009 soddisfa tali condizioni.

4.1. – Quanto alla condizione sub a), è agevole rilevare che la norma censurata, disponendo, attraverso il richiamo del comma 3 del successivo art. 16, che il gettito dell’imposta sia destinato «all’attuazione della manovra di bilancio per gli anni 2010 e seguenti», persegue in concreto finalità diverse, in quanto piú articolate e complesse, da quella del puro e semplice riequilibrio della finanza pubblica di cui al comma 6 dell’art. 10.

4.2. – Quanto alla condizione sub b) della copertura «di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province», deve essere preliminarmente preso in considerazione quanto previsto dallo stesso art. 16, comma 3, richiamato dalla disposizione censurata, il quale stabilisce – come visto – che la destinazione del gettito dell’imposta «all’attuazione della manovra di bilancio per gli anni 2010 e seguenti» deve avvenire «in conformità alle indicazioni contenute nel Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2010-2013» (DPEF). È perciò necessario accertare se dal suddetto DPEF siano desumibili finalità di copertura di spese che abbiano i caratteri della novità, della specificità, della non continuatività e della non riconducibilità alle competenze legislative regionali o provinciali.

A tal fine va osservato che, ai punti I e II del citato DPEF, la programmazione economico-finanziaria per il triennio è posta in stretta relazione con l’esigenza di contrastare gli effetti sull’economia nazionale dell’attuale crisi economica internazionale. Vi si legge, infatti, che «il Governo intende agire per trasformare l’attuale crisi in un’opportunità di sviluppo e di rilancio per l’economia italiana» (punto I, pagina 2). In tale quadro congiunturale, l’azione del Governo è quindi volta (secondo quanto indicato al successivo punto III) a «fronteggiare la recessione sia con misure a supporto del settore finanziario sia di stimolo fiscale» (pagina 15). Tali misure consistono, per lo piú, in spese dirette al finanziamento della ripresa economica, quali: il sostegno alle imprese, anche attraverso il finanziamento del fondo di garanzia e l’alleggerimento del carico fiscale (pagine 17 e 25); gli interventi sul mercato del lavoro, anche attraverso il finanziamento del fondo per l’occupazione (pagine 18 e 25); il finanziamento degli investimenti pubblici, con particolare riguardo alle infrastrutture e alle attività di ricerca e sviluppo (pagina 18); il supporto alle famiglie, con misure di salvaguardia del potere d’acquisto, di tutela dei piccoli risparmiatori, di risposta all’emergenza abitativa (pagine 18 e 26); il finanziamento della cooperazione internazionale allo sviluppo (pagina 26); il finanziamento delle opere di ricostruzione dell’Abruzzo (pagina 26).

Dall’analisi dei contenuti e delle finalità del DPEF emerge con chiarezza che le spese alla cui copertura esso fa riferimento soddisfano la condizione sub b), perché possiedono sia il carattere della novità e non continuatività, in quanto sono strettamente connesse all’insorgenza di una contingente crisi economica, sia quello della specificità, in quanto si risolvono nel finanziamento di misure sufficientemente individuate dallo stesso DPEF, sia, infine, quello della non riconducibilità alle competenze legislative regionali o provinciali, in quanto attengono all’assetto economico nazionale nel suo complesso.

A tali considerazioni deve aggiungersi che la norma censurata è inserita nel decreto-legge n. 78 del 2009, che ha anch’esso la finalità di fronteggiare, con un’ampia gamma di misure economiche, l’attuale congiuntura internazionale, recando appunto, come appare evidente dalla sua stessa intitolazione, «provvedimenti anticrisi».

4.3. – Quanto, infine, alla condizione sub c) richiesta dall’evocato art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992, secondo la quale il gettito deve essere «temporalmente delimitato, nonché contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile», è agevole rilevare che anch’essa è soddisfatta dalla disposizione impugnata.

Il gettito dell’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali è, infatti, «temporalmente delimitato», perché il prelievo ha per oggetto le «attività finanziarie e patrimoniali detenute a partire da una data non successiva al 31 dicembre 2008 e rimpatriate ovvero regolarizzate a partire dal 15 settembre 2009 e fino al 30 aprile 2010» (art. 13-bis, comma 6, nel testo attualmente vigente). Il gettito stesso è, inoltre, «contabilizzato distintamente», perché – come espressamente disposto dalla norma censurata – affluisce «ad un’apposita contabilità speciale», comunque imputabile allo Stato.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse, nei confronti del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, dalla Provincia autonoma di Trento;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13-bis, comma 8, del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, promossa, in riferimento all’art. 75, comma 1, lettera g), del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e agli artt. 9 e 10, commi 6 e 7, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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ORDINANZA N.183

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2 della delibera legislativa della Regione Siciliana approvata dall’Assemblea regionale nella seduta del 10 dicembre 2008 (disegno di legge n. 192), recante «Norme in materia di gestione del Servizio idrico integrato e di personale», promosso dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana con ricorso notificato il 18 dicembre 2008, depositato in cancelleria il 22 dicembre 2008 ed iscritto al n. 100 del registro ricorsi 2008.

Udito nella camera di consiglio del 14 aprile 2010 il Giudice relatore Paolo Maddalena.

Ritenuto che il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, con ricorso notificato il 18 dicembre 2008 e depositato presso la cancelleria di questa Corte il successivo 22 dicembre 2008, ha proposto questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della delibera legislativa della Regione Siciliana approvata dall’Assemblea regionale nella seduta del 10 dicembre 2008 (disegno di legge n. 192), recante «Norme in materia di gestione del Servizio idrico integrato e di personale»;

che la disposizione denunciata prevede che il personale dell’Ente Acquedotti Siciliani, di ruolo o in servizio a tempo indeterminato alla data di messa in liquidazione dell’Ente, confluisca, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, in un ruolo speciale ad esaurimento presso la Presidenza della Regione, conservando la posizione giuridica, economica e previdenziale posseduta; che, in ogni caso, il trattamento economico accessorio del predetto personale sia assicurato nella stessa misura di quello applicato al personale di ruolo regionale; che il personale confluito sia utilizzato dall’Ente Acquedotti Siciliani in liquidazione, per quanto strettamente necessario all’attività di liquidazione stessa ed in ragione delle esigenze organizzative e gestionali dell’Ente medesimo; che il restante personale sia utilizzato, sentite le amministrazioni interessate e le competenti organizzazioni sindacali, nelle ammin istrazioni comunali, provinciali, negli enti di cui all’art. 1 della legge della Regione Siciliana 15 maggio 2000, n. 10 (Norme sulla dirigenza e sui rapporti d’impiego e di lavoro alle dipendenze della Regione Siciliana. Conferimento di funzioni e compiti agli enti locali. Istituzione dello Sportello unico per le attività produttive. Disposizioni in materia di protezione civile. Norme in materia di pensionamento), e successive modifiche ed integrazioni, nelle agenzie e negli uffici dell’amministrazione regionale;

che il ricorrente sostiene che la norma denunciata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, perché il previsto inserimento nei ruoli regionali avrebbe come unico scopo la garanzia della stabilità occupazionale di una determinata categoria di dipendenti, mentre mancherebbe una ponderata verifica della necessità di avvalersi del personale in questione, in assenza del trasferimento di nuove funzioni e compiti agli uffici regionali;

che, ad avviso del Commissario dello Stato, la disposizione oggetto del dubbio di legittimità costituzionale si risolverebbe in un provvedimento di carattere assistenziale, di sostegno all’occupazione, adottato al di fuori dei vincoli che, secondo Costituzione, incontra l’accesso agli impieghi nella pubblica amministrazione; vi sarebbe, inoltre, un rovesciamento di priorità tra l’interesse dell’istituzione alla funzione e l’interesse delle persone all’impiego, che la Costituzione, all’art. 97, ha inteso evitare.

Considerato che la questione di legittimità costituzionale investe l’art. 2 della delibera legislativa approvata dall’Assemblea della Regione Siciliana il 10 dicembre 2008 (disegno di legge n. 192), recante «Norme in materia di gestione del Servizio idrico integrato e di personale», il quale prevede l’inserimento del personale dell’Ente Acquedotti Siciliani, in liquidazione, in un ruolo speciale ad esaurimento presso la Presidenza della Regione, con conservazione della posizione giuridica, economica e previdenziale posseduta, e l’utilizzazione del personale medesimo presso l’Ente in liquidazione o presso le amministrazione di altri enti locali o regionali;

che, ad avviso del Commissario dello Stato ricorrente, la norma denunciata violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost., per la carenza di comprovate e specifiche esigenze di pubblico interesse e per la natura meramente assistenziale di sostegno all’occupazione, al di fuori dei vincoli del rapporto di pubblico impiego;

che, successivamente all’impugnazione, la predetta delibera legislativa è stata promulgata e pubblicata come legge della Regione Siciliana 20 dicembre 2008, n. 20, con omissione della disposizione oggetto di censura;

che l’intervenuto esaurimento del potere promulgativo, che si esercita necessariamente in modo unitario e contestuale rispetto al testo deliberato dall’Assemblea regionale, preclude definitivamente la possibilità che le parti della legge impugnate ed omesse in sede di promulgazione acquistino o esplichino una qualche efficacia, privando così di oggetto il giudizio di legittimità costituzionale (ordinanze n. 155 e n. 74 del 2010, n. 186 del 2009, n. 304 del 2008 e n. 358 del 2007);

che, pertanto, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, deve dichiararsi cessata la materia del contendere.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara cessata la materia del contendere in ordine al ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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ORDINANZA N. 184

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 57, commi 1 e 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, promosso dalla Regione Toscana con ricorso notificato il 20 ottobre 2008, depositato in cancelleria il 24 ottobre 2008 ed iscritto al n. 74 del registro ricorsi 2008.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 aprile 2010 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

Ritenuto che, con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il successivo 24 ottobre 2008, la Regione Toscana censura – in relazione agli articoli 117 e 119 della Costituzione – varie disposizioni e, tra queste, l’articolo 57, commi 1 e 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in quanto lesivo della competenza regionale in materia di trasporto pubblico e dell’autonomia finanziaria regionale;

che i commi 1 e 2 del citato art. 57, nel testo antecedente alla modificazione introdotta dall’art. 26 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 28 gennaio 2009, n. 2, disponevano rispettivamente che «Le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione relative ai servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico che si svolgono all’interno di una Regione sono esercitati dalla Regione interessata. Per le Regioni a statuto speciale il conferimento delle funzioni e dei compiti avviene nel rispetto degli statuti speciali. La gestione dei servizi di cabotaggio è regolata da contratti di servizio secondo quanto previsto dagli articoli 17 e 19 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e successive modificazioni in quanto applicabili al settore» e che «Le risorse attualmente previste nel bilancio dello Stato per il finanziamento dei contratti di servizio pubblico di cabotaggio marittimo sono altresì destinate alla compartecipazione dello Stato alla spesa sostenuta dalle Regioni per l’erogazione di tali servizi. Con decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è disposta, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente pro tempore, la ripartizione di tali risorse. Al fine di assicurare la congruità e l’efficienza della spesa statale, le Regioni, per accedere al contributo, stipulano i contratti e determinano oneri di servizio pubblico e dinamiche tariffarie sulla base di criteri comuni stabiliti dal CIPE, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra l o Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano»;

che, secondo la ricorrente, le suddette disposizioni, pur rendendo immediatamente operativo il trasferimento alle Regioni delle funzioni relative ai servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico, non garantiscono la copertura finanziaria dei medesimi, prevedendo soltanto una compartecipazione dello Stato alla spesa sostenuta dalle Regioni per l’erogazione del servizio, da ripartirsi in futuro, sempre da parte dello Stato, nei limiti delle risorse disponibili;

che la norma impugnata, dunque, viola il principio di autosufficienza finanziaria sancito dall’art. 119 Cost. e comprime l’ordinario esercizio delle competenze proprie della Regione di cui all’art. 117 Cost. in materia di trasporto pubblico marittimo, inevitabilmente pregiudicato dalla mancata copertura integrale della spesa;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate, osservando che la norma impugnata dispone un trasferimento dei compiti di gestione e di amministrazione del servizio pubblico di cabotaggio marittimo senza incidere in alcun modo sulla competenza normativa riservata alle Regioni;

che, intervenuta – in data successiva al ricorso – l’abrogazione della norma impugnata, non ancora applicata, da parte dell’art. 19-ter, comma 25, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, la Regione Toscana ha formalizzato rinunzia al ricorso, con atto notificato al Presidente del Consiglio dei ministri in data 28 gennaio 2010, limitatamente all’impugnativa della disposizione censurata;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, con atto depositato in data 9 febbraio 2010, ha dichiarato di accettare la rinuncia, limitatamente all’impugnativa della disposizione censurata.

Considerato che la rinunzia al ricorso, qualora sia accettata da tutte le parti, comporta – ai sensi dell’art. 25 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale – l’estinzione del processo, limitatamente all’impugnativa della disposizione censurata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale poste dal ricorso,

dichiara estinto il processo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedente

ORDINANZA N. 185

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, lettera c), della legge della Regione Puglia 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 22-25 settembre 2009, depositato in cancelleria il 29 settembre 2009 ed iscritto al n. 65 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;

udito nell’udienza pubblica del 27 aprile 2010 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Sabina Ornella Di Lecce per la Regione Puglia.

Ritenuto che, con ricorso notificato il 22-25 settembre 2009, depositato il successivo 29 settembre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale, in via principale, dell’articolo 5, comma 3, lettera c), della legge della Regione Puglia 30 luglio 2009, n. 14, pubblicata nel Bollettino ufficiale regionale n. 119 del 3 agosto 2009, recante «Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale», in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed l), della Costituzione;

che il citato art. 5, comma 3, lettera c), nel subordinare la realizzazione degli interventi edilizi straordinari, contemplati dalla medesima legge regionale, al reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali, richiede che il rapporto di pertinenza tra gli spazi a parcheggio e le unità immobiliari sia garantito da un atto da trascrivere nei registri immobiliari;

che il ricorrente censura la norma in esame in quanto avrebbe introdotto un’ipotesi di trascrizione nei registri immobiliari non prevista dalla legislazione statale, alla cui competenza legislativa esclusiva è riservata la disciplina della pubblicità immobiliare;

che, in particolare, ad avviso della difesa dello Stato, gli atti di asservimento in questione non sono inclusi nell’elenco di quelli soggetti a trascrizione, di cui agli articoli 2643 e 2645 del codice civile e l’articolo 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122 (Disposizioni in materia di parcheggi), pur prevedendo il vincolo pertinenziale tra parcheggi e unità immobiliari, nulla dispone in merito alla possibilità di trascrivere il predetto vincolo;

che, inoltre, il decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347 (Approvazione del Testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale), prevede per tutti gli atti di trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione nei registri immobiliari, l’assolvimento dell’imposta ipotecaria, ad eccezione delle formalità eseguite a favore dello Stato;

che, pertanto, anche all’ipotesi di trascrizione in oggetto (non prevista dalla normativa statale) conseguirebbe l’obbligo dell’assolvimento dell’imposta ipotecaria, con introduzione di una nuova fattispecie imponibile, non disciplinata dalla normativa statale di riferimento;

che la norma censurata, dunque, violando le disposizioni statali suddette nel settore della pubblicità degli immobili e di pagamento della imposta ipotecaria, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettere e) e l), Cost., in materia, rispettivamente, di sistema tributario e di ordinamento civile;

che, come ricordato dal Presidente del Consiglio dei ministri, con riferimento a tale ultima materia questa Corte ha affermato che «nelle materie di competenza legislativa regionale residuale o concorrente, la regolamentazione statale, in forza dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., pone un limite diretto ad evitare che la norma regionale incida su un principio di ordinamento civile» e che «l’esigenza di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che, nell’ambito dell’ordinamento civile, disciplinano i rapporti giuridici tra privati, deve ritenersi una esplicazione del principio costituzionale di eguaglianza» (sentenza n. 369 del 2008);

che, da ultimo, il ricorrente ha osservato come disposizioni analoghe a quelle oggetto del ricorso in esame (e, precisamente, gli articoli 9, comma 2, e 73, comma 3, della legge della Regione Liguria 6 giugno 2008, n. 16, recante «Disciplina dell’attività edilizia» e l’articolo 7, comma 4, della legge della Regione Molise 18 luglio 2008, n. 25, recante «Interventi per il recupero dei sottotetti, dei locali interrati e seminterrati dei porticati») siano state impugnate dinanzi a questa Corte con i ricorsi n. 50 e n. 56 del 2008;

che la Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta pro tempore, si è costituita in giudizio chiedendo che il ricorso sia respinto perché non fondato;

che, con atto notificato alla Regione Puglia il 19 gennaio 2010 e depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 28 gennaio 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri, vista la deliberazione del detto Consiglio in data 13 gennaio 2010, ha rinunciato all’impugnazione;

che in data 23 aprile 2010 la difesa della Regione ha depositato atto di accettazione della rinuncia.

Considerato che il Presidente del Consiglio dei ministri dubita, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l), della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 3, lettera c), della legge della Regione Puglia 30 luglio 2009, n. 14, pubblicata nel Bollettino ufficiale regionale n. 119 del 3 agosto 2009, recante «Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale»;

che il ricorrente, stante la deliberazione del Consiglio dei ministri del 13 gennaio 2010, con atto depositato il 28 gennaio 2010 ha rinunciato all’impugnazione per le motivazioni illustrate nella relazione allegata alla indicata delibera;

che, in particolare, in tale relazione si fa riferimento alla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 318 del 2009) formatasi su analoga questione relativa ad una norma della Regione Liguria, impugnata per assunta violazione delle competenze esclusive dello Stato in materia di ordinamento civile e sistema tributario;

che la rinuncia è stata formalmente accettata dalla Regione Puglia con la delibera n. 1034 della Giunta regionale in data 20 aprile 2010, depositata presso la cancelleria di questa Corte in data 23 aprile 2010;

che, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, la rinuncia al ricorso, seguita dall’accettazione della controparte, comporta l’estinzione del processo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara estinto il processo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA