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Deposito del 29/04/2010 (dalla 149 alla 155)

 
S.149/2010 del 26/04/2010
Udienza Pubblica del 24/02/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore MAZZELLA


Norme impugnate: - Art. 1, c. 2°, della legge della Regione Calabria 31/12/2008, n. 46.
- Artt. 7, 8 e 9 della legge della Regione Calabria 15/01/2009, n. 1.

Oggetto: - Sanità pubblica - Norme della Regione Calabria - Dirigenti medici negli istituti penitenziari, incaricati ai sensi della legge n. 740 del 1970 - Inquadramento nei ruoli del Servizio sanitario regionale nella corrispondente categoria e profilo previsti per il personale delle Aziende sanitarie provinciali.
- Sanità pubblica - Norme della Regione Calabria - Medici a tempo indeterminato incaricati nell'emergenza sanitaria, che abbiano maturato almeno cinque anni di attività a regime di convenzione, di cui almeno tre nell'emergenza - Inquadramento nei ruoli della dirigenza medica;
Medici titolari, in virtù di convenzione, della "continuità assistenziale" e della "Medicina dei Servizi" in possesso di determinati requisiti - Inquadramento nei ruoli della dirigenza medica.

Dispositivo: illegittimità costituzionale
Atti decisi: ric. 20, 22/2009
S.150/2010 del 26/04/2010
Udienza Pubblica del 09/03/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore NAPOLITANO


Norme impugnate: Artt. 1, c. 1° (che inte gra l'art. 3, c. 40°, della legge della Regione Puglia 31/12/2007, n. 40), 3, 4, 13 e 18 della legge della Regione Puglia 23/12/2008, n. 45.

Oggetto: Sanità pubblica - Impiego pubblico - Norme della Regione Puglia - Personale medico, assunto a tempo determinato, in servizio presso le unità operative di medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza delle aziende sanitarie - Accesso alle procedure di stabilizzazione senza l'utilizzazione delle procedure selettive di cui alla disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del servizio sanitario nazionale;
Tutela della salute - Iniziativa economica privata - Norme della Regione Puglia - Strutture sanitarie private - Studio medico privato e studio odontoiatrico privato - Esclusione dal regime dell'autorizzazione di cui all'art. 5 della legge regionale n. 8 del 2004, concernente l'autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio, all'accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private;
Sanità pubblica - Impiego pubblico - Norme della Regione Puglia - Dirigenti medici in servizio a tempo indeterminato che svolgono attività di staff presso direzioni generali - Inquadramento nelle direzioni sanitarie - Mancata previsione della necessità che vi sia corrispondenza, ovvero equipollenza o affinità, tra le specializzazioni acquisite e quelle richieste per operare nelle direzioni sanitarie, e mancata indicazione dei requisiti necessari;
Sanità pubblica - Norme della Regione Puglia - Commissioni per l'accertamento della invalidità civile, cecità civile, sordomutismo e della legge quadro sull'handicap - Componenti a qualsiasi titolo, compresi i segretari - Incompatibilità con cariche elettive e relative candidature - Lamentata inclusione delle cariche elettive al Parlamento nazionale e degli enti locali territoriali;
Sanità pubblica - Impiego pubblico - Norme della Regione Puglia - Educatori professionali in servizio presso le ASL della Regione - Inqu adramento nel ruolo della dirigenza sanitaria non medica

Dispositivo: illegittimità costituzionale - cessata materia del contendere
Atti decisi: ric. 21/2009
S.151/2010 del 26/04/2010
Udienza Pubblica del 10/03/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore MAZZELLA


Norme impugnate: Artt. 2, c. 1°, 2° e 3°, e 3 della legge della Regione autonoma Valle d'Aosta 02/02/2009, n. 5.

Oggetto: Impiego pubblico - Norme della Regione Valle d'Aosta - Disciplina delle assenze per malattia - Facoltatività del controllo nel caso di assenza per malattia di un solo giorno - Fasce orarie di reperibilità al domicilio individuate dall e 9.00 alle 13.00 e dalla 17.00 alle 20.00 Rinvio al contratto regionale di lavoro per la determinazione della riduzione del trattamento economico da effettuarsi nei primi cinque giorni di assenza - Contrasto con l'art. 71 del d.l. n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008;
Esonero dal servizio - Possibilità di chiedere l'esonero solo nel corso del triennio antecedente la data di maturazione dell'anzianità contributiva massima di 40 anni - Contrasto con l'art. 72 del d.l. n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008.

Dispositivo: illegittimità costituzionale
Atti decisi: ric. 28/2009
S.152/2010 del 26/04/2010
Camera di Consiglio del 24/03/2010, Presidente DE SIERVO, Redattore QUARANTA


Norme impugnate: Art. 6 del decreto legge 03/08/2007, n. 117, convertito con modificazioni in legge 02/10/2007, n. 160.

Oggetto: Alimenti e bevande - Nuove norme volte a promuovere la consapevolezza dei rischi di incidente stradale in caso di guida in stato di ebbrezza - Obbligo, per i titolari e i gestori di locali ove si svolgono, con qualsiasi modalità e in qualsiasi orario, spettacoli o altre forme di intrattenimento, congiuntamente all'attività di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche, di interrompere la somministrazione di bevande alcoliche dopo le ore due della notte - Opposizione avverso il decreto prefettizio che ha disposto la chiusura temporanea del locale gestito dal trasgressore - Esonero dal suddetto obbligo per coloro che esercitano unicamente l'attività di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche.

Dispositivo: non fondatezza
A tti decisi: ord. 277/2009
O.153/2010 del 26/04/2010
Camera di Consiglio del 24/03/2010, Presidente DE SIERVO, Redattore FINOCCHIARO


Norme impugnate: Art. 170, c. 2°, del decreto legislativo 30/05/2002, n. 113, come riprodotto nel decreto del Presidente della Repubblica 30/05/2002, n. 115.

Oggetto: Ordinamento giudiziario - Spese di giustizia - Decreto di liquidazione del compenso spettante all'ausiliario del magistrato (ord. 272/09) e al difensore di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato (ord. 273/09) - Opposizione - Competenza del giudice in composizione monocratica anche nell'ipotesi in cui il provvedimento opposto sia stato pronunciato dal giudice in com posizione collegiale, in specie, Corte di appello.

Dispositivo: manifesta infondatezza
Atti decisi: ord. 272 e 273/2009
O.154/2010 del 26/04/2010
Camera di Consiglio del 14/04/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore FINOCCHIARO


Norme impugnate: Artt. 149 e 150 del decreto legislativo 07/09/2005, n. 209; art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 18/07/2006, n. 254.

Oggetto: Responsabilità civile - Risarcimento del danno derivante da sinistro stradale - Azione proposta da soggetto danneggiato da sinistro stradale nei confronti della propria compagnia di assicurazione e dei responsabili civili - Disciplina del sistema di risarcimento diretto introdotto dal Codice delle assicuraz ioni private - Ritenuta preclusione della possibilità di esercitare la pretesa risarcitoria nei confronti del responsabile civile e della sua compagnia di assicurazione, in linea con il principio generale del 'neminem laedere'.

Dispositivo: manifesta inammissibilità
Atti decisi: ord. 285/2009
O.155/2010 del 26/04/2010
Camera di Consiglio del 14/04/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore CASSESE


Norme impugnate: Art. 3 della deliberazione legislativa dell'Assemblea Regionale Siciliana 17/12/2009, (disegno di legge n. 499).

Oggetto: Amministrazione pubblica - Impiego pubblico - Norme della Regione Siciliana - Automat ico rinnovo trimestrale dei contratti di lavoro a tempo determinato co n unità di personale utilizzato per le finalità di cui alla misura 1.01 del Programma operativo regionale 2000-2006, nonché stipula di nuovi contratti di lavoro a tempo determinato, per un numero massimo di 40 unità, previo espletamento di procedure selettive, con riserva dell'80% dei posti complessivi in favore del personale che ha prestato servizio presso l'ARPA con contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto per un periodo non inferiore a 18 mesi - Lamentato arbitrario privilegio a favore di una generica categoria di persone in carenza di pubblico interesse, contrasto con la disciplina statale in materia di lavoro flessibile.

Dispositivo: cessata materia del contendere
Atti decisi: ric. 109/2009

pronuncia successiva

SENTENZA N. 149

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge della Regione Calabria 31 dicembre 2008, n. 46 (Disposizioni in materia sanitaria), e degli artt. 7, 8 e 9 della legge della Regione Calabria 15 gennaio 2009, n. 1 (Ulteriori disposizioni in materia sanitaria), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi spediti per la notifica il 3 e il 20 marzo 2009, depositati in cancelleria il 9 ed il 24 marzo 2009 ed iscritti ai nn. 20 e 22 del registro ricorsi 2009.

Visti gli atti di costituzione della Regione Calabria;

udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2010 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

uditi l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione Calabria.

Ritenuto in fatto

1. − Con ricorso depositato il 9 marzo 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che sia dichiarata, con riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge della Regione Calabria 31 dicembre 2008, n. 46 (Disposizioni in materia sanitaria).

La norma regionale impugnata dispone che «il personale sanitario incaricato ai sensi della legge 9 ottobre 1970 n. 740 è inquadrato con uguale numero di ore contrattualizzate, nei ruoli del Servizio Sanitario Regionale nella corrispondente categoria e profilo previsti per il personale delle Aziende Sanitarie Provinciali. Tale disposizione non si applica ai rapporti a tempo determinato instaurati ai sensi della stessa legge. Il personale incaricato ai sensi della legge 9 ottobre 1970, n. 740 dovrà eliminare eventuali situazioni di incompatibilità al momento dell’accettazione dell’inquadramento nei ruoli del Servizio Sanitario Regionale».

Secondo il ricorrente, la disposizione qui censurata investirebbe due diversi ambiti materiali: da un lato, essa costituirebbe espressione della funzione di coordinamento della finanza pubblica; dall’altro, afferirebbe alla tutela della salute, materie entrambe oggetto di potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. Da ciò conseguirebbe che, vertendosi in materie di legislazione concorrente, lo Stato sarebbe legittimato a porre principi fondamentali, come tali vincolanti per le Regioni e per le Province autonome, palesemente disattesi dalla legge regionale impugnata.

L’articolo 1, comma 2, della legge Regione Calabria violerebbe innanzitutto il principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica contenuto nell’art. 3, comma 4, del d.P.C.m. 1° aprile 2008, adottato in attuazione dell’art. 2, comma 283, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008), secondo il quale, nell’ambito del trasferimento del personale sanitario penitenziario al Servizio sanitario regionale, i rapporti di lavoro instaurati ai sensi della legge 9 ottobre 1970, n. 740 (Ordinamento della categoria di personale sanitario addetto agli istituti di previdenza e pena non appartenenti a ruoli organici dell’amministrazione penitenziaria), continuano ad essere disciplinati dalla stessa legge fino alla relativa scadenza. Secondo tale norma finanziaria statale, infatti, il personale sanitario penitenziario “inc aricato” ai sensi della menzionata legge n. 740 del 1970, a differenza del personale dipendente di ruolo dell’amministrazione penitenziaria, non dovrebbe essere inquadrato nei ruoli del Servizio sanitario regionale, ma sarebbe semplicemente trasferito alle Aziende sanitarie locali continuando ad essere disciplinato e retribuito secondo quanto previsto dalla citata legge statale. La disposizione regionale in esame pertanto, comportando oneri aggiuntivi non quantificati, eccederebbe dalla competenza concorrente attribuita alla Regione in materia di coordinamento della finanza pubblica e violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

Dopo aver effettuato un’articolata disamina delle norme che costituiscono, a suo giudizio, il fondamento dell’attività dell’Amministrazione penitenziaria in materia di sanità penitenziaria, il Presidente del Consiglio espone che il comma 283 dell’art. 2 della legge n. 244 del 2007, in particolare, avrebbe previsto, tra l’altro, che «sono definiti, nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza previsti dalla legislazione vigente e delle risorse finanziarie (...) b) le modalità e le procedure (...) per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale dei rapporti di lavoro in essere (...) relativi all’esercizio di funzioni sanitarie nell’ambito del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia, con contestuale riduzione delle dotazioni organiche dei predetti Dipartimenti in misura corrispondente alle unità di p ersonale di ruolo trasferite al Servizio sanitario nazionale».

Il d.P.C.m. 1° aprile 2008 summenzionato, che ha dato attuazione al suddetto comma, si sarebbe preoccupato di disciplinare dal punto di vista operativo «le modalità, i criteri e le procedure per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, delle risorse finanziarie, dei rapporti di lavoro, delle attrezzature, arredi e beni strumentali relativi alla sanità penitenziaria» (art. 1). Il provvedimento quindi, riferisce sempre il Presidente del Consiglio, prevede che, ai fini dell’esercizio delle funzioni sanitarie afferenti alla medicina penitenziaria da parte del Sistema sanitario nazionale, siano trasferite allo stesso risorse finanziarie dallo stesso quantificate.

Ebbene, secondo la ricorrente la suddetta disposizione non sarebbe estranea alle esigenze di coordinamento della finanza pubblica, in quanto tenderebbe a contenere i costi del Servizio sanitario. L’art. 6, comma 4, del predetto decreto, infatti, stabilisce espressamente che dalla sua applicazione «non devono derivare oneri a carico della finanza pubblica superiori all’ammontare delle risorse complessivamente trasferite al Servizio sanitario nazionale ai sensi del comma 1». L’esigenza di assicurare la universalità e la completezza del sistema assistenziale nel nostro Paese si scontra con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario.

L’art. 1, comma 2, della legge della Regione Calabria n. 46 del 2008, comportando l’inquadramento nei ruoli del Servizio sanitario regionale dei dirigenti medici che sono stati ammessi all’incarico di cui alla legge n. 740 del 1970 mediante pubblico concorso per titoli ed in possesso del solo diploma di laurea in medicina e chirurgia, contrasterebbe inoltre con il principio fondamentale in materia di tutela della salute di cui all’art. 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e all’art. 24 del d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale), secondo i quali alla dirigenza sanitaria si accede per concorso pubblico per titoli ed esami solo se in possesso della laurea e della specializzazione nella disciplina oggetto d el concorso.

La disposizione impugnata sarebbe, quindi, costituzionalmente illegittima, perché attribuirebbe il diritto al conferimento degli incarichi dirigenziali in questione a soggetti privi dei requisiti stabiliti dalla normativa statale, ovvero della specializzazione nella disciplina oggetto del concorso.

Così disponendo, la norma regionale eccederebbe dalla competenza legislativa concorrente attribuita alla Regione in materia di tutela della salute e violerebbe l’art. 117, comma terzo, della Costituzione.

2. – Si è costituita in giudizio la Regione Calabria, contestando, con varie argomentazioni, le affermazioni del Presidente del Consiglio e, in primo luogo, negando che la legge censurata riguardi sia la materia del coordinamento della finanza pubblica che la materia della tutela della salute e che in tali materie (di legislazione concorrente) sarebbero presenti dei princìpi fondamentali dettati dalle leggi dello Stato che la legge regionale avrebbe violato.

Quanto alla prima censura, in base alla quale la legge regionale impugnata avrebbe violato il principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica contenuto nell’art. 3, comma 4, del d.P.C.m. 1° aprile 2008, adottato in attuazione dell’art. 2, comma 283, della legge n. 244 del 2007, a tenore del quale i rapporti di lavoro instaurati ai sensi della legge n. 740 del 1970 dovrebbero essere disciplinati da quella stessa legge sino alla loro scadenza, la Regione eccepisce innanzitutto l’inammissibilità della censura, dato che la materia nella quale la legge regionale censurata incide, infatti, non sarebbe quella del coordinamento della finanza pubblica e nemmeno quella della tutela della salute, bensì quella dell’organizzazione degli uffici e del personale regionale. A tal proposito, la difesa della Regione ricorda la sentenza n. 223 del 2006 con la quale questa Corte, pronunciandosi su una legge regionale rel ativa alla decadenza automatica di alcune nomine di personale regionale, aveva affermato che la norma, «in quanto diretta esclusivamente a disciplinare 1’organizzazione amministrativa delle aziende in questione, non incide sulla materia dell’«ordinamento civile» (né su quella della «tutela della salute», su cui cfr. sentenza n. 181 del 2006» (par. 5), essendosi limitata a «porre norme in materia di competenza residuale (art. 117, quarto comma, Cost.)».

In secondo luogo, il ricorso sarebbe inammissibile per l’assenza del rango normativo della disposizione interposta, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che non costituirebbe neppure un regolamento.

Il ricorso sarebbe inoltre inammissibile (e comunque infondato) in quanto l’art. 2, comma 283, della legge n. 244 del 2007 è finalizzato proprio ad ottenere il risultato perseguito dalla legge regionale impugnata, e cioè il trasferimento al Servizio sanitario del personale sanitario in servizio presso gli istituti penitenziari. Il ricorrente non dimostrerebbe in alcun modo che la Regione Calabria, con la legge censurata, abbia determinato oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, ovvero oneri eccedenti le risorse trasferite.

Quanto all’infondatezza, la Regione contesta che il principio invocato dal ricorrente sia un principio fondamentale. Invero, lo stabilire che i rapporti di lavoro del personale sanitario assunto in forza della legge n. 740 del 1970 debbano essere regolati da tale legge sino alla scadenza (art. 3, comma 4, del d.P.C.m. 1° aprile 2008) significherebbe interferire, con disciplina di dettaglio, nella regolazione di un rapporto di lavoro che non intercorre più con l’Amministrazione statale, bensì con quella regionale.

Quanto alla seconda censura prospettata dal ricorrente, concernente l’asserita violazione del principio fondamentale in materia di tutela della salute fissato dall’art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992 e dall’art. 24 del d.P.R. n. 483 del 1997 – che limiterebbe l’accesso alla dirigenza sanitaria ai soggetti in possesso non solo della laurea, ma anche della specializzazione – la stessa sarebbe inammissibile, dato che il ricorrente censurerebbe l’intero art. 1, comma 2, della legge regionale impugnata, senza distinguere il tipo di personale, così non consentendo l’individuazione della questione oggetto dello scrutinio di costituzionalità.

La censura, comunque, sarebbe infondata. In primo luogo, secondo la Regione, occorrerebbe rilevare che la legge regionale prevede espressamente l’inserimento «nei ruoli del Servizio Sanitario Regionale nella corrispondente categoria e profilo previsti per il personale delle Aziende Sanitarie Provinciali», con ciò chiarendo la corrispondenza della posizione in ruolo prima e dopo il trasferimento.

3. − Con ricorso depositato in cancelleria il 24 marzo 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che sia dichiarata, con riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, l’illegittimità costituzionale degli artt. 7, 8 e 9 della legge della Regione Calabria 15 gennaio 2009, n. 1 (Ulteriori disposizioni in materia sanitaria).

Riferisce il ricorrente che, in particolare, l’art. 7 della legge regionale censurata dispone che «ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 8, comma 1-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 502, e successive modifiche ed integrazioni e dell’Accordo collettivo nazionale della medicina generale del 23 marzo 2005, la Regione provvede all’inquadramento in ruolo dei medici a tempo indeterminato, attualmente incaricati nell’emergenza sanitaria, previo giudizio di idoneità secondo le procedure di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 dicembre 1992, n. 502, a condizione che gli stessi abbiano maturato almeno cinque anni di attività a regime di convenzione, di cui almeno tre nell’emergenza.»; che, a mente del successivo art. 8, comma 1, «i medici titolari di continuità assistenziale in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge ed utilizzati in attività diverse, da alme no tre anni presso le Aziende sanitarie della Regione, possono chiedere, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di essere inquadrati nel relativo posto in organico, previo giudizio di idoneità ove già non esperito»; che, ai sensi dell’art. 9, infine, «i medici della Medicina dei servizi risultati idonei ed inseriti negli elenchi di cui ai decreti dirigenziali n. 17301 del 17 novembre 2005 e 12611 del 6 ottobre 2006 del Dipartimento regionale tutela della salute sono inquadrati in ruolo, nei posti in atto occupati nelle aree previste dal decreto dirigenziale n. 416 del 17 luglio 2000 dello stesso Dipartimento».

Secondo il Presidente del Consiglio, le disposizioni censurate investirebbero due diversi ambiti materiali. Da un lato, esse costituirebbero espressione della funzione di coordinamento della finanza pubblica; dall’altro, atterrebbero alla tutela della salute: materie, entrambe, oggetto di potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. Da ciò conseguirebbe che, vertendosi in materie di legislazione concorrente, lo Stato sarebbe legittimato a porre principi fondamentali, come tali vincolanti per le Regioni e per le Province autonome, e detti principi sarebbero palesemente disattesi dalla legge regionale impugnata.

Secondo la Presidenza del Consiglio dei ministri, l’art. 7 della legge della Regione Calabria n. 1 del 2009 violerebbe, innanzitutto, il principio fondamentale in materia di tutela della salute contenuto nell’art. 8, comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992, secondo il quale l’inquadramento dei dirigenti medici è consentito, in deroga al principio del pubblico concorso, solo qualora ricorrano le particolari condizioni ed i determinati riferimenti temporali indicati dalla norma stessa. Infatti, l’art. 8, comma 1-bis, citato, permetterebbe, in deroga al principio del pubblico concorso, l’inquadramento dei soli medici in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 229 del 1999, i quali al 31 dicembre 1998 risultavano titolari di un incarico a tempo indeterminato da almeno cinque anni.

La disposizione regionale – prevedendo, invece, l’inquadramento nei ruoli della dirigenza medica del personale incaricato nell’emergenza sanitaria, che abbia maturato cinque anni di attività in regime di convenzione e che risulti in servizio alla data di entrata in vigore della legge regionale – protrarrebbe l’efficacia della norma transitoria contenuta nel predetto art. 8, comma 1-bis, che, secondo il ricorrente, è una disposizione transitoria ed eccezionale e, quindi, insuscettibile di applicazione estensiva o analogica. Pertanto, la previsione regionale, operando l’estensione dell’inquadramento a fattispecie non contemplate dalla norma statale, eccederebbe dalla competenza concorrente in materia di tutela della salute e violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

L’art. 7 della impugnata legge Regione Calabria, inoltre, si porrebbe in contrasto anche con il principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica contenuto nell’art. 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), il cui obiettivo è il contenimento della spesa di personale. Infatti, la disposizione regionale, prevedendo un inquadramento nei ruoli dei dirigenti medici non consentito dalla legislazione statale, determinerebbe oneri aggiuntivi non quantificati e, pertanto, eccederebbe dalla competenza concorrente attribuita alle Regioni in materia di coordinamento della finanza pubblica, violando l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

La medesima disposizione regionale contrasterebbe, altresì, con i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97, Cost., in quanto elude – al di fuori dei casi espressamente contemplati dall’art. 8, comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992 – il principio di eguaglianza dei cittadini ed il principio del concorso pubblico, quale strumento ineludibile di accesso al pubblico impiego, come più volte ribadito dalla Corte costituzionale, ed a creare, in ambito nazionale, difformità di applicazione della disposizione statale richiamata.

Secondo il Presidente del Consiglio, anche gli artt. 8 e 9 della legge regionale censurata, nel prevedere l’inquadramento in ruolo dei medici titolari, in virtù di convenzione, della «continuità assistenziale» e della «Medicina dei Servizi», che presentino determinati requisiti, eccederebbero dalle competenze regionali. Tali disposizioni regionali configurerebbero, infatti, una sostanziale stabilizzazione dei dirigenti medici che non è consentita dalla legislazione statale. In particolare, esse contrasterebbero innanzitutto con i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica contenuti nell’art. 3, comma 94, della legge n. 244 del 2007 e nell’art. 1, comma 558, e commi da 513 a 543 (ai quali il comma 565 fa rinvio), della menzionata legge n. 296 del 2006, che, nel disciplinare la stabilizzazione del personale precario, escludono espressamente l’applicabilità delle relative procedure al pers onale dirigente, eccedendo pertanto dalle competenze regionali in materia di coordinamento della finanza pubblica e violando l’art. 117, terzo comma, Cost. Inoltre tale stabilizzazione del personale dirigenziale contrasterebbe con la necessità che alla dirigenza sanitaria si acceda per concorso pubblico per titoli ed esami, stabilita dall’art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992, che costituisce normativa di principio in materia di tutela della salute (ai fini dell’art. 117, terza comma, Cost.), secondo quanto può evincersi anche dall’art. 19, comma 1, della stessa legge, che la qualifica espressamente come tale.

Esse, in fine, potendo dar luogo ad un trattamento differenziato rispetto al personale precario di altre amministrazioni pubbliche, violerebbero altresì i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché il principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost.

Inoltre, secondo il ricorrente, gli artt. 7, 8 e 9 della legge regionale in esame, prevedendo, ai fini dell’inquadramento nei ruoli, semplicemente un previo giudizio di idoneità, si porrebbero in contrasto anche con il principio del pubblico concorso, stabilito dall’art. 97 Cost., e darebbero luogo ad un trattamento differenziato rispetto al personale precario di altre amministrazioni pubbliche, violando gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.

4. − Si è costituita in giudizio la Regione Calabria e, in primo luogo, ha contestato il parametro costituzionale invocato dal ricorrente (l’art. 117, terzo comma, Cost.). La materia nella quale la legge regionale censurata incide, infatti, non sarebbe quella del coordinamento della finanza pubblica e nemmeno quella della tutela della salute, bensì quella dell’organizzazione degli uffici e del personale regionale.

In ordine alla asserita violazione di principi fondamentali in materia di tutela della salute, la Regione afferma che tali principi non sarebbero compromessi per effetto del mero inquadramento in ruolo di medici che già sono a tempo indeterminato e che già sono legati al S.S.N. da un rapporto convenzionale, con specifici incarichi nell’emergenza sanitaria, in tal modo maturando una competenza ed una professionalità specifiche. La legge regionale, anzi, sarebbe estremamente rigorosa, poiché non si limiterebbe a richiedere la maturazione di almeno un quinquennio di regime convenzionale, imponendo che entro il quinquennio almeno tre anni siano stati destinati a compiti nel settore dell’ emergenza.

In ogni caso, secondo la Regione il ricorrente cadrebbe in contraddizione, laddove qualifica come principio fondamentale quello che vorrebbe desumere da una disposizione che lo stesso ricorrente qualifica transitoria ed eccezionale.

Per quanto attiene all’asserita violazione dei princìpi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, la Regione rammenta che l’art. 10, comma 1, della legge regionale impugnata dispone espressamente che «L’assunzione a tempo indeterminato ovvero l’immissione nei ruoli organici del personale di cui alla presente legge è subordinata al rispetto del vincolo previsto dall’art. 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, alla esistenza dei relativi posti in organico, alla disponibilità finanziaria, nonché alle motivate esigenze per la stabile copertura dei posti».

In ordine al principio del concorso (invocato in connessione a quello di uguaglianza), la Regione ammette che la norma censurata prevede una procedura selettiva che chiama “giudizio di idoneità”, ma ritiene che, nella specie, la distinzione di tale giudizio da un pubblico concorso sarebbe a dir poco opinabile, dato che la legge regionale definirebbe l’ambito dei requisiti soggettivi necessari per la partecipazione non meno di quanto si faccia in un pubblico concorso. La Regione soggiunge che, in base a un consolidato indirizzo della Corte, al principio del concorso si può derogare quando vi siano ragioni peculiari di pubblico interesse (sentenza n. 81 del 2006).

Quanto, infine, agli artt. 8 e 9 della legge regionale impugnata, la Regione sottolinea che il ricorrente invoca un parametro (l’art. 1, comma 565, della legge n. 296 del 2006) il cui rispetto l’art. 10, comma 1, della legge regionale impugnata assume a condizione della propria operatività.

D’altronde, prosegue la Regione Calabria, l’art. 3, comma 94, della legge n. 244 del 2007 si limiterebbe a disporre l’obbligo, per le Amministrazioni, di elaborare piani per la stabilizzazione del personale non dirigenziale, e non escluderebbe che, in presenza di esigenze di pubblico interesse (quelle che, nella specie, sono esplicitamente menzionate - si ripete - dagli artt. 10 e 11 della legge impugnata), la stabilizzazione (disposta con legge regionale) possa riguardare anche il personale dirigenziale.

In ogni caso, la legge censurata sarebbe stata significativamente modificata, dopo poco tempo dalla sua entrata in vigore, dalla successiva legge regionale 19 marzo 2009, n. 5 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 15 gennaio 2009, n. 1), con l’introduzione di una specifica prova concorsuale. La difesa regionale ritiene che, per tale motivo, sarebbe cessata la materia del contendere.

Considerato in diritto

1. − Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, con riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge della Regione Calabria 31 dicembre 2008, n. 46 (Disposizioni in materia sanitaria), nonché, con riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, 8 e 9 della legge della Regione Calabria 15 gennaio 2009, n. 1 (Ulteriori disposizioni in materia sanitaria).

2. − Preliminarmente, deve disporsi la riunione dei giudizi, avendo gli stessi ad oggetto lo scrutinio, sulla base di parametri in parte coincidenti, di disposizioni di legge tra loro omogenee.

3. − La prima questione all’esame della Corte attiene alla legge regionale calabra n. 46 del 2008, il cui art. 1, comma 2, dispone l’inquadramento nei ruoli del Servizio sanitario regionale del personale sanitario «incaricato», ai sensi della legge 9 ottobre 1970, n. 740 – ossia del personale sanitario che, pur non essendo in carico all’amministrazione penitenziaria, presta la propria opera all’interno della stessa con un rapporto di lavoro non subordinato. Tale inquadramento è disposto dalla norma censurata per un numero di ore pari a quelle contrattualizzate nell’ambito del rapporto disciplinato dalla citata legge n. 740 del 1970.

Secondo il Presidente del Consiglio, la norma regionale censurata inciderebbe su una materia di competenza legislativa concorrente, quale quella del coordinamento della finanza pubblica. Sotto tale aspetto, essa contrasterebbe con i principi fondamentali dettati dall’art. 3, comma 4, del d.P.C.m. 1° aprile 2008, adottato in attuazione dell’art. 2, comma 283, della legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria per il 2008), secondo il quale, nell’ambito del trasferimento del personale penitenziario al Servizio sanitario regionale, i rapporti di lavoro del «personale incaricato» continuano ad essere disciplinati dalla stessa legge fino alla relativa scadenza. Infatti, secondo la legge statale, il personale sanitario incaricato non è inquadrato nei ruoli del servizio sanitario regionale ma semplicemente trasferito alle Asl. Di conseguenza, comportando oneri finanziari aggiuntivi, la norma censurata eccederebbe dalla competenza concorren te regionale.

3.1. − La Regione Calabria ha, preliminarmente, messo in dubbio l’idoneità della disposizione del citato d.P.C.m. a fungere da principio fondamentale della legislazione statale, attesa la sua natura di provvedimento non normativo, ed ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile.

Tale eccezione deve essere disattesa. Deve infatti rilevarsi che il menzionato d.P.C.m. ha disposto il trasferimento dei rapporti di lavoro dall’amministrazione penitenziaria al Servizio sanitario nazionale in pedissequa attuazione dell’art. 2, comma 283, della legge finanziaria per il 2008, parimenti indicato come principio fondamentale dal Presidente del Consiglio: è a tale fonte legislativa, avente rango di norma primaria che, dunque, nel valutare la legittimità della normativa regionale censurata, occorre fare esclusivo riferimento.

3.2. – La questione è fondata.

La figura dei cd. medici incaricati è stata introdotta e disciplinata per la prima volta dall’art. 1 della legge 9 ottobre 1970, n. 740 (Ordinamento delle categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organici dell'Amministrazione penitenziaria), che così qualifica i medici «non appartenenti al personale civile di ruolo dell'Amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, i quali prestano la loro opera presso gli istituti o servizi dell'amministrazione stessa».

In base alla predetta disciplina statale, le prestazioni rese da questi ultimi non ineriscono ad un rapporto di lavoro subordinato, ma sono inquadrabili nella prestazione d’opera professionale, in regime di parasubordinazione, come questa Corte ha indirettamente statuito in tempi risalenti (sentenza n. 577 del 1989) affermando che, diversamente dagli impiegati civili dello Stato, i medici «incaricati» possono esercitare liberamente la professione ed assumere altri impieghi o incarichi.

Sotto tale aspetto, la successiva norma statale dettata dal citato art. 2, comma 283, indicata dallo Stato come principio fondamentale, non ha alterato l’originaria natura giuridica del contratto di lavoro con i predetti medici, ma, nell’ottica del contenimento della finanza pubblica, ha delegato lo stesso Presidente del Consiglio a definire il mero trasferimento al Servizio sanitario nazionale di tutte le funzioni sanitarie svolte dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia, e si è esplicitamente fatto carico del contenimento della spesa pubblica, stabilendo: a) il trasferimento delle risorse finanziarie complessive al Fondo sanitario nazionale per il successivo riparto tra le Regioni e le Province autonome; b) i criteri per la ripartizione delle stesse tra le Regioni e le Province (quantificandole con riferimento agli esercizi finanziari a venire fino a quello del 2010 e finanche prevedendone la progressiva traslazione economica dal bilancio del Ministero della giustizia a quello della salute); c) il riordino di un intero comparto di spesa (il rapporto di lavoro dei medici operanti nel sistema penitenziario).

Il d.P.C.m. 1° aprile 2008 ha poi dato attuazione a tale novazione meramente soggettiva del rapporto, disponendo esplicitamente la persistente applicazione al personale «incaricato» del regime dettato dalla legge n. 740 del 1970.

Al contrario, la norma regionale censurata, disponendo lo stabile inquadramento dei medici incaricati nei ruoli della Regione, ha di fatto trasformato, all’interno della Regione Calabria, rapporti parasubordinati in rapporti di lavoro subordinato e a tempo indeterminato.

Tale disciplina è chiaramente lesiva delle competenze legislative statali in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Invero, come chiarito di recente da questa Corte, spetta al legislatore statale il compito di evitare l’aumento incontrollato della spesa sanitaria (sentenza n. 203 del 2008) e di effettuare un bilanciamento tra l’esigenza di garantire egualmente a tutti i cittadini il diritto fondamentale alla salute, nella misura più ampia possibile, e quella di rendere compatibile la spesa sanitaria con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che è possibile ad essa destinare (sentenza n. 94 del 2009).

Contravvenendo a tali principi, la norma censurata si è posta in contrasto con il citato art. 2, comma 283, della legge finanziaria per il 2008, che si limita a trasferire la titolarità del rapporto di lavoro dal Servizio sanitario nazionale a quello regionale e che costituisce principio fondamentale della legislazione dello Stato in materia. D’altra parte, la stessa norma, determinando la costituzione di nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ha causato un considerevole aggravio di oneri finanziari a carico della Regione e, in definitiva, del Servizio sanitario nazionale.

4. − Il Presidente del Consiglio ricorre anche contro gli articoli 7, 8 e 9 della legge Regione Calabria n. 1 del 2009.

Tali norme dispongono tutte l’inquadramento in ruolo, con contratti a tempo indeterminato, di diverse categorie di personale sanitario incaricato, che in precedenza non risultavano stabilizzati: l’art. 7 dei medici incaricati dell’emergenza sanitaria, gli artt. 8 e 9 dei medici titolari, in virtù di convenzione, della «continuità assistenziale» e della «Medicina dei Servizi».

In particolare, l’art. 7 dispone che «ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 8, comma 1-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 502, e successive modifiche ed integrazioni e dell’Accordo collettivo nazionale della medicina generale del 23 marzo 2005, la Regione provvede all’inquadramento in ruolo dei medici a tempo indeterminato, attualmente incaricati nell’emergenza sanitaria, previo giudizio di idoneità secondo le procedure di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 dicembre 1992, n. 502, a condizione che gli stessi abbiano maturato almeno cinque anni di attività a regime di convenzione, di cui almeno tre nell’emergenza.»; il successivo art. 8, comma 1, sancisce che «i medici titolari di continuità assistenziale in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge ed utilizzati in attività diverse, da almeno tre anni presso le Aziende sanitarie della Regione, possono chiedere, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di essere inquadrati nel relativo posto in organico, previo giudizio di idoneità ove già non esperito»; l’art. 9, infine, dispone che «i medici della Medicina dei servizi risultati idonei ed inseriti negli elenchi di cui ai decreti dirigenziali n. 17301 del 17 novembre 2005 e n. 12611 del 6 ottobre 2006 del Dipartimento regionale tutela della salute sono inquadrati in ruolo, nei posti in atto occupati nelle aree previste dal decreto dirigenziale n. 416 del 17 luglio 2000 dello stesso Dipartimento».

Secondo il Presidente del Consiglio, le disposizioni censurate investirebbero due diversi ambiti materiali. Da un lato, esse costituirebbero espressione della funzione di coordinamento della finanza pubblica; dall’altro, afferirebbero alla tutela della salute, materie, entrambe, oggetto di potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. Da ciò conseguirebbe che, vertendosi in materie di legislazione concorrente, lo Stato sarebbe legittimato a porre principi fondamentali, come tali vincolanti per le Regioni e per le Province autonome. Tali principi, stabiliti dalla legislazione statale in materia, sarebbero stati violati dalle disposizioni censurate e segnatamente, in materia di tutela della salute, quello dettato dall’art. 8, comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992, e, in materia di coordinamento della finanza pubblica, quello dettato dall’art. 1, comma 565, della legge n. 296 de l 2006 (legge finanziaria 2007).

Le medesime disposizioni regionali contrasterebbero, altresì, con i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97, Cost., in quanto eludono – al di fuori dei casi espressamente contemplati dall’art. 8, comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992 – il principio di eguaglianza dei cittadini ed il principio del concorso pubblico, quale strumento di accesso al pubblico impiego.

4.1. − Preliminarmente, deve disattendersi la richiesta, avanzata dalla difesa della Regione, di dichiarazione di cessazione della materia del contendere delle questioni sollevate, per effetto della entrata in vigore della legge regionale 19 marzo 2009, n. 5, la quale ha aggiunto all’art. 6 della legge censurata un comma 2, secondo cui «Per il personale della dirigenza del ruolo sanitario si procederà ad apposita selezione concorsuale con la riserva fino al 50% dei posti a favore di quello con rapporto a tempo determinato individuato ai sensi del comma 1, in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente». Invero, la introduzione di tale procedura concorsuale riguarda una tipologia contrattuale di personale dirigenziale diversa da quelle oggetto di censura, essendo riferita a quei dirigenti che avevano stipulato contratti di lavoro, anche di collaborazione coordinata e continuativa, in data anteriore al 28 settembre 2007.

4.2. − Nel merito, le questioni sollevate sono fondate, con riferimento all’art. 97 della Costituzione.

Le norme censurate, infatti, prevedendo, ai fini dell’inquadramento nei ruoli, semplicemente un previo giudizio di idoneità, si pongono in contrasto con il principio del pubblico concorso.

Questa Corte ha affermato più volte che solo esigenze obiettive, quali la necessità di valorizzare le esperienze lavorative maturate all’interno dell’amministrazione, possono giustificare la validità di procedure di selezione diverse rispetto al concorso pubblico, e solo a condizione che il principio del buon andamento della pubblica amministrazione sia assicurato in via alternativa con adeguati criteri selettivi idonei a garantire la professionalità dei soggetti prescelti (v. sentenze n. 9 del 2010, n. 191 del 2007, n. 205 del 2004, n. 34 del 2004, n. 427 del 2007, n. 190 del 2005, n. 517 del 2002 e n. 141 del 1999).

Ebbene, sia nel caso della stabilizzazione dei medici reperiti per far fronte a situazioni di emergenza, sia nel caso dei medici titolari di “continuità assistenziale” di cui al successivo art. 8 e infine di quelli della medicina dei servizi di cui al censurato art. 9, la legge regionale non prevede idonei requisiti e criteri selettivi del personale dirigente.

Neppure la disposizione, invocata dalla resistente, dettata dall’art. 10 della legge regionale censurata − che subordina l’immissione nei ruoli organici del personale disciplinata da tale legge al rispetto del vincolo previsto dall’articolo 1, comma 565, della legge n. 296 del 2006, alla esistenza dei relativi posti in organico, alla disponibilità finanziaria, nonché alle motivate esigenze per la stabile copertura dei posti − può considerarsi idonea, in assenza di pubblico concorso, a soddisfare le esigenze di professionalità del personale medico e dirigente e, quindi, del principio di buon andamento della pubblica amministrazione. Essa, invero, si limita a prevedere una generica e formale clausola di salvaguardia della procedura dettata dal citato art. 1, comma 565 – che peraltro è finalizzata ad assicurare la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009, e non a gara ntire la professionalità del personale da assumere con contratto stabile − oltre che a ribadire, in modo altrettanto generico, la necessità dell’esistenza di obiettive esigenze e della disponibilità finanziaria.

La mancata previsione di un valido criterio di scelta dei soggetti i cui rapporti di collaborazione sono destinati ad essere stabilizzati fa sì che debba dichiararsi, in riferimento all’art. 97 Cost., l’illegittimità costituzionale degli artt. 7, 8 e 9 della legge della Regione Calabria n. 1 del 2009.

4.3. – L’accoglimento del ricorso con riferimento al parametro di cui all’art. 97 Cost. per tutti e tre gli articoli censurati determina l’assorbimento delle altre censure.

per questi motivi

la corte costituzionale

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge della Regione Calabria 31 dicembre 2008, n. 46 (Disposizioni in materia sanitaria);

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 7, 8 e 9 della legge della Regione Calabria 15 gennaio 2009, n. 1 (Ulteriori disposizioni in materia sanitaria).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 aprile 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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SENTENZA N. 150

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. l, comma 1, 3, 4, 13 e 18 della legge della Regione Puglia 23 dicembre 2008, n. 45 (Norme in materia sanitaria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 27 febbraio 2009, depositato in cancelleria il 9 marzo 2009 ed iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;

udito nell’udienza pubblica del 9 marzo 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Luigi Volpe per la Regione Puglia.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 27 febbraio 2009 e depositato il successivo 9 marzo, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41, 51, 65, 97, 117, commi primo, secondo, lettere m), p) e s), e terzo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. l, comma 1, 3, 4, 13 e 18 della legge della Regione Puglia 23 dicembre 2008, n. 45 (Norme in materia sanitaria).

1.1.– Il ricorrente, in primo luogo, censura l’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 45 del 2008, che, intervenendo sul comma 40 dell’art. 3 della legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008-2010 della Regione Puglia), così come modificato dall’art. 5 della legge regionale 19 febbraio 2008, n. 1, e dall’art. 11 della legge regionale 2 luglio 2008, n. 19, dopo le parole «all’attività di ricerca», ha introdotto un ulteriore periodo ai sensi del quale «il personale medico, in servizio presso le unità operative di medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza delle aziende sanitarie, assunto a tempo determinato, in deroga a quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del servizio sanitario naz ionale), accede al processo di stabilizzazione qualora in possesso di uno dei requisiti sopra indicati».

Secondo il ricorrente, tale disposizione si pone in contrasto con l’art. 3, comma 94, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), che esclude l’applicabilità delle procedure di stabilizzazione a favore del personale dirigente.

Il ricorrente assume che, costituendo la citata disposizione statale norma di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica, la previsione regionale violi l’art. 117, comma terzo, Cost.

La violazione di tale ultima norma deriverebbe, inoltre, dalla circostanza che l’accesso alle procedure di stabilizzazione viene disposto «in deroga a quanto previsto dal D.P.R. 483/97» e quindi, per ciò che riguarda la dirigenza sanitaria, senza il necessario filtro del concorso pubblico per titoli ed esami previsto dall’art. 15, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), il quale, a sua volta, costituisce, sempre secondo il ricorrente, per espressa volontà del legislatore (manifestata dal disposto dell’art. 19 del medesimo d.lgs. n. 502 del 1992) normativa di principio in materia di tutela della salute ai fini dell’art. 117, comma terzo, Cost.

La norma censurata sembra all’Avvocatura dello Stato essere anche in contrasto con i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché con il principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost.. Al riguardo, vengono richiamati, in particolare, i principi espressi da Corte costituzionale nella sentenza n. 81 del 2006.

1.2.– Il ricorrente censura, altresì, l’art. 3 della medesima legge regionale n. 45 del 2008, nella parte in cui esclude dal regime dell’autorizzazione, di cui all’art. 5 della legge regionale 28 maggio 2004, n. 8 (Disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), «lo studio medico privato o studio odontoiatrico privato, organizzato in forma singola o associata, in quanto studio professionale o gabinetto medico non aperto al pubblico».

L’Avvocatura dello Stato rileva che tale previsione eccede la competenza regionale concorrente attribuita alla Regione in materia di tutela della salute dall’art. 117, comma terzo, Cost., assumendo, in particolare, che l’art. 3 della citata legge regionale contrasti con il principio fondamentale espresso dagli articoli 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, secondo i quali tutti gli studi medici e odontoiatrici, per la peculiarità dell’attività posta in essere e comunque ove debbano essere erogate «prestazioni di chirurgia ambulatoriale o procedure diagnostiche di particolare complessità che comportino un rischio per la sicurezza del paziente», devono essere autorizzati previa verifica del possesso dei requisiti fissati con il d.P.R. 14 gennaio 1997 recante «Approvazione dell’atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private (previsioni rilevanti relative agli ambulatori)» – emanato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni, e le Province autonome.

Secondo il ricorrente, il rispetto delle prescrizioni richiamate dalla normativa nazionale è indispensabile per assicurare livelli essenziali di sicurezza e di qualità delle prestazioni in ambiti nei quali il possesso della dotazione strumentale e la sua corretta gestione e manutenzione assume preminente interesse per assicurare l’idoneità e la sicurezza delle cure.

Inoltre, ad avviso del ricorrente, la norma censurata sarebbe in contrasto anche con gli artt. 3 e 41 Cost.

1.3.– Quanto all’art. 4 della legge regionale n. 45 del 2008, l’Avvocatura dello Stato ritiene che tale disposizione – stabilendo che «i dirigenti medici in servizio a tempo indeterminato presso gli uffici a staff della direzione generale funzionalmente dipendenti dalle direzioni sanitarie delle aziende sanitarie locali (ASL), delle aziende ospedaliero-universitarie e degli IRCCS pubblici ovvero in servizio presso le direzioni sanitarie di presidio ospedaliero da almeno tre anni, alla data di entrata in vigore della presente legge sono inquadrati, a domanda, nelle direzioni sanitarie con la disciplina “Direzione medica di presidio ospedaliero”» – esuli dalla competenza regionale concorrente attribuita alla Regione in materia di tutela della salute dall’art. 117, comma terzo, Cost.

La disposizione impugnata, infatti, nel prevedere genericamente l’inquadramento nelle direzioni sanitarie di dirigenti medici che svolgono attività di staff presso direzioni generali senza alcuna specificazione circa la necessità che vi sia corrispondenza (ovvero equipollenza o affinità) tra le specializzazioni acquisite dai medici e quelle richieste per operare nelle direzioni sanitarie, viola il principio generale in materia di tutela della salute di cui dall’art. 15, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992 – come specificato dall’art. 24 del d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale), e dall’art. 13 del Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) quadriennio 1998-2001 dell’Area relativa alla dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale per la dirigenza medica e veterinaria dell’8 giu gno 2000 – in base al quale l’inquadramento del dirigente medico nelle direzioni sanitarie ha come presupposto imprescindibile, oltre alla laurea in medicina e chirurgia, la specializzazione nella disciplina di riferimento.

Il ricorrente sottolinea ancora che l’art. 4 della legge regionale n. 45 del 2008 contrasta con i principi di eguaglianza e buona amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost., nonché con la garanzia dei livelli essenziali di assistenza previsti dall’art. 117, comma secondo, lettera m), Cost., specificando che, in particolare, la disposizione impugnata viola i principi di uguaglianza e di parità di trattamento sia nei confronti degli operatori (differenziando i medici destinatari della disposizione in esame rispetto agli altri medici della stessa e delle altre Regioni), sia nei confronti dei cittadini pugliesi che, diversamente dagli altri cittadini italiani, non hanno la sicurezza di poter essere curati dai medici specializzati nella disciplina richiesta.

1.4.– Il Governo denuncia, anche, l’incostituzionalità dell’art. 13 della legge regionale pugliese – ai sensi del quale «i componenti, a qualsiasi titolo, ivi compresi i segretari, delle commissioni per l’accertamento della invalidità civile, cecità civile, sordomutismo e della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), sono incompatibili con tali funzioni qualora detengano cariche elettive politiche o si candidino per conseguirle» – per violazione degli artt. 65 e 117, comma secondo, lettere m) e p), Cost.

L’Avvocatura dello Stato rileva l’illegittimità della previsione nella parte in cui, con l’utilizzo dell’espressione onnicomprensiva «cariche elettive politiche», include fra i propri destinatari i parlamentari nazionali e si estende a tutte le cariche elettive degli enti locali territoriali.

In primo luogo, il ricorrente osserva che tale previsione viola la competenza esclusiva dello Stato in materia di incompatibilità ed ineleggibilità dei parlamentari nazionali di cui all’art. 65 Cost. e, in secondo luogo, che il medesimo art. 13 della legge in esame invade la competenza esclusiva dello Stato nella materia “organi di governo” di Comuni, Province e Città metropolitane prevista dall’art. 117, comma secondo, lettera p), Cost., nonché nella materia inerente la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lettera m), Cost.

A tale fine l’Avvocatura dello Stato richiama i rilievi espressi dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 29 del 2006 e n. 456 del 2005.

1.5.– Viene, infine, denunciata l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della citata legge regionale – ai sensi del quale «il personale laureato non medico in servizio presso le ASL della regione Puglia con la qualifica di educatore professionale a cui è stato riconosciuto il possesso del titolo di laurea magistrale, che ha usufruito dei benefici previsti dall’articolo 24 (Educatori professionali) della legge regionale 12 gennaio 2005, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2005 e bilancio pluriennale 2005-2007 della Regione Puglia), così come sostituito dall’articolo 23 della legge regionale n. 10 del 2007, e dell’articolo 6, comma 6, della legge regionale n. 26 del 2006 e inquadrato nella categoria DS del CCNL Comparto sanità, alla data di entrata in vigore della presente legge, è equiparato alle figure similari laureate, secondo il parere del Consiglio superiore della sanità - art. 4 ed è inquadrato nella dirigenza sanitaria non medica, di cui all’allegato 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), in ossequio, altresì, alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, del 13 luglio 1994, n. 763» – per violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost., e dei principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché del principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost.

Si assume, infatti, che tale disposizione si ponga in contrasto con il principio fondamentale in materia di tutela della salute di cui all’art. 6 della legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie, infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica) – specificato con d.P.R. del 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale) – il quale, nello stabilire la procedura per l’accesso alla dirigenza per i profili professionali del comparto, prevede la procedura concorsuale «alla quale si accede con requisiti analoghi a quelli richiesti per l’accesso alla dirigenza del Servizio sanitario regionale».

In ragione del disposto di tale previsione, l’Avvocatura dello Stato ritiene di muovere, in relazione all’art. 13 della citata legge regionale, gli stessi rilievi svolti con riferimento all’art. 1 della medesima.

2.– Con memoria del 20 marzo 2009, depositata il successivo 30 marzo, si è costituita la Regione Puglia chiedendo a questa Corte di rigettare il ricorso in esame.

2.1.– Relativamente all’art. 1 della legge regionale n. 45 del 2008, la Regione rileva, primariamente, che tale disposizione non stabilisce la possibilità di stabilizzazione per il personale dirigente medico incluso nell’ambito di applicazione del medesimo articolo – giacché tale possibilità era stata invece testualmente prevista nella precedente e non impugnata legge regionale (art. 3, comma 40, della legge regionale n. 40 del 2007) – risultando pertanto siffatto profilo estraneo all’oggetto dell’attuale giudizio di legittimità costituzionale.

Secondo la Regione, pertanto, i profili disciplinati dalla previsione impugnata rientrano nell’ambito della potestà legislativa regionale residuale esclusiva, così che, anche ove la normativa statale di cui alla legge n. 244 del 2007 avesse inteso suggerire alle Regioni la stabilizzazione del solo personale precario non dirigente, non si sarebbe potuto escludere che, nell’esercizio della propria potestà legislativa esclusiva, le Regioni stesse, sui medesimi presupposti, potessero altresì estendere la normativa di stabilizzazione al personale dirigente.

La Regione rileva, inoltre, che la deroga al d.P.R. n. 483 del 1997, (prevista dall’art. 1 della legge regionale oggetto d’impugnazione) si riferisce esclusivamente al possesso del requisito del titolo di specializzazione, previsto dall’anzidetto d.P.R., e non già alle prove selettive, cui restano comunque sottoposti tutti i dirigenti medici in servizio a tempo determinato, ed anche quelli in servizio presso le unita operative di medicina e chirurgia di accettazione e urgenza, in ragione del disposto dell’art. 3 comma 40, della precedente legge regionale n. 40 del 2007, ai sensi del quale «al processo di stabilizzazione il personale, di cui al presente comma, accede, previo superamento di apposita pubblica selezione di natura concorsuale, [...] con le procedure e i criteri previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483, qualora in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti [...]».

La difesa regionale afferma, altresì, che la scuola attraverso la cui frequenza dovrebbe conseguirsi la specializzazione di Medicina e Chirurgia di accettazione e urgenza non risulta ancora né finanziata, né attivata dal Ministero per l’Università e per la Ricerca scientifica, cui appartiene la competenza in materia.

Comunque, per la resistente, l’art. 1 risulta rispettoso del principio costituzionale del pubblico concorso, condizionando l’accesso alla stabilizzazione, in conformità della normativa statale di cui alla legge n. 244 del 2007, o all’aver partecipato ad una procedura selettiva per l’accesso alla posizione a tempo determinato da stabilizzare ovvero, nel caso in cui non vi sia tale presupposto, alla sottoposizione, prima dell’accesso alla stabilizzazione, ad una procedura siffatta, ritenendosi pertanto infondata la censura relativa alla violazione dell’art. 97, nonché degli art. 3 e 51 Cost.

A supporto di tale conclusione, la Regione offre un’articolata ricostruzione della giurisprudenza costituzionale in materia di stabilizzazione del personale, nell’ambito della quale viene messo in luce il rilievo che questa Corte ha attribuito, nel giudizio relativo alle norme regionali disciplinanti tali procedure, al «possesso di una precedente esperienza nell’ambito dell’Amministrazione, ove questo si configuri ragionevolmente quale requisito professionale» (sentenza n. 1 del 1999), al «vasto ambito di discrezionalità che spetta al legislatore, sia statale che regionale, nelle scelte relative alla creazione e alla organizzazione dei pubblici uffici» (sentenza n. 141 del 1999) e alla necessità di «consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nell’ambito dell’Amministrazione» (sentenza n. 34 del 2004).

2.2.– Con riferimento ai profili di censura relativi all’art. 3, la Regione rileva che la disposizione impugnata è ispirata a finalità di semplificazione amministrativa, richiamando, sul punto, il disposto della precedente legge della Regione Puglia 28 maggio 2004, n. 8, che, all’art. 5, aveva già escluso dall’autorizzazione gli studi medici esercenti attività professionale, ad eccezione dei soli studi esercenti attività specialistica ambulatoriale chirurgica (per le prestazioni comprese tra quelle individuate con apposito provvedimento di giunta regionale) e specialistica ambulatoriale odontoiatrica (anche in tal caso per prestazioni comprese tra quelle individuate con apposito provvedimento della giunta regionale).

La difesa regionale rileva che la disposizione impugnata risulta solo parzialmente innovativa rispetto al regime previgente, giacché ha inteso semplificare l’avvio dell’esercizio dell’attività professionale medica o odontoiatrica limitatamente alle forme organizzative più semplici e sempre che le strutture non intendano domandare l’accreditamento istituzionale con il servizio sanitario nazionale, né aspirare ad accordi contrattuali con lo stesso per disimpegnare il pubblico servizio.

La Regione Puglia, inoltre, non condivide il richiamo agli artt. 3 e 41 Cost. operato dalla difesa erariale, sostenendo, con riferimento al primo parametro, che non sussiste violazione del principio di eguaglianza; e, relativamente al secondo, che il disposto dell’art. 41 non può essere sic et simpliciter esteso all’attività professionale (salvo che, per l’appunto, non sia esercitata in forma di impresa), giacchè per la stessa, a prescindere dagli eventuali controlli e dalle eventuali limitazioni amministrative, valgono le attribuzioni proprie degli ordini professionali ed i codici deontologici delle professioni.

La resistente sottolinea, infine, l’inconferenza del richiamo all’art. 117, terzo comma, Cost., giacché la normativa statale richiamata dal ricorrente (e cioè l’art. 8, comma 4, e l’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992) fissa la «competenza delle regioni in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private» (art. 8, comma 4) e limita la necessità di autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie (professionali) ai soli casi in cui presso gli studi professionali siano erogate «prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, nonché per le strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche».

2.3.– Con riferimento, poi, alla lamentata illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Puglia, la Regione, richiamando la sentenza n. 45 del 2008 della Corte costituzionale, afferma che la regolamentazione oggetto di tale previsione è riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e rientra, pertanto, nella competenza residuale delle medesime Regioni, di cui all’art. 117, comma quarto, Cost.

La stessa Regione sottolinea, inoltre, che nei confronti del personale medico cui si applica l’art. 4 non è prevista alcuna forma di stabilizzazione, atteso che i soggetti interessati sono già in servizio a tempo indeterminato, e che la disciplina impugnata ha esclusivamente la finalità di garantire la massima efficienza alle funzioni strategiche delle ASL, senza che ciò comporti alcuna variazione numerica e di costo della dotazione organica.

La difesa regionale, a tale fine, cita l’art. 1 della legge 29 dicembre 2000, n. 401 (Norme sull’organizzazione e sul personale del settore sanitario), che ha previsto, per i dirigenti medici, l’inquadramento nella disciplina nella quale gli stessi esercitano le funzioni, anche se diverse da quelle per le quali sono stati assunti.

Infine, la resistente Regione rileva l’inconferenza del richiamo al principio di eguaglianza rispetto sia agli altri medici della stessa Puglia ai quali non si applica il disposto della disposizione denunciata, sia a quelli delle altre Regioni italiane, così come relativamente alla posizione dei cittadini pugliesi – i quali secondo la difesa erariale non avrebbero la sicurezza di poter essere curati da medici specializzati nella disciplina richiesta al pari degli altri cittadini italiani – dal momento che i medici delle Direzioni sanitarie non prestano assistenza diretta nei confronti dei cittadini, ma piuttosto esercitano la funzione di management sanitario, e cioè di responsabilità dell’organizzazione sanitaria nel suo complesso.

2.4.– Relativamente, poi, ai profili di censura aventi ad oggetto l’art. 13 della citata legge, la Regione Puglia, ritenendoli infondati, sostiene che la norma in questione non ha inteso prevedere alcuna forma di ineleggibilità o incompatibilità rispetto alla posizione di parlamentare nazionale o all’assunzione di cariche elettive presso enti territoriali, affermando che la stessa si è limitata a stabilire un requisito negativo di accesso a componente delle Commissioni per l’accertamento dell’invalidità civile, cecità civile, sordomutismo e della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), ovvero per la nomina a segretario delle stesse.

Secondo la difesa regionale, tale disposizione è espressione della propria potestà normativa esclusiva, costituendone tipica manifestazione in quanto riguardante la disciplina della composizione di strutture amministrative dipendenti dalla medesima Regione Puglia. Quest’ultima ritiene, infine, inconferente il riferimento all’art. 117, comma secondo, lettera m), Cost., sostenendo nel merito che la disposizione impugnata non incide in alcun modo sui livelli essenziali delle prestazioni concernenti i «diritti civili e sociali».

2.5.– Quanto alle censure relative all’art. 18 della legge regionale n. 45 del 2008, la Regione contesta la fondatezza dei profili di illegittimità rilevati dal ricorrente, sostenendo che il personale interessato da tale previsione risulta comunque fornito del titolo di laurea magistrale e che lo stesso, ai sensi dell’art. 24 della legge regionale 12 gennaio 2005, n. 1 (come sostituito dall’art. 23 della legge regionale n. 10 del 2007), è già stato equiparato alla figura professionale di «collaboratore professionale esperto», non ricorrendo pertanto una deroga alla regola del pubblico concorso.

Secondo la Regione resistente, infatti, la disposizione impugnata determina una forma di riqualificazione normativa dell’intera posizione di lavoro denominata «educatore professionale», che è altresì confermata nella sua legittimità dalla circostanza che, con la stessa, la Regione ha inteso conformarsi ad un parere del Consiglio Superiore della Sanità ed alla decisione del Consiglio di Stato 13 luglio 1994, n. 763.

3.– Con successiva memoria, il Presidente del Consiglio dei ministri ha precisato i profili di illegittimità oggetto del ricorso e ha preso posizione in relazione alle argomentazioni sviluppate dalla Regione Puglia nel proprio atto di costituzione in giudizio.

3.1.– Con particolare riferimento alla prima censura, la difesa erariale contesta la ricostruzione della Regione – secondo cui l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Puglia n. 45 del 2008 non riguarderebbe l’accesso al processo di stabilizzazione del personale medico dirigenziale, quanto, invece, l’assunzione a tempo indeterminato del personale medico non dirigente – ritenendo invece che la normativa censurata abbia invero ad oggetto proprio la posizione dei dirigenti. Tale ultimo assunto si fonda sia sulla considerazione che la disposizione impugnata è stata collocata dal legislatore regionale «alla fine del quarto periodo del comma 40 della legge della Regione Puglia 31.12.2007, n. 40», relativo alla stabilizzazione del personale del ruolo della dirigenza, sia sul richiamo espresso, previsto dalla norma regionale impugnata, al d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483, recante la disciplina concorsuale per il personale d irigenziale del servizio sanitario nazionale, anziché al d.P.R. 27 marzo 2001, n. 220 (Regolamento recante la disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale).

Il ricorrente sostiene, altresì, che – pur se si volesse accogliere la ricostruzione della Regione – l’art. 1 della legge regionale n. 45 del 2008 risulterebbe parimenti illegittimo per contrasto con l’art. 3, comma 94, della legge n. 244 del 2007 che ha, in ogni caso, subordinato la stabilizzazione del personale non dirigenziale all’espletamento di prove selettive, attraverso il riferimento agli artt. 519 e 558 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)». Tali articoli richiedono, infatti, per i titolari di contratti a tempo determinato, i1 possesso del requisito dell’assunzione mediante procedure selettive di natura concorsuale, in quanto prevedono che «alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse (in assenza del concorso) si provvede previo espletamento di prove selettive». Parimenti gli artt. 529 e 560 della medesima legge prevedono, per l’assunzione a tempo indeterminato del personale utilizzato con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, lo svolgimento, in ogni caso, di prove di natura concorsuale con riserva del 60 per cento del totale dei posti programmati.

Sul punto, l’Avvocatura dello Stato, ribadisce che la disposizione regionale impugnata costituisce una deroga tout court alla procedura concorsuale.

Il ricorrente chiarisce, infatti, che mentre il previgente art. 1, comma 40, della legge della Regione Puglia n. 40 del 2007, subordinava, in generale, la stabilizzazione del personale dirigenziale al superamento di «apposita pubblica selezione di natura concorsuale […] con le procedure ed i criteri previsti dal D.P.R. 10.12.1997 n. 483» ed al possesso di almeno uno dei prescritti requisiti, la novella inserita dall’art. 1 della legge regionale n. 45 del 2008 – oggetto dell’attuale giudizio di legittimità costituzionale – dispone invece testualmente che «il personale medico, in servizio presso le unità operative di medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza delle aziende sanitarie, assunto a tempo determinato, in deroga a quanto previsto dal D.P.R. 483/1997, accede al processo di stabilizzazione qualora in possesso di uno dei requisiti sopra indicati».

Il Governo ritiene privo di riscontro normativo e contrario al dato testuale l’argomento della Regione Puglia secondo cui la disposizione impugnata, anziché derogare alla procedura concorsuale, derogherebbe esclusivamente al possesso del requisito della specializzazione in medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza, atteso che, se l’intenzione del legislatore regionale fosse stata quella prospettata dalla Regione Puglia, lo stesso, nella formulazione della norma oggetto del presente giudizio, avrebbe dovuto operare un riferimento esplicito alla procedura selettiva, presente, invece, solo nella ricordata precedente parte del comma 40 dell’art. 3 della legge della Regione Puglia n. 40 del 2007.

Quindi, il ricorrente ritiene errata la ricostruzione operata dalla Regione relativamente alla giurisprudenza costituzionale in materia di lesione del principio del concorso per l’accesso ai pubblici uffici, rilevando come, invece, la deroga alla procedura concorsuale possa essere giustificata esclusivamente da straordinarie ragioni di interesse pubblico, ivi compresa la necessità, per l’amministrazione, di avvalersi di esperienze professionali caratterizzate da specificità assoluta, acquisite dal personale destinatario della stabilizzazione e, come tali, non reperibili attraverso procedure concorsuali aperte a soggetti esterni (sentenze n. 81 del 2006 e n. 159 del 2005, ordinanza n. 517 del 2002), con presupposti cioè che, secondo l’Avvocatura dello Stato, non sono presenti nel caso di specie, palesandosi quindi ulteriormente l’illegittimità costituzionale della normativa sottoposta al vaglio della Corte.

Con riferimento alle altre norme impugnate, la difesa erariale si limita a ribadire i rilievi di illegittimità costituzionale contenuti nel ricorso, contestando, a tale fine, le considerazioni difensive espresse dalla Regione Puglia nel proprio atto di costituzione.

4.– In prossimità dell’udienza la Regione Puglia ha depositato, fuori termine, una memoria.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3, 41, 51, 65, 97, 117, commi primo, secondo, lettere m), p) e s), e terzo, della Costituzione – degli artt. l, comma 1, 3, 4, 13 e 18 della legge della Regione Puglia 23 dicembre del 2008, n. 45 (Norme in materia sanitaria), in quanto tali norme eccederebbero le competenze regionali sotto vari profili.

1.1.– In particolare, con riferimento all’art. 1, comma 1, della legge regionale Puglia n. 45 del 2008, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce che la disciplina censurata, disponendo la stabilizzazione di personale dirigenziale medico, assunto a tempo determinato, qualora in possesso di determinati requisiti, lederebbe l’art. 117, comma terzo, della Costituzione sotto un duplice profilo: sia, cioè, per contrasto con i principi di coordinamento della finanza pubblica, dettati dall’art. 3, comma 94, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)», che vieta l’applicabilità delle procedure di stabilizzazione al personale dirigenziale; sia per contrasto con il principio fondamentale in materia di tutela della salute, dettato dall’art. 15, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre1992, n. 502 (Riordino de lla disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), che impone l’accesso alla dirigenza sanitaria mediante concorso pubblico per titoli ed esami.

Inoltre, la norma impugnata lederebbe gli artt. 3, 51 e 97 Cost., cioè i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, introducendo una deroga ingiustificata alla regola del concorso pubblico.

1.2.– Anche l’art. 4 della citata legge regionale – prevedendo l’inquadramento a domanda nelle direzioni sanitarie di dirigenti medici che svolgono attività di staff presso direzioni generali, senza l’espletamento di un pubblico concorso e senza, quindi, alcuna possibilità di oggettiva verifica circa la necessità che vi sia corrispondenza (ovvero equipollenza o affinità) tra le specializzazioni acquisite dai medici e quelle richieste per operare nelle direzioni sanitarie – violerebbe, sempre secondo il ricorrente, l’art. 117, comma terzo, Cost., in quanto in contrasto anch’esso con l’art. 15, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, come specificato dall’articolo 24 del d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale), e dall’art. 13 del Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL), quadriennio 1998-2001, per la dirigenza medica e veterinaria 8 giugno 2000, secondo i quali l’inquadramento del dirigente medico nelle direzioni sanitarie ha come presupposto imprescindibile, oltre alla laurea in medicina e chirurgia, la specializzazione nella disciplina di riferimento.

La norma regionale impugnata sarebbe, altresì, lesiva degli artt. 3 e 97 Cost. per violazione, rispettivamente, dei principi di eguaglianza e di buona amministrazione; nonché dell’art. 117, comma secondo, lettera m), Cost., in relazione alla competenza esclusiva dello Stato nella materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Quanto, poi, all’art. 18 della legge in esame – che stabilisce l’inquadramento nella dirigenza sanitaria non medica (di cui all’allegato 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, recante norme sullo «Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali», e alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, del 13 luglio 1994, n. 763) del personale laureato non medico, in servizio presso le aziende sanitarie locali (ASL) della Regione Puglia con la qualifica di educatore professionale, al quale è stato riconosciuto il possesso del titolo di laurea magistrale – lo stesso, secondo il ricorrente, violerebbe l’art. 117, comma terzo, Cost.. Sarebbe, infatti, in contrasto con il principio fondamentale desumibile dall’art. 6 della legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonché della pro fessione ostetrica), che – nello stabilire la procedura per l’accesso alla dirigenza per i citati profili professionali – prevede la procedura concorsuale alla quale si accede con requisiti analoghi a quelli richiesti «per l’accesso alla dirigenza del Servizio sanitario regionale». Vi sarebbe, altresì, lesione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., per violazione dei principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e del principio del pubblico concorso.

Il ricorrente censura anche l’art. 3 della citata legge regionale, poiché violerebbe l’art. 117, comma terzo, Cost., in quanto in contrasto con i principi fondamentali desumibili dagli artt. 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 , secondo i quali «gli studi medici e odontoiatrici ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente» devono essere autorizzati previa verifica del possesso dei requisiti fissati con il d.P.R. 14 gennaio 1997 (Approvazione dell’atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private), adottato ai sensi del citato art. 8, comma 4.

La disposizione regionale censurata contrasterebbe, inoltre, con gli artt. 3 e 41 Cost.

Infine, con riferimento all’art. 13 della legge regionale n. 45 del 2008, il ricorrente lamenta che lo stesso – nella parte in cui stabilisce l’incompatibilità a far parte «a qualsiasi titolo, ivi compresi i segretari, delle commissioni per l’accertamento della invalidità civile, cecità civile, sordomutismo e della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate)», di coloro che «detengano cariche elettive politiche o si candidino per conseguirle» – violerebbe l’art. 65 Cost., in relazione alla competenza esclusiva dello Stato in materia di incompatibilità ed ineleggibilità dei parlamentari nazionali; l’art. 117, comma secondo, lettera p), Cost., relativamente alla competenza esclusiva dello Stato nella materia di «organi di governo» di Comuni, Province e Città metropolitane; ed, infine, anche l’ art. 117, comma secondo, lettera m), Cost., in riferimento alla competenza esclusiva dello Stato nella materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Il ricorrente sottolinea, in particolare, l’illegittimità della previsione nella parte in cui, con l’utilizzo dell’espressione onnicomprensiva «cariche elettive politiche», include fra i propri destinatari i parlamentari nazionali ed estende il divieto a tutte le cariche elettive degli enti locali territoriali.

2.– Prima di affrontare il merito delle questioni, occorre esaminare un profilo preliminare, riferibile all’intero ricorso: le censure riguardanti la violazione dei commi primo e secondo, lettera s), dell’art. 117 Cost. sono presenti solo nel dispositivo del ricorso, mentre è omesso qualsiasi accenno alle stesse sia nella parte motiva del medesimo ricorso, sia nell’allegata Relazione del Ministro per i rapporti con le Regioni. Pertanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, tali censure sono inammissibili.

3.– In ragione della omogeneità e della reciproca connessione, sembra opportuno, primariamente, trattare le questioni relative agli artt. 1, comma 1, e 18 della legge della Regione Puglia n. 45 del 2008, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost., nonché quella relativa all’art. 4 della medesima legge in riferimento ai soli artt. 3 e 97 Cost.

3.1.– Le questioni,con riferimento alla violazione degli artt. 97 e 117 Cost., sono fondate. Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.

Tutte e tre le disposizioni legislative censurate prevedono ipotesi di accesso alla dirigenza sanitaria medica (art. 1, comma 1, e art. 4) e non medica (art. 18) che, in assenza di peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico, derogano significativamente al criterio del concorso pubblico, richiesto sia, in via generale, dall’art. 97 Cost., sia da specifiche disposizioni legislative statali che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, costituiscono principi fondamentali in materia di tutela della salute.

Al riguardo, è opportuno sottolineare che questa Corte, ancora di recente (sentenza. n. 293 del 2009), ha escluso la legittimità di arbitrarie restrizioni alla partecipazione alle procedure selettive, chiarendo che «al concorso pubblico deve riconoscersi un ambito di applicazione ampio, tale da non includere soltanto le ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni. Il concorso è necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio (ciò che comunque costituisce una «forma di reclutamento» – sentenza n. 1 del 1999), e in quelli, che più direttamente interessano le fattispecie in esame, di trasformazione di rapporti non di ruolo, e non instaurati ab origine mediante concorso, in rapporti di ruolo (sentenza n. 205 del 2004). Sotto quest’ultimo profilo, infine, questa Corte ha precisato i limiti entro i quali può consentirsi al legislatore di dispo rre procedure di stabilizzazione di personale precario che derogano al principio del concorso. Secondo l’orientamento progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza costituzionale, infatti, «l’area delle eccezioni» al concorso deve essere «delimitata in modo rigoroso» (sentenza n. 363 del 2006). Le deroghe sono pertanto legittime solo in presenza di «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» idonee a giustificarle (sentenza n. 81 del 2006). Non è in particolare sufficiente, a tal fine, la semplice circostanza che determinate categorie di dipendenti abbiano prestato attività a tempo determinato presso l’amministrazione (sentenza n. 205 del 2006), né basta la «personale aspettativa degli aspiranti» ad una misura di stabilizzazione (sentenza n. 81 del 2006). Occorrono invece particolari ragioni giustificatrici, ricollegabili alla peculiarità delle funzioni che il personale da reclutare è chiamato a svolgere, in pa rticolare relativamente all’esigenza di consolidare specifiche e sperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione e non acquisibili all’esterno, le quali facciano ritenere che la deroga al principio del concorso pubblico sia essa stessa funzionale alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione».

Anche relativamente alle ipotesi che determinano in pratica un automatico e generalizzato slittamento di soggetti specificamente individuati verso la qualifica superiore, questa Corte ha più volte stabilito che esse si pongono in evidente contrasto «con il principio costituzionale del pubblico concorso e con la consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia (sentenze n. 465 e n. 159 del 2005)».

La natura comparativa e aperta della procedura è, pertanto, elemento essenziale del concorso pubblico. Procedure selettive riservate, che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno, violano il «carattere pubblico» del concorso (sentenza n. 34 del 2004) e, conseguentemente, i principi di imparzialità e buon andamento, che esso assicura. Un’eventuale deroga a tale principio è ammessa, secondo la giurisprudenza costituzionale, solo ove essa stessa sia strettamente funzionale alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione (sentenze n. 9 del 2010 e n. 293 del 2009).

3.2.– Gli artt. 1, comma 1, 4 e 18 della legge regionale in esame, non rispettando precisi principi fondamentali, violano anche l’art. 117, comma terzo, Cost., che fissa i limiti della competenza legislativa regionale in materia di tutela della salute.

Per quanto riguarda l’art. 1, comma 1, innanzitutto, è erroneo il rilievo difensivo della parte resistente volto a ricondurre la disciplina in oggetto alla materia residuale di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost., ed in particolare alla «organizzazione amministrativa regionale». L’impugnata disposizione, difatti, «afferendo alla delimitazione temporale dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni sanitarie, strumentale alla prestazione del servizio, è, invece, espressione della potestà legislativa regionale nella materia concorrente della “tutela della salute” di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, come già riconosciuto da questa Corte (così, infatti, sentenza n. 422 del 2006)». In questo ambito, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, «il legislatore regionale è tenuto a rispettare i principi fondamentali sanciti a livello sta tale» (sentenze n. 295 del 2009 e n. 105 del 2007).

Il legislatore regionale pugliese, nel caso di specie, ha disatteso – stante il disposto della norma censurata – quanto previsto dal comma 7 dell’art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992, che, al primo periodo, impone, in base a quanto prescrive il decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483, che l’accesso alla dirigenza sanitaria avvenga mediante concorso pubblico per titoli ed esami.

Appare evidente il contrasto tra quanto stabilito dall’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 45 del 2008, che prevede, per la sola Regione Puglia, un’eccezione alla regola generale, e il suddetto principio fondamentale sancito dal legislatore statale. Contrasto reso evidente dalla considerazione – come sottolineato anche dal ricorrente – che la disposizione legislativa oggetto di censura elude il necessario filtro del concorso pubblico (senza che tale eccezione venga ad essere giustificata da interessi pubblici ulteriori, né da particolari situazioni di emergenza), prevedendo espressamente che la stabilizzazione di personale «assunto a tempo determinato» avvenga «in deroga a quanto previsto dal d.P.R. 483/97».

Né ha pregio l’argomentazione difensiva della Regione che afferma che la deroga al contenuto del d.P.R. n. 483 del 1997 si riferirebbe esclusivamente al requisito del titolo di specializzazione e non alle procedure concorsuali e che il «processo di stabilizzazione» non riguarderebbe la dirigenza sanitaria. Contraddice la prima argomentazione la collocazione della disposizione legislativa regionale, dato che essa è espressamente inserita dopo il quarto periodo del comma 40 dell’art. 3 della precedente legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40, vale a dire dopo la disposizione (contenuta nel terzo periodo) in cui si prevede il «previo superamento di apposita pubblica selezione di natura concorsuale». Ne deriva che la «deroga a quanto previsto dal d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483» che tale modifica normativa prevede, deve intendersi proprio riferita alle procedure concorsuali le quali costituiscono, oltretutto, lo specifico oggetto di tale dec reto presidenziale (che appunto reca «la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del servizio sanitario nazionale»). Ma il riferimento a tale ben determinata normativa vale a dimostrare l’erroneità anche della seconda argomentazione difensiva, posto che, se la stabilizzazione avesse riguardato l’accesso ad un’area non dirigenziale, il riferimento non avrebbe riguardato il d.P.R. n. 483 del 1997, ma il d.P.R. 27 marzo 2001, n. 220, quello cioè che contiene il «Regolamento recante la disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale». Vi è poi da tenere presente che tutta la restante parte del citato comma 40 dell’art. 3 della legge regionale n. 40 del 2007, al cui interno è stata inserita la disposizione censurata, disciplina la «stabilizzazione del personale del ruolo della dirigenza».

3.3.– Quanto appena detto relativamente alla fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della medesima legge della Regione Puglia vale anche per la questione di legittimità dell’art. 4 della legge regionale n. 45 del 2008.

Infatti, anche tale disposizione regionale – prevedendo l’inquadramento, a domanda, dei dirigenti medici in servizio a tempo indeterminato nelle direzioni sanitarie – contravviene alla regola generale desumibile dall’art. 15, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, come integrato dall’art. 24 del d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale). La suddetta normativa, cui fa riferimento anche l’art. 13 del Contratto collettivo nazionale di lavoro, relativo al quadriennio 1998-2001, per la dirigenza medica e veterinaria 8 giugno 2000, stabilisce che l’inquadramento del dirigente medico nelle direzioni sanitarie ha come presupposto imprescindibile l’espletamento di procedure concorsuali e selettive, alle quali si può accedere solo se in possesso, oltre che del titolo di laurea in medicina e chirurgia, anche di specializ zazione nella disciplina oggetto del concorso.

3.4.– Sulla base delle precedenti considerazioni, è da accogliere anche l’analoga censura mossa dal ricorrente all’art. 18 della medesima legge regionale della Puglia, sempre per violazione del principio fondamentale dell’accesso alla dirigenza sanitaria – in questo caso non medica – senza la previsione di pubblico concorso.

L’art. 18 della legge regionale in esame, difatti, – stabilendo «l’inquadramento nella dirigenza sanitaria non medica (di cui all’allegato 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, recante norme sullo “Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali”, e alla sentenza del Consiglio di Stato sez. V del 13 luglio 1994, n. 763) del personale laureato non medico, in servizio presso le aziende sanitarie locali (ASL) della regione Puglia con la qualifica di educatore professionale e al quale è stato riconosciuto il possesso del titolo di laurea magistrale» – si pone in contrasto con il principio fondamentale contenuto nel primo periodo dell’art. 6 della legge 10 agosto 2000, n. 251, che, nello stabilire la procedura per l’accesso alla dirigenza per i citati profili professionali, prevede la procedura concorsuale «alla quale si accede con requisiti analoghi a quel li richiesti per l’accesso alla dirigenza del Servizio sanitario regionale», cioè «[…] mediante concorso pubblico per titoli ed esami, disciplinato ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483 ivi compresa la possibilità di accesso con una specializzazione in disciplina affine».

Pertanto, anche la norma regionale in esame, per considerazioni identiche alle precedenti sopra esposte – relative agli artt. 1, comma 1, e 4 della stessa legge regionale – va dichiarata costituzionalmente illegittima per la violazione degli artt. 97 e 117, comma terzo, Cost.

4.– Il ricorrente deduce, altresì, in riferimento all’art. 117, comma terzo, e agli artt. 3 e 41 Cost., l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della citata legge, a norma del quale è escluso il regime dell’autorizzazione per gli studi medici privati o studi odontoiatrici privati, organizzati in forma singola e associata, non aperti al pubblico, in difformità al principio fondamentale in materia della salute previsto dagli artt. 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, che tale autorizzazione prevedono al fine di verificare, preventivamente, il possesso dei requisiti fissati con il d.P.R. 14 gennaio 1997.

Il primo motivo di censura è fondato.

Innanzitutto, è da disattendere il rilievo difensivo della parte resistente volto a giustificare tale deroga sulla base della considerazione che la disposizione censurata sarebbe ispirata a finalità di semplificazione amministrativa, tese a rimuovere «non sempre necessarie autorizzazioni allo svolgimento di attività (in specie professionali) private», e che la stessa sia da considerarsi solo parzialmente innovativa rispetto al previgente sistema legislativo regionale in tema, poiché avrebbe esteso ad alcuni altri casi di attività professionale medica quanto già previsto dall’art. 5 della legge regionale della Puglia 28 maggio 2004, n. 8 (Disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), adottato ai sensi del citato art. 8, comma 4.

Infatti, se è condivisibile che la competenza regionale in tema di autorizzazione e vigilanza delle istituzioni sanitarie private vada inquadrata nella potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute (ex art. 117, comma terzo, Cost.), resta, comunque, – come già sottolineato – precluso alle Regioni di derogare a norme statali che fissano principi fondamentali.

Nel caso di specie, il denunciato art. 3, non prevedendo l’autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie per gli studi medici e odontoiatrici, finisce con il disattendere il principio fondamentale dettato dagli artt. 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 (norme di principio) che stabilisce la necessità di tale autorizzazione «per assicurare livelli essenziali di sicurezza e di qualità delle prestazioni, in ambiti nei quali il possesso della dotazione strumentale e la sua corretta gestione e manutenzione assume preminente interesse per assicurare l’idoneità e la sicurezza delle cure». La circostanza che queste strutture non abbiano l’accreditamento presso il servizio sanitario nazionale non incide sul tipo di prestazioni che esse vengono ad erogare.

La questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 3 della legge regionale Puglia n. 45 del 2008, per le motivazioni sopra esposte, è, dunque, fondata, restando assorbite le censure relative alla violazione degli artt. 3 e 41 Cost.

5.– In relazione, infine, all’art. 13 della legge regionale n. 45 del 2008, va rilevato che, successivamente alla proposizione del ricorso, è entrato in vigore l’art. 39 della legge della Regione Puglia 30 aprile 2009, n. 10 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2009 e bilancio pluriennale 2009-2011 della Regione Puglia), che ha integralmente modificato il testo della norma impugnata. Per effetto di tale modifica, si sono determinate la completa eliminazione della disposizione impugnata e la preclusione di qualunque sua futura applicazione.

Avendo la disposizione modificativa contenuto completamente innovativo rispetto alla previgente disciplina, non è possibile trasferire sulla nuova disposizione l’originaria questione di legittimità costituzionale. Considerato, inoltre, che la difesa della Regione Puglia, in sede di discussione, ha richiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere e che la norma impugnata non risulta aver avuto applicazione, medio tempore, (sentenza n. 289 del 2007), può, pertanto, ritenersi venuta meno ogni ragione della controversia e deve essere dichiarata al riguardo la cessazione della materia del contendere.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, 3, 4 e 18 della legge della Regione Puglia 23 dicembre del 2008, n. 45 (Norme in materia sanitaria);

dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della stessa legge regionale n. 45 del 2008, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 65 e 117, comma secondo, lettere m) e p), della Costituzione, con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 aprile 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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SENTENZA N. 151

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1, 2 e 3, e 3, della legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 2 febbraio 2009, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego regionale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 10-16 aprile 2009, depositato in cancelleria il 17 aprile 2009 ed iscritto al n. 28 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Valle d’Aosta;

udito nell’udienza pubblica del 10 marzo 2010 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Francesco Saverio Marini per la Regione Valle d’Aosta.

Ritenuto in fatto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, commi secondo e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1, 2 e 3, e 3 della legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 2 febbraio 2009, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego regionale).

1.1. – Circa l’art. 2 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2009, il ricorrente deduce che il comma 1 di tale norma prevede l’obbligo del controllo in ordine alla sussistenza della malattia dei dipendenti regionali nel solo caso in cui l’assenza sia continuativa per almeno dieci giorni, in tal modo escludendo l’obbligatorietà del controllo nei casi di assenza per periodi più brevi, come previsto dall’art. 71, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

Il comma 2 dello stesso art. 2 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2009 stabilisce, poi, che le fasce orarie entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo da parte degli enti interessati vanno dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 17,00 alle 20,00 di tutti i giorni compresi i non lavorativi e festivi, così disponendo in difformità dall’art. 71, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008, che le fissa dalle ore 8,00 alle ore 13,00 e dalle ore 14,00 alle ore 20,00.

Infine, il comma 3 dell’art. 2 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2009 rimette al contratto collettivo regionale di lavoro la determinazione dell’ammontare della riduzione del trattamento economico da effettuarsi nei primi cinque giorni di assenza per malattia, quale che sia la durata del periodo di assenza, mentre il comma 1 dell’art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008 stabilisce esso stesso l’entità della decurtazione dello stipendio ed il periodo in cui essa si applica; precisamente, la norma statale dispone che nei primi dieci giorni di assenza venga corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio; ed inoltre che la trattenuta operi anche per assenze di un solo giorno e per tutti i primi dieci giorni se l’assenza si protrae per più di dieci gi orni.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la normativa regionale ora riportata contrasta con il sistema di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni e, in particolare, con l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

Infatti, la regolamentazione della malattia e del relativo trattamento economico attiene alla disciplina del rapporto di lavoro tra il dipendente pubblico e l’amministrazione di appartenenza, cioè di un rapporto contrattuale e pertanto rientra nella materia dell’ordinamento civile.

Il ricorrente richiama, quindi, la sentenza di questa Corte n. 95 del 2007, secondo la quale, poiché il rapporto di impiego alle dipendenze di Regioni ed enti locali, “privatizzato” ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), è retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed è conseguentemente soggetto alle regole che garantiscono l’uniformità di tale tipo di rapporti, la legge statale, in tutti i casi in cui interviene a conformare gli istituti del rapporto di impiego attraverso norme che si impongono all’autonomia privata con il carattere dell’inderogabilità, costituisce un limite alla competenza residuale regionale in materia di organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali.

Inoltre, la difesa erariale afferma che, trattandosi di un aspetto fondamentale per il regolare svolgimento del rapporto di lavoro, esso non può essere rimesso alle specifiche discipline delle Regioni, poiché si finirebbe con l’introdurre inevitabili differenziazioni tra i lavoratori pubblici, se non vere e proprie disparità di trattamento in contrasto con l’art. 3 Cost., mentre esigenze di unitarietà di disciplina imporrebbero una identica regolamentazione sull’intero territorio nazionale.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, l’art. 2, commi 1, 2 e 3, della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2009, ponendosi in contrasto con quanto stabilito dall’art. 71 del d.l. n. 112 del 2008, viola anche l’art. 117, terzo comma, della Cost., poiché il predetto art. 71 è espressione della competenza del legislatore statale di stabilire i principi fondamentali nella materia del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».

Infatti, da un lato, il d.l. n. 112 del 2008 detta misure necessarie ed urgenti per l’unitarietà dell’intero sistema nazionale finanziario e tributario, ai fini di un efficiente reperimento delle risorse in connessione alla ripartizione delle competenze fondate tra i diversi livelli territoriali di governo; dall’altro, l’art. 71, comma 1, nel disciplinare il trattamento economico spettante nel caso di assenza per malattia, prevede espressamente che «I risparmi derivanti dall’applicazione del presente comma costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti diversi dalle amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio».

Inoltre, a norma dello stesso art. 71 del d.l. n. 112 del 2008, la disciplina da esso dettata si applica ai dipendenti di tutte le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, tra le quali sono comprese anche le Regioni.

Il ricorrente precisa che, in virtù dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione), la previsione della competenza legislativa concorrente in materia di «coordinamento e della finanza pubblica e del sistema tributario» si estende alla Regione Valle d’Aosta, costituendo una forma di autonomia più ampia rispetto a quella assicurata dallo statuto speciale, il quale prevede una mera competenza integrativa-attuativa in materia di «finanze regionali e comunali» [art. 3, lettera f), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta)].

Ciò determina la possibilità, per il legislatore statale, di dettare principi fondamentali in tale materia e pertanto i primi tre commi dell’art. 71 del d.l. n. 112 del 2008, essendo espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, sono applicabili anche alle autonomie speciali. Infatti le disposizioni di cui all’art. 71, e in particolare quelle di cui al comma 1, rappresentano l’espressione di un principio tendenziale di risparmio di spesa e, in ogni caso, di un obiettivo di carattere generale che, lasciando libere le Regioni circa la destinazione del risparmio realizzato, pone loro, anche in ragione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, il vincolo del miglioramento dei saldi di bilancio.

Di qui, secondo il ricorrente, il travalicamento delle proprie competenze legislative da parte della Regione Valle d’Aosta che, attraverso l’art. 2, commi 1, 2 e 3 della legge regionale n. 5 del 2009, ha disciplinato in modo difforme la materia dell’assenza per malattia dei dipendenti regionali. In particolare, rimettendo interamente al contratto collettivo regionale di lavoro l’ammontare della riduzione del trattamento economico, oltretutto riferita ai soli primi cinque giorni di assenza per malattia, quale che sia la durata del periodo di assenza, la normativa regionale rischia di vanificare del tutto, o almeno di attenuare fortemente, il conseguimento dell’obiettivo generale di risparmio fissato a livello statale.

1.2 – Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 3 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2009, il quale stabilisce che il personale in servizio presso la Regione possa chiedere di essere esonerato dal servizio (con diritto a percepire un trattamento economico temporaneo pari al cinquanta per cento di quello in godimento) nel corso del triennio antecedente la data di maturazione dell’anzianità contributiva massima di 40 anni, mentre la normativa statale (art. 72 del d.l. n. 112 del 2008) prevede per i dipendenti pubblici la medesima facoltà, ma esercitabile nel quinquennio antecedente la data di maturazione dell’anzianità contributiva massima.

Ad avviso del ricorrente, l’art. 3 della legge regionale n. 5 del 2009, disciplinando un profilo del rapporto di lavoro tra la Regione ed i propri dipendenti, invaderebbe la competenza legislativa statale esclusiva in materia di «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., per i medesimi motivi esposti a proposito dell’art. 2 della stessa legge regionale.

Sussisterebbe, inoltre, violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione. Infatti l’esonero dalla prestazione lavorativa previsto dall’art. 72 del d.l. n. 112 del 2008 costituisce fonte di un risparmio di spesa per l’amministrazione, la quale corrisponde al dipendente che abbia esercitato tale facoltà il solo cinquanta per cento del trattamento retributivo. Esso, dunque, rappresenta esplicazione della potestà normativa statale di dettare principi generali nella materia del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» (potestà normativa che, come già rilevato, deve considerarsi estesa anche alla Regione Valle d’Aosta in quanto più ampia rispetto alle previsioni statutarie).

L’aver limitato la facoltà di esonero al solo triennio precedente il raggiungimento dell’anzianità massima contributiva diminuisce, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, le potenzialità di tendenziale risparmio perseguite dalla normativa statale. Anche la disciplina dell’istituto dell’esonero costituirebbe espressione di indefettibili esigenze di carattere unitario, in un settore particolarmente delicato qual è quello della spesa per il personale, in cui l’esigenza di porre dei limiti alla complessiva crescita della spesa è particolarmente avvertita. Di conseguenza, la relativa disciplina è costituita da disposizioni non derogabili da parte delle autonomie speciali che partecipano, al pari delle Regioni ordinarie, all’azione di risanamento della finanza pubblica, anche in conformità ai principi di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione.

2. – La Regione Valle d’Aosta si è costituita in giudizio ed ha chiesto che il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri sia respinto per inammissibilità e infondatezza dei rilievi in esso contenuti, riservandosi di svolgere ulteriori deduzioni.

3. – In prossimità dell’udienza di discussione la Regione ha depositato una memoria nella quale chiede che le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri siano rigettate «per cessata materia del contendere e per infondatezza».

In particolare, in riferimento alla questione relativa all’art. 2, comma 1, della legge reg. n. 5 del 2009, la Regione sostiene che dovrebbe essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, perché, nelle more del giudizio costituzionale, l’art. 72, comma 1, lettera a), del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), ha abrogato l’art. 71, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008 che dettava disposizioni sullo stesso aspetto. Ciò, ad avviso della difesa regionale, avrebbe determinato, da un lato, il venir meno del denunciato contrasto con la disciplina statale assunta dal ricorrente quale limite inderogabile per il legislatore regionale e, dall’altro, l’eliminazione della norma interposta assunta dal Presidente del Consiglio dei ministri come princi pio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

In via subordinata, ove fosse ritenuto possibile sostituire il riferimento all’art. 71, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008 con quello all’art. 55-septies, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2009 e recante lo stesso precetto in precedenza contenuto nel citato art. 71, comma 3, la resistente afferma che la questione sollevata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., sarebbe infondata, perché non sussisterebbe difformità tra la norma regionale impugnata e quella statale.

Infatti, entrambe sono dirette a render possibile lo svolgimento del controllo anche nel caso di assenza per malattia di un solo giorno, nella comune finalità di contrastare l’assenteismo nelle pubbliche amministrazioni.

Ad avviso della Regione Valle d’Aosta, la questione relativa all’art. 2, comma 1, legge reg. n. 5 del 2009 sarebbe infondata anche in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione. Infatti, la norma statale sui controlli sulle assenze per malattia dei dipendenti pubblici non può essere qualificata quale principio fondamentale in tema di coordinamento della finanza pubblica, non essendo diretta a realizzare lo scopo di contenimento della spesa per il personale, ma quello di scoraggiare condotte assenteistiche dei dipendenti, come espressamente dichiarato dall’art. 55-septies, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001.

Anche rispetto alla questione avente ad oggetto l’art. 2, comma 2, della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2009 (che fissa le fasce orarie di reperibilità obbligatorie per i dipendenti regionali assenti per malattia) la resistente deduce che sia cessata la materia del contendere.

Infatti, l’art. 71, comma 3, secondo periodo, del d.l. n. 112 del 2008 (che stabiliva le fasce orarie di reperibilità) è stato abrogato dall’art. 17, comma 23, lettera c), del d.l. 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.

Inoltre la successiva legislazione statale non ha reintrodotto la previsione originariamente contenuta nel predetto art. 71, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008, bensì, all’art. 55-septies, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, ha demandato ad un decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione la determinazione delle fasce orarie di reperibilità. La norma statale attualmente vigente, dunque, non sarebbe idonea ad esprimere principi fondamentali in materia di ordinamento civile e di coordinamento della finanza pubblica suscettibili di vincolare il legislatore valdostano. Del resto, il decreto ministeriale adottato in attuazione dell’art. 55-septies, comma 5, d.lgs. n. 165 del 2001 sarebbe applicabile – ad avviso della difesa regionale – alle sole amministrazioni statali.

La resistente sostiene, poi, che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2009 (che demanda alla contrattazione collettiva l’individuazione dell’ammontare della riduzione del trattamento economico da effettuarsi nei primi cinque giorni di malattia) non è fondata.

In primo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri, la norma sarebbe diretta proprio a evitare l’insorgenza di disparità di trattamento tra i dipendenti delle amministrazioni della Valle d’Aosta e quelli di altre amministrazioni pubbliche. Infatti, da un lato, la scelta di prevedere la decurtazione retributiva per i primi cinque giorni di assenza (invece che per i primi dieci, come fatto dal legislatore statale) è stata determinata dalla constatazione che nel comparto regionale i periodi di assenza per malattia di durata compresa tra uno e cinque giorni sono quelli maggiormente ricorrenti in assoluto; dall’altro lato, il contratto collettivo regionale, diversamente da quelli applicati sul restante territorio nazionale, prevede poche indennità accessorie, onde la scelta di demandare alla contrattazione collettiva l’individuazione dell’entità della riduzione della retribu zione durante i primi cinque giorni di malattia da decurtare risponde all’intento di evitare disparità di trattamento tra il personale appartenente al medesimo ente.

Più in generale, la resistente deduce che le doglianze del Presidente del Consiglio dei ministri trascurano di considerare che, in base allo statuto speciale di autonomia, la Regione Valle d’Aosta è titolare di competenza legislativa primaria in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale» e di «ordinamento degli enti locali e delle relative giurisdizioni» [art. 2, primo comma, lettere a) e b), legge cost. n. 4 del 1948] e competenza legislativa integrativa e attuativa in materia di «finanze regionali e comunali» (art. 3, primo comma, legge cost. n. 4 del 1948).

Inoltre la riconducibilità delle disposizioni dell’art. 2 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2009 alla materia dell’«ordinamento civile» non precluderebbe alla Regione qualsiasi intervento legislativo diretto a disciplinare gli aspetti che risentono della specificità dell’ordinamento regionale e che pertanto richiedono, proprio per consentire una coerente applicazione degli istituti di diritto privato, adeguamenti che garantiscano il rispetto del principio di eguaglianza e di quelli di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione. Ad avviso della resistente, la norma impugnata si limita ad introdurre una regolamentazione parzialmente difforme solamente per i profili in cui l’applicazione integrale della dettagliata normativa statale in tema di modalità di determinazione dell’ammontare della riduzione del trattamento economico avrebbe comportato un effetto distorsivo sul trattamento da co rrispondere ai dipendenti regionali, introducendo differenziazioni irragionevoli ai loro danni.

La Regione Valle d’Aosta contesta, poi, che l’art. 2, comma 3, della legge reg. n. 5 del 2009 violi l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, poiché anche la norma regionale censurata determina un risparmio di spesa attraverso la riduzione del trattamento economico dei dipendenti in caso di malattia. Inoltre, la difesa regionale richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il legislatore statale può stabilire parametri generali di contenimento delle spese degli enti autonomi mediante la fissazione di obiettivi, ma non può imporre nel dettaglio le modalità e gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi.

Circa la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. n. 5 del 2009, la Regione Valle d’Aosta sostiene che essa è infondata con riferimento a tutti i parametri costituzionali evocati dal Presidente del Consiglio dei ministri.

La resistente deduce, in proposito, che l’art. 72, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, nell’elencare le pubbliche amministrazioni interessate dall’istituto dell’esonero da esso disciplinato, non indica le Regioni. Ne consegue che i dipendenti delle amministrazioni regionali non sono compresi nell’ambito soggettivo di applicabilità dell’istituto in oggetto.

Tale conclusione trova conferma nel comma 11 del medesimo art. 72 che, nel disciplinare il diverso istituto della risoluzione del rapporto per i dipendenti che hanno maturato l’anzianità contributiva di 40 anni, prevede espressamente che anche le amministrazioni regionali siano destinatarie della relativa disciplina.

Pertanto, ad avviso della Regione Valle d’Aosta, non sussiste violazione dell’art. 117, secondo comma, Cost. – poiché l’art. 3 della legge reg. n. 5 del 2009 non contrasta con i principi inderogabili in materia di ordinamento civile vincolanti per il legislatore valdostano –, né dell’art. 117, terzo comma, Cost. – poiché il citato art. 72, escludendo i dipendenti delle amministrazioni regionali dal proprio ambito di operatività, non ha inteso porre principi inderogabili per il risanamento della finanza pubblica vincolanti anche per la Regione Valle d’Aosta –, né degli artt. 3 e 97 Cost., perché, al contrario, la scelta del legislatore valdostano di introdurre, a favore dei dipendenti delle amministrazioni regionali, la facoltà di ricorrere all’esonero secondo modalità analoghe al modello adottato dal legislatore statale, testimonia della volontà della Regi one di contribuire al risanamento della finanza pubblica in piena sintonia con quanto disposto dal legislatore statale ed in conformità col principio del buon andamento della pubblica amministrazione.

Infine, la resistente deduce che le censure prospettate nel ricorso si rivolgono unicamente al comma 1 dell’art. 3 della legge reg. n. 5 del 2009, nonostante che il Presidente del Consiglio dei ministri abbia chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’intero articolo 3. Pertanto la questione avente ad oggetto i commi dal 2 al 7 dello stesso art. 3 deve essere dichiarata inammissibile per carenza di motivazione. In subordine, e nel merito, la difesa regionale sostiene che essa è infondata per le stesse motivazioni illustrate a proposito dell’art. 3, comma 1, legge n. 5 del 2009.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 2, commi 1, 2 e 3, e 3 della legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 2 febbraio 2009, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego regionale).

1.1. – L’art. 2 detta disposizioni in tema di assenze per malattia dei dipendenti della Regione e degli enti regionali. In particolare, esso prevede che: i controlli sulla sussistenza della malattia possono essere disposti anche per assenze di un solo giorno e debbono essere sempre disposti in ipotesi di assenza continuativa per almeno dieci giorni (comma 1); le fasce orarie di reperibilità per l’esecuzione dei controlli vanno dalle 9 alle 13 e dalle 17 alle 20 di tutti i giorni, compresi i non lavorativi e i festivi (comma 2); il contratto collettivo regionale di lavoro stabilisce l’ammontare della riduzione del trattamento economico da effettuarsi nei primi cinque giorni di assenza per malattia (comma 3).

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, tali disposizioni violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché la regolamentazione delle assenze per malattia e del relativo trattamento economico attengono direttamente alla disciplina del rapporto di lavoro, rientrante nella materia dell’ordinamento civile. Esse, inoltre, contrasterebbero con l’art. 117, terzo comma, Cost., perché si porrebbero in contrasto con quanto stabilito, in tema di assenze per malattia dei dipendenti pubblici e del relativo trattamento economico, dall’art. 71 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il quale è espressione della competenza del legislatore statale di stabilire i principi fondamentali nella materia del coordin amento della finanza pubblica e del sistema tributario. Infine, sarebbero lesi i «principi di eguaglianza, ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della p.a. di cui agli artt. 3 e 97 Cost.», poiché la rimessione alla legislazione regionale della disciplina delle assenze per malattia consentirebbe l’introduzione di disparità di trattamento tra dipendenti e perché le disposizioni statali derogate dalla norma impugnata pongono alle Regioni il tendenziale vincolo del miglioramento dei saldi di bilancio attuativo, tra l’altro, del principio del buon andamento dell’amministrazione.

1.2. – L’art. 3 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2009 reca la disciplina in materia di esonero dal servizio dei dipendenti della Regione e degli enti pubblici regionali.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, tale norma regionale violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché l’esonero costituisce un aspetto particolare del rapporto di lavoro e pertanto rientra nella materia dell’ordinamento civile; sarebbe leso anche l’art. 117, terzo comma, Cost., perché la norma impugnata, limitando la facoltà di chiedere l’esonero al triennio antecedente alla maturazione dell’anzianità contributiva massima, si porrebbe in contrasto con quanto disposto dall’art. 72 del d.l. n. 112 del 2008, il quale invece prevede che tale facoltà possa essere esercitata dal dipendente nel quinquennio antecedente la maturazione di quell’anzianità contributiva e costituirebbe un principio fondamentale nella materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; infine, sussisterebbe contrasto con i «principi di eguaglianza, ragion evolezza, imparzialità e buon andamento della p.a. di cui agli artt. 3 e 97 Cost.», poiché la disciplina dell’istituto dell’esonero, appartenendo ad un settore, quale quello della spesa per il personale, in cui l’esigenza di porre dei limiti alla complessiva crescita della spesa è particolarmente avvertita, non sarebbe derogabile da parte delle autonomie speciali che partecipano all’azione di risanamento della finanza pubblica anche in conformità al principio di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione.

2. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 5 del 2009 sollevata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. è fondata.

2.1. – La disposizione censurata, al comma 1, disciplina il potere dell’amministrazione pubblica di procedere a controlli sullo stato di malattia dei propri dipendenti e, al comma 2, definisce le fasce orarie di reperibilità, strumentali alla concreta attuazione ed efficacia di quei controlli.

Tali norme regolano, quindi, un’espressione particolare del più generale potere di controllo che l’ordinamento riconosce in capo al datore di lavoro. La fonte di tale potere è il contratto di lavoro laddove si tende a garantire l’interesse della parte datoriale ad una corretta esecuzione degli obblighi del prestatore di lavoro.

Trattandosi di uno dei poteri principali che l’ordinamento attribuisce ad una delle parti di un rapporto contrattuale (quello di lavoro subordinato), la relativa disciplina deve essere uniforme sul territorio nazionale e imporsi anche alle Regioni a statuto speciale, così come già affermato da questa Corte con riferimento a norme concernenti altri istituti del rapporto di pubblico impiego “contrattualizzato” (sentenze n. 189 e n. 95 del 2007).

I commi 1 e 2 dell’art. 2 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2009 sono dunque illegittimi, essendo riconducibili alla materia «ordinamento civile» che l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Non rileva, in senso contrario, il fatto che, successivamente all’introduzione del presente giudizio di costituzionalità, l’art. 71, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008 che dettava le norme in tema di controlli sulle assenze per malattia dei dipendenti pubblici, sia stato dapprima modificato dall’art. 17, comma 23, lettera c), del d.l. 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successivamente abrogato dall’art. 72, comma 1, lettera a), del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), che contestualmente ha introdotto nel d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), l’art. 55-septies, comma 5, c he attualmente disciplina tali controlli.

Infatti, se il potere di controllo della pubblica amministrazione sulle assenze per malattia dei dipendenti, il cui rapporto di lavoro è retto dalla disciplina generale di diritto privato, appartiene alla materia dell’ordinamento civile, alle Regioni è comunque precluso porre in essere, con propri atti legislativi, ogni disciplina di quei controlli. E ciò indipendentemente dal contenuto della normativa statale nella materia.

Deve dunque essere dichiarata l’illegittimità dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2009.

2.2. – La questione è fondata altresì per il successivo comma 3 dello stesso art. 2.

Anch’esso, infatti, regola un aspetto proprio del contratto di lavoro subordinato, vale a dire la previsione degli emolumenti che il lavoratore ha diritto di percepire durante il periodo in cui non può eseguire la propria prestazione perché affetto da malattia. Si tratta di un diritto patrimoniale del dipendente che trova la sua unica causa nel rapporto contrattuale che lo lega al datore di lavoro e, non a caso, è disciplinato anche dal codice civile (precisamente, dall’art. 2110).

L’art. 2, comma 3, della legge regionale n. 5 del 2009 è pertanto illegittimo per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

2.3. – Gli altri profili di illegittimità dell’art. 2, commi 1, 2 e 3, della legge valdostana restano assorbiti.

3. – Anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Valle d’Aosta n. 5 del 2009 è fondata.

3.1. – L’istituto dell’esonero è stato introdotto dal legislatore statale con l’art. 72 del d.l. n. 112 del 2008, il quale prevede che – nel triennio 2009-11 – i dipendenti delle pubbliche amministrazioni elencate nel comma 1 dello stesso art. 72 possono chiedere, nel quinquennio precedente il raggiungimento dell’anzianità contributiva di 40 anni, di essere esonerati dal servizio e che la pubblica amministrazione, in ragione delle proprie esigenze funzionali, può accogliere tale richiesta. Durante il periodo di esonero il dipendente non lavora per la propria amministrazione, riceve da questa il cinquanta per cento del trattamento economico in godimento e può contemporaneamente svolgere attività di lavoro autonomo.

L’art. 3 della legge valdostana disciplina il medesimo istituto in maniera analoga alla normativa statale, con la differenza che esso limita la facoltà di chiedere l’esonero al triennio (invece che al quinquennio) precedente il raggiungimento dell’anzianità contributiva di 40 anni.

3.2. – La questione è fondata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

Va premesso che il ricorrente, dopo aver segnalato la differenza esistente tra la disciplina contenuta nell’art. 3, comma 1, della legge valdostana e la normativa statale circa il periodo in cui può essere esercitata la facoltà di chiedere l’esonero, ha formulato la sua censura sulla violazione della competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento all’intera disciplina dell’istituto dell’esonero.

Quest’ultimo incide sui diritti e gli obblighi delle parti del rapporto di lavoro pubblico: esso comporta la sospensione dell’obbligo fondamentale del dipendente (quello di eseguire la prestazione lavorativa) e la sostituzione dell’oggetto dell’obbligazione principale della parte datoriale (quella retributiva).

Trattandosi di istituto che integra la disciplina privatistica del rapporto contrattuale che lega il dipendente con l’ente pubblico, esso appartiene alla materia dell’ordinamento civile e pertanto l’art. 3 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2009 è illegittimo perché invade un ambito riservato alla competenza legislativa esclusiva statale.

Il fatto, poi, che lo Stato abbia circoscritto l’operatività dell’istituto solamente ad alcune categorie di dipendenti pubblici (escludendo, in particolare, il personale delle Regioni e degli enti locali), non incide certo sull’individuazione della materia alla quale appartiene la norma e, quindi, neppure sulla decisione della presente questione.

3.3. – Gli altri profili di illegittimità costituzionale della norma regionale censurata restano assorbiti.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1, 2 e 3, e 3 della legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 2 febbraio 2009, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego regionale).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 aprile 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


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SENTENZA N. 152

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 ottobre 2007, n. 160, promosso dal Tribunale ordinario di Ravenna nel procedimento vertente tra la BBK s.r.l. e la Prefettura di Ravenna con ordinanza del 23 maggio 2009, iscritta al n. 277 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Udito nella camera di consiglio del 24 marzo 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto in fatto

1.— Il Tribunale ordinario di Ravenna ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 ottobre 2007, n. 160.

1.1.— Il remittente premette, in punto di fatto, di dover decidere in ordine alla opposizione proposta, ai sensi dell’art. 22-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), dalla società BBK s.r.l. per l’annullamento del decreto, emesso il 2 settembre 2008 dal Prefetto della Provincia di Ravenna, con il quale – in base a quanto previsto dalla censurata disposizione – è stata disposta la chiusura della discoteca gestita dalla predetta società per la durata di quattordici giorni dalla notifica del medesimo decreto.

Lo stesso remittente evidenzia, inoltre, che la parte attrice ha sollevato «quale motivo in rito, la questione di legittimità costituzionale della norma in esame», sostenendo che essa deve intendersi «riferita inequivocabilmente ed esclusivamente a quegli esercizi pubblici ove, congiuntamente all’attività di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche», si svolgano, «con qualsiasi modalità, spettacoli o altre forme di intrattenimento», essendosi in particolare previsto, «unicamente per tali esercizi pubblici, l’obbligo di interrompere la somministrazione di bevande alcoliche dopo le ore 2 di notte».

Il giudice a quo afferma di condividere il dubbio di costituzionalità avanzato dalla società opponente, secondo la quale il censurato art. 6 del decreto-legge n. 117 del 2007 introdurrebbe una disparità di trattamento tra i titolari di licenze di pubblico esercizio, «non imponendo alcuna limitazione oraria alla somministrazione di bevande alcoliche» a carico di quegli esercizi, come in particolare «i bar e i pub», che pur muniti della licenza di vendita e somministrazione di alcolici «non effettuano spettacoli o altre forme di intrattenimento».

Detta disparità di trattamento, secondo il Tribunale remittente, darebbe luogo alla violazione degli artt. 3 e 41 Cost., donde la decisione di sollevare questione di legittimità costituzionale.

1.2.— Quanto, poi, alla rilevanza della stessa, il giudice a quo – sottolineato «come esista un evidente collegamento giuridico» tra la norma censurata e la questione giuridica oggetto del giudizio principale – deduce che il prospettato dubbio di costituzionalità ha «un’incidenza attuale e non meramente eventuale», giacché investe una disposizione dalla cui applicazione non si «può prescindere per addivenire ad una statuizione che definisca il giudizio in corso».

Né, d’altra parte, l’articolo in esame «appare suscettibile di interpretazioni costituzionalmente orientate, considerata l’inequivocabilità e perentorietà del dato testuale».

1.3.— In merito alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo rileva come il censurato art. 6 risulti, sin dalla sua rubrica, diretto «a promuovere la consapevolezza dei rischi di incidente stradale in caso di guida in stato di ebbrezza».

Nondimeno, si porrebbe in contrasto proprio con tale ratio la scelta di limitare «l’obbligo di interrompere la somministrazione di bevande alcoliche dopo le ore 2 della notte, soltanto per i titolari e gestori di esercizi pubblici ove, congiuntamente all’attività di vendita e somministrazione di bevande, si svolgono con qualsiasi modalità spettacoli o altre forme di intrattenimento».

La norma, dunque, «introduce una disparità di trattamento normativo» tra «esercizi pubblici», con conseguente violazione dell’art. 3 Cost., giacché essa «risulta chiaramente ed unicamente riferita» a taluni di essi, «quali le discoteche o le sale da ballo in genere, escludendo altri esercizi pubblici quali i bar, pub, ristoranti, osterie ecc.», perseguendo, per questo motivo, «in modo irragionevole» l’obiettivo di «promuovere la consapevolezza dei rischi da incidente stradale». Considerato, infatti, che «il bene, inteso quale interesse tutelato», alla cui protezione è diretta la norma censurata, «è la sicurezza della circolazione stradale», deve osservarsi – conclude sul punto il remittente – come «la disparità di trattamento tra le diverse tipologie di esercizi pubblici» sia idonea «proprio a vanificare gli intenti del legislatore». La norma consente, ad esempio, «ad un avventore di un pub che si limiti unicam ente a somministrare bevande», senza «lo svolgimento di spettacoli o altre forme di intrattenimento», di proseguire la consumazione di bevande alcoliche «anche dopo le ore 2 della notte», e cioè, «evidentemente fino all’orario di chiusura dell’esercizio».

Infine, la circostanza che «la sede della società ricorrente è posta in una località balneare ove risultano esservi moltissimi altri esercizi pubblici con licenze per la somministrazione di bevande alcoliche che non sono soggetti alle limitazioni imposte dalla norma in esame» evidenzierebbe un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, ovvero quello derivante dalla violazione delle norme sulla tutela della concorrenza e del mercato, introdotte dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), «in attuazione dell’art. 41 della Costituzione».

Il censurato art. 6, secondo il giudice a quo, realizzerebbe «una violazione del suddetto contesto normativo», determinando una sensibile alterazione della «concorrenza tra esercizi pubblici che si collocano incontestabilmente all’interno dello stesso mercato e che si rivolgono alla stessa tipologia di clientela».

2.— Non è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale ordinario di Ravenna ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 ottobre 2007, n. 160.

1.1.— Secondo il giudice a quo, il censurato articolo – nel prevedere, al comma 2, che «l’obbligo di interrompere la somministrazione di bevande alcoliche dopo le ore 2 della notte» operi soltanto «per i titolari e gestori di esercizi pubblici ove, congiuntamente all’attività di vendita e somministrazione di bevande, si svolgono con qualsiasi modalità spettacoli o altre forme di intrattenimento» – darebbe luogo ad «una disparità di trattamento normativo» tra «esercizi pubblici».

La disposizione censurata, pertanto, violerebbe l’art. 3 Cost., essendo «chiaramente ed unicamente riferita» a taluni esercizi, «quali le discoteche o le sale da ballo in genere, escludendo altri esercizi pubblici quali i bar, pub, ristoranti, osterie ecc.», con il risultato di perseguire «in modo irragionevole» l’obiettivo – costituente la sua ratio – di «promuovere la consapevolezza dei rischi da incidente stradale», determinando una situazione di «disparità di trattamento normativo» tra «esercizi pubblici».

Essa, inoltre, violerebbe l’art. 41 Cost, giacché – in contrasto con le norme sulla tutela della concorrenza e del mercato, introdotte dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) proprio «in attuazione» di detto articolo della Costituzione – realizzerebbe una sensibile alterazione della «concorrenza tra esercizi pubblici che si collocano incontestabilmente all’interno dello stesso mercato e che si rivolgono alla stessa tipologia di clientela».

2.— La questione non è fondata.

3.— Preliminarmente, è utile partire dal contenuto specifico sia della norma censurata, sia del testo legislativo nel quale essa si inserisce.

Il citato decreto-legge n. 117 del 2007 costituisce uno dei molteplici interventi che, nell’ultimo decennio, hanno interessato il codice della strada, perseguendo l’obiettivo – come rivela il suo stesso titolo – di «incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione», attraverso misure di vario genere.

In tale contesto trova collocazione il censurato art. 6, il quale – allo scopo, dichiarato sin dalla rubrica, di «promuovere la consapevolezza dei rischi di incidente stradale in caso di guida in stato di ebbrezza» – stabilisce (comma 2) una serie di prescrizioni a carico dei titolari e dei gestori di locali ove si svolgono, con qualsiasi modalità e in qualsiasi orario, spettacoli o altre forme di intrattenimento, congiuntamente all’attività di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche. Gli interessati, infatti, sono tenuti non soltanto ad «interrompere la somministrazione di bevande alcoliche dopo le ore 2 della notte» (si tratta dell’enunciato normativo sul quale si appunta la censura del remittente), ma anche ad «assicurarsi che all’uscita del locale sia possibile effettuare, in maniera volontaria da parte dei clienti, una rilevazione del tasso alcolemico», nonché ad «esporre all’entrata, all̵ 7;interno e all’uscita dei locali apposite tabelle che riproducano: a) la descrizione dei sintomi correlati ai diversi livelli di concentrazione alcolemica nell’aria alveolare espirata; b) le quantità, espresse in centimetri cubici, delle bevande alcoliche più comuni che determinano il superamento del tasso alcolemico per la guida in stato di ebbrezza, pari a 0,5 grammi per litro, da determinare anche sulla base del peso corporeo».

L’inosservanza di ognuna di tali prescrizioni comporta «la sanzione di chiusura del locale da sette fino a trenta giorni, secondo la valutazione dell’autorità competente» (comma 3).

Nell’insieme, dunque, si tratta di una normativa – come emerge anche dai lavori parlamentari relativi alla legge 2 ottobre 2007, n. 160, che ha convertito in legge il predetto decreto-legge n. 117 del 2007 – la cui ratio è, chiaramente, quella di contrastare il fenomeno delle cosiddette “stragi del sabato sera”.

Difatti, le misure che sono state previste mirano a favorire una presa di coscienza dei pericoli, per l’incolumità degli utenti della strada, derivanti dall’abuso di bevande alcoliche, e dunque alla fissazione di limiti alla loro somministrazione negli esercizi commerciali che costituiscono luogo di abituale ritrovo sopratutto di quei soggetti – i più giovani – rispetto ai quali è maggiormente avvertita la necessità di una responsabilizzazione in ordine alle conseguenze del consumo di alcolici.

4.— Alla luce di tali rilievi deve escludersi la fondatezza della duplice censura sollevata dal remittente.

4.1.— Quanto, infatti, all’ipotizzata violazione dell’art. 3 Cost., se si muove dalla constatazione che «l’individuazione delle condotte punibili e la scelta e la quantificazione delle relative sanzioni rientrano nella discrezionalità del legislatore», potendo tale discrezionalità «essere oggetto di censura, in sede di scrutinio di costituzionalità, soltanto nei casi di “uso distorto o arbitrario”, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza» (testualmente, tra le molte pronunce relative proprio al settore della circolazione stradale, l’ordinanza n. 23 del 2009), deve escludersi che tale evenienza ricorra nel caso di specie.

La scelta compiuta dal legislatore con la normativa in esame risponde all’obiettivo, non irragionevole, di limitare la somministrazione di bevande alcoliche in quelle situazioni nelle quali gli effetti conseguenti al loro consumo possono risultare ampliati dall’ascolto di musica, protratto per ore e talora fino al mattino.

Né, d’altra parte, nel caso di specie ricorre – in ragione della eterogeneità delle situazioni poste a confronto dal remittente – una «identità di condizioni soggettive ed oggettive» tra le «categorie di commercianti considerate che valga a giustificare la parità del loro trattamento normativo» (così la sentenza n. 76 del 1972, relativa a scelte del legislatore nella fissazione degli orari di apertura e chiusura di esercizi commerciali).

Sotto altro profilo, si deve osservare che l’iniziativa assunta dal giudice remittente presenta profili di contraddittorietà, giacché, pur essendo basata su argomenti che – nel sollecitare l’ampliamento del novero dei destinatari della norma censurata – sembrerebbero diretti ad ottenere un intervento di tipo additivo da parte di questa Corte, si risolvono nella richiesta – peraltro necessitata, giacché la sola coerente con l’oggetto del giudizio principale – di caducazione integrale della disposizione de qua.

4.2.— Del pari, non ricorre neppure la violazione dell’art. 41 Cost.

Questa Corte ha costantemente negato che sia «configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale», purché, per un verso, l’individuazione di quest’ultima «non appaia arbitraria e che, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue» (da ultimo, sentenza n. 167 del 2009).

Escluso, infatti, per le ragioni già dette, che il censurato art. 6 realizzi un intervento arbitrario o palesemente incongruo del legislatore, deve ritenersi che esso risponda a ragioni di utilità sociale. La norma in esame, come le altre contenute nel decreto-legge n. 117 del 2007, persegue – seppure in via mediata – la finalità generale che è tipica delle disposizioni concernenti la sicurezza stradale; cioè quella, «connessa alla strutturale pericolosità dei veicoli a motore, di assicurare l’incolumità personale dei soggetti coinvolti nella loro circolazione (conducenti, trasportati, pedoni)» (così, testualmente, la sentenza n. 428 del 2004, nonché, più di recente, le sentenze n. 9 del 2009 e n. 165 del 2008).

Può, dunque, ribadirsi – anche in relazione alla disposizione censurata – quanto già affermato da questa Corte, e cioè che, rispondendo la disposizione stessa a esigenze di sicurezza delle strade (e quindi alla sicurezza degli utenti: art. 41, secondo comma, della Costituzione), rilevante, nella specie, è la necessità di «protezione di valori primari attinenti alla persona», il cui rispetto «è il limite insuperabile di ogni attività economica» (ordinanza n. 548 del 1990).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 ottobre 2007, n. 160, sollevata – in riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione – dal Tribunale ordinario di Ravenna con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 aprile 2010.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Alfonso QUARANTA , Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedentePronuncia successiva

ORDINANZA N. 153

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 170, comma 2, del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia – Testo B), come riprodotto nel d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), promossi dalla Corte d’appello di Catania con ordinanze del 26 marzo 2009 e del 15 aprile 2008 iscritte ai nn. 272 e 273 del registro ordinanze 2009, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 marzo 2010 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto che con due ordinanze di identico contenuto, emesse rispettivamente in data 26 marzo 2009 (reg. ord. n. 272 del 2009) e 15 aprile 2008 (r.o. n. 273 del 2009), nel corso di altrettanti procedimenti aventi ad oggetto l’opposizione avverso decreto di liquidazione di compensi in favore rispettivamente del procuratore di un soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato e di un consulente tecnico di ufficio per l’attività espletata nel corso di un procedimento civile, la Corte d’appello di Catania ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega, questione di legittimità costituzionale dell’art. 170, comma 2, del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia – Testo B) come riprodotto nel d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), nella parte in cui, nel regolare il procedimento di opposizione in materia di spese di giustizia, dispone che «l’ufficio giudiziario procede in composizione monocratica»;

che il giudice a quo osserva che il d.lgs. n. 113 del 2002 trova il proprio fondamento nella delega contenuta nell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998), modificato dall’art. 1 della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1999), che ha attribuito al Governo il potere di riordinare le norme contenute nel decreto legislativo e nel regolamento adottati ai sensi degli artt. 14 e 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), con l’osservanza dei principi direttivi di cui all’art. 7 della legge n. 50 del 1999, tra i quali vi è quello del «coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti , apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo»;

che, peraltro, secondo la Corte rimettente, non risulta attribuito al Governo, nell’ambito del riordino della materia delle spese di giustizia, il potere di apportare sostanziali modifiche all’ordinamento giudiziario e di istituire la figura del giudice in composizione monocratica negli uffici giudiziari che, come la Corte d’appello, operano esclusivamente in composizione collegiale, trattandosi di materia coperta da riserva di legge ai sensi dell’art. 108 della Costituzione;

che il legislatore delegato non si sarebbe, dunque, attenuto al criterio sopra enunciato, tanto più che l’art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794 (Onorari di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile), attribuiva la materia de qua all’esame degli uffici giudiziari nella loro ordinaria composizione;

che nei giudizi innanzi a questa Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta infondatezza della questione alla luce del dettato testuale dell’art. 7, comma 2, della legge n. 50 del 1999 e della giurisprudenza costituzionale in materia.

Considerato che la Corte d’appello di Catania dubita della legittimità costituzionale dell’art. 170, comma 2, del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia – Testo B), come riprodotto nel d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), nella parte in cui, in materia di spese di giustizia, attribuisce al giudice in composizione monocratica la competenza a conoscere dell’opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi anche nell’ipotesi in cui il provvedimento opposto sia stato pronunciato dal giudice in composizione collegiale, per violazione dell’art. 76 della Costituzione sotto il profilo del mancato rispetto dei principi e criteri direttivi fissati nella legge delega 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998), che non menziona il criterio relativo al mutamento di composizione dell’organo giudiziario;

che le due ordinanze sollevano questione di legittimità costituzionale della stessa disposizione di legge con motivazioni identiche e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti, per essere decisi con unico provvedimento;

che identica questione è stata già dichiarata non fondata con sentenza n. 53 del 2005 e manifestamente infondata con ordinanza n. 30 del 2010, sulla base del rilievo che, poiché tra i criteri direttivi contenuti nella legge di delegazione vi era quello di “garantire la coerenza logica e sistematica della normativa”, il legislatore delegato, senza con ciò eccedere dal coordinamento formale, ha introdotto la composizione monocratica in luogo di quella collegiale al fine di adeguare la disciplina del processo in questione alla riforma, operata dal decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), in base alla quale il giudice monocratico è la regola, mentre quello in composizione collegiale costituisce un’eccezione;

che a tali rilievi nessun nuovo argomento oppone il giudice rimettente;

che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 170, comma 2, del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia – Testo B) come riprodotto nel d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), sollevata, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Catania, con le ordinanze in epigrafe indicate.

Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 aprile 2010.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedentePronuncia successiva

ORDINANZA N. 154

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 149 e 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private) e dell’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2006, n. 254 (Regolamento recante disciplina del risarcimento diretto dei danni derivanti dalla circolazione stradale, a norma dell’articolo 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 – Codice delle assicurazioni private), promosso dal Giudice di pace di Prato nel procedimento vertente tra H.J. e la Compagnia assicuratrice UNIPOL s.p.a. con ordinanza del 23 marzo 2009 iscritta al n. 285 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 aprile 2010 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto che nel corso di un giudizio per il risarcimento del danno, promosso da H.J., nei confronti di Unipol Assicurazioni s.p.a., in qualità di compagnia assicuratrice dello stesso attore, nonché nei confronti di F.B. s.r.l. e di B.R., nelle vesti di responsabili civili, il Giudice di pace di Prato, con ordinanza depositata il 23 marzo 2009, ha sollevato, su richiesta della convenuta, questione di legittimità costituzionale degli artt. 149 e 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), per violazione degli artt. 3, 24 e 76 Cost.;

che il rimettente assume la rilevanza della questione, per il fatto che, in assenza delle norme censurate o nell’ipotesi della loro dichiarata incostituzionalità, l’azione risarcitoria si sarebbe dovuta esercitare nei confronti del responsabile del danno o, anche, della sua compagnia assicuratrice, soggetti diversi dall’odierna convenuta;

che, riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice denuncia: a) la violazione dell’art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento fra danneggiati, a seconda dell’applicabilità o meno della procedura di risarcimento diretto, e per aver creato il legislatore, imponendo al danneggiato la citazione della propria Compagnia assicuratrice, un diverso trattamento processuale dei danneggiati cui è viceversa consentita la proposizione dell’ordinaria azione di responsabilità; b) la violazione dell’art. 24 Cost., perché ai fini della disciplina del risarcimento diretto, il regolamento adottato con d.P.R. 18 luglio 2006 n. 254 (Regolamento recante disciplina del risarcimento diretto dei danni derivanti dalla circolazione stradale, a norma dell’articolo 150 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 – Codice delle assicurazioni private) prevede che le spese accessorie dovute al danneggia to dall’impresa di assicurazione sono solo quelle relative alle consulenze medico-legali, e non anche quelle di assistenza legale stragiudiziale; c) l’eccesso di delega di cui all’art. 76 Cost., per avere il Governo, introducendo l’azione diretta nei confronti della compagnia di assicurazione del danneggiato, elaborato – eccedendo la delega contenuta nell’art. 4, comma 1, della legge 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. – Legge di semplificazione 2001) – innovazioni sostanziali e abrogazioni normative (tra le quali la non convenibilità in giudizio del responsabile del sinistro), non limitandosi al mero riassetto della disciplina assicurativa esistente;

che nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità e, nel merito, l’infondatezza della questione sollevata.

Considerato che il Giudice di pace di Prato dubita della legittimità costituzionale degli artt. 149 e 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), nella parte in cui disciplinano il risarcimento diretto dei danni da circolazione stradale, per violazione dell’art. 3 Cost., per aver creato irragionevole disparità di trattamento fra danneggiati, assoggettati a diversi trattamenti processuali; dell’art. 24 Cost., per aver previsto con regolamento l’esclusione del rimborso delle spese di assistenza legale stragiudiziale; nonché dell’art. 76 Cost., per avere il decreto legislativo in esame esorbitato dalla delega contenuta nell’art. 4, comma 1, della legge 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. – Legge di semplificazione 2001), operando una revisione abrogativa delle norme preesistenti in tem a di responsabilità per danni dalla circolazione;

che l’ordinanza del Giudice di pace di Prato è priva di qualsiasi riferimento al fatto cui sarebbero applicabili le norme censurate, in quanto espone soltanto che l’azione è stata promossa da un soggetto nei confronti della propria compagnia assicuratrice, per il risarcimento dei danni, senza neppure precisare se l’incidente stradale abbia interessato autoveicoli, e in quale numero, e neppure quale sia il petitum, e senza dar conto delle difese delle parti, se non quanto al fatto che la convenuta ha sollecitato il giudice a sollevare la questione di legittimità costituzionale;

che, sulla base dell’anzidetto rilievo, la questione proposta è manifestamente inammissibile sia per omessa specifica motivazione sulla rilevanza della stessa nel giudizio a quo, sia per omessa descrizione della fattispecie (ex plurimis, ordinanze n. 85 del 2010, n. 201 e n. 191 del 2009, n. 441 del 2008, tutte in tema di risarcimento diretto);

che riguardo alla dedotta esclusione del rimborso al danneggiato delle spese stragiudiziali, non è individuata con precisione la disposizione sospettata d’incostituzionalità (dal che deriva un ulteriore motivo d’inammissibilità: ordinanza n. 85 del 2003), e se anche dal contesto dell’ordinanza si desume la riferibilità della censura all’art. 9 del d.P.R. 18 luglio 2006 n. 254 (Regolamento recante disciplina del risarcimento diretto dei danni derivanti dalla circolazione stradale, a norma dell’articolo 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 – Codice delle assicurazioni private), fa difetto qualsiasi motivazione circa la sua applicabilità nel giudizio a quo (oltre a trattarsi di norma sottratta al sindacato di costituzionalità: ordinanza n. 440 del 2008);

che, infine, il giudice rimettente non ha adempiuto all’obbligo di ricercare una interpretazione costituzionalmente orientata della norma impugnata, nel senso, cioè, che essa si limita a rafforzare la posizione dell’assicurato rimasto danneggiato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della propria compagnia assicuratrice, senza peraltro togliergli la possibilità di fare valere i suoi diritti secondo i principi della responsabilità civile dell’autore del fatto dannoso (in questo senso la sentenza n. 180 del 2009);

che tale interpretazione avrebbe consentito di superare i prospettati dubbi di costituzionalità.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 149 e 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 76 della Costituzione, dal Giudice di pace di Prato con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 aprile 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


pronuncia precedente

ORDINANZA N. 155

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3 della delibera legislativa della Assemblea regionale siciliana 17 dicembre 2009, che ha approvato il disegno di legge n. 499 (Interventi finanziari urgenti per l’anno 2009 e disposizioni per l’occupazione. Autorizzazione per l’esercizio provvisorio per l’anno 2010), promosso dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana con ricorso notificato il 23 dicembre 2009, depositato in cancelleria il 30 dicembre 2009 ed iscritto al n. 109 del registro ricorsi 2009.

Udito nella camera di consiglio del 14 aprile 2010 il Giudice relatore Sabino Cassese.

Ritenuto che il Commissario dello Stato per la Regione siciliana, con ricorso in via principale ritualmente notificato e depositato in data 30 dicembre 2009 (reg. ric. n. 109 del 2009), ha proposto questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3 della delibera legislativa della Assemblea regionale siciliana, con la quale la stessa ha approvato il disegno di legge n. 499 (Interventi finanziari urgenti per l’anno 2009 e disposizioni per l’occupazione. Autorizzazione per l’esercizio provvisorio per l’anno 2010), per contrasto con gli articoli 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, nonché con gli articoli 14 e 17 dello Statuto speciale della Regione Siciliana;

che l’art. 3 della delibera legislativa censurata stabilisce che l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) è autorizzata a rinnovare, sino al 31 marzo 2010, i contratti di lavoro a tempo determinato con il personale selezionato con procedura di evidenza pubblica già utilizzato da detta amministrazione;

che tale articolo stabilisce, inoltre, che l’ARPA è autorizzata a stipulare contratti di lavoro a tempo determinato sino al 31 dicembre, in numero massimo di 40 unità, previo espletamento di procedure selettive, con riserva dell’80% dei posti complessivi al personale che ha già prestato servizio presso l’ARPA con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, per un periodo non inferiore a 18 mesi;

che il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha censurato l’art. 3 della delibera legislativa in argomento per violazione dell’art. 97 Cost., richiamando la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale «la forma generale ed ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni è rappresentata da una selezione trasparente, comparativa, basata esclusivamente sul merito» (sentenza n. 293 del 2009);

che, secondo il ricorrente, la norma, nel riferirsi genericamente a tutti coloro che abbiano già prestato servizio presso l’ARPA, non indicherebbe alcuna peculiare situazione giustificatrice della deroga al principio di cui all’art. 97, terzo comma, Cost. e si risolverebbe in un arbitrario privilegio a favore di una generica categoria di persone;

che, inoltre, a giudizio del Commissario dello Stato, la disposizione impugnata, da un lato, lederebbe, in via indiretta, gli artt. 3 e 51 Cost., non consentendo ai cittadini di accedere ai pubblici uffici, tramite concorso pubblico, in condizione di uguaglianza e, dall’altro, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva l’ordinamento civile alla competenza esclusiva dello Stato;

Considerato che, successivamente all’impugnazione, la predetta delibera legislativa è stata pubblicata (sulla Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana del 31 dicembre 2009, n. 61) come legge della Regione siciliana 29 dicembre 2009, n. 13 (Interventi finanziari urgenti per l’anno 2009 e disposizioni per l’occupazione. Autorizzazione per l’esercizio provvisorio per l’anno 2010), con omissione della disposizione oggetto di censura;

che l’intervenuto esaurimento del potere promulgativo, che si esercita necessariamente in modo unitario e contestuale rispetto al testo deliberato dall’Assemblea regionale siciliana, preclude definitivamente la possibilità che le parti della legge impugnate ed omesse in sede di promulgazione acquistino o esplichino una qualche efficacia, privando così di oggetto il giudizio di legittimità costituzionale (ex plurimis, ordinanze n. 74 del 2010, n. 186 del 2009, n. 304 del 2008, n. 358 del 2007, n. 229 del 2007, n. 410 del 2006);

che, pertanto, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, deve dichiararsi cessata la materia del contendere.

per questi motivi

La Corte costituzionale

dichiara cessata la materia del contendere in ordine al ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 aprile 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA