Deposito del 19/03/2010 (dalla 108 alla 112) |
S.108/2010 del 10/03/2010 Camera di Consiglio del 10/02/2010, Presidente DE SIERVO, Redattore NAPOLITANO Norme impugnate: Art. 15, c. 2°, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 26/10/2006, n. 19. Oggetto: Sanità pubblica - Norme della Regione Friuli-Venezia Giulia - Soppressione delle gestioni liquidatorie delle USL e subentro delle ASL nei rapporti giuridici pregressi facenti capo alle USL - Previsione che ogni e qualsiasi spesa accertata o riconosciuta, anche in giudizio, per debiti, oneri e risarcimento danni relativa a tali gestioni fa carico ai bilanci delle ASL, con esclusione di ogni legittimazione passiva, sostanziale e processuale dell'Amministrazione regionale. Dispositivo: illegittimità costituzionale Atti decisi: ord. 262/2009 |
O.109/2010 del 10/03/2010 Camera di Consiglio del 10/02/2010, Presidente DE SIERVO, Redattore SAULLE Norme impugnate: Art. 13, c. 5° ter, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286, come sostituito dall'art. 1, c. 1°, del decreto legge 14/09/2004, n. 241, convertito in legge 12/11/2004, n. 271. Oggetto: Straniero - Espulsione amministrativa - Udienza di convalida presso il giudice di pace - Previsione che le questure forniscano al giudice di pace nei limiti delle risorse disponibili il support o occorrente e la disponibilità di un locale idoneo. Atti decisi: ord. 234/2009 |
O.110/2010 del 10/03/2010 Camera di Consiglio del 10/02/2010, Presidente DE SIERVO, Redattore CRISCUOLO Norme impugnate: Art. 37 del codice di procedura civile. Oggetto: Giurisdizioni speciali - Giurisdizione tributaria - Ricorso avverso cartella di pagamento relativa a contributi per il servizio sanitario nazionale - Riassunzione del giudizio innanzi alla commissione tributaria a seguito di sentenza del giudice del lavoro declinatoria della giurisdizione ordinaria - Eccepita inammissibilità del ricorso siccome tardivamente proposto - Omessa previsione che g li effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta dinanzi a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione. Dispositivo: manifesta inammissibilità Atti decisi: ord. 131/2009 |
O.111/2010 del 10/03/2010 Camera di Consiglio del 10/02/2010, Presidente DE SIERVO, Redattore GROSSI Norme impugnate: Art. 80, c. 19°, della legge 3/12/2000, n. 388, in combinato disposto con l'art. 9, c. 1°, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286, come modificato dall'art. 9, c. 1°, della legge 30/07/2002, n. 189, in relazione all'art. 12 della l egge 30/03/1971, n. 118 e alla legge 11/02/1980, n. 18. Oggetto: Straniero - Pensione di inabilità e indennità di accompagnamento per inabilità - Condizione - Possesso della carta di soggiorno, rilasciabile solo in caso di dimostrato possesso di redditi non inferiori all'assegno sociale. Dispositivo: manifesta inammissibilità Atti decisi: ord. 170/2009 |
S.112/2010 del 10/03/2010 Udienza Pubblica del 24/02/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore TESAURO Norme impugnate: Artt. 1, c. 1°, e 2, c. 2°, lett. b) e d), della legge della Regione Liguria 16/02/2009, n. 1. Oggetto: Unione europea - Norme della Regione Liguria - Istituzione Gruppo Eur opeo di Cooperazione Territoriale (GECT) Euroregione Alpi Mediterraneo, comprendente le Regioni Liguria, Piemonte, Valle d'Aosta, Provence-Alpes-Côte d'Azur e Rhône-Alpes, con sede in Francia e disciplina in base al diritto francese - Lamentata adesione con legge della Regione Liguria prima della conclusione del procedimento mediante il quale il Governo avrebbe dovuto autorizzare la partecipazione di un membro potenziale al GECT - Assenza di sospensione degli effetti in attesa della prevista autorizzazione; Obiettivo dichiarato di rafforzare i legami politici, economici, sociali e culturali - Contrasto con il Regolamento CE n. 1082/2006 che prescrive gli obiettivi dell'agevolazione e promozione della cooperazione territoriale ai fini del rafforzamento della coesione economica e sociale; Attribuzione al GECT dei compiti della "promozione degli interessi dell'Euroregione presso gli Stati e le istituzioni europee" e della "adesione ad organismi, associazioni e reti confor mi agli obiettivi del GECT" - Contrasto con il Regolamento CE n. 1082/ 2006 che limita le attività del GECT alla "attuazione di programmi o progetti di cooperazione territoriale cofinanziati dalla Comunità". Dispositivo: non fondatezza - cessata materia del contendere Atti decisi: ric. 30/2009 |
SENTENZA N. 108 ANNO 2010 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 26 ottobre 2006, n. 19 (Disposizioni in materia di salute umana e sanità veterinaria e altre disposizioni per il settore sanitario e sociale, nonché in materia di personale), promosso dalla Corte d’appello di Trieste nel procedimento vertente tra C. T. e l’Azienda Ospedaliera “Santa Maria della Misericordia” con ordinanza del 1° settembre 2009, iscritta al n. 262 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2009. Visto l’atto di intervento della Regione Friuli-Venezia Giulia; udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano. Ritenuto in fatto 1. – La Corte d’appello di Trieste, sezione II civile, con ordinanza depositata il 1° settembre 2009 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 26 ottobre 2006, n. 19 (Disposizioni in materia di salute umana e sanità veterinaria e altre disposizioni per il settore sanitario e sociale, nonché in materia di personale), in riferimento all’art. 117, comma terzo, della Costituzione e all’art. 5, numero 16, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia). La questione è stata sollevata nel corso di un giudizio civile in grado di appello, promosso dalla signora C. T. avverso l’Azienda Ospedaliera “Santa Maria della Misericordia” di Udine (poi, Azienda Ospedaliera Universitaria di Udine “Santa Maria della Misericordia”), per chiedere il risarcimento dei danni asseritamente subiti a seguito dell’intervento chirurgico effettuato presso la struttura ospedaliera, in data 21 agosto 1992. 1.1. – Il rimettente – dopo aver sinteticamente riassunto gli atti di causa del giudizio di primo grado dinanzi al Tribunale di Udine, conclusosi con la sentenza del 18-29 maggio 2006 n. 661, con la quale il giudice adito ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Azienda Ospedaliera convenuta, compensando tra le parti le spese di lite – rileva che, con atto di citazione notificato il 18 maggio del 2007, C. T. ha proposto appello avverso tale sentenza, lamentando l’erroneità della predetta statuizione, in particolare facendo riferimento all’entrata in vigore dell’art. 15 della legge regionale Friuli-Venezia Giulia 26 ottobre 2006, n. 19 (emanata dopo il deposito della sentenza del Tribunale di Udine). Tale norma regionale stabilisce che: «Dopo il comma 1 dell’art. 4 della legge regionale n. 21/2001, è inserito il seguente: “1-bis. Successivamente alla chiusura delle gestioni liquidatorie delle soppresse unità sanitarie locali, ogni e qualsiasi spesa accertata o riconosciuta, anche in giudizio, per debiti oneri e risarcimento danni relativa a tali gestioni fa carico ai bilanci delle aziende sanitarie regionali subentrate alle unità sanitarie locali soppresse ed è esclusa ogni legittimazione passiva, sostanziale e processuale dell’amministrazione regionale, stante la diretta ed esclusiva responsabilità delle aziende sanitarie regionali per le passività delle gestioni liquidatorie». Ricorda, quindi, la Corte rimettente come l’intervento a seguito del quale l’appellante afferma di aver riportato danni risale ad un periodo antecedente all’emanazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), – decreto, antecedente alla costituzione delle Aziende sanitarie locali (ASL) e delle Aziende Ospedaliere, che ha soppresso le Unità sanitarie locali (USL) – e rileva, altresì, come l’atto di citazione di primo grado sia stato notificato all’Azienda Ospedaliera dopo che la delibera della Giunta regionale del 13 dicembre 2002, n. 4319, aveva decretato la chiusura delle gestioni liquidatorie, a decorrere dalla data del 31 dicembre dello stesso anno. 1.2. – Tutto ciò premesso, poichè la questione di legittimità costituzionale del citato art. 15, comma 2, appare al rimettente rilevante e non manifestamente infondata per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. e con l’art. 5 dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, lo stesso ritiene di sollevarla d’ufficio. Infatti, secondo la Corte d’appello di Trieste, il carattere risarcitorio del giudizio rende rilevante, ai fini della decisione, la risoluzione della questione preliminare sulla legittimazione passiva del convenuto nel processo di primo grado, poiché – in caso di eventuale accoglimento della domanda di risarcimento danni, secondo quanto disposto dalla norma censurata – la responsabilità patrimoniale per i fatti di causa si collocherebbe in capo alle aziende sanitarie di nuova istituzione, che hanno preso il posto delle soppresse unità sanitarie locali, e non in capo alla Regione. 1.3. – Per quanto, poi, concerne la non manifesta infondatezza, il rimettente ricorda che questa Corte si è già occupata della questione di legittimità costituzionale di altre norme regionali analoghe alla presente. Innanzitutto, con la sentenza n. 89 del 2000, la Corte costituzionale ha affermato che «l’art. 6, comma primo, della legge 724/1994 – a norma del quale in nessun caso le Regioni possono far gravare, direttamente o indirettamente, sulle neocostituite Aziende Sanitarie i debiti facenti capo alle preesistenti USL – sebbene sia norma a contenuto specifico e dettagliato, costituisce principio fondamentale della legislazione nazionale, vincolante l’autonomia finanziaria regionale in materia sanitaria, in quanto inserito in un’azione complessiva a carattere generalizzato, volta a contenere il disavanzo pubblico mediante misure che, con specifico riferimento alla spesa sanitaria, incidono su tutti gli enti di autonomia a statuto speciale e ordinario». Quindi, prosegue la rimettente, con le successive sentenze n. 437 del 2005 e n. 116 del 2007, la Corte costituzionale si è nuovamente occupata di questioni analoghe e, sulla base dello stesso principio stabilito nella precedente citata decisione, ha dichiarato, rispettivamente, costituzionalmente illegittimi gli artt. 1 e 2, comma primo, della legge della Regione Liguria 24 marzo 2000, n. 26 (Estinzione delle gestioni liquidatorie in campo sanitario costituite ai sensi dell’art. 2, comma 14, della legge 28 dicembre 1995, n. 549), e l’art. 22, commi 1 e 2, della legge della Regione Calabria 26 giugno 2003, n. 8 (Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza generale per l’anno 2003 – art. 3, comma 4, della legge regionale n. 8 del 2002). A detta della Corte d’appello di Trieste, anche nel caso di specie, sussisterebbe il legittimo dubbio che la disposizione censurata – poichè non sembra assicurare la richiesta separazione tra la gestione liquidatoria delle passività risalenti alle USL (anteriori al 31.12.1994) e le attività poste in essere direttamente dalle ASL, con conseguente mancata sottrazione alle Aziende del peso delle passività precedenti la loro istituzione – non sia conforme «ai principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute». 2. – Nel giudizio dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza della questione. 2.1. – Dopo aver sintetizzato i termini della questione e ricostruito il quadro normativo di riferimento, l’interveniente ricorda quella giurisprudenza costituzionale relativa a questioni analoghe, che avvalorerebbe la tesi dell’infondatezza della presente questione (in particolare la sentenza n. 89 del 2000). Infatti, la Corte costituzionale, con la ricordata decisione, ha giudicato infondata la questione relativa a due norme della Regione Basilicata, le quali, «in modo del tutto simile all’art. 9, co. 2, 1. FVG 12/1994, prevedevano il subentro delle aziende sanitarie locali nei procedimenti amministrativi in corso e nei rapporti giuridici attivi e passivi già posti in essere dalle unità sanitarie locali preesistenti», negando il contrasto tra tali disposizioni e l’art. 6, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sulla base della considerazione che la Regione, comunque, aveva «previsto, proprio in attuazione dell’art. 6 della legge n. 724 del 1994, un regime speciale per tutti i rapporti di debito e di credito risultanti alla fine del 1994 e facenti capo alle soppresse unità sanitarie locali; regime che si concretizza non solo nella istituzione di una cosiddetta “gest ione a stralcio” o liquidatoria, ma soprattutto nella separata rilevazione dei predetti rapporti nei capitoli di bilancio, la quale doveva appunto “garantire la non interferenza economico-finanziaria della pregressa gestione sulla gestione corrente della nuova Azienda sanitaria u.s.l.”». Tutto ciò, in quanto obiettivo della riforma, secondo la difesa regionale, è quello di garantire alle nuove Aziende sanitarie bilanci non gravati da debiti pregressi. Ora, sempre secondo la difesa della Regione Friuli-Venezia Giulia (che in proposito ricorda gli specifici interventi normativi al riguardo), questo obiettivo era ed è realizzabile sia attraverso la previsione dell’imputazione diretta di quei debiti alla Regione, sia attraverso la previsione di una posta di bilancio a stralcio che – ferma la legittimazione passiva delle singole aziende – non venga a farli concretamente gravare sui bilanci delle stesse a partire dall’intervento che ha riformato l’articolazione del sistema sanitario. Il problema, quindi, non sarebbe e non è quello dell’illegittimità costituzionale della norma censurata, bensì quello della rispondenza o meno della soluzione adottata alla ratio della riforma statale nel senso evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 89 del 2000. Pertanto, sempre secondo l’interveniente, l’elemento essenziale per decidere se la norma regionale denunciata debba essere o meno dichiarata incostituzionale, consisterebbe nel verificare se «i debiti accertati con la gestione liquidatoria facciano capo alla Regione, non rilevando il fatto che, “a regime”, resti la responsabilità delle aziende sanitarie per i debiti non ancora accertati». 2.2. – Nell’atto di intervento si fa presente, altresì, che – sulla base di quanto disposto dall’art. 1, comma 144, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), il Servizio sanitario regionale è finanziato, in Friuli-Venezia Giulia, direttamente dalla Regione, contrariamente a quanto previsto in altre Regioni. Di conseguenza, anche nel caso in cui il citato art. 6, comma 1, della legge n. 724 del 1994 intendesse escludere in assoluto e a tempo indeterminato la responsabilità delle Aziende sanitarie, «la differenza tra la norma impugnata e quella statale non implicherebbe un diverso centro di imputazione della spesa ma solo un diverso centro di imputazione giuridica della responsabilità. Infatti, in base alle norme di cui agli artt. 11 ss. l.r. 49/1996, ogni eventuale debito accertato successivamente alla chiusura delle gestioni liquidatorie graverà sempre, sia pure indirettamente, sulla finanza regionale.». Sulla base di tali argomentazioni, la difesa regionale insiste per una declaratoria di infondatezza della presente questione, ricordando ancora che quanto previsto dall’art. 6, comma 1, della legge n. 724 del 1994 (è citata la sentenza n. 416 del 1995 della Corte costituzionale) «rappresenta un intervento eccezionale e temporaneo, in un quadro finanziario di emergenza, che va inserito in un’azione complessiva, a carattere generalizzato, volta a contenere il disavanzo pubblico, mediante misure che, con specifico riferimento alla spesa sanitaria, incidono su tutti gli enti di autonomia a statuto speciale e ordinario (sentenze nn. 222 del 1994 e 357 del 1993)» (così la sentenza n. 89 del 2000, citata nell’ordinanza) – affermazione questa che, sempre secondo la Regione interveniente, risulterebbe dirimente per un’esatta valutazione del contrasto tra la norma censurata ed il principio espresso dalla norma statale. 3. – In prossimità della camera di consiglio, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha depositato una memoria nella quale – riportandosi a quanto dedotto ed eccepito nell’atto di costituzione – ribadisce l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma impugnata. 3.1. – La difesa regionale sottolinea che, in base alla normativa statale, le Regioni sono tenute a finanziare solamente i debiti che siano stati accertati «dalle gestioni liquidatorie e ritualmente comunicati ma non ogni altro debito, seppur attinente ad un rapporto obbligatorio sorto sotto la pregressa gestione delle Usl». Ad ulteriore sostegno della sua tesi, la difesa regionale sottolinea come la stessa Corte costituzionale, recentemente, con la sentenza n. 341 del 2009 (di cui riporta ampi stralci relativamente al punto 6 del Considerato in diritto), avrebbe sancito il principio secondo il quale lo Stato non «ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario che definiscano le modalità di contenimento di una spesa sanitaria che è interamente sostenuta» da una Regione speciale. Con tale decisione la Corte ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Provincia autonoma di Trento relativamente all’art. 61, comma 14, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, disposizione che prevedeva la riduzione dei compensi di dirigenti e sindaci delle strutture sanitarie, per devolvere gli stessi «al finanziamento dei rispettivi servizi sanitari regionali, per finanziare l’eventuale abolizione del ticket». Tale conclusione, per la difesa regionale, dovrebbe applicarsi anche al caso di specie, essendo la Regione Friuli-Venezia Giulia una Regione a statuto speciale che, come già ricordato, provvede autonomamente, dal 1997, per quello che riguarda le spese del servizio sanitario regionale e che «ha applicato l’art. 6, comma 1, (come illustrato nella memoria di costituzione) nella fase transitoria del passaggio dalle USL alle ASL, ma [che] non può considerarsi soggetta ad un vincolo a tempo indeterminato, dato che autofinanzia il proprio servizio sanitario». 3.2. – Inoltre, sulla base delle sopra esposte considerazioni, la Corte Costituzionale – nel caso non intendesse accogliere un’interpretazione «adeguatrice» ritenendo, come richiesto, la citata norma statale non vincolante per la Regione dopo il 1997 – potrebbe, secondo la Regione, autorimettersi la questione di costituzionalità dell’art. 6, comma 1, della legge n. 724 del 1994, nella parte in cui si applica alla Regione Friuli-Venezia Giulia. Difatti, – prosegue l’interveniente – la questione non sarebbe irrilevante, né manifestamente infondata. Relativamente alla rilevanza, tale norma funge da parametro interposto nel presente giudizio e la stessa non sarebbe neanche manifestamente infondata, poiché – sempre a detta della Regione – l’art. 6, comma 1, violerebbe sia l’autonomia finanziaria regionale (artt. 48 e seguenti dello statuto), sia l’autonomia legislativa regionale nella materia della sanità (art. 117, terzo comma, Cost. in combinato disposto con l’art. 10 della 1egge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione»), in quanto il limite posto dalla norma statale, imponendo uno specifico centro di imputazione della responsabilità, verrebbe ad incidere sulla spesa regionale, senza che lo Stato possa, in tal caso, invocare come titolo il potere di coordinament o della finanza pubblica. Pertanto, per questi motivi, la Regione Friuli-Venezia Giulia conclude chiedendo alla Corte una declaratoria di infondatezza della questione e, in subordine, di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, penultimo periodo, della legge n. 724 del 1994, nella parte in cui si applica alla Regione Friuli-Venezia Giulia. Considerato in diritto 1. – Con ordinanza deposita il 1° settembre 2009, la Corte d’appello di Trieste, sezione II civile – nel corso di un giudizio civile in grado di appello, promosso dalla signora C. T. avverso l’Azienda Ospedaliera “Santa Maria della Misericordia” di Udine (poi, Azienda Ospedaliera Universitaria di Udine “Santa Maria della Misericordia”), per chiedere il risarcimento dei danni asseritamente subiti a seguito dell’intervento chirurgico effettuato presso la struttura ospedaliera, in data 21 agosto 1992 – ha sollevato d’ufficio, in riferimento all’art. 117, comma terzo, della Costituzione e all’art. 5, numero 16, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 26 ottobre 2006, n. 19 (Disposizioni in materia d i salute umana e sanità veterinaria e altre disposizioni per il settore sanitario e sociale, nonché in materia di personale). Secondo la Corte d’appello rimettente la disposizione censurata, non assicurando la separazione tra le gestioni liquidatorie delle pregresse unità sanitarie locali (USL) e le attività poste in essere direttamente dalle nuove aziende sanitarie locali (ASL) – con conseguente imputazione a queste ultime delle passività precedenti alla loro istituzione – violerebbe i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute, poiché la potestà legislativa concorrente della Regione in materia di sanità deve essere esercitata «con l’osservanza dei limiti generali indicati nell’art. 4 [dello statuto] ed in armonia con i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato». 2. – La questione è fondata. 2.1. – Questa Corte ha già esaminato questioni di legittimità costituzionale analoghe a quella oggi sottoposta al suo vaglio, relativamente ad alcune disposizioni di leggi regionali che erano state censurate proprio per aver individuato nelle aziende sanitarie locali, istituite a norma del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), i soggetti passivi dei rapporti obbligatori sorti a carico delle soppresse unità sanitarie locali, stabilendo anche il subentro delle nuove ASL in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi già posti in essere dalle pregresse USL. Nelle precedenti questioni, come nell’attuale, la censura era motivata dal contrasto delle disposizioni regionali impugnate con l’art. 6, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), il quale prescrive che in nessun caso le Regioni possono far gravare, direttamente o indirettamente, sulle neocostituite aziende i debiti pregressi facenti capo alle preesistenti unità sanitarie locali, dovendo a tal fine le Regioni stesse predisporre apposite “gestioni a stralcio”, individuando, altresì, l’ufficio responsabile delle medesime. Relativamente al citato art. 6, la Corte, nelle precedenti sentenze (sentenza n. 116 del 2007, n. 435 del 2005 e n. 416 del 1995) ha affermato – come del resto ricordato anche dallo stesso rimettente – che tale disposizione, sebbene sia norma a contenuto specifico e dettagliato, «è da considerare per la finalità perseguita, in “rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione” con le norme-principio che connotano il settore dell’organizzazione sanitaria locale, così da vincolare l’autonomia finanziaria regionale in ordine alla disciplina prevista per i “debiti” e i “crediti” delle soppresse unità sanitarie locali». 2.3. – L’art. 15, comma 2, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2006 non realizza quella impermeabilità fra patrimonio della ASL e situazione debitoria della pregressa USL tale da rispettare il vincolo normativo per il quale in nessun caso i debiti delle USL debbono gravare sulle nuove ASL, né il legislatore regionale ha previsto strumenti normativi idonei «rispetto ai pregressi rapporti di credito e di debito delle soppresse unità sanitarie locali», tali da consentire «ad uno stesso soggetto – che pure subentrava nella loro posizione giuridica – ossia alle nuove aziende sanitarie locali, di evitare ogni confusione tra le diverse masse patrimoniali, in modo da tutelare i creditori, ma, nello stesso tempo, da escludere ogni responsabilità delle stesse aziende sanitarie in ordine ai predetti debiti» (sentenza n. 89 del 2000). Si tratta di principi che debbono applicarsi anche nel caso di specie, dato che lo statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia (legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1) prevede, al numero 16 del comma unico dell’art. 5, che la competenza legislativa in materia di «igiene e sanità, assistenza sanitaria ed ospedaliera» è attribuita alla Regione «Con l’osservanza dei limiti generali indicati nell’art. 4 ed in armonia con i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato». A ciò si aggiunge che questa Corte ha già precisato (sentenza n. 134 del 2006) che la disposizione normativa che conferisce la competenza legislativa in materia alla suddetta Regione autonoma ha una portata meno ampia rispetto a quella relativa alla «tutela della salute» contenuta nel terzo comma dell’art. 117 della Costituzione. Pertanto, questa Corte ha ritenuto che, data la maggiore «estensione» che questa ultima disposizione garantisce, debba applicarsi quanto previsto nell’art. 10 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), vale a dire «La riconduzione delle attribuzioni [del soggetto] ad autonomia speciale in materia sanitaria all’art. 117, terzo comma, della Costituzione». Ne consegue che, pur considerando la più ampia estensione della competenza legislativa che le viene riconosciuta, la Regione non può contravvenire ai principi fondamentali della legislazione statale in materia, previsti, per ciò che riguarda la presente questione, dal citato art. 6 della legge n. 724 del 1994. Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 2, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2006, nella parte in cui non assicura la separazione tra la gestione liquidatoria delle passività anteriori al 31 dicembre 1994, risalenti alle USL, e le attività poste in essere direttamente dalle ASL, conseguentemente non sottraendo le Aziende al peso delle passività precedenti la loro istituzione. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 26 ottobre 2006, n. 19 (Disposizioni in materia di salute umana e sanità veterinaria e altre disposizioni per il settore sanitario e sociale, nonché in materia di personale). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2010. F.to: Ugo DE SIERVO, Presidente Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2010. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ORDINANZA N. 109 ANNO 2010 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, promosso dal Giudice di pace di Roma nel procedimento penale a carico di S. M. con ordinanza del 6 maggio 2009, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2009. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle. Ritenuto che, con ordinanza del 6 maggio 2009, il Giudice di pace di Roma, nel corso di un procedimento di convalida del provvedimento del Questore di Roma di trattenimento di un cittadino egiziano presso un Centro di identificazione ed espulsione, ha sollevato, in riferimento agli articoli 13, 24, 97 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui prevede che, «al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida dei provvedimenti di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 13 e all’art. 14, comma 1, le questure forniscono al giudice di pace , nei limiti delle risorse disponibili, il supporto occorrente e la disponibilità di un locale idoneo»; che, in relazione alla rilevanza della questione, il giudice a quo si limita ad esprimersi nel modo seguente: «le situazioni concrete relative alle convalide dei provvedimenti incidenti sulla libertà personale emanati dal Questore», potendo essere effettuate negli stessi locali dei Centri di identificazione ed espulsione, «dove il giudice di pace deve recarsi ed essere assistito da appartenenti alla Polizia di Stato, con vigilanza esterna ed interna anche dell’esercito italiano, destano serie perplessità […], in quanto va preservata l’indipendenza del giudice, evitando anche il solo pericolo di possibili condizionamenti psicologici di tipo ambientale»; che, alle predette affermazioni, il rimettente aggiunge, da un lato, il richiamo di passati «episodi di disappunti orali espressi da rappresentanti della questura nei confronti dei giudici di pace, che non hanno convalidato i trattenimenti degli stranieri presso i centri di identificazione ed espulsione»; dall’altro, la constatazione delle difficoltà logistiche e ambientali cui il giudice di pace sarebbe soggetto nell’esercizio delle proprie funzioni presso i suddetti Centri, nonché la considerazione della piena giurisdizionalità dei compiti affidati allo stesso giudice di pace nell’ambito dello svolgimento dell’udienza all’interno dei locali dei centri medesimi; che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente afferma che la disposizione oggetto di censura «dovrebbe essere emendata riportando all’interno degli uffici del giudice di pace, o di locali ad esso riferibili, lo svolgimento delle udienze relative alle convalide dei giudici di pace dei trattenimenti, degli stranieri espulsi, presso i Centri di identificazione ed espulsione, configurandosi in caso contrario una evidente lesione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. […] e del dovere di imparzialità e di parità davanti ad un giudice terzo (art. 111 Cost.)»; che la disposizione censurata, inoltre, si porrebbe in contrasto con l’art. 97 Cost., in base al quale i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, dal momento che essa non garantirebbe la concreta operatività di entrambi detti aspetti ordinamentali anche per l’attività da svolgersi nei locali dei Centri di identificazione ed espulsione; che, quanto all’asserito contrasto con l’art. 13 Cost., il rimettente si limita a rilevare che l’interpretazione di questa disposizione della Costituzione, secondo la quale la libertà personale è inviolabile, non essendone ammessa alcuna forma di detenzione né di restrizione, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge, non potrebbe «sottovalutare la condizione psicologica dello stesso giudice di pace»; che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta inammissibilità o, comunque, per la manifesta infondatezza della questione; che, in particolare, l’Avvocatura dello Stato rileva l’assoluta carenza di motivazione dell’ordinanza di rimessione circa la rilevanza della questione sollevata, e ciò sia per la «mera eventualità degli inconvenienti prospettati dal giudice rimettente», sia per l’assenza di una qualunque spiegazione relativamente all’incidenza di tali inconvenienti sulla questione di legittimità costituzionale, sia, infine, per il fatto che il giudice a quo avrebbe omesso del tutto di argomentare, in relazione alle norme parametro indicate, «circa comprovati condizionamenti esterni capaci di inficiare la sua imparzialità ed indipendenza nell’adozione di un provvedimento decisorio riguardante il caso sottoposto alla sua cognizione». Considerato che il Giudice di pace di Roma dubita della legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui prevede che, «al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida dei provvedimenti di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 13 e all’art. 14, comma 1, le questure forniscono al giudice di pace, nei limiti delle risorse disponibili, il supporto occorrente e la disponibilità di un locale idoneo», in riferimento agli articoli 13, 24, 97 e 111 della Costituzione; che, in sostanza, il rimettente lamenta che il corretto esercizio delle funzioni spettanti al giudice sarebbe compromesso dallo svolgimento del procedimento di convalida dei citati provvedimenti presso la struttura del Centro di identificazione ed espulsione; che la questione risulta proposta in maniera del tutto ipotetica e astratta, essendosi il rimettente limitato a dedurre una serie di generiche perplessità prive di alcun riferimento concreto ad effettivi condizionamenti esterni, idonei ad inficiare la propria imparzialità ed indipendenza nell’adozione del provvedimento giurisdizionale oggetto del giudizio principale; che, inoltre, le motivazioni addotte a sostegno delle asserite lesioni ai parametri costituzionali invocati risultano fondate esclusivamente su meri inconvenienti di fatto, scaturenti dall’applicazione della norma censurata, estranei in quanto tali al controllo di costituzionalità (ex plurimis sentenza n. 329 del 2009); che, pertanto, ciò determina la manifesta inammissibilità della questione sollevata. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, sollevata dal Giudice di pace di Roma, in riferimento agli artt. 13, 24, 97 e 111 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2010. F.to: Ugo DE SIERVO, Presidente Maria Rita SAULLE, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2010. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ORDINANZA N. 110 ANNO 2010 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 37 del codice di procedura civile promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Taranto nel procedimento vertente tra la Calipso s.r.l. e l’INPS., con ordinanza del 29 gennaio 2009, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2009. Visto l’atto di costituzione dell’INPS, e l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2010 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo. Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Taranto, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 37 del codice di procedura civile; che, come la rimettente riferisce, il giudizio a quo ha ad oggetto l’opposizione proposta da una società a responsabilità limitata avverso una cartella di pagamento emessa su istanza dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (d’ora in avanti, INPS), per il recupero di contributi dovuti al Servizio sanitario nazionale; che il giudice del lavoro di Taranto, previamente adito dalla società opponente, con sentenza depositata il 9 giugno 2008 ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sulla domanda di versamento dei detti contributi, stante l’esplicita riserva di attribuzione al giudice tributario dei ricorsi avverso le cartelle di pagamento, ai sensi degli artt. 2 e 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413); che, proposto il ricorso in riassunzione dinanzi alla rimettente, l’INPS, nel costituirsi in giudizio, ne ha eccepito l’inammissibilità, per decorso del termine di decadenza stabilito dall’art. 21 del d.lgs. ora citato, perché, in ipotesi di declinatoria di giurisdizione, disciplinata dall’art. 37 cod. proc. civ., applicabile al processo tributario ai sensi dell’art. 1, comma 2, dello stesso decreto, non sarebbero operanti i principii della translatio iudicii e della conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda, destinati a produrre effetti soltanto nell’ambito della declaratoria di incompetenza, secondo il dettato di cui agli artt. 42-50 cod. proc. civ.; che, ad avviso del giudice a quo, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 cod. proc. civ. è non manifestamente infondata, in riferimento all’art. 24 Cost., rafforzato dall’art. 111 Cost., sotto il profilo della menomazione del diritto di difesa, nella parte in cui la norma suddetta non prevede che gli effetti sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta davanti a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di pronuncia declinatoria della giurisdizione medesima, nel processo proseguito davanti al giudice di essa munito, nonché, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento difensivo venutasi a creare nei rapporti tra le varie giurisdizioni, dopo l’intervento correttivo del giudice delle leggi, con la sentenza n. 77 del 2007, limitatamente all’ambito TAR – giudice ordinario; che, in punto di rilevanza della questione, la rimettente afferma di non potere definire il giudizio a quo indipendentemente dalla risoluzione dei dubbi di costituzionalità dell’art. 37 cod. proc. civ.; che il giudice a quo, nel fare riferimento alla sentenza n. 77 del 2007, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), sottolinea come questa Corte abbia ricordato che la funzione, assegnata alla giurisdizione con l’art. 24 Cost. e ribadita con l’art. 111 Cost., è quella di assicurare la tutela effettiva dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, al riparo da limitazioni o pregiudizi occasionati da una sempre possibile erronea individuazione del giudice munito di giurisdizione, dipendente dal sistema; che l’art 30 della legge n. 1034 del 1971, prima dell’intervento correttivo del giudice delle leggi, ricalcava l’art. 37 cod. proc. civ., cosicché nei confronti di quest’ultimo la rimettente pone gli stessi dubbi di costituzionalità; che, nel presente giudizio, si è costituito l’INPS chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, sia per carente descrizione della fattispecie, sia per assenza di qualsiasi riferimento alle ragioni poste a base della non manifesta infondatezza, essendo stata richiamata per relationem la motivazione della sentenza di questa Corte n. 77 del 2007, con conseguente difetto di autosufficienza dell’ordinanza del giudice a quo; che, nel giudizio di legittimità costituzionale, ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, e rilevando che analoga questione è stata già esaminata da questa Corte con la menzionata sentenza n. 77 del 2007, mentre anche la giurisprudenza di legittimità (Cass., SS. UU. civili, sentenza n. 4109 del 2007) si è pronunciata in punto di translatio iudicii e di conservazione degli effetti della domanda. Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Taranto, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 37 del codice di procedura civile, osservando che detta norma è inidonea a salvaguardare le esigenze difensive di cui all’art. 24 Cost., rafforzato dall’art. 111 Cost., attesa anche la disparità di trattamento difensivo, sotto il profilo degli artt. 3 e 24 Cost., creatasi nei rapporti tra le varie giurisdizioni a seguito dell’intervento correttivo del giudice delle leggi, effettuato con la sentenza n. 77 del 2007, limitatamente all’ambito TAR – giudice ordinario; che la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile; che, con ordinanza n. 257 del 2009, questa Corte ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 cod. proc. civ., sollevata in riferimento agli artt. 24 e 113, Cost. perché il rimettente non aveva ricercato un’interpretazione della norma censurata conforme a Costituzione, in quanto, in base ai principi affermati dalla Corte Costituzionale e al diritto vivente formatosi nella giurisprudenza di legittimità, devono ormai ritenersi presenti nel vigente sistema del diritto processuale civile sia il principio di prosecuzione del processo davanti al giudice munito di giurisdizione, in caso di pronuncia declinatoria della giurisdizione da parte del giudice inizialmente adito, sia il principio di conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta a giudice privo di giurisdizione; che, nella suddetta pronuncia, questa Corte ha richiamato gli argomenti posti a fondamento della sentenza n. 77 del 2007, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione, si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice di questa munito; che, in particolare, alla base di tale sentenza, «questa Corte ha posto (tra gli altri) i seguenti rilievi di carattere generale: a) il principio della incomunicabilità dei giudici appartenenti ad ordini diversi, comprensibile in altri momenti storici, “è certamente incompatibile, nel momento attuale, con fondamentali valori costituzionali”; b) la Costituzione, fin dalle origini, ha assegnato con l’art. 24 (ribadendolo con l’art. 111) all’intero sistema giurisdizionale la funzione di assicurare la tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi; c) questa essendo l’essenziale ragion d’essere dei giudici, ordinari e speciali, la loro pluralità non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione della tutela giurisdizionale: ciò che avviene quando la disciplina dei loro rapporti è tale per cui l’erronea individuazion e del giudice munito di giurisdizione (o l’errore del giudice in tema di giurisdizione) può risolversi nel pregiudizio irreparabile della possibilità stessa di un esame nel merito della domanda di tutela giurisdizionale; d) una disciplina siffatta, in quanto potenzialmente lesiva del diritto alla tutela giurisdizionale e, comunque, tale da incidere sulla sua effettività, è incompatibile con il principio fondamentale dell’ordinamento, il quale riconosce bensì l’esistenza di una pluralità di giudici, ma la riconosce affinché venga assicurata, sulla base di distinte competenze, una più adeguata risposta alla domanda di giustizia, non già affinché sia compromessa la possibilità stessa che a tale domanda venga data risposta; e) al principio per cui le disposizioni processuali non sono fini a se stesse, ma funzionali alla miglior qualità della decisione di merito, si ispira pressoché costantemente il vigente codice di procedura civile, ed in particolare la disciplina che all’individuazione del giudice competente non sacrifica il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al “bene della vita” oggetto della loro contesa; f) al medesimo principio gli artt. 24 e 111 Cost. impongono che si ispiri la disciplina dei rapporti tra giudici appartenenti ad ordini diversi, allorché una causa, instaurata presso un giudice, debba essere decisa, a seguito di declinatoria della giurisdizione, da altro giudice»; che i principi ora riassunti sono stati ribaditi da questa Corte con ordinanza n. 363 del 2008; che anche la giurisprudenza di legittimità (Cass., SS.UU.civili., sentenze n. 2871 del 2009, n. 28044, n. 17765, n. 14831, n.10454 e n. 9040 del 2008, n. 13048 e n. 4109 del 2007) ha ammesso la operatività della translatio iudicii, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda, nei rapporti tra diversi ordini giurisdizionali; che, pertanto, con riguardo alla questione in esame, sia sotto il profilo della prospettata menomazione del diritto di difesa ai sensi dell’art. 24 Cost., ribadito dall’art. 111 Cost., sia sotto il profilo della assunta disparità di trattamento difensivo nei rapporti tra le varie giurisdizioni (artt. 3 e 24 Cost.), valgono i principi ormai affermati da questa Corte, nonché dalla giurisprudenza di legittimità, circa la prosecuzione del processo e la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda nel caso di pronuncia declinatoria del giudice adito e di riassunzione del processo davanti al giudice munito di giurisdizione; che anche il legislatore ha manifestato la volontà di dare continuità ai suddetti principi con l’art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), non applicabile alla fattispecie in oggetto ratione temporis (art. 58), ma rivelatore della suddetta volontà legislativa; che il giudice a quo, pur richiamando la citata sentenza di questa Corte n. 77 del 2007, non ha esperito il doveroso tentativo di ricercare un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata; che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la mancata sperimentazione da parte del giudice a quo della praticabilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base dei dubbi di legittimità costituzionale ipotizzati – e tale da determinare il possibile superamento di detti dubbi, o da renderli comunque non rilevanti nei casi di specie – rende la questione sollevata manifestamente inammissibile (ex plurimis: ordinanze n. 341, n. 268, n. 205 del 2008, nonché n. 85 del 2007); che ogni altro profilo d’inammissibilità resta assorbito. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24,111 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Taranto, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2010. F.to: Ugo DE SIERVO, Presidente Alessandro CRISCUOLO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2010. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ORDINANZA N. 111 ANNO 2010 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), in combinato disposto con l’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), modificato dall’art. 9 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), in relazione all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili) e alla legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili), promosso dal Tribunale di Pistoia nel procedimento vertente tra P.M. e l’Istituto nazionale della previde nza sociale (INPS) ed altri con ordinanza del 22 maggio 2008, iscritta al n. 170 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2009. Visto l’atto di costituzione dell’INPS; udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2010 il Giudice relatore Paolo Grossi. Ritenuto che il Tribunale di Pistoia, con ordinanza del 22 maggio 2008, ha sollevato, in riferimento agli artt. 117, primo comma, 2 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001) e dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), in relazione all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili) ed alla legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili), nella parte in cui tale complesso normativo prevede la necessità del possesso della carta di soggiorno e della relativa condizione reddituale affinché gli stranieri inabili civili possano fruire della pensione di inabilità e dell’assegno di accompagnamento; che il Tribunale rimettente ha premesso, in fatto, di essere stato investito a seguito di ricorso promosso da una cittadina extracomunitaria nei confronti dell’INPS e del Ministero dell’economia e delle finanze, al fine di ottenere il riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità e della indennità di accompagnamento e che, alla stregua delle risultanze processuali, l’unico ostacolo che si frappone all’accoglimento della domanda è il mancato possesso, da parte della ricorrente, della carta di soggiorno, secondo quanto prescrive l’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000; che, a parere del giudice a quo, la disciplina censurata contrasterebbe con l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto, discriminando gli stranieri invalidi legittimamente residenti nel nostro Paese rispetto ai cittadini italiani parimenti invalidi, violerebbe il principio sancito dall’art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, nonché dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952; che risulterebbe vulnerato anche l’art. 2 Cost., giacché sarebbero compromessi i diritti inviolabili dell’uomo e l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale, dovendosi annoverare in tale sfera di protezione «il diritto alla salute e alla assistenza sociale quale strumento per assicurare la tutela ai soggetti privi di reddito e menomati nella propria integrità fisica»; che, infine, sarebbe violato anche l’art. 3 della medesima Carta, sia perché i lavoratori stranieri invalidi risulterebbero discriminati attraverso la previsione del requisito del reddito, sia perché la disciplina impugnata sarebbe irrazionale, in quanto, mentre la legge n. 118 del 1971 prevede che per fruire della pensione di inabilità non sia superato un certo limite di reddito, nel caso dello straniero – in contrasto con la ratio dell’istituto – si richiede, al contrario, un reddito minimo; che nel giudizio si è costituito l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) che ha chiesto dichiararsi inammissibile la questione, essendo state le norme censurate già dichiarate costituzionalmente illegittime, in parte qua, con le sentenze n. 11 del 2009 e n. 306 del 2008. Considerato che il Tribunale di Pistoia solleva, in riferimento agli artt. 117, primo comma, 2 e 3 Cost., questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 ( Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), e dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), e successive modificazioni ed integrazioni, in relazione all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili) ed alla legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili), nella parte in cui tale disciplina prevede la necessità del possesso della carta d i soggiorno e della relativa condizione reddituale affinché gli stranieri inabili civili possano fruire della pensione di inabilità e dell’assegno di accompagnamento; che, successivamente alla pronuncia della ordinanza di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 306 del 2008, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei richiamati art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000 e art. 9, comma 1, del decreto legislativo n. 286 del 1998 – come modificato dall’art. 9, comma 1, della legge n. 189 del 2002 e poi sostituito dall’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo) – nella parte in cui escludono che l’indennità di accompagnamento, di cui all’art. 1 della legge n. 18 del 1980, possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del citato d.lgs. n. 3 del 2007, per i permessi di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; che questa Corte, con la successiva sentenza n. 11 del 2009, ha esteso i richiamati dicta anche alla pensione di inabilità, dichiarando la illegittimità costituzionale dei medesimi artt. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, e 9, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, come successivamente modificato, nella parte in cui appunto escludono che la pensione di inabilità di cui all’art. 12 della legge n. 118 del 1971 possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del d.lgs. n. 3 del 2007, per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; che, per effetto delle indicate pronunce, le disposizioni oggetto di impugnativa sono state espunte dall’ordinamento, proprio nella parte attinta dal dubbio di costituzionalità, facendo, dunque, venire meno l’oggetto della questione sollevata dal Tribunale rimettente, con la conseguenza che la questione risulta manifestamente inammissibile (ordinanza n. 17 del 2009). Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), e dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 9 della legge 30 luglio 2002, n. 189, in relazione all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili) ed alla legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili), sollevata in riferimento agli artt. 117, primo comma, 2 e 3 della Costituzione, dal Tribunale di Pistoia con l’ord inanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2010. F.to: Ugo DE SIERVO, Presidente Paolo GROSSI, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2010. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA SENTENZA N. 112 ANNO 2010 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Liguria 16 febbraio 2009, n. 1 recante «Istituzione del Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT) Euroregione Alpi Mediterraneo», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 27 aprile 2009, depositato in cancelleria il 5 maggio 2009 ed iscritto al n. 30 del registro ricorsi 2009. Visto l’atto di costituzione della Regione Liguria; udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2010 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro; uditi l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Orlando Sivieri per la Regione Liguria. Ritenuto in fatto 1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso spedito per la notifica il 27 aprile 2009, depositato il successivo 5 maggio, ha proposto questione di legittimità costituzionale, in via principale, della legge della Regione Liguria 16 febbraio 2009, n. 1, pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Liguria 25 febbraio 2009, n. 4, parte prima, recante «Istituzione del Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT) Euroregione Alpi Mediterraneo», per contrasto con gli artt. 97, 117, 118 della Costituzione e, in particolare, dell’art. 1, comma 1 e 2, comma 2, lettere b) e d), della medesima legge, per contrasto con l’art. 117, primo comma della Costituzione. 2. – Il ricorrente premette che la legge regionale impugnata è stata emanata con la dichiarata finalità di favorire una «strategia congiunta di sviluppo economico e sociale e di promozione comune nei confronti delle Istituzioni europee, al fine di rafforzare i legami, politici, economici sociali e culturali delle rispettive popolazioni». A questo fine, viene previsto che la Regione Liguria partecipi alla costituzione, ai sensi del Regolamento CE n. 1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, di un Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT), avente sede in Francia, denominato «Euroregione Alpi Mediterraneo», attraverso la stipula di una Convenzione e di uno Statuto, allegati alla legge, che ne disciplinano l’organizzazione ed il funzionamento. 2.1. – Il Presidente del Consiglio dei Ministri ritiene che la legge regionale sia illegittima, in primo luogo, per violazione del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 117 e 118, Cost., nonché per violazione dell’art. 97, della Costituzione. La difesa erariale espone che il regolamento CE n. 1082/2006 (d’ora in avanti “Regolamento”), il quale ha introdotto nell’ordinamento comunitario l’istituto del Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (d’ora in poi GECT), ha previsto, tra l’altro, che il GECT ha personalità giuridica, secondo la legislazione dello Stato membro nel quale si stabilisce la sede sociale e che ha l’obiettivo di facilitare e promuovere la cooperazione transfrontaliera e la cooperazione territoriale tra i suoi membri, al fine esclusivo di rafforzare la coesione economica e sociale (art. 1). L’art. 4, paragrafo 2, del regolamento impone, inoltre, il dovere di notifica allo Stato, da parte dei potenziali membri, dell’intenzione di costituire o partecipare al GECT. Tale notifica viene configurata come una richiesta di autorizzazione, in quanto lo Stato membro, «tenuto conto della sua struttura costituzionale», può decidere se autorizzare o meno la costituzione o partecipazione al GECT, entro tre mesi dalla ricezione della domanda di autorizzazione. Lo Stato membro, inoltre, è chiamato a designare le autorità competenti a ricevere le notifiche e i documenti. In data 27 gennaio 2009, la Regione Liguria, in applicazione analogica dell’art. 6, comma 2, della legge 5 giugno 2003 n. 131, (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), nelle more dell’approvazione delle disposizioni nazionali di attuazione del regolamento, ha provveduto a notificare al Dipartimento affari regionali la sua adesione al GECT. Il ricorrente ricorda in proposito che il Consiglio di Stato, con parere n. 3665/2007 reso nell’Adunanza del 9 ottobre 2007, si era espresso negativamente su uno schema di regolamento governativo teso a dare attuazione al regolamento comunitario, ritenendo inadeguata la fonte di rango secondario. Alla luce di ciò, le disposizioni di attuazione del regolamento sono, quindi, state inserite nel disegno di legge comunitaria 2008, approvato in prima lettura dal Senato il 17 marzo 2009 al momento della redazione del ricorso. Ciò posto, la difesa erariale assume che, disciplinando con legge la partecipazione alla costituzione del GECT prima della conclusione del procedimento mediante il quale il Governo avrebbe dovuto autorizzarne la partecipazione, la Regione Liguria avrebbe violato il principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione ed il principio di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione, in relazione all’art. 16, paragrafo 1, del Regolamento, il quale prevede che gli Stati membri adottino le disposizioni che reputano opportune per assicurare l’effettiva applicazione del regolamento stesso. Infatti, la legge regionale non conterrebbe alcuna disposizione di sospensione degli effetti in attesa della prevista autorizzazione, limitandosi, l’art. 4, a disporre che la partecipazione della Regione Liguria al «GECT Euroregione Alpi Mediterraneo» debba intendersi «perfezionata a conclusione delle procedure statali di approvazione previste dal regolamento CE n. 1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio». 2.2. – Il ricorrente deduce, inoltre, la violazione dell’art.117, primo comma, della Costituzione, in virtù del quale la potestà legislativa deve essere esercitata dalle Regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. In primo luogo, infatti, l’art. 1, comma 1, della legge regionale, nel quale sono indicati tra gli obiettivi della Regione Liguria e delle altre regioni il rafforzamento dei «legami politici, economici, sociali e culturali», avrebbe ampliato le competenze assegnate al GECT dal Regolamento, che agli artt. 1, paragrafo 2, e 7, paragrafo 2, limita gli obiettivi ed i compiti del GECT«all’agevolazione e alla promozione della cooperazione territoriale ai fini del rafforzamento della coesione economica e sociale». Inoltre, l’art. 2, comma 2, alle lettere b) e d), prevedendo rispettivamente tra i compiti del GECT la «promozione degli interessi dell’Euroregione presso gli Stati e le istituzioni europee» e la «adesione ad organismi, associazioni e reti conformi agli obiettivi del GECT», si porrebbe in contrasto con il citato art. 7 del Regolamento, che limita invece le attività del GECT alla «attuazione di programmi o progetti di cooperazione territoriale cofinanziati dalla Comunità». 3. – Si è costituita nel giudizio la Regione Liguria, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro-tempore, con atto depositato il 4 giugno 2009, deducendo l’infondatezza delle censure e chiedendone il rigetto. La difesa regionale premette che la volontà di costituire l’Euroregione si era già manifestata nel 2005 e si era concretizzata con la firma di una dichiarazione di intenti nel 2006 e con un successivo protocollo di intesa firmato il 18 luglio 2007. Tuttavia, mentre lo Stato francese aveva già provveduto ad adottare le norme nazionali in materia, quello italiano non aveva ancora adottato una simile normativa. 3.1. – Ciò premesso, la Regione Liguria, quanto alla violazione del principio di leale collaborazione e di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, assume di non aver inteso sostituirsi allo Stato in materia di approvazione della partecipazione al GECT, posto che l’art. 4 della legge impugnata, in virtù del quale la partecipazione al GECT deve intendersi perfezionata a conclusione delle procedure statali di approvazione previste dal regolamento, non lascia dubbi sul riconoscimento delle prerogative statali in materia. Sarebbe, dunque, ingiustificata la preoccupazione del ricorrente per l’assenza di una clausola di sospensione degli effetti, in attesa dell’autorizzazione alla costituzione del GECT. 3.2. – In relazione, poi, alla violazione dell’art. 117, comma 1, da parte dell’art. 1, comma 1, della legge impugnata, la difesa regionale replica ricordando che da oltre vent’anni le amministrazioni regionali proponenti il GECT promuovono lo sviluppo economico e sociale congiunto dei propri territori, attraverso l’efficace utilizzazione dei fondi strutturali, ed in particolare dei fondi di cooperazione territoriale. Tale forma di cooperazione favorirebbe, evidentemente, non solo le relazioni economiche e sociali, ma anche quelle politiche ed istituzionali, sempre nel rispetto della legislazione nazionale. Del resto, l’articolo 158 del Trattato CE (nella versione in vigore fino al 30 novembre 2009, ora art. 174 TFUE), collegherebbe la coesione economica e sociale allo «sviluppo armonioso dell’insieme della Comunità», e tale sviluppo produrrebbe innegabili ricadute anche di tipo politico, senza che ciò abbi a quella “portata sovversiva” che lo Stato sembra lamentare. 3.3. – Infine, la Regione Liguria afferma che le medesime considerazioni possono svolgersi anche con riguardo alla censura relativa all’art. 2, comma 2, lettere b) e d), norma della quale lo Stato opera un’interpretazione «eccessivamente restrittiva». A sostegno di ciò, la difesa regionale ricorda che molte Convenzioni di GECT già approvate dagli Stati membri, conterrebbero norme analoghe, come nel caso dell’Eurometropole Lille-Kortrijk-Tournai e del Dunkirque-Cóte d’Opale-West Flanderen, dove si prevedono fra i compiti quello di «assicurare la rappresentanza e la concertazione politica del territorio» e, addirittura, la rappresentanza del territorio verso terzi «a scala regionale, nazionale, europea». 4. – In data 2 febbraio 2010, la Regione Liguria ha depositato una memoria, nella quale, fermo restando quanto già argomentato in sede di intervento, ribadisce gli argomenti in favore dell’infondatezza della questione. In particolare la Regione deduce che per l’adesione al GECT, attesa la mancanza degli adempimenti di parte statale per il recepimento del regolamento, era stata fatta applicazione delle disposizioni dell’art. 6, comma 2, della legge 5 giugno 2003 n. 131(Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), il quale prevede la possibilità di «concludere con enti territoriali interni ad altro stato, intese dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, dandone comunicazione prima della firma alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli affari regionali – DAR – ed al Ministero per gli affari esteri, ai fini delle eventuali osservazioni di questi ultimi e dei Ministeri competenti entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali le regioni possono sottoscrivere l’intesa». La legge regionale impugnata, in particolare, non avrebbe voluto (né potuto), anticipare l’operatività dell’istituto «GECT» rispetto agli atti autorizzatori di parte statale, come sarebbe evidente non solo dalla formulazione dell’art. 4, ma anche dall’attivazione della procedura ex art. 6, comma 2, legge n. 131 del 2003. Ciò posto, la Regione ricorda che, a seguito di un incontro tecnico tra le tre regioni interessate ed i rappresentanti del DAR, veniva redatto un nuovo testo concordato di Statuto e Convenzione, a cui ha poi fatto seguito l’autorizzazione statale alle regioni a partecipare al GECT «Euroregione Alpi Mediterraneo», pervenuta alla Liguria con nota del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, prodotto in atti. Inoltre, la nuova convenzione ed il nuovo statuto sono stati inseriti dalla Regione Liguria in un disegno di legge modificativo della legge regionale n. 1 del 2009. Il nuovo testo di legge, con gli allegati Statuto e Convenzione, sarebbe in grado di superare le ragioni dell’impugnazione, in quanto nell’articolo 1, comma 1 della legge regionale n. 1 del 2009 e nell’articolo 6, comma 1 della Convenzione e dello Statuto, viene soppressa la parola «politici», mentre all’art. 2, comma 2, alla lettera d), si precisa che gli obiettivi del GECT sono di «cooperazione territoriale». Sulla base di queste considerazioni e delle intervenute modifiche, la Regione ritiene che ogni preoccupazione sull’utilizzo dello strumento del GECT a fini esorbitanti dagli obiettivi ad esso assegnato dal regolamento sia da ritenere infondata. Conseguentemente si chiede che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere o, in subordine, che l’impugnativa sia respinta in quanto infondata. 5. – All’udienza del 24 febbraio 2010 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha ribadito le conclusioni di cui al ricorso, mentre la Regione Liguria ha insistito per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, producendo copia della legge regionale 15 febbraio 2010, n. 2, recante «disposizioni di adeguamento della normativa regionale», pubblicata nel B.U. 17 febbraio 2010, n. 2. Considerato in diritto 1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita, in primo luogo, della legittimità costituzionale della legge della Regione Liguria 16 febbraio 2009, n. 1, recante «Istituzione del Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT) Euroregione Alpi Mediterraneo», per contrasto con gli artt. 97, 117, 118 della Costituzione. La legge impugnata avrebbe violato il principio di leale collaborazione (artt. 117 e 118 della Costituzione), nonchè il principio di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione), in quanto la Regione Liguria avrebbe disciplinato la partecipazione alla costituzione del GECT prima della conclusione del procedimento mediante il quale il Governo avrebbe dovuto autorizzarne la partecipazione, a norma dell’art. 16, paragrafo 1, del Regolamento CE n. 1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, senza peraltro prevedere alcuna sospensione degli effetti in attesa del provvedimento autorizzatorio. 2. – La questione non è fondata. 3. – Questa Corte ha già affermato che l’esercizio dell’attività legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione (sentenze n. 249 del 2009 e n. 159 del 2008) e che non risulta individuabile un fondamento costituzionale di un simile obbligo (sentenza n. 196 del 2004). Pertanto, non può ritenersi che la legge regionale impugnata sia illegittima per la mancata tempestiva interlocuzione con lo Stato, nell’ambito del procedimento autorizzatorio previsto dal regolamento europeo. Inoltre, con riguardo ai principi di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), va osservato che l’art. 4 della legge, prevedendo che la partecipazione al GECT «si deve intendere perfezionata a conclusione delle procedure statali di approvazione previste dal Regolamento CE n. 1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio», contiene una sostanziale sospensione degli effetti legati all’adesione, peraltro in coerenza con le disposizioni cogenti contenute nel citato regolamento. Sicché non può ritenersi che la Regione abbia proceduto a dare attuazione alla normativa comunitaria prima che lo Stato ne abbia disposto la trasposizione nel proprio ordinamento. Ciò in effetti è avvenuto, con gli artt. 46, 47 e 48, della legge 7 luglio 2009, n. 88 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2008) e con il D.P.C .M. 6 ottobre 2009, recante «istituzione del registro dei Gruppi europei di cooperazione territoriale (GECT)». 4. – Viene, poi, censurato l’art. 1, comma 1, della legge regionale, che, indicando tra gli obiettivi della Regione Liguria e delle altre Regioni il rafforzamento dei «legami politici, economici, sociali e culturali», amplia in tal modo le competenze assegnate al GECT dal regolamento CE n. 1082/2006, che agli artt. 1, paragrafo 2, e 7, paragrafo 2, limita gli obiettivi ed i compiti del GECT «all’agevolazione e alla promozione della cooperazione territoriale ai fini del rafforzamento della coesione economica e sociale», in violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, in virtù del quale la potestà legislativa deve essere esercitata dalle Regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. 4.1. – Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha, infine, censurato l’art. 2, comma 2, che, prevedendo rispettivamente alle lettere b) e d), tra i compiti del GECT la «promozione degli interessi dell’Euroregione presso gli Stati e le istituzioni europee» e la «adesione ad organismi, associazioni e reti conformi agli obiettivi del GECT», violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con il citato art. 7 del Regolamento CE, che limita invece le attività del GECT alla «attuazione di programmi o progetti di cooperazione territoriale cofinanziati dalla Comunità». 5. – In linea preliminare, va rilevato che la Regione Liguria, con la successiva legge regionale 15 febbraio 2010, n. 2, recante «disposizioni di adeguamento della normativa regionale», pubblicata nel B.U. 17 febbraio 2010, n. 2, ha soppresso al comma 1, dell’articolo 1, la parola: «politici». Tale modifica normativa appare di per sé sola sufficiente a ricondurre la portata precettiva della proclamazione di principio contenuta nell’art. 1, nell’ambito degli obbiettivi affidati al GECT dal regolamento comunitario, della cui violazione il ricorrente si duole. Siffatto intervento legislativo, inoltre, è avvenuto prima che la disposizione impugnata abbia esplicato effetti, trattandosi peraltro di una mera enunciazione di obbiettivi, neppure trasfusa nel nuovo statuto del GECT, sulla cui base è infatti successivamente intervenuta l’autorizzazione da parte dello Stato. Ricorrono pertanto, nella specie, le condizioni richieste dalla giurisprudenza di questa Corte perché possa essere dichiarata la cessazione della materia del contendere (ex plurimis, sentenze n. 299, n. 200 e n. 74 del 2009; n. 439 e n. 289 del 2008). 5.1. – Anche in relazione alla censura del citato art. 2, comma 2, lettere b) e d), risulta rilevante, ai fini della decisione, la citata legge regionale n. 2 del 2010, che, non solo ha soppresso il riferimento ai legami «politici», ma ha anche provveduto a modificare la lettera d) nel senso che gli organismi, associazioni e reti cui il GECT può aderire, debbano essere «conformi agli obiettivi di cooperazione territoriale del GECT». Entrambe queste modifiche risultano rilevanti per ritenere che l’intervento normativo sia stato pienamente satisfattivo anche delle ragioni di censura riferite in particolare a tali norme. In primo luogo, infatti, le attività di partecipazione del GECT di cui alla lettera d) risultano expressis verbis ricondotte alle finalità proprie della cooperazione territoriale, in aderenza alle disposizioni del più volte citato Regolamento. Inoltre, la «promozione degli interessi dell’Euroregione presso gli Stati e le istituzioni europee», di cui alla lettera b), in quanto «compito» previsto per la realizzazione degli obbiettivi del GECT (art. 2 della legge impugnata), risulta anch’esso ricondotto nell’ambito delle finalità di cooperazione territoriale che il regolamento comunitario affida ai GECT, attesa la già ricordata soppressione dell’obbiettivo del rafforzamento dei legami «politici». Anche con riferimento a tali censure va, pertanto, dichiarata la cessazione della materia del contendere, dovendosi escludere ogni applicazione della pregressa normativa per il periodo precedente alla modifica, in virtù del citato art. 4 della legge impugnata, secondo il quale l’adesione al GECT doveva intendersi perfezionata solo a conclusione delle procedure statali di approvazione previste dal Regolamento. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Liguria 16 febbraio 2009, n. 1, recante «Istituzione del Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT) Euroregione Alpi Mediterraneo», promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione agli artt. 97, 117, 118 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe; dichiara la cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 comma 1 e dell’art. 2, comma 2, lettere b) e d), della legge della Regione Liguria 16 febbraio 2009, n. 1, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2010. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Giuseppe TESAURO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2010. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA |