Ultime
pronunce pubblicate deposito del 01/04/2010 |
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124/2010 pres. AMIRANTE, red. SAULLE |
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125/2010 pres. AMIRANTE, red. QUARANTA |
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126/2010 pres. AMIRANTE, red. GALLO |
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Deposito del 01/04/2010 (dalla 124 alla 126) |
S.124/2010 del 24/03/2010 Udienza Pubblica del 09/02/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore SAULLE Norme impugnate: Art. 1 della legge della Regione Calabria 11/11/2008, n. 38; artt. 2, 3, c. 1°, 5, c. 2° e 3°, e Allegato sub 1, punti 2.3 e 4.2, lett. f), i), l) ed o), della legge della Regione Calabria 29/12/2008, n. 42. Oggetto: Energia - Norme della Regione Calabria - Autorizzazioni alla costruzione e all'esercizio di impianti alimentati da fonte rinnovabile - Sospensione, ai sensi della legge regionale n. 15/08, per 120 giorni delle procedure di rilascio di nuove autorizzazioni e della realizzazione di impianti assentiti i cui lavo ri non siano iniziati al 28 maggio 2008 - Proroga della sospensione di ulteriori 60 giorni Energia - Norme della Regione Calabria - Energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili - Individuazione delle soglie di potenza autorizzabili nel 2009, nelle more della approvazione del PEAR (piano energetico ambientale regionale); Costituzione, per ciascuna fonte, di una riserva strategica regionale (SERC) sino al venti per cento, finalizzata ad azioni per lo sviluppo industriale regionale - Stipulazione di protocolli di intesa con primari operatori "preferibilmente con partenariato calabrese, che destinino una significativa quota degli investimenti per l'attività di sviluppo industriale ed economico sul territorio calabrese, anche nella componentistica energetica" e assegnazione "di quote di energia a soggetti che gestiscono servizi pubblici caratterizzati da un elevato fabbisogno energetico, al fine di favorire la riduzione dei relativi costi"; Decadenza ope legis delle istanze di autorizzazioni pendenti, presentate prima d ell'entrata in vigore della legge che risultino in contrasto con essa o che ne pregiudichino l'attuazione; Elenco di tipologie di impianti soggetti alla sola disciplina della denuncia di inizio attività (DIA) per i quali è stabilita una soglia maggiore di quella prevista dalla tabella di cui all'art. 2, comma 161, della legge n. 244/2007; Impianti eolici - Domanda di autorizzazione unica - Documentazione a corredo - Studio delle potenzialità anemologiche del sito che siano tali da garantire una producibilità annua di almeno 1800 ore equivalenti di vento; Domanda di autorizzazione unica - Documentazione a corredo - Deliberazione favorevole del consiglio comunale sul cui territorio insiste il progetto; Atto di impegno del proponente in ordine a residenza fiscale, garanzie fideiussorie, favore per l'imprenditoria e l'occupazione locale, nonché versamento di oneri istruttori e di monitoraggio. Dispositivo: illegittimità costituzionale - non fondatezza Atti decisi: ric. 6 e 17/2009 |
S.125/2010 del 24/03/2010 Udienza Pubblica del 10/03/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore QUARANTA Norme impugnate: Artt. 3, 4, 6, 10, 11 e 12, c. 1°, della legge della Regione Lombardia 26/05/2008, n. 15. Oggetto: Appalti pubblici - Norme della Regione Lombardia - Infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, riconosciute di concorrente interesse regionale ai sensi dell'art. 161, comma 1, del D.Lgs. 163/2006, ricomprese o riconducibili prevalentemente al territorio lombardo - Procedura di approvazione del progetto preliminare e procedura per l a valutazione di impatto ambientale (VIA) - Attribuzione di competenze alla Regione - Lamentata adozione di disciplina unilaterale, difforme da quella prevista nella normativa statale di riferimento vincolante per i legislatori regionali, e in carenza di preventiva intesa con gli organi statali; Procedure di valutazione di verifica di conformità ambientale e di autorizzazione del progetto definitivo - Attribuzione di competenze alla Regione - Lamentata adozione di disciplina unilaterale, difforme da quella prevista nella normativa statale di riferimento vincolante per i legislatori regionali, e in carenza di preventiva intesa con gli organi statali; Procedura di approvazione del progetto - Intervento regionale in assenza di intese con organi statali o in caso di inerzia degli stessi; Concessioni e relativa disciplina - Approvazione con decreto del Presidente della Giunta regionale; Facoltà di affidamento a contraente generale della progettazione definitiva, della progettazione esecutiva e della realizzazione con q ualsiasi mezzo delle opere, ponendo a base di gara il progetto preliminare o il progetto definitivo - Facoltà prevista solo per il concessionario e non anche per il soggetto aggiudicatore; Rinvio alle norme contenute nel codice degli appalti applicabili in quanto compatibili con la legge regionale. Dispositivo: cessata materia del contendere Atti decisi: ric. 42/2008 |
O.126/2010 del 24/03/2010 Udienza Pubblica del 23/02/2010, Presidente AMIRANTE, Redattore GALLO Norme impugnate: Art. 38, c. 1°, 3° e 5°, della legge della Regione Lazio 24/12/2008, n. 31. Oggetto: Enti locali - Trasporto pubblico - Norme della Regione Lazio - Trasporto pubblico locale - Espletamento del servizio da parte della Regione e degli enti locali o affidamento diretto a un soggetto giuridicamente distinto - Mancata previsione che l'affidamento c.d. in house sia condizionato all'esistenza di un "controllo analogo" a quello che l'ente affidante esercita sulle proprie strutture, nonché illegittima preferenza per l'affidamento diretto in luogo della gara d'appalto; Proroga degli affidamenti in corso fino alla conclusione delle procedure di gara o all'affidamento diretto dei servizi e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2010 - Mancata osservanza delle disposizioni statali volte ad assicurare la prevalenza dell'affidamento mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, nonché inosservanza del termine ultimo per il periodo transitorio; Autorizzazione alla Giunta regionale all'affidamento diretto dei servizi di trasporto pubblico locale su strada, con esclusione dei servizi di linea comunali, alla Spa Cotral Gestione, società a capitale interamente pubblico - Assunta insufficienza della sola detenzione in mano pubblica dell'intero capitale sociale perché possa ritenersi sussistente il requisito del "controllo analogo", nonché contrasto con la normativa statale che consente l'affidamento diretto solo in presenza di ragioni ostative al ricorso al mercato. Dispositivo: cessata materia del contendere Atti decisi: ric. 15/2009 |
SENTENZA N. 124 ANNO 2010 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 11 novembre 2008, n. 38 (Proroga del termine di cui al comma 3, art. 53, legge regionale 13 giugno 2008, n. 15) e degli artt. 2, 3, comma 1, 5, commi 2 e 3, e dell’Allegato sub 1, punti 2.3 e 4.2, lettere f), i), l) ed o), della legge della Regione Calabria 29 dicembre 2008, n. 42 (Misure in materia di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi rispettivamente notificati il 19-22 gennaio 2009 ed il 26 febbraio-2 marzo 2009, depositati in cancelleria il 28 gennaio ed il 4 marzo 2009 ed iscritti ai nn. 6 e 17 del registro ricorsi 2009. Visti gli atti di costituzione della Regione Calabria; udito nell’udienza pubblica del 9 febbraio 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle; uditi l’avvocato dello Stato Enrico Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione Calabria. Ritenuto in fatto 1. − Con separati ricorsi, il primo notificato il 19-22 gennaio 2009 e depositato il successivo 28 gennaio (registro ricorsi n. 6 del 2009), il secondo notificato il 26 febbraio-2 marzo 2009 e depositato il successivo 4 marzo (registro ricorsi n. 17 del 2009), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato: l’art. 1 della legge della Regione Calabria 11 novembre 2008, n. 38 (Proroga del termine di cui al comma 3, art. 53, legge regionale 13 giugno 2008, n. 15), per violazione degli artt. 3, 97 e 117, primo comma, secondo comma, lettere e) e s), e terzo comma, della Costituzione; nonché gli artt. 2, 3, comma 1 e l’art. 5, commi 2 e 3, l’Allegato sub 1, punti 2.3 e 4.2, lettere f), i), l) ed o), della legge della Regione Calabria 29 dicembre 2008, n. 42 (Misure in materia di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili), per violazione degli artt. 97, 4 1 e 117, primo e terzo comma, della Costituzione. 1.1. − Il ricorrente ritiene che l’art 1 della legge regionale n. 38 del 2008, nel prorogare di sessanta giorni la sospensione prevista dall’art. 53, comma 3, della legge regionale 13 giugno 2008, n. 15 (Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8), si ponga in contrasto con gli indicati parametri costituzionali. L’art. 53, comma 3, della legge regionale n. 15 del 2008, richiamato dalla disposizione impugnata, disciplina i procedimenti di autorizzazione alla costruzione di impianti alimentati da fonti rinnovabili e prevede che «per non oltre 120 giorni dalla entrata in vigore della presente normativa […], sono sospese le procedure di rilascio di nuove autorizzazioni, nonché la realizzazione di impianti assentiti, i cui lavori non abbiano avuto materialmente inizio alla data del 28 maggio 2008 […]». La difesa erariale osserva che per effetto della disposizione impugnata è violato il principio fondamentale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia sancito dall’art. 12, comma 4, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), che fissa in centottanta giorni il termine di conclusione dei procedimenti di autorizzazione sopra indicati. L’Avvocatura ritiene, poi, che l’art. 1 della legge regionale n. 38 del 2008 non consente allo Stato il rispetto della direttiva 27 settembre 2001 n. 2001/77/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) recepita dal d.lgs. n. 387 del 2003, con conseguente violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione. A parere della difesa erariale, poi, la disciplina censurata, da un lato, contrasta con la normativa statale in materia di tutela dell’ambiente, dall’altro, comprime il diritto degli operatori commerciali del settore energetico ad espletare la propria attività in condizioni di parità tra loro. L’Avvocatura osserva, infine, che seppure l’art. 1 abbia esaurito i suoi effetti, poiché i sessanta giorni di proroga da esso previsti sono iniziati a decorrere dal 16 novembre 2008, ciò non fa venir meno l’interesse al ricorso in ragione della intervenuta applicazione della norma impugnata. 1.2 − Oggetto di specifica censura da parte dell’Avvocatura sono, poi, diverse disposizioni contenute nella legge della Regione Calabria n. 42 del 2008 (registro ricorsi n. 17 del 2009). Il ricorrente ritiene l’art. 2 in contrasto con gli artt. 41 e 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui prevede, nelle more dell’aggiornamento del Piano energetico ambientale regionale (PEAR) e della ripartizione nazionale tra le regioni delle produzioni di energia alternativa, soglie massime di potenze autorizzabili per ciascuna fonte (eolica, fotovoltaica, etc). L’Avvocatura osserva che tale disposizione, senza un valido criterio, limita la produzione di energia da fonti rinnovabili, pregiudicando in tal modo l’iniziativa economica del relativo settore ed impedendo il raggiungimento dell’obiettivo di incrementare la suddetta produzione perseguito dallo Stato in attuazione di specifici obblighi internazionali e comunitari. La difesa erariale indica, a tale proposito, le direttive n. 2001/77/CE e n. 2006/32/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e recante abrogazione della direttiva 93/76/CEE del Consiglio), nonché il Protocollo di Kyoto aggiunto alla Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato l’11 dicembre 1997 (ratificato e reso esecutivo con legge 1° giugno 2002, n. 120). 1.3 − Il ricorrente impugna, poi, l’art. 3 della legge regionale n. 42 del 2008 che prevede l’istituzione, entro i limiti di potenza autorizzabile ai sensi del precedente art. 2, di una riserva strategica fino al 20% per ciascuna fonte di energia rinnovabile da destinare ad azioni volte a garantire lo sviluppo del tessuto industriale regionale. In particolare, l’Avvocatura censura la norma regionale nella parte in cui essa prevede che la suddetta riserva potrà essere variamente utilizzata dalla Regione: da un lato, per stipulare accordi con operatori nel settore dell’energia, preferibilmente «con partenariato calabrese, che destinino una significativa quota degli investimenti per attività di sviluppo industriale ed economico sul territorio calabrese, anche nella componentistica energetica»; dall’altro, «per assegnare quote di energia a soggetti che gestiscono servizi pubblici caratterizzati da un elevato fabbisogno energetico, al fine di favorire la riduzione dei relativi costi». La difesa erariale ritiene che in tal modo il legislatore regionale avrebbe previsto una corsia preferenziale di accesso al mercato per determinati soggetti in violazione degli artt. 41 e 117, terzo comma, della Costituzione. Con riferimento a tale ultimo parametro assumerebbero rilievo il principio della libertà della produzione di energia elettrica sancito dall’art. 1 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica) e il principio di cui all’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del 2003, che pone il divieto di subordinare l’autorizzazione all’installazione di impianti di produzione di energia alternativa a misure di compensazione a favore della Regione. 1.4 − L’art. 5, commi 2 e 3, viene impugnato nella parte in cui prevede la decadenza ope legis delle istanze di autorizzazione pendenti alla data di entrata in vigore delle norme contenute nella legge regionale n. 42 del 2008 alle quali, pertanto, viene attribuita efficacia retroattiva. Tale previsione contrasterebbe con i principi di buona fede, affidamento e certezza del diritto, nonché con l’art. 97 della Costituzione, in quanto impedisce lo svolgimento dei procedimenti amministrativi di autorizzazione in corso, sede naturale di ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti negli stessi. Risulterebbero, altresì, violati gli artt. 2 e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) che impongono la conclusione dei suddetti procedimenti con un provvedimento motivato. 1.5 − Ulteriore censura è poi proposta nei confronti del punto 2.3 dell’Allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008, il quale individua un elenco di tipologie di impianti (con potenza nominale inferiore o uguale a 500 Kwe) soggetti alla sola disciplina della denuncia di inizio attività (DIA). Tale previsione, a parere della difesa erariale, sarebbe in contrasto con il principio fondamentale in materia di energia, fissato dall’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003 e, quindi, con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione. La disposizione statale richiamata prevede, per effetto dell’art 2, comma 161, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008), delle soglie di potenza di energia diverse da quelle individuate dal legislatore regionale consentendo la loro modifica solo ad opera di un decreto adottato dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata. L’individuazione da parte del legislatore regionale degli impianti assoggettabili al procedimento di DIA non sarebbe, poi, fatta in base alla tipologia dei siti di installazione, ma su criteri idonei a determinare effetti distorsivi della concorrenza, con conseguente violazione dell’art. 41 della Costituzione. Sarebbe, infatti, contrario al principio della libera concorrenza introdurre il regime semplificato della DIA per gli impianti destinati all’autoconsumo e negarlo per gli altri che hanno una diversa finalità ma uguale impatto sul territorio. 1.6 − Il successivo punto 4.2, lettera f), dell’Allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008, prevede che alla domanda di autorizzazione alla realizzazione di impianti eolici deve essere allegato uno studio delle potenzialità anemologiche del sito che siano tali da garantire una «producibilità annua di almeno 1800 ore equivalenti di vento». Tale previsione, a parere dell’Avvocatura, violerebbe l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in quanto, nel porre una moratoria all’installazione di impianti eolici, impedisce il raggiungimento dell’obiettivo di incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili perseguito dallo Stato in attuazione di specifici obblighi internazionali e comunitari (Protocollo di Kyoto, direttiva 2001/77/CE, direttiva 2006/32/CE). Sarebbero, infatti, pochi i siti idonei a garantire la produzione richiesta dal legislatore regionale tenuto conto del fatto che, nell’anno 2007, la media nazionale di funzionamento di tutti gli impianti eolici installati sul territorio nazionale è stata di circa 1500 ore. La norma impugnata sarebbe anche in contrasto con l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, in quanto indica una condizione per il rilascio dell’autorizzazione estranea a quelle previste dalla norma statale che vale quale principio fondamentale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. 1.7 − Il punto 4.2, lettera i), dell’Allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008, stabilisce che la domanda di autorizzazione per la installazione di impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile sia corredata, per quelli di potenza superiore a 500 Kwe, anche dalla deliberazione favorevole del Consiglio comunale sul cui territorio insiste il progetto. Secondo il ricorrente tale statuizione si pone in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione e con il principio di cui all’art.12 del d.lgs. n. 387 del 2003 che, nel qualificare come indifferibili ed urgenti e di pubblica utilità le opere tese a realizzare i sopra indicati impianti, le sottopone ad una autorizzazione unica (comma 3), senza prevedere il rilascio di ulteriori atti amministrativi. 1.8 − L’Avvocatura impugna, infine, il punto 4.2 lettere l) ed o) dell’Allegato sub 1 della legge n. 42 del 2008. La prima disposizione prevede che alla domanda di autorizzazione per la costruzione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile debba essere allegato un atto con il quale il richiedente si impegna, tra l’altro, a costituire prima del rilascio della suddetta autorizzazione, una società di scopo con residenza fiscale nel territorio della Regione Calabria; a sottoscrivere garanzie fideiussorie; a favorire l’imprenditoria calabrese nella fase della realizzazione; a facilitare l’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di unità lavorative per la gestione dell’impianto; a versare a favore della Regione Calabria la somma di 50 €cent per ogni KW eolico di potenza elettrica nominale autorizzata (€ 1,5 per le altre tipologie) quali oneri per monitoraggio con relativa dotazione di antinfortunistica e per l’accertamento della regolare esecuzione delle opere. La successiva lettera o) stabilisce che il richiedente l’autorizzazione alleghi alla domanda la ricevuta di avvenuto versamento degli oneri istruttori a favore della Regione Calabria pari ad € 100 per ogni MW per il quale si richiede l’autorizzazione, con un minimo di € 300. Dette disposizioni, a parere della difesa erariale, pongono una serie di condizioni per l’avvio del procedimento autorizzatorio estranee all’oggetto dello stesso, che limitano la libertà di iniziativa economica nel settore in esame (prevista espressamente dall’art 1 del d.lgs. n. 79 del 1999) con conseguente mancato rispetto degli obblighi internazionali e comunitari già indicati che impongono l’incremento di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Sarebbe, altresì, violato l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, perché le suddette condizioni comportano dei vantaggi di rilievo economico a favore della Regione espressamente vietati dall’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003. Gli oneri economici previsti dalle indicate disposizioni sarebbero anche in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, in quanto, in modo irragionevole, discriminano gli operatori italiani rispetto a quelli comunitari 2. − Nei giudizi instaurati dal Presidente del Consiglio dei ministri si è costituita la Regione Calabria chiedendo alla Corte di dichiarare, quanto al ricorso iscritto al reg. ric. n. 6 del 2009, la cessazione della materia del contendere e, comunque, l’inammissibilità o l’infondatezza di tutte le questioni sollevate con entrambi i ricorsi. La resistente, in via preliminare, rileva che la politica di promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili può trovare applicazione solo dopo un’adeguata valutazione dell’impatto che i relativi impianti hanno sul territorio e, quindi, un opportuno contemperamento delle diverse competenze che la Costituzione assegna, rispettivamente, alle Regioni e allo Stato. L’esigenza di una congrua programmazione troverebbe il suo fondamento normativo nell’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale, nel dare attuazione alla direttiva n. 2001/77/CE, prevede l’adozione in sede di Conferenza unificata delle linee guida per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione all’installazione e all’esercizio di impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile e ciò al fine di assicurare, in particolare per quelli eolici, il loro corretto inserimento nel paesaggio. La Regione Calabria ritiene che la mancata adozione delle indicate linee ha comportato, da un lato, l’impossibilità per le Regioni di rispettare il termine di conclusione dei procedimenti di autorizzazione alla installazione dei suddetti impianti imposto dalle norme statali; dall’altro, il necessario intervento del legislatore regionale che con le leggi oggetto del presente giudizio ha provveduto a colmare la suddetta lacuna normativa. Esemplificativo in tal senso sarebbe l’art. 53 della legge regionale n. 15 del 2008 con il quale la Regione Calabria, in attesa della ripartizione nazionale tra le regioni delle quote di energia derivante da fonti rinnovabili che ognuna di esse si impegna a produrre, e del Piano energetico ambientale regionale, ha disposto la sospensione delle procedure volte al rilascio di nuove autorizzazioni. 2.1 − Fatte queste premesse, la resistente, in via preliminare, ritiene le censure proposte nei confronti dell’art. 1 della legge regionale n. 38 del 2008 inammissibili. Innanzitutto, l’esistenza del presunto contrasto della norma impugnata con gli artt. 3 e 117, secondo comma, lettere e) e s), della Costituzione sarebbe affermato in modo generico ed apodittico. Anche la censura riguardante l’asserita violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, sarebbe inammissibile, in quanto nel ricorso non vi sarebbe alcuna motivazione sul perché le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 387 del 2003 costituiscano attuazione non derogabile della normativa comunitaria. Secondo la Regione anche la censura riferita all’art. 117, terzo comma, della Costituzione è inammissibile, in quanto la difesa erariale nell’impugnare l’art. 1, non tiene conto del fatto che esso ha ad oggetto due distinte fattispecie: l’una afferente i procedimenti di autorizzazione in corso alla data della sua entrata in vigore; l’altra i lavori non ancora eseguiti di impianti già autorizzati. La diversità della disciplina introdotta dalla norma censurata avrebbe imposto la proposizione di due distinte impugnazioni, poiché l’art 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, richiamato quale principio fondamentale asseritamente violato, si limita a prevedere solo il termine di conclusione del procedimento di autorizzazione, non disponendo nulla relativamente ai tempi di realizzazione degli impianti autorizzati. Infine, la resistente ritiene che sia sopravvenuta la carenza di interesse ad impugnare, in quanto la disciplina in esame è stata radicalmente modificata dalla legge regionale n. 42 del 2008, la quale si applica anche ai procedimenti di autorizzazione non ancora conclusi al momento della sua entrata in vigore, di talché l’eventuale accoglimento della questione di legittimità sollevata non produrrebbe alcun effetto. Nel merito, la Regione Calabria ritiene le censure relative all’art. 1 della legge n. 38 del 2008, comunque, non fondate. La difesa regionale osserva che la norma impugnata attiene a materie attribuite a vario titolo alla competenza legislativa regionale quali la tutela della salute, il governo del territorio, la produzione dell’energia, ponendosi l’obiettivo di garantire un uso equilibrato e omogeneo del territorio regionale senza, peraltro, ledere in alcun modo i diritti degli operatori del settore dell’energia, risultando, pertanto, inconferente il richiamo alla tutela della concorrenza operato dal ricorrente. In particolare, con riferimento alla presunta violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, la Regione ritiene che l’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003 non possa essere considerato principio fondamentale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. Tale convincimento si basa sull’intervenuta modifica del richiamato art. 12 ad opera dell’art. 2, comma 158, della legge n. 244 del 2007, per effetto della quale è ora prevista, nell’ambito del più generale procedimento di autorizzazione alla costruzione di impianti alimentati da fonti alternative di energia, un’ulteriore fase che non consentirebbe più il rispetto del termine di centottanta giorni fissato dall’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003. 2.2 – Quanto al ricorso n. 17 del 2009, la Regione Calabria chiede, preliminarmente, che siano dichiarate inammissibili, in quanto prospettate in maniera generica tutte le censure relative alla asserita violazione di principi fondamentali dettati dal legislatore statale. Nel merito, quanto alla impugnazione dell’art. 2, della legge regionale n. 42 del 2008, la Regione rileva che tale norma ha natura meramente transitoria in quanto si limita a prevedere, nelle more dell’approvazione del Piano energetico ambientale regionale (PEAR) e della ripartizione nazionale tra le Regioni delle produzioni di energia da fonti rinnovabili, livelli autorizzabili di produzione per ognuna di esse. Ciò sarebbe finalizzato ad evitare che, in mancanza di un adeguato piano a livello nazionale, si creino degli squilibri nella produzione di energia alternativa a favore di un settore specifico e a danno di un altro e che la produzione non corrisponda all’effettivo fabbisogno regionale. Tali finalità non limitano la produzione di energia alternativa, ma ne regolano lo sviluppo in modo proporzionale tra le diverse fonti, ponendosi, quindi, in piena armonia con gli obiettivi previsti a livello internazionale e comunitario ai quali lo Stato è tenuto a conformarsi. Quanto alla presunta lesione dell’art. 41 della Costituzione la resistente ritiene la relativa censura inammissibile per genericità e, comunque, infondata in quanto la disposizione impugnata valorizza fondamentali esigenze di utilità sociale, indirizzando e coordinando l’attività economica a fini sociali nel rispetto del principio della programmazione. 2.3 − La Regione Calabria sostiene, poi, che l’art. 3, comma 1, non si pone in contrasto con il divieto di compensazioni in favore della Regione fissato dall’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del 2003 e ciò in quanto la Corte costituzionale ha ritenuto legittime le suddette compensazioni in caso di installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili quando esse sono tese a garantire il riequilibrio dell’ambiente e del territorio (sentenza n. 383 del 2005). La Regione ritiene, comunque, che la disposizione impugnata non le attribuisce alcun vantaggio, ma si limita a prevedere, mediante protocolli d’intesa, uno strumento idoneo ad incentivare iniziative che assicurino un maggior livello di sviluppo regionale in un’ottica di indirizzo e coordinamento dell’attività economica privata a fini sociali, risultando, pertanto, non fondata anche la censura riferita alla assunta violazione dell’art. 41 della Costituzione. 2.4 − Quanto all’art. 5, commi 2 e 3, della legge regionale n. 42 del 2008, la difesa della Regione osserva che esso è contenuto in una legge che innova completamente la pregressa disciplina in materia di produzione di energia a livello regionale; conseguentemente era necessario prevedere che le autorizzazioni non ancora rilasciate fossero conformi al nuovo quadro normativo non comportando ciò alcuna lesione dei principi di affidamento e buona fede dei privati istanti. Il mutato apprezzamento dell’interesse pubblico perseguito con la disciplina in esame non comporterebbe, poi, sempre a parere della resistente, la violazione dell’art. 97 della Costituzione, del quale, anzi, costituirebbe attuazione. 2.5 − Quanto alle censure riferite al punto 2.3 dell’Allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008, la Regione ritiene che la disposizione impugnata non attenga ad aspetti collegati con la materia dell’energia ma, che, nell’individuare gli interventi soggetti alla disciplina della dichiarazione di inizio attività, essa ponga una disciplina a tutela del territorio più rigorosa di quella statale, assoggettando al procedimento di DIA impianti che hanno una più elevata soglia di produzione. Secondo la resistente, comunque, la disposizione censurata non viola il principio fondamentale fissato dall’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003, che consente l’assoggettabilità al regime di DIA di impianti che producono anche soglie maggiori di energia rispetto a quelle originariamente fissate mediante un procedimento che non deve intendersi quale unica modalità per addivenire a tali modifiche. Quanto alla presunta violazione dell’art. 41 della Costituzione, la Regione si limita ad osservare che la previsione di un regime semplificato per gli impianti finalizzati all’autoconsumo risulta estranea ad aspetti collegati a profili concorrenziali. 2.6 − La Regione Calabria ritiene, altresì, non fondate le censure proposte avverso il punto 4.2, lettera f), dell’Allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008. Tale disposizione, infatti, si limita a evitare la realizzazione di impianti che, a fronte di una scarsa produzione di energia, comportano un notevole impatto sul territorio, con la conseguenza che con essa si è voluto indirizzare gli investimenti verso siti che garantiscono la più alta possibilità di produzione di energia alternativa perseguendo, quindi, gli obiettivi in tal senso imposti dalla normativa internazionale e comunitaria. 2.7 − Quanto alle censure riferite al punto 4.2. lettera i) dell’Allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008, la difesa regionale ritiene che la previsione secondo cui alla domanda di autorizzazione alla realizzazione dell’impianto deve essere allegata la deliberazione favorevole del Consiglio comunale il cui territorio è interessato dalla suddetta installazione, non contrasta con il principio fondamentale di cui all’art.12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e, quindi, con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione. La disposizione impugnata sarebbe, infatti, conforme a quanto previsto dall’indicato art. 12, il quale nell’imporre il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate al rilascio dell’autorizzazione, demanda alla Giunta regionale la decisione sugli eventuali dissensi emersi nell’ambito del procedimento autorizzativo. Il deposito della delibera comunale attesta il suddetto coinvolgimento e l’inesistenza del cennato dissenso da parte dell’ente locale, rendendo in tal modo inutile l’intervento della Giunta regionale e velocizzando il procedimento di autorizzazione. 2.8 − La Regione Calabria ritiene, altresì, infondate le censure proposte avverso il punto 4.2, lettere l) ed o) dell’Allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008. Le disposizioni impugnate non limiterebbero l’iniziativa economica nel settore energetico, né la parità di accesso allo stesso da parte dei diversi operatori privati, non pregiudicando, pertanto, neanche il raggiungimento degli obiettivi di incremento di produzione di energia alternativa previsti dalla normativa internazionale e comunitaria. Sul punto la resistente, dopo aver ribadito la natura di indirizzo e di coordinamento dell’attività economica privata perseguita dalla legge impugnata, osserva che gli atti di impegno previsti dalle disposizioni in esame hanno come unico scopo quello di garantire lo sviluppo regionale e non di limitare l’iniziativa privata. Non sarebbe, poi, violato il divieto di misure di compensazione, sia perché non esisterebbe alcun principio fondamentale in tal senso per le motivazioni già esposte, sia perché con gli atti di impegno la Regione non ottiene alcuna compensazione ma persegue il solo scopo di incentivare le iniziative che assicurano il maggior livello di sviluppo regionale. Infine, quanto alla presunta lesione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, la relativa censura sarebbe inammissibile per genericità e, comunque, sarebbe infondata, in quanto tutti gli operatori sono assoggetti alla medesima disciplina regionale. 2.9 − In prossimità dell’udienza la Regione Calabria ha depositato memorie relative ad entrambi i giudizi con le quali ha sostanzialmente ribadito le argomentazioni sostenute nei rispettivi atti di costituzione. Considerato in diritto 1. − Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, propone, con due distinti ricorsi, diverse censure avverso varie disposizioni contenute in due leggi della Regione Calabria aventi ad oggetto la disciplina per l’installazione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. In particolare, il ricorrente impugna l’art. 1 della legge della Regione Calabria 11 novembre 2008, n. 38 (Proroga del termine di cui al comma 3, art. 53, legge regionale 13 giugno 2008, n. 15), per violazione degli artt. 3, 97 e 117, primo e secondo comma, lettere e) e s), e terzo comma, della Costituzione; nonché l’art. 2, l’art. 3, comma 1, l’art. 5, commi 2 e 3, e l’Allegato sub 1, punti 2.3 e 4.2, lettere f), i) l) ed o), della legge della Regione Calabria 29 dicembre 2008, n. 42 (Misure in materia di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili), per violazione degli artt. 97, 41 e 117, primo e terzo comma, della Costituzione. In ragione dello stretto collegamento esistente tra le norme impugnate con i due ricorsi i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione. Prima di passare ad esaminare le singole censure occorre preliminarmente rilevare che con le norme sopra indicate la Regione Calabria ha disciplinato aspetti che, secondo la giurisprudenza costituzionale, attengono prevalentemente alla materia produzione, trasporto e distribuzione dell’energia, di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione (sentenze n. 282 e n. 166 del 2009 nonché n. 364 del 2006). Sul punto va rilevato che la normativa internazionale (Protocollo di Kyoto addizionale alla Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato l’11 dicembre 1997, ratificato e reso esecutivo con legge 1° giugno 2002, n. 120) e quella comunitaria (direttiva 27 settembre 2001, n. 2001/77/CE e direttiva 23 aprile 2009, n. 2009/28/CE) manifestano un favor per le fonti energetiche rinnovabili al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili. Il legislatore nazionale ha recepito tali indirizzi con il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), dal quale è possibile ricavare i principi fondamentali della sopra indicata materia (ex plurimis sentenza n. 364 del 2006). A tal fine è opportuno sin d’ora rilevare che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa della Regione Calabria, l’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003 non ha perso la natura di principio fondamentale per effetto della sua modifica ad opera dell’art. 2, comma 158, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008). Sul punto va osservato che detta novella non ha inciso sul termine di conclusione del procedimento di autorizzazione previsto dall’art 12, ma ha solo previsto una ulteriore possibile fase di quest’ultimo, non potendosi da ciò ritenere venuta meno la cogenza dell’indicato termine. Va poi ulteriormente osservato che, successivamente alla modifica sopra indicata, l’art. 27, comma 44, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonch é in materia di energia), ha eliminato il periodo introdotto dall’art. 2 della legge n. 244 del 2007. È, dunque, sulla base delle considerazioni che precedono che vanno scrutinate le singole disposizioni impugnate dal ricorrente. 2. − L’art. 1 della legge della Regione Calabria n. 38 del 2008 prevede che «il termine di 120 (centoventi) giorni di cui al comma 3, articolo 53, legge regionale 13 giugno 2008, n. 15 è prorogato di giorni 60 (sessanta)». L’art 53, comma 3, della legge regionale n. 15 del 2008 richiamato dalla disposizione impugnata, nel disciplinare i procedimenti di autorizzazione alla costruzione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, dispone che «per non oltre 120 giorni dalla entrata in vigore della presente normativa […], sono sospese le procedure di rilascio di nuove autorizzazioni, nonché la realizzazione di impianti assentiti, i cui lavori non abbiano avuto materialmente inizio alla data del 28 maggio 2008 […]». Il ricorrente ritiene che la proroga della sospensione disposta dall’art. 1 impugnato violi l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione ai vincoli derivanti dalla normativa comunitaria di promozione delle fonti energetiche rinnovabili, nonché gli artt. 3 e 117, secondo comma, lettere e) e s), della Costituzione. Infine, l’art. 1 impugnato violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione al principio fondamentale in materia di produzione trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, fissato dall’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, secondo il quale il procedimento di autorizzazione all’installazione di impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili deve concludersi entro centottanta giorni. 2.1. − In via preliminare, deve essere accolta l’eccezione di inammissibilità – per genericità – proposta dalla Regione in riferimento alle censure prospettate con riguardo agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettere e) e s), della Costituzione. Il ricorrente si è, infatti, limitato ad affermare che la disposizione censurata, nel sospendere i procedimenti di autorizzazione per gli impianti eolici, si pone in contrasto «con la normativa statale, posta a tutela sia della concorrenza e dell’ambiente, sia con il diritto degli operatori commerciali del settore, perché ne comprime gravemente il diritto di espletare la propria attività in condizione di parità con gli altri operatori». Tale apodittica affermazione rende il ricorso sul punto inammissibile per carenza di motivazione in ordine al presunto contrasto della disposizione impugnata con gli indicati parametri costituzionali. Le ulteriori eccezioni di inammissibilità non sono, al contrario, meritevoli di accoglimento. In proposito, risulta evidente il contenuto non derogabile delle statuizioni contenute nella direttiva n. 2001/77/CE, di cui il d.lgs. n 387 del 2003 costituisce attuazione, in quanto il legislatore comunitario, nel porre a carico degli Stati membri l’obiettivo di promuovere il maggior utilizzo delle fonti di energia rinnovabili, ha a tal uopo indicato i termini entro i quali essi devono raggiungere determinati risultati. Quanto all’eccepita mancata proposizione di due distinte censure avverso l’art. 1 della legge regionale n. 38 del 2008, è sufficiente osservare che, diversamente da quanto ritenuto dalla resistente, anche alla parte di disposizione che concerne la sospensione dei lavori non ancora eseguiti degli impianti autorizzati è applicabile il principio fondamentale fissato dall’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, in quanto la sua ratio è di semplificare i procedimenti amministrativi volti al rilascio delle autorizzazioni per l’installazione di impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili al fine di rendere più rapida la loro costruzione, non potendosi, quindi, limitare l’efficacia di tale principio al mero rilascio formale del provvedimento di autorizzazione. Non può, infine, ritenersi venuto meno l’interesse al ricorso, in quanto sebbene la norma impugnata abbia cessato di avere efficacia a seguito della sua sopravvenuta modifica, essa ha, comunque, avuto applicazione (sentenza n. 282 del 2009). 2.2 − Nel merito la questione è fondata. L’art. 1 della legge regionale n. 38 del 2008, nello stabilire un’ulteriore sospensione di sessanta giorni, rispetto a quella di centoventi giorni inizialmente prevista dall’art. 53 della legge regionale n. 15 del 2008, si pone in contrasto con l’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003 che, nel disciplinare il procedimento per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, fissa il termine massimo per la sua conclusione in centottanta giorni. La giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 364 del 2006 e n. 282 del 2009) ha riconosciuto alla citata norma natura di principio fondamentale nella suddetta materia, in quanto «tale disposizione risulta ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo». Alla luce di tali premesse risulta evidente il contrasto della norma censurata con l’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, poiché, scaduto il 14 ottobre 2008 il termine di 120 giorni di sospensione indicato dall’art. 53 (calcolato dal 17 giugno 2008, giorno di entrata in vigore la legge regionale n. 15 del 2008), per effetto dell’art. 1 della legge regionale n. 38 del 2008, il 16 novembre 2008 (data della entrata in vigore della legge impugnata) è stata disposta la proroga di ulteriori 60 giorni dell’indicato termine, comportando ciò il superamento di quello di centottanta giorni fissato dal legislatore nazionale. Anche la parte della norma censurata che, in virtù del richiamo all’art. 53, della legge regionale n. 15 del 2008 dispone la proroga della sospensione della realizzazione degli impianti assentiti si pone in contrasto con l’indicato parametro costituzionale, in quanto elusiva dei principi fondamentali di semplificazione e celerità amministrativa, risultando inutile il rilascio dell’autorizzazione se ad esso non consegue la possibilità del suo concreto utilizzo. 3. − Oggetto di specifica impugnativa è anche l’art. 2 della legge regionale n. 42 del 2008, il quale stabilisce testualmente, al comma 1, che «Nelle more dell’aggiornamento del Piano energetico ambientale regionale (PEAR) e della ripartizione nazionale tra le regioni delle produzioni di energia da fonti rinnovabili sono individuati i seguenti limiti da raggiungere entro il 2009, su scala regionale, alle potenze totali autorizzabili per ciascuna fonte rinnovabile: a) eolica 3.000 MW; b) fotovoltaica/termodinamica 400 MW; c) idraulica 400 MW; biomassa 300 MW». Il successivo comma 2 prevede che «alla concorrenza dei limiti di potenza autorizzabile di cui al precedente comma, da intendersi comprensivi della potenza già autorizzata sul territorio regionale alla data odierna, non partecipano le autorizzazioni assoggettate alla semplice «Denuncia Inizio Lavori» di cui agli artt. 22 e 23 del D.P.R. n. 380/01 e successive modificazioni ed integrazioni o soggette a semplice comunicazione preventiva». Il ricorrente ritiene che tale norma, nella parte in cui individua, nelle more di approvazione del PEAR e della ripartizione tra regioni della produzione di energia, limiti massimi autorizzabili di potenza di energia da fonti rinnovabili entro l’anno 2009, sarebbe illogica in quanto, senza alcun criterio, fissa i suddetti limiti pregiudicando l’iniziativa economica del relativo settore, nonché il raggiungimento dell’obiettivo dell’incremento della produzione di tale energia perseguito dallo Stato in attuazione di specifici impegni internazionali e comunitari (direttive 2001/77/CE e 2006/32/CE e Protocollo di Kyoto, ratificato e reso esecutivo con legge n. 120 del 2002), con conseguente violazione degli artt. 41 e 117, primo comma, della Costituzione. 3.1 − La questione è fondata. Con la disposizione censurata il legislatore regionale prevede alcuni limiti alla produzione di energia da fonti rinnovabili sul territorio regionale e, in tal modo, pone una disciplina che opera in modo diametralmente opposto rispetto alle norme internazionali (Protocollo di Kyoto) e comunitarie (art. 3 direttiva n. 2001/77/CE) le quali, nell’incentivare lo sviluppo delle suddette fonti di energia, individuano soglie minime di produzione che ogni Stato si impegna a raggiungere entro un determinato periodo di tempo. In ottemperanza agli indirizzi sopra riportati l’art. 2, comma 167, della legge n. 244 del 2007, prevede che «Il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, emana, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, uno o più decreti per definire la ripartizione fra regioni e province autonome di Trento e di Bolzano della quota minima di incremento dell’energia prodotta con fonti rinnovabili per raggiungere l’obiettivo del 17 per cento del consumo interno lordo entro 2020 ed i successivi aggiornamenti proposti dall’Unione europea […]». 4. − Il ricorrente propone, poi, una terza censura nei confronti dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Calabria n. 42 del 2008, in quanto ritiene che esso determini un accesso privilegiato al settore dell’energia per determinati operatori con conseguente violazione degli artt. 41 e 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione al principio della libertà della produzione di energia elettrica sancito dall’art. 1 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica) e del principio di cui all’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del 2003, che pone il divieto di subordinare l’autorizzazione a misure di compensazione a favore della Regione. 4.1 − In via preliminare deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità prospettata dalla resistente, con riguardo ai profili di censura riferiti alla asserita violazione dei principi fondamentali della legislazione dello Stato. La difesa della Regione Calabria ritiene che tali censure siano state prospettate in maniera generica, non avendo il ricorrente argomentato le ragioni in virtù delle quali le norme statali dallo stesso indicate, sarebbero qualificabili come principi fondamentali ed a quale materia, attribuita alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, sarebbero riferibili. Diversamente da quanto prospettato dalla resistente, dal tenore letterale del ricorso si evince, da un lato, che attraverso il richiamo all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, il ricorrente ha inteso riferirsi alla materia produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; dall’altro, che il ricorrente ha ritenuto le norme statali indicate principi fondamentali della suddetta materia. 4.2 − Nel merito la questione è fondata. L’art. 3, comma 1, impugnato prevede che «entro i limiti di potenza autorizzabile di cui al precedente articolo è costituita, per ciascuna fonte, una riserva strategica sino al 20% a favore di azioni volte a garantire lo sviluppo del tessuto industriale regionale, individuato quale interesse economico e sociale fondamentale per la Regione. Tale riserva potrà essere utilizzata dalla Regione per: stipulare protocolli di intesa con primari operatori in possesso di qualificata esperienza nel settore dell’energia e di una significativa capacità produttiva, preferibilmente con partenariato calabrese, che destinino una significativa quota degli investimenti per attività di sviluppo industriale ed economico sul territorio calabrese, anche nella componentistica energetica; assegnare quote di energia a soggetti che gestiscono servizi pubblici caratterizzati da un elevato fabbisogno energetico, al fine di favorire la riduzione dei relativ i costi». Il legislatore regionale con la disposizione in esame ha posto una disciplina che contrasta con il principio di cui all’art. 41 della Costituzione, in quanto sottrae il 20% della potenza di energia autorizzabile al libero mercato e, nel destinarlo a determinate finalità, individua i possibili legittimati ad ottenere la suddetta quota sulla base di requisiti del tutto atecnici (che abbiano preferibilmente partenariato calabrese), ponendo, peraltro, a loro carico una serie di condizioni (che destinino una significativa quota degli investimenti per attività di sviluppo industriale ed economico sul territorio calabrese) estranee all’oggetto della autorizzazione ottenuta. Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che discriminare le imprese sulla base di un elemento di localizzazione territoriale contrasta con il principio secondo cui la Regione non può adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni, discendendo da ciò «il divieto per i legislatori regionali di frapporre barriere di carattere protezionistico alla prestazione, nel proprio ambito territoriale, di servizi di carattere imprenditoriale da parte di soggetti ubicati in qualsiasi parte del territorio nazionale (nonché, in base ai principi comunitari sulla libertà di prestazione dei servizi, in qualsiasi paese dell’Unione europea)» (sentenza n. 207 del 2001). 5. − La quarta censura investe l’art. 5, commi 2 e 3, della legge della Regione Calabria n. 42 del 2008. Il ricorrente ritiene che tali norme nella parte in cui prevedono la decadenza ope legis delle istanze di autorizzazione pendenti, le quali devono essere conformi alle sopravvenute norme contenute nella legge regionale, attribuiscano a queste ultime efficacia retroattiva, in violazione dei principi di buona fede, di affidamento e di certezza del diritto, nonché di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione. Sarebbe, infatti, impedita la prosecuzione dei procedimenti amministrativi di autorizzazione in corso con ulteriore violazione degli artt. 2 e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) che impongono la conclusione degli stessi con un provvedimento motivato. 5.1 − La questione non è fondata. In proposito si osserva che, se da un lato, in applicazione del principio tempus regit actum, ogni atto amministrativo (anche endoprocedimentale) deve essere conforme alla legge in vigore nel momento in cui viene posto in essere, dall’altro, la persona, che ha dato avvio al procedimento di autorizzazione oggetto della disposizione impugnata, è titolare di una mera aspettativa. È principio affermato da questa Corte che «l’intervento legislativo diretto a regolare situazioni pregresse è legittimo a condizione che vengano rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche […]. La norma successiva non può, però, tradire l’affidamento del privato sull’avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali» (sentenza n. 24 del 1999). In ragione di quanto sopra e dell’assenza di una situazione giuridica consolidata in capo al richiedente il provvedimento, la norma impugnata non può ritenersi lesiva del principio di affidamento. Non risultano violati neanche i principi di cui all’art. 97 della Costituzione, in quanto il legislatore regionale, nel tenere conto della mutata disciplina in tema di rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione di impianti di energia alternativa contenuta nella legge n. 42 del 2008, frutto di una diversa valutazione degli interessi pubblici ad essa sottesi, si è limitato ad impedire il rilascio di provvedimenti con essa in contrasto senza prevedere alcuna deroga ai principi di cui agli artt. 2 e 3 della legge n. 241 del 1990. 6 − L’Avvocatura impugna, poi, il punto 2.3 dell’Allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008, nella parte in cui individua un elenco di impianti (con potenza nominale inferiore o uguale a 500 Kwe) assoggettabili alla sola disciplina della denuncia di inizio attività. Tale norma, a parere della difesa erariale, si pone in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione e, in particolare, con il principio fondamentale di cui all’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale assoggetta al procedimento di DIA impianti che producono una quantità di energia diversa da quella regionale e che può essere modificata solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, adottato di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata. Il legislatore regionale avrebbe poi violato l’art. 41 della Costituzione, in quanto, sarebbe contrario al principio di libera concorrenza del mercato introdurre il regime semplificato della DIA per gli impianti finalizzati all’autoconsumo e negarlo per quelli che hanno lo stesso impatto sul territorio ma una diversa finalità. 6.1 − In via preliminare, va respinta l’eccezione di inammissibilità avanzata dalla Regione riferita alla genericità con la quale il ricorrente ha qualificato il principio fondamentale asseritamente violato dalla norma impugnata. Sul punto valgono gli stessi motivi già indicati con riferimento ad analoga eccezione proposta in riferimento all’art. 3, comma 1, della legge n. 42 del 2008. 6.2 − Nel merito la questione è fondata. L’installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili di energia è regolata dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale prevede, ai commi 3 e 4, una disciplina generale caratterizzata da un procedimento che si conclude con il rilascio di una autorizzazione unica. A tale disciplina fanno eccezione determinati impianti che, se producono energia in misura inferiore a quella indicata dalla tabella allegata allo stesso d.lgs. n. 387 del 2003, sono sottoposti non al rilascio di alcuna autorizzazione, bensì alla disciplina della denuncia di inizio attività (art. 12, comma 5). In particolare, la indicata tabella distingue i suddetti impianti in base alla tipologia di fonte che utilizzano (eolica, soglia 60 kW, solare, soglia 20 kW, etc). Sempre l’indicato art. 12, comma 5, prevede, poi, che «con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono essere individuate maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la medesima disciplina della denuncia di inizio attività». La norma impugnata si pone in contrasto con quanto disposto dall’art. 12, il quale fissa i principi fondamentali in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia (sentenze n. 364 del 2006, n. 282 del 2009). Il legislatore regionale ha assunto un criterio di individuazione degli impianti autorizzabili sulla base della mera denuncia di attività, difforme da quello del legislatore statale che, senza tener conto della tipologia della fonte utilizzata, fissa in un’unica soglia di produzione il limite che consente l’accesso al procedimento di DIA. L’eterogeneità delle discipline (statale e regionale) poste a raffronto rende palese anche la violazione dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003, che consente l’individuazione di soglie diverse di potenza rispetto a quelle indicate dalla tabella, ma solo a seguito di un procedimento che, in ragione delle diverse materie interessate (tutela del territorio, tutela dell’ambiente, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia), coinvolge lo Stato e le Regioni in applicazione del principio di leale collaborazione, il quale impedisce ogni autonomo intervento legislativo regionale (sentenze n. 282 e n. 166 del 2009). 7 − Oggetto di specifica censura è anche il punto 4.2 lettera f) dell’Allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008, nella parte in cui prevede che alla domanda di autorizzazione all’installazione di impianti eolici deve essere allegato uno studio delle potenzialità anemologiche del sito che siano tali da garantire una producibilità annua di almeno 1800 ore equivalenti di vento. Il ricorrente ritiene che per effetto di tale disposizione il legislatore regionale ha posto una moratoria all’installazione dei suddetti impianti, in quanto, da un lato, tenuto conto della media di produzione nazionale, sarebbero ben pochi gli impianti in grado di garantire i suddetti standard; dall’altro, viene introdotta una condizione al rilascio della autorizzazione non prevista dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, in violazione dell’art.117, primo e terzo comma, della Costituzione. 7.1 − In via preliminare, anche con riferimento alla suddetta questione, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità avanzata dalla Regione per la generica qualificazione del principio fondamentale asseritamente violato dalla norma impugnata e della materia di cui esso dovrebbe essere espressione. Sul punto valgono gli stessi motivi già indicati con riferimento ad analoga eccezione proposta in riferimento all’art. 3, comma 1, della legge n. 42 del 2008. 7.2 − Nel merito, la questione è fondata per violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto la norma censurata pone di fatto una limitazione all’installazione di impianti eolici. La normativa statale di cornice non contempla, infatti, alcuna limitazione specifica, né divieti inderogabili alla installazione di impianti alimentati da fonte eolica assumendo a tal fine rilievo l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale rinvia a apposite linee guida il compito di «assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio». Tale disposizione abilita, poi, le Regioni a «procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti», ma ciò può aver luogo solo «in attuazione» delle predette linee guida. Al momento non risulta che queste ultime siano state adottate con le modalità previste dallo stesso comma 10, vale a dire in sede di Conferenza unificata (sentenza n. 282 del 2009). Al riguardo, questa Corte ha precisato che «la presenza delle indicate diverse competenze legislative giustifica il richiamo alla Conferenza unificata, ma non consente alle Regioni [...] di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa» (sentenza n. 166 del 2009). 8. − Il ricorrente ritiene, poi, che il punto 4.2, lettera i), dell’Allegato sub 1 della legge regionale impugnata, nella parte in cui prevede che la domanda di autorizzazione (per gli impianti di potenza superiore a 500 Kwe), sia corredata anche dalla deliberazione favorevole del Consiglio comunale sul cui territorio insiste il progetto, si pone in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione e con il principio di cui all’art.12 del d.lgs. n. 387 del 2003, che qualifica come indifferibili ed urgenti e di pubblica utilità le opere tese a realizzare i suddetti impianti, sottoponendo le stesse ad una autorizzazione unica (comma 3). 8.1 − Quanto all’eccezione di inammissibilità avanzata dalla resistente, stante il suo contenuto identico a quella riportata al punto 7.1, valgono le medesime argomentazioni al riguardo formulate. 8.2 − Nel merito la questione è fondata. Sul punto è sufficiente riaffermare la natura di principio fondamentale dell’art. 12 e rilevare che esso, nel disciplinare il procedimento per l’installazione di impianti alimentati da fonti alternative, prevede quale suo atto conclusivo il rilascio di una autorizzazione unica, senza alcun riferimento alla necessità dell’adozione dell’atto consiliare comunale indicato dalla norma regionale impugnata, la quale prescrive, quindi, un ulteriore adempimento in contrasto con le finalità di semplificazione perseguite dal legislatore statale. 9. − Il ricorrente impugna, infine, il punto 4.2 lettere l) ed o) dell’Allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008, nella parte in cui stabiliscono una serie di condizioni e di oneri economici per il rilascio dell’autorizzazione unica per l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili estranee all’oggetto del provvedimento richiesto. In particolare, la suddetta lettera l) prescrive che alla domanda di autorizzazione sia allegato un atto con il quale il richiedente si impegna, tra l’altro: a) a costituire prima del rilascio della suddetta autorizzazione, una società di scopo con residenza fiscale nel territorio della Regione Calabria; b) a sottoscrivere garanzie fideiussorie; c) a favorire l’imprenditoria calabrese nella fase della realizzazione; d) a facilitare l’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di unità lavorative per la gestione dell’impianto; e) a versare a favore della Regione Calabria la somma di 50 €cent per ogni KW eolico di potenza elettrica nominale autorizzata (€ 1,5 per le altre tipologie) quali oneri per monitoraggio con relativa dotazione di antinfortunistica e per l’accertamento della regolare esecuzione delle opere. La successiva lettera o) stabilisce che il richiedente l’autorizza zione alleghi alla domanda la ricevuta di avvenuto versamento degli oneri istruttori a favore della Regione Calabria pari ad € 100 per ogni MW per il quale si richiede l’autorizzazione, con un minimo di € 300. Tali previsioni contrasterebbero con gli artt. 3, 41, 97 e 117, primo e terzo comma, della Costituzione, in quanto limitano la libertà di iniziativa economica nel settore in esame (prevista espressamente dall’art 1 del d.lgs. n. 79 del 1999) con conseguente mancato rispetto degli obblighi internazionali di incremento di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Le norme censurate, poi, nell’imporre misure di compensazione al rilascio della indicata autorizzazione contrasterebbero con l’art. 12, comma 5 (recte: comma 6), del d.lgs. n. 387 del 2003, con ulteriore violazione del canone di ragionevolezza in quanto discriminerebbero «gli operatori italiani rispetto a quelli comunitari, in violazione dell’art. 97 della Costituzione». 9.1 − Anche per quanto attiene alla questione in esame deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità avanzata dalla Regione per genericità della censura proposta con riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto proposta in modo identico a quella di cui al punto 7.1 e per la quale, valgono le medesime argomentazioni svolte in tale sede. 9.2 − Nel merito la questione è fondata. Deve, in via preliminare osservarsi che per misure di compensazione s’intende, in genere, la monetizzazione degli effetti negativi che l’impatto ambientale determina, per cui chi propone l’istallazione di un determinato impianto s’impegna a devolvere, all’ente locale cui compete l’autorizzazione, determinati servizi o prestazioni. La legge statale vieta tassativamente l’imposizione di corrispettivo (le cosiddette misure di compensazione patrimoniale) quale condizione per il rilascio dei suddetti titoli abilitativi, tenuto conto che la costruzione e l’esercizio di impianti per l’energia eolica sono libere attività d’impresa soggette alla sola autorizzazione amministrativa della Regione, secondo l’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del 2003. Sono, al contrario, ammessi gli accordi che contemplino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, nel senso che il pregiudizio subito dall’ambiente per l’impatto del nuovo impianto, oggetto di autorizzazione, viene compensato dall’impegno ad una riduzione delle emissioni inquinanti da parte dell’operatore economico proponente. L’art. 1, comma 4, lettera f), della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), dopo aver posto il principio della localizzazione delle infrastrutture energetiche in rapporto ad un adeguato equilibrio territoriale, ammette concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale, prevedendo in tal caso misure di compensazione e di riequilibrio ambientale (anche relativamente ad impianti alimentati da fonti rinnovabili, dopo la sentenza n. 383 del 2005). Al riguardo il successivo comma 5 afferma il diritto di Regioni ed enti locali di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale vieta che l’autorizzazione possa prevedere (o essere subordinata a) compensazioni (evidentemente di natura patrimoniale) a favore della Regione o della Provincia delegata. Le disposizioni censurate si pongono in contrasto con tali principi, in quanto prevedono oneri e condizioni a carico del richiedente l’autorizzazione che si concretizzano in vantaggi economici per la Regione e per gli altri enti locali e, quindi, si configurano quali compensazioni di carattere economico espressamente vietate dal legislatore statale (sentenza n. 282 del 2009). La disciplina impugnata, infatti, prescinde dall’esistenza di concentrazioni di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale, presupposto quest’ultimo previsto dall’art. 1 sopra indicato che legittima la previsione di misure di compensazione finalizzate al riequilibrio ambientale in deroga al principio fondamentale fissato dall’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del 2003. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 11 novembre 2008, n. 38 (Proroga del termine di cui al comma 3, art. 53, legge regionale 13 giugno 2008, n. 15); 2) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 2, 3, comma 1, dell’Allegato sub 1, punti 2.3 e 4.2, lettere f), i), l) ed o), della legge della Regione Calabria 29 dicembre 2008, n. 42 (Misure in materia di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili); 3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, commi 2 e 3, della legge della Regione Calabria n. 42 del 2008, così come proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2010. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Maria Rita SAULLE, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria l'1 aprile 2010. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA SENTENZA N. 125 ANNO 2010 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 6, 10, 11 e 12, comma 1, della legge della Regione Lombardia 26 maggio 2008, n. 15 (Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 29-31 luglio 2008, depositato in cancelleria il 5 agosto 2008 ed iscritto al n. 42 del registro ricorsi 2008. Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia; udito nell’udienza pubblica del 10 marzo 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta; uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Nicolò Zanon e Andrea Manzi per la Regione Lombardia. Ritenuto in fatto 1.— Con ricorso notificato il 29-31 luglio 2008 e depositato il successivo 5 agosto, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato la legge della Regione Lombardia 26 maggio 2008, n. 15 (Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale). Il ricorrente espone che gli artt. 3, 4, 6, 10, 11 e 12, comma 1, della stessa, violerebbero gli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonché il principio di leale collaborazione. Si premette che la predetta legge regionale prevede due fattispecie distinte per la realizzazione delle infrastrutture: la prima concertata con il Governo o con i singoli Ministri, di cui al Titolo I (artt. 2, 3 e 4) e II (art. 5); la seconda prevista in assenza di tali intese, ovvero in caso di inerzia degli organi statali, di cui al Titolo III (art. 6). Con riferimento alla prima fattispecie si assume la illegittimità costituzionale degli artt. 3 e 4 della legge regionale. A tale proposito, si premette che la Regione ha ecceduto dalle proprie competenze disciplinando unilateralmente «la procedura da applicarsi per le infrastrutture che richiedano una intesa preventiva con il Governo o con i singoli Ministeri», ponendosi anche in contrasto con il principio di leale collaborazione, di cui all’art. 118 Cost. 1.1.— In particolare, l’art. 3, comma 1, stabilisce che lo stesso «disciplina la procedura di approvazione del progetto preliminare relativamente alle infrastrutture strategiche» di preminente interesse nazionale e «la procedura per la valutazione di impatto ambientale (VIA) limitatamente alle predette infrastrutture», per le quali sia raggiunta, in via preventiva, un’intesa con il Governo. Si prevede, inoltre, sottolinea la difesa dello Stato, che la valutazione di impatto ambientale per le infrastrutture strategiche, soggette a screening o VIA regionale, è compiuta dalla Regione ai sensi della normativa regionale in materia. Tale disposizione, nella parte in cui assegna alla competenza regionale la procedura di approvazione dei progetti preliminari per le opere di preminente interesse nazionale («quali tronchi ferroviari per il traffico a grande distanza, nonché aeroporti con piste di atterraggio superiori a 1500 metri di lunghezza; autostrade e strade riservate alla circolazione automobilistica; strade extraurbane a quattro o più corsie») e la procedura di VIA, contrasterebbe con l’art. 161, comma 1, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE). Tale disposizione statale prevede, infatti, che la progettazione, l’approvazione dei progetti e la realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale sono disciplinate dalla stessa normativa nazionale allo scopo di garantirne l’uniformità di regolamen tazione sul territorio nazionale. La normativa regionale si porrebbe in contrasto anche con gli artt. 21 e seguenti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) che assegnano allo Stato le competenze in materia di procedura di VIA per le opere di preminente interesse nazionale. 1.2.— L’art. 3, comma 4, della legge regionale in esame specifica che spetta alla Regione, decorsi novanta giorni dalla data di presentazione della documentazione da parte del soggetto aggiudicatore, emettere la valutazione sulla compatibilità ambientale dell’opera, provvedendo ad una mera comunicazione ai Ministeri dell’ambiente, tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e trasporti e per i beni e le attività culturali, che possono a loro volta comunicare prescrizioni integrative alla valutazione di impatto ambientale. Tale norma contrasterebbe, in primo luogo, con l’art. 161 del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale stabilisce che, nel caso in cui l’interesse regionale sia concorrente con quello statale, le Regioni e le Province autonome devono limitarsi a partecipare, con le modalità indicate nelle intese, alle sole attività di progettazione, affidamento dei lavori e monitoraggio. In secondo luogo, la stessa normativa violerebbe la competenza in materia di VIA spettante al Ministero dell’ambiente di concerto con il Ministero per i beni culturali. Il ricorrente rileva come si tratti «di misure finalizzate a garantire una disciplina uniforme sul territorio nazionale della fattibilità ambientale delle infrastrutture, e che, pertanto, dettano livelli standard ed uniformi di tutela dell’ambiente, di competenza esclusiva statale, ex art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione». 1.3.— L’art. 3, comma 7, della legge regionale nella parte cui stabilisce che la Regione formula la proposta di approvazione del progetto preliminare al CIPE, entro sessanta giorni dallo scadere del termine di novanta giorni (entro il quale − a norma del secondo comma dello stesso art. 3 − le amministrazioni interessate trasmettono le proprie valutazioni alla Regione sul progetto preliminare), inoltrandola, altresì, al Ministero delle infrastrutture e trasporti, contrasterebbe, secondo la difesa dello Stato, con l’art. 165 del d.lgs. n. 163 del 2006. Tale disposizione, nel disciplinare la procedura di approvazione del progetto preliminare e la procedura di impatto ambientale, riconosce tale competenza in capo ai Ministeri delle infrastrutture e dell’ambiente, chiamati a presentare le proprie proposte in merito al CIPE. Si deduce, altresì, il contrasto della citata disposizione con l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, che attribuisce allo Stato competenza esclusiva statale in materia di «attività di progettazione», così come riconosciuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 401 del 2007. L’Avvocatura sottolinea come «analoghe considerazioni valgono per i restanti commi dell’art. 3 della legge in esame da cui si evince il ruolo preminente attribuito alla Regione nella valutazione del progetto preliminare». 1.4.— L’art. 4 della legge regionale disciplina le procedure di valutazione, di verifica di conformità ambientale e di autorizzazione del progetto definitivo, attribuendo alla Regione la competenza in materia di progettazione definitiva. Sarebbe stata, pertanto, prevista una disciplina difforme da quella contemplata dall’art. 166 del d.lgs. n. 163 del 2006, che attribuisce al Ministero delle infrastrutture competenze in merito alla progettazione definitiva. Si rileva anche il contrasto con l’art. 4, comma 3, del citato decreto legislativo. La disposizione in esame violerebbe anche il principio di leale collaborazione, di cui all’art. 118 Cost., in quanto la Regione avrebbe disciplinato unilateralmente, attraverso una legge regionale, una procedura che, ai sensi dell’art. 161, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, dovrebbe essere oggetto di una intesa o di una legge regionale successiva all’intesa stessa. 1.5.— Con riferimento alla seconda fattispecie, sarebbe costituzionalmente illegittimo l’art. 6 della legge regionale in esame, il quale prevede che, nel caso in cui gli organi statali competenti − di cui al comma 2, o il CIPE, di cui al comma 3 − non provvedano nei termini di legge, il Presidente della Giunta segnala al Governo dello Stato l’inerzia reiterata ed immotivata e, trascorso il termine di trenta giorni dalla segnalazione, può trasmettere il progetto preliminare o definitivo o compiere gli atti e le attività necessarie all’approvazione del progetto. Tale disposizione, «inscindibilmente connessa con gli artt. 1, comma 3, 3, comma 9, 4, commi 6 e 7», contrasterebbe sia con l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, che attribuisce allo Stato la competenza legislativa statale in materia di attività di progettazione, in quanto rientrante nella nozione di tutela della concorrenza, ordinamento civile e tutela dell’ambiente, di cui all’art. 117, secondo comma, lettere e), l), s), Cost., sia con il principio di leale collaborazione di cui all’art. 118 Cost., per le ragioni già esposte. 1.6.— L’art. 10 della citata legge regionale prevede che le concessioni per le infrastrutture ricomprese tra le opere di interesse nazionale e regionale, da affidarsi successivamente all’entrata in vigore della legge in esame, ovvero le modifiche alle convenzioni di concessione già affidate relative alle medesime infrastrutture autostradali, sono approvate con decreto del Presidente della Giunta regionale. La medesima disposizione stabilisce che è facoltà del concedente introdurre, nell’ambito della definizione del piano economico-finanziario relativo alle infrastrutture in oggetto: a) limiti massimi di rischio per il concessionario, superati i quali si può procedere al riequilibrio economico-finanziario della concessione; b) nel contempo, limiti di profittabilità della concessione, superati i quali si può procedere a corrispondere al concedente il saldo positivo tra i ricavi ottenuti e detto limite; c) vincoli temporali alla realizzazione degli investimenti. Tale disposizione contemplerebbe una disciplina difforme rispetto a quella prevista dal d.lgs. n. 163 del 2006, che attribuisce alla competenza esclusiva statale la disciplina della selezione dei concorrenti e delle procedure di affidamento in quanto rientranti «nella materia della concorrenza ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione» (si cita la sentenza n. 401 del 2007). 1.7.— Il ricorrente assume poi che l’art. 11 della legge in esame disciplinerebbe il contraente generale in maniera difforme rispetto a quanto previsto dall’art. 176 del d.lgs. n. 163 del 2006. La norma regionale stabilisce che i concessionari possono provvedere alla realizzazione delle opere mediante affidamento unitario a contraente generale, ai sensi dell’art. 176 del d.lgs. n. 163 del 2006, della progettazione definitiva, della progettazione esecutiva e della realizzazione con qualsiasi mezzo delle opere medesime, ponendo a base di gara il progetto preliminare o il progetto definitivo. Si rileva come mentre la norma regionale disciplina il contraente generale quale affidatario dei lavori da parte del concessionario e non anche direttamente da parte del soggetto aggiudicatore, la normativa statale prevede che sia il concessionario, sia il soggetto aggiudicatore possano affidare al contraente generale la realizzazione dei lavori. Alla luce di quanto esposto, la disposizione impugnata contrasterebbe con gli artt. 4, comma 3, e 176 del Codice degli appalti, che attribuiscono alla competenza legislativa dello Stato la disciplina della selezione dei concorrenti e delle procedure di affidamento, in quanto rientranti nella materia della concorrenza, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. 1.8.— L’art. 12 della legge regionale, infine, stabilisce che «in quanto compatibili con la presente legge, si applicano le disposizioni di cui alla parte II, titolo III, capo IV e di cui alla parte IV del d.lgs. n. 163 del 2006». Tale norma, nella prospettiva dello Stato, opererebbe di fatto una disapplicazione della legge statale che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 401 del 2007, ha affermato appartenere in larga parte alla competenza statale. In particolare, si assume la violazione dell’art. 4, comma 3, che attribuisce allo Stato la competenza in materia di attività di progettazione, nonché dell’art. 161, comma 5, «che prevede che le Regioni possano intervenire con proprie leggi disapplicative della normativa statale solo per i profili rientranti in materie oggetto di legislazione concorrente». 1.9.— In conclusione, la Regione avrebbe ecceduto dalla proprie competenze in materia «invadendo la sfera legislativa statale, nella parte in cui, da un lato, prevede una procedura unilaterale in caso di mancata intesa o di inerzia statale (art. 6, comma 1), dall’altra prevede norme procedurali (art. 3 e seguenti) che dovrebbero, a rigore, essere contenute nell’intesa stessa». La legge regionale pertanto, avrebbe, violato l’art. 118 Cost. 2.— Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile e, in subordine, non fondato, con riserva di ulteriori deduzioni. 3.― In data 8 settembre 2009, la Regione Lombardia ha depositato memoria con la quale ha dato atto che alla legge regionale del 2008, oggetto di impugnazione da parte dello Stato, sono state apportate modifiche ad opera della legge regionale 8 ottobre 2008, n. 26 recante: «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 26 maggio 2008, n. 15 (Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale)». Detta legge, afferma la Regione, costituisce nell’ottica del principio di leale collaborazione, «il frutto di un’attività di concertazione tra la Regione Lombardia e il Ministro per i rapporti con le Regioni». In ragione di ciò, la resistente prospetta l’inammissibilità della questione per la mancanza di interesse del ricorrente, il quale non subirebbe alcun pregiudizio dalla vigente normativa. Deduce, altresì la mancata impugnazione da parte dello Stato della suddetta legge regionale n. 26 del 2008 e, comunque, la mancata applicazione, nelle more, della legge regionale n. 15 del 2008, circostanze che darebbero luogo alla cessazione della materia del contendere. Successivamente, in data 15 settembre 2009, le parti depositavano motivata istanza congiunta di rinvio, in ragione della quale la trattazione della questione, già fissata per l’udienza pubblica del 6 ottobre 2009, veniva rinviata a nuovo ruolo e, quindi, nuovamente fissata per l’udienza pubblica del 10 marzo 2010. Considerato in diritto 1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Regione Lombardia 26 maggio 2008 n. 15 (Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale) deducendo la violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione. La predetta legge disciplina le procedure relative alle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, delle quali è, o è stato, riconosciuto il concorrente interesse regionale dalle intese generali quadro di cui all’art. 161, comma 1, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice degli contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE); infrastrutture che sono quelle ricomprese nel territorio regionale o che per caratteristiche funzionali siano riconducibili prevalentemente al territorio regionale (art. 1). 2.— Ai fini della delimitazione del thema decidendum, nonostante il ricorrente abbia fatto riferimento, sia nell’intestazione del ricorso sia nella formulazione del petitum, all’intera legge, va osservato che si prospettano censure esclusivamente con riferimento agli artt. 3, 4, 6, 10, 11 e 12, comma 1, della predetta legge, che costituiscono, pertanto, l’oggetto su cui si deve svolgere lo scrutinio di costituzionalità. 3.— Successivamente all’impugnazione è stata emanata la legge della Regione Lombardia 8 ottobre 2008, n. 26 recante: «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 26 maggio 2008, n. 15 (Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale)» la quale ha abrogato l’art. 12, comma 1, della citata legge n. 15 del 2008, e ha apportato modifiche alle rimanenti disposizioni oggetto di specifiche censure con il ricorso; sulla incidenza delle suddette modifiche, rispetto al pregresso quadro normativo, si dirà di qui a poco. 4.— Quanto al contenuto della legge impugnata, gli artt. 3, 4 e 6 disciplinano il procedimento amministrativo volto all’approvazione della progettazione preliminare e definitiva, relativa alle opere strategiche in questione. In particolare, l’art. 3, al comma 1, disciplina la procedura di approvazione del progetto preliminare relativamente alle infrastrutture che vengono in rilievo in questa sede e la procedura per la valutazione di impatto ambientale (VIA) limitatamente alle predette infrastrutture, soggette a tale procedura a norma delle disposizioni vigenti relative alla VIA statale e per le quali sia raggiunta, in via preventiva, un’intesa con il Governo. La stessa norma prevede che la «valutazione di impatto ambientale per le infrastrutture strategiche, soggette a screening o VIA regionale, è compiuta dalla Regione ai sensi della normativa regionale in materia; il provvedimento di compatibilità ambientale è adottato dal Comitato Interministeriale per la programmazione economica (CIPE)». I successivi commi disciplinano le fasi dell’iter procedimentale. In particolare, si prevede che il progetto preliminare, comprendente lo studio di impatto ambientale, è trasmesso dal soggetto «aggiudicatore» alla Regione Lombardia e alle altre Regioni eventualmente interessante, nonché ai Ministeri competenti (comma 2). La Regione, decorsi novanta giorni dalla data di presentazione della documentazione da parte del soggetto aggiudicatore, provvede, tenendo conto delle osservazioni dei soggetti pubblici e privati interessati ed avvalendosi di una apposita commissione, ad emettere la valutazione sulla compatibilità ambientale dell’opera (commi 3, 4, 5 e 6). Per quanto attiene, invece, al progetto preliminare, la Regione formula la proposta di approvazione al CIPE, inoltrandola, altresì, al Ministero delle infrastrutture e trasporti (comma 7). Su tale proposta quest’ultimo «si esprime nei successivi venti giorni, decorsi i quali su di essa si pronuncia il CIPE nei successivi trenta giorni ai sensi dell’articolo 165, comma 4, del d.lgs. 163/2006» (comma 8). Il comma 9 dello stesso art. 3 stabilisce che «decorsi i termini di cui al comma 8, il Presidente della Giunta regionale segnala al Governo che l’inerzia può arrecare un grave pregiudizio alla realizzazione dell’infrastruttura affinché inviti il CIPE, inoltrandola altresì, ad ottemperare. Perdurando l’inadempimento del CIPE per un termine di ulteriori trenta giorni a decorrere dalla segnalazione al Governo, la Regione può esercitare tutte le funzioni necessarie all’approvazione del progetto con gli effetti di cui all’articolo 165 del d.lgs. n. 163 del 2006». 4.1.— L’art. 4 disciplina in maniera articolata la progettazione definitiva e l’istruttoria svolta mediante conferenza di servizi. In particolare, tale articolo attribuisce alla Regione il compito, una volta ricevuto il progetto definitivo e indetta una apposita conferenza di servizi istruttoria, di trasmettere tale proposta al CIPE, nonché al Ministero delle infrastrutture e trasporti e al Ministero dell’economia e delle finanze (comma 4). Sulla proposta formulata dalla Regione il predetto Ministero delle infrastrutture e trasporti si esprime nei successivi venti giorni, decorsi i quali il CIPE, nei quarantacinque giorni successivi, approva il progetto definitivo (comma 5). Il comma 6 stabilisce che, decorsi i predetti termini senza alcun provvedimento del CIPE, la Regione può approvare il progetto definitivo in via sostitutiva secondo quanto stabilito dal comma 9 dell’art. 3. 4.2.— L’art. 6, a sua volta, prevede che in assenza dell’intesa generale e preventiva col Governo, di cui all’articolo 2, ovvero in assenza di singole intese specifiche con i Ministeri, contemplate dall’art. 5, che non è stato oggetto di impugnazione, ovvero decorso il termine di sessanta giorni dalla presentazione della proposta di intesa, di cui agli articoli 2 e 5, «per evitare che il ritardo arrechi un grave pregiudizio alla realizzazione delle infrastrutture», si applichino le norme del presente titolo III. La stessa disposizione prosegue stabilendo che «in caso gli organi statali competenti non provvedano nei termini di legge, il Presidente della Giunta regionale segnala al Governo l’inerzia reiterata ed immotivata e, trascorso il termine di trenta giorni dalla segnalazione al Governo, può trasmettere al CIPE il progetto preliminare o definitivo (...). Nel caso in cui il CIPE non provveda nei termini di legg e all’approvazione del progetto preliminare o definitivo o comunque resti immotivatamente inerte, il Presidente della Giunta regionale segnala l’inerzia al Governo, perché inviti il CIPE ad ottemperare. Perdurando l’inadempimento del CIPE per un termine di trenta giorni a decorrere dalla segnalazione del Presidente, la Regione può compiere gli atti e le attività necessarie all’approvazione del progetto (…)». 4.3.— Secondo il ricorrente le citate norme contenute negli artt. 3, 4 e 6 sarebbero costituzionalmente illegittime perché attribuirebbero alla Regione una competenza in relazione alla progettazione preliminare e definitiva che, invece, gli artt. 161 e seguenti del Codice degli appalti riconoscono allo Stato. In particolare, con riferimento specifico alle censure formulate, aventi ad oggetto gli artt. 3 e 6, si deduce anche la violazione della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente; con riguardo alle doglianze indirizzate agli artt. 4 e 6 si assume, altresì, la violazione del principio di leale collaborazione. 4.4.— Le modifiche apportate, da parte della legge regionale n. 26 del 2008, alle citate disposizioni, aventi ad oggetto la disciplina del procedimento di approvazione della progettazione preliminare e di quella definitiva, hanno determinato la cessazione della materia del contendere sul ricorso dello Stato avverso la legge n. 15 del 2008. Innanzitutto, l’art. 2 della stessa legge regionale n. 15 del 2008, che non è stato impugnato, stabilisce che per realizzare le predette opere «il Presidente della Giunta regionale inoltra al Governo e alle altre Regioni eventualmente interessate proposte di intesa generale e preventiva aventi ad oggetto le modalità e i termini di realizzazione di una o più opere»; al comma 2 si puntualizza che soltanto una volta acquisita l’intesa generale e preventiva trovano applicazione le norme contenute nello stesso Titolo. Ne consegue che la concreta operatività delle modalità procedimentali contemplate dalle disposizioni in esame sono condizionate al previo raggiungimento di un vero e proprio accordo con lo Stato. La sopravvenuta legge regionale n. 26 del 2008, non impugnata, ha modificato, in primo luogo, l’art. 3 della legge n. 15 del 2008 aggiungendo il comma 9-bis, con il quale si chiarisce che la procedura sostitutiva «è attivata solo se espressamente previsto nell’ambito dell’intesa sottoscritta con il Governo ai sensi dell’articolo 2 ovvero di apposita intesa che regoli le modalità, i contenuti e i tempi dell’intervento regionale diretto a superare l’inerzia». In secondo luogo, la nuova legge regionale ha modificato il comma 6 dell’art. 4, della precedente legge, stabilendo che, anche nel caso di progettazione definitiva, l’intervento sostitutivo regionale è subordinato alla previa intesa con il Governo. Infine, ha modificato il primo comma dell’art. 6 stabilendo ancora una volta che la Regione possa sostituirsi agli organi statali, che non provvedano nei termini di legge, soltanto se «è espressamente previsto nell’ambito di una specifica intesa con il Governo che potrà altresì stabilire le modalità, i contenuti e i tempi dell’intervento regionale diretto a superare l’inerzia». Con tali modificazioni il legislatore regionale ha inciso sul complessivo meccanismo procedurale predisposto dalla legge impugnata ai fini della progettazione delle opere strategiche in esame, consentendo la operatività di tutte le disposizioni impugnate soltanto in presenza di un previo accordo tra la Regione Lombardia e lo Stato. In altri termini, la sopravvenuta legge n. 26 del 2008 ha definitivamente chiarito che le procedure concernenti l’approvazione sia del progetto preliminare sia di quello definitivo per la realizzazione in ambito regionale delle infrastrutture strategiche d’interesse nazionale sono subordinate, per quanto attiene alla loro concreta operatività, al raggiungimento di preventive intese tra lo Stato e la Regione, volte espressamente a stabilire le modalità, i contenuti e i tempi dell’intervento regionale. Ciò postula che, qualora non si giunga preliminarmente a uno specifico accordo tra lo Stato e la Regione, le procedure dovranno essere soltanto quelle d’ordine generale per la realizzazione delle infrastrutture in questione. A tal riguardo, deve trovare applicazione il principio fissato da questa Corte, in una fattispecie per molti aspetti analoga (sentenza n. 429 del 2004), secondo cui la necessità che intervenga una p reventiva intesa impedisce che possa ravvisarsi una qualsiasi lesione di prerogative statali o regionali, dal momento che, per evitare ogni vulnus alle proprie competenze, è sufficiente che la parte interessata non presti adesione all’accordo procedimentale; con la conseguenza che, in luogo delle procedure derogatorie, dovranno trovare applicazione esclusivamente quelle di carattere generale e comune sulla base del normale riparto delle competenze. Da ciò deriva che, per effetto della sopravvenuta normativa procedimentale contenuta nella legge regionale n. 26 del 2008, deve ritenersi cessata la materia del contendere sull’impugnativa delle suddette disposizioni della legge regionale n. 15 del 2008 proposta dallo Stato con il ricorso in epigrafe, anche in considerazione della circostanza che − come risulta dalla attestazione contenuta nel documento del 9 marzo 2010 della Regione Lombardia, prodotto nel corso dell’udienza pubblica dalla difesa regionale, con l’adesione della difesa statale e senza alcuna contestazione circa il suo contenuto − le norme impugnate non hanno ricevuto, medio tempore, attuazione (per una fattispecie analoga, sentenza n. 439 del 2008). 5.— Il ricorrente ha, altresì, impugnato gli artt. 10 e 11 della legge regionale n. 15 del 2008, i quali disciplinano le modalità di realizzazione delle opere strategiche in esame. In particolare, l’art. 10 stabilisce che le concessioni per le infrastrutture ricomprese tra le opere di interesse nazionale e regionale, da affidarsi successivamente all’entrata in vigore della stessa legge regionale, ovvero le modifiche alle convenzioni di concessione già affidate relative alle medesime infrastrutture autostradali sono approvate con decreto del Presidente della Giunta regionale (comma 1). Si prevede, inoltre, che è facoltà del concedente introdurre, nell’ambito della definizione del piano economico-finanziario relativo alle infrastrutture in esame: a) limiti massimi di rischio per il concessionario, superati i quali si può procedere al riequilibrio economico-finanziario della concessione; b) nel contempo, limiti di profittabilità della concessione, superati i quali si può procedere a corrispondere al concedente il saldo positivo tra i ricavi ottenuti e detto limite; c) vincoli temporali alla r ealizzazione degli investimenti. Il comma 3 dello stesso art. 10 disciplina le ipotesi in cui le concessioni possono riguardare anche interventi di carattere insediativo e territoriale. Il comma 4 fa riferimento al sistema di pubblicazioni previste dall’art. 175 del d.lgs. n. 163 del 2006. Secondo il ricorrente l’art. 10 sarebbe incostituzionale perché detterebbe una disciplina differente da quella contemplata dal Codice degli appalti, che attribuisce alla competenza esclusiva statale la disciplina della selezione dei concorrenti e delle procedure di affidamento, atteso che le stesse rientrerebbero nella materia della tutela della concorrenza ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. Il successivo art. 11 prevede che, per consentire la realizzazione delle infrastrutture in esame in tempi più spediti e con unitarietà di responsabilità, i concessionari possono provvedere alla realizzazione delle opere mediante affidamento unitario a contraente generale della progettazione definitiva, della progettazione esecutiva e della realizzazione con qualsiasi mezzo delle opere medesime, ponendo a base di gara il progetto preliminare o il progetto definitivo (comma 1). Il comma 2 stabilisce che «per gli affidamenti a contraente generale si applicano gli articoli 177 e da 186 a 193 del d.lgs. 163/2006». Secondo il ricorrente l’art. 11 sarebbe incostituzionale perché, diversamente da quanto previsto dall’art. 176 del d.lgs. n. 163 del 2006, non consentirebbe anche al soggetto aggiudicatore, oltre che al concessionario, di affidare ad un contraente generale la realizzazione dell’opera. Nella prospettiva del ricorrente sarebbe violato anche l’art. 4 dello stesso decreto n. 163, che attribuisce alla competenza esclusiva statale la disciplina della selezione dei concorrenti e delle procedure di affidamento. Sulla base di queste premesse, vertendosi in un ambito afferente alle procedure di gara, si assume la lesione della potestà legislativa dello Stato in materia di tutela della concorrenza. 5.1.— La legge regionale sopravvenuta n. 26 del 2008 ha modificato in maniera rilevante anche le predette norme. In particolare, con riferimento all’istituto della concessione si è stabilito, con l’art. 1, comma 1, lettera e), che ha modificato il primo comma dell’art. 10 della legge n. 15 del 2008, che la concessione è approvata con decreto del Presidente della Giunta regionale soltanto «se non diversamente previsto dalle intese stipulate ai sensi della presente legge». In tale modo, si è ancora una volta condizionata l’operatività della norma ad un accordo con lo Stato. Con riferimento al contraente generale, con l’art. 1, comma 1, lettera g), si è modificato il comma 1 dell’art. 11 della legge n. 15 del 2008, precisandosi che l’affidamento può essere disposto anche dal soggetto aggiudicatore, così come previsto dal legislatore statale. Le predette norme sopravvenute hanno inciso sul pregresso quadro normativo di disciplina delle modalità di realizzazione delle opere, sicché, anche su questo punto, dal momento che le norme impugnate non hanno ricevuto medio tempore attuazione, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere. 6.— Infine, deve rilevarsi che la legge regionale n. 26 del 2008 ha abrogato il comma 1 dell’art. 12 della precedente legge, il quale prevedeva che, «in quanto compatibili con la presente legge, si applicano le disposizioni di cui alla parte II, titolo III, capo IV e di cui alla parte IV del d.lgs. 163 del 2006». Tale abrogazione ha ancora una volta determinato – anche in ragione della mancanza di produzione di effetti durante il periodo di vigenza della norma in esame – la cessazione della materia del contendere sull’impugnazione del citato art. 12, comma 1, della legge regionale n. 15 del 2008. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 6, 10, 11 e 12, comma 1, della legge della Regione Lombardia 26 maggio 2008, n. 15 (Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale). Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2010. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Alfonso QUARANTA , Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria l'1 aprile 2010. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA ORDINANZA N. 126 ANNO 2010 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 38, commi 1, 3 e 5, della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 31 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2009 – art. 11, legge regionale 20 novembre 2001, n. 50), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 25 febbraio 2009, depositato in cancelleria il 3 marzo 2009 ed iscritto al n. 15 del registro ricorsi 2009. Visto l’atto di costituzione della Regione Lazio; udito nell’udienza pubblica del 23 febbraio 2010 il Giudice relatore Franco Gallo; uditi l’avvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Gennaro Terracciano per la Regione Lazio. Ritenuto che, con ricorso notificato il 25 febbraio 2009 e depositato il 3 marzo successivo, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, commi 1, 3 e 5, della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 31 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2009 – art. 11, legge regionale 20 novembre 2001, n. 50), in riferimento: a) all’art. 117, commi primo e secondo, lettera e), della Costituzione; b) agli artt. 43, 49 e 86 del Trattato del 25 marzo 1957 (Trattato che istituisce la Comunità europea), nella versione in vigore dal 1° febbraio 2003 al 30 novembre 2009; c) all’art. 5, paragrafo 2, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2007, n. 1370/2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/70; d) all’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; e) all’art. 18, comma 3-bis, del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), introdotto dall’art. 1, comma 6, del decreto legislativo 20 settembre 1999, n. 400 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, recante conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale); che il ricorrente premette che i censurati commi dell’art. 38 della legge reg. n. 31 del 2008 cosí dispongono: a) «In vista dell’entrata in vigore il 3 dicembre 2009 del regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/70, e comunque entro il 31 dicembre 2010, tutti i servizi di trasporto pubblico locale devono essere affidati nel rispetto di quanto previsto dal citato regolamento (CE) n. 1370/2007 e di quanto stabilito dall’articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) convertito, con modifiche, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Nel rispetto di quanto stabilito dallR 17;articolo 5 del regolamento (CE) n. 1370/2007 e dall’articolo 23-bis, commi 3 e 4, del d.l. 112/2008, convertito dalla L. 133/2008, la Regione e gli enti locali possono stabilire di fornire essi stessi i servizi di trasporto pubblico di passeggeri nei loro territori o di procedere all’affidamento diretto di contratti di servizio di trasporto pubblico locale a un soggetto giuridicamente distinto» (comma 1); b) «Al fine di evitare l’interruzione dei servizi di trasporto pubblico locale, nelle more dell’espletamento delle procedure di gara ad evidenza pubblica o di affidamento diretto dei servizi sulla base di quanto stabilito dai commi 1 e 2, gli attuali affidamenti sono prorogati fino alla conclusione delle procedure di gara o all’affidamento diretto dei servizi e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2010. Tutti gli affidamenti attualmente in essere che siano stati aggiudicati mediante procedura ad evidenza pubblica rimangono in vigore fino all a loro naturale scadenza» (comma 3); c) «La Giunta regionale procede, sentita la competente commissione consiliare, nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1370/2007 e delle condizioni e procedure di cui all’articolo 23-bis, commi 3 e 4, del d.l. 112/2008, convertito dalla L. 133/2008, all’affidamento diretto dei servizi di cui al comma 4 alla Spa Corrai Gestione, società a capitale interamente pubblico» (comma 5); che, quanto al censurato comma 1 della legge reg. n. 31 del 2008, il ricorrente, sostiene che esso víola l’articolo 117, primo comma, Cost., perché non tiene conto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, e l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., perché interviene nella materia della tutela della concorrenza, di potestà legislativa esclusiva dello Stato; che, in particolare, la difesa erariale evoca quali parametri interposti gli artt. 43, 49 e 86 del Trattato che istituisce la Comunità europea e l’art. 5, comma 2, del citato regolamento (CE) n. 1370/2007, il quale ultimo prevede che le autorità competenti a livello locale, che forniscono servizi integrati di trasporto pubblico di passeggeri, hanno facoltà di fornire esse stesse servizi di trasporto pubblico di passeggeri o di procedere all’aggiudicazione diretta di contratti di servizio pubblico a un soggetto giuridicamente distinto su cui l’autorità competente a livello locale, o, nel caso di un gruppo di autorità, almeno una di esse, esercita un «controllo analogo» a quello che esercita sulle proprie strutture; che, per l’Avvocatura generale dello Stato, inoltre, il comma censurato si pone in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., per il tramite dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, il quale, al comma 2, stabilisce che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, di regola, mediante procedure competitive ad evidenza pubblica e non per affidamento diretto; che, quanto al censurato comma 3 dell’art. 38 della legge reg. n. 31 del 2008, il ricorrente sostiene che esso, nel disporre la proroga degli affidamenti dei servizi di trasporto pubblico locale in atto, víola l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., perché interviene nella materia della tutela della concorrenza, di potestà legislativa esclusiva dello Stato; che, in particolare, la norma si porrebbe in contrasto con il comma 9 dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, il quale prevede che i soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere alla prima gara svolta per l’affidamento, mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, dello specifico servizio già a loro affidato e che, in ogni caso, entro la data del 31 dicembre 2010, per l’affidamento dei servizi si procede mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica; che la disposizione violerebbe, inoltre, l’art. 18, comma 3-bis, del d.lgs. n. 422 del 1997, introdotto dall’art. 1, comma 6, del d.lgs. n. 400 del 1999, il quale individua il termine ultimo entro cui le Regioni possono mantenere gli affidamenti agli attuali concessionari di servizi di trasporto pubblico locale, ponendo tuttavia «l’obbligo», per tale periodo transitorio, «di affidamento di quote di servizio o di servizi speciali mediante procedure concorsuali»; che, quanto al censurato comma 5 dell’art. 38 della legge reg. n. 31 del 2008, il ricorrente sostiene che esso víola l’art. 117, primo comma, Cost., perché non tiene conto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, e l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., perché interviene nella materia della tutela della concorrenza, di potestà legislativa esclusiva dello Stato; che la difesa erariale evoca quali parametri interposti gli artt. 43, 49 e 86 del citato Trattato che istituisce la Comunità europea e l’art. 5, comma 2, del regolamento (CE) n. 1370/2007, nonché l’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e deduce motivi analoghi a quelli già evidenziati a proposito del comma 1 dell’art. 38 della legge reg. n. 31 del 2008; che si è costituita la Regione Lazio, la quale ha chiesto, in via principale, che «il ricorso sia dichiarato inammissibile o sia respinto in quanto infondato» e, in subordine, che «venga disposto il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 del Trattato, nei limiti di quanto esposto»; che la resistente rileva che: a) il ricorso è inammissibile, perché in esso «non è dato rilevare alcuna indicazione circa l’esistenza ed il contenuto della deliberazione autorizzativa del Consiglio dei ministri» e perché «l’inammissibilità del ricorso, anche in caso di esistenza della deliberazione del Consiglio dei ministri, consegue comunque alla mancata indicazione nell’atto notificato»; b) le censure relative al comma 1 dell’art. 38 della legge reg. n. 31 del 2008 riferite ai parametri comunitari sono inammissibili per genericità e, comunque, infondate; c) il denunciato comma 1 dell’art. 38 della legge reg. n. 31 del 2008 richiama espressamente sia il regolamento CE n. 1370/2007 sia l’articolo 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e deve, perciò, essere interpretato nel senso che non deroga a tali disposizioni; d) la censura riferita alla pretesa lesione della competenza legislativa esclusiv a statale in materia di tutela della concorrenza è inammissibile e, comunque, infondata, perché le disposizioni censurate attuano direttamente il diritto comunitario e attengono alla materia del trasporto pubblico locale, di competenza residuale regionale; e) la proroga delle gestioni dei servizi in corso non víola gli evocati parametri, perché è limitata nel tempo ed è comunque diretta ad assicurare la continuità dei servizi stessi; f) contrariamente a quanto affermato nel ricorso, il censurato comma 5 dell’art. 38 della legge reg. n. 31 del 2008 non realizza esso stesso «l’affidamento diretto in assenza dei presupposti voluti dalla disciplina comunitaria (ed anche nazionale), ma solo determina le condizioni dell’affidamento»; che, in via subordinata, la difesa regionale «chiede che la Corte Costituzionale, qualora non ritenga risolte le questioni interpretative sottese alla pronuncia di compatibilità della norma regionale censurata al regolamento comunitario n. 1370 del 2007 ed alle ulteriori norme comunitarie evocate a parametro dalla Presidenza del Consiglio dei ministri nel ricorso, sollevi le relative specifiche questioni pregiudiziali davanti alla Corte di giustizia CE, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, esclusivamente con riguardo alle violazioni degli artt. 43, 49 e 86 del Trattato CE, e dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 1370 del 2007, riservando al prosieguo del giudizio ogni decisione sulla violazione dell’art. 117, comma primo, della Costituzione»; che, a tal fine, la stessa difesa domanda, «se del caso, che la Corte eserciti i poteri istruttori di cui agli artt. 12 e seguenti delle “Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale del 7 ottobre 2008”»; che, con atto depositato il 24 novembre 2009, l’Avvocatura generale dello Stato – riservandosi di produrre, in copia autentica, l’estratto «della delibera del Consiglio dei ministri del 28 ottobre 2009 e la relazione, allegata alla medesima delibera, del Ministro per i rapporti con le regioni» – ha rinunciato al ricorso, rilevando che la Regione Lazio, con l’art. 1, comma 48, della legge 11 agosto 2009, n. 22 (Assestamento del bilancio annuale e pluriennale 2009-2011 della Regione Lazio), ha apportato alle disposizioni censurate modifiche che hanno «conformato la disciplina regionale a quella statale e comunitaria di riferimento»; che la difesa regionale, in data 11 febbraio 2010, ha depositato un atto sottoscritto dal difensore e dal Vicepresidente della Giunta regionale, con il quale si dichiara di accettare la rinuncia. Considerato che, successivamente alla proposizione del ricorso, la Regione Lazio, con l’art. 1, comma 48, della legge 11 agosto 2009, n. 22 (Assestamento del bilancio annuale e pluriennale 2009-2011 della Regione Lazio), ha modificato la normativa censurata; che, proprio in considerazione di tale modifica, la difesa erariale ha dichiarato di rinunciare al ricorso, affermando che la Regione ha «conformato la disciplina regionale a quella statale e comunitaria di riferimento» e che, pertanto, con deliberazione del 28 ottobre 2009, il Consiglio dei ministri aveva deliberato di rinunciare al ricorso, «tenuto conto che sono venute meno le motivazioni del ricorso» stesso; che, con atto sottoscritto dal difensore e dal vice presidente della Giunta regionale, la difesa regionale dichiara di accettare la rinuncia, senza depositare la deliberazione di accettazione della Giunta regionale; che la materia della legittimazione all’accettazione della rinuncia al ricorso nel giudizio costituzionale è regolata dall’art. 25 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il quale stabilisce che tale accettazione deve provenire dalla parte; che né dette norme integrative, né la legge 11 marzo 1953, n. 87, né il «regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale», le cui norme sono richiamate dall’art. 22, primo comma, di tale legge «in quanto applicabili», prevedono una specifica disciplina del potere del difensore nel giudizio costituzionale di accettare la rinuncia al ricorso; che, in difetto di una tale specifica disciplina, trova applicazione il principio generale desumibile dall’art. 306, secondo comma, del codice di procedura civile, il quale regola nello stesso modo la legittimazione alla rinuncia agli atti del giudizio e quella relativa alla corrispondente accettazione, prevedendo che «le dichiarazioni di rinuncia e di accettazione sono fatte dalle parti o da loro procuratori speciali [...]» ed escludendo, cosí, che l’accettazione della rinuncia rientri tra i poteri propri del difensore; che, quanto alla Regione Lazio, l’art. 41, comma 4, della legge regionale statutaria 11 novembre 2004, n. 1 (Nuovo statuto della Regione Lazio), prevede, fra l’altro, che il Presidente della Regione, previa deliberazione della Giunta regionale, «promuove l’impugnazione delle leggi dello Stato e delle altre Regioni e propone ricorso per i conflitti di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale»; che tale previsione deve essere interpretata nel senso che la Giunta regionale delibera anche sull’accettazione delle rinunzie ai medesimi ricorsi (per una fattispecie analoga, ordinanza n. 418 del 2008); che da ciò consegue che la menzionata accettazione da parte del difensore e del Vicepresidente della Giunta regionale non ha effetto, non avendo questi il relativo potere; che la rinuncia non regolarmente accettata dalla controparte, pur non comportando l’estinzione del processo, può fondare, unitamente ad altri elementi, la dichiarazione di cessazione della materia del contendere per carenza di interesse del ricorrente (ex plurimis, sentenze n. 320 del 2008 e n. 451 del 2007; ordinanze n. 153 e n. 53 del 2009, n. 418 del 2008 e n. 345 del 2006); che, nella specie, non risulta che la norma impugnata abbia avuto medio tempore applicazione; che il suindicato intervento di modifica della normativa censurata può ritenersi satisfattivo della pretesa avanzata con il ricorso, anche in considerazione dell’inequivoco contenuto dell’atto di rinuncia; che è, perciò, venuto meno l’interesse del ricorrente a coltivare il ricorso, con conseguente cessazione della materia del contendere. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara cessata la materia del contendere. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2010. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Franco GALLO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria l'1 aprile 2010. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA |