SENTENZA N. 117
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente:
Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi
MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO,
Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo
GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta
CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario
MORELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’articolo 3, comma 1, della
legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa
riparazione in caso di violazione del termine
ragionevole del processo e modifica
dell’articolo 375 del codice di procedura
civile), promosso dalla Corte di appello di
Caltanissetta, nel procedimento vertente tra
Morreale Stefania ed altri e il Ministero
dell’economia e delle finanze, con ordinanza del
20 aprile 2011, iscritta al n. 191 del registro
ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie
speciale, dell’anno 2011.
Visto l’atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del
25 gennaio 2012 il Giudice relatore Giuseppe
Tesauro.
Ritenuto in fatto
1.— La Corte di appello di
Caltanissetta, con ordinanza del 20 aprile 2011,
ha sollevato, in riferimento agli articoli 3,
primo comma, 24, 25, primo comma, e 111, secondo
comma, della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 3,
comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89
(Previsione di equa riparazione in caso di
violazione del termine ragionevole del processo
e modifica dell’articolo 375 del codice di
procedura civile), nella parte in cui, secondo
l’interpretazione assunta come diritto vivente,
«dispone che la competenza territoriale
funzionale della Corte di appello determinata ai
sensi dell’art. 11 c.p.p. si estende anche ai
procedimenti iniziati avanti alla Corte dei
conti ed alle altre giurisdizioni di cui
all’art. 103 Cost.».
2.— L’ordinanza di rimessione
premette che il processo principale ha ad
oggetto una domanda diretta ad ottenere l’equa
riparazione per l’irragionevole durata di un
processo in corso davanti al Tribunale
amministrativo regionale per la Sicilia,
proposta inizialmente davanti alla Corte di
appello di Palermo; i ricorrenti, avendo
quest’ultima dichiarato la propria incompetenza
per territorio, hanno riassunto il giudizio
davanti alla Corte rimettente.
Secondo il giudice a quo, la
giurisprudenza prevalente, di legittimità e di
merito, aveva ritenuto che la regola dettata dal
citato art. 3, comma 1, concernesse
esclusivamente le domande di equa riparazione
relative ai processi celebrati davanti alla
magistratura ordinaria; per le domande aventi ad
oggetto l’irragionevole ritardo dei giudizi
amministrativi e contabili la competenza per
territorio doveva, invece, essere stabilita ai
sensi dell’art. 25 del codice di procedura
civile. Siffatto orientamento è stato rimeditato
dalle sezioni unite civili della Corte di
cassazione che, con ordinanza del 16 marzo 2010,
n. 6306, hanno ritenuto riferibile detta
disposizione anche ai giudizi di equa
riparazione concernenti l’irragionevole ritardo
dei processi amministrativi e contabili,
enunciando un principio divenuto diritto
vivente.
Ad avviso del rimettente, siffatta
norma violerebbe anzitutto l’art. 25, primo
comma, Cost. La disciplina della competenza per
territorio, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, attiene, infatti, alla nozione di giudice
naturale precostituito per legge (sentenza n. 41
del 2006) e le disposizioni che introducono
eccezioni alle regole generali di tale criterio
di competenza dovrebbero essere ragionevoli,
soprattutto qualora rendano più gravoso
l’esercizio dell’azione. Il principio di
precostituzione del giudice esige, poi, che
l’organo giudicante non sia istituito sulla base
di criteri fissati in vista di singole
controversie e «la nozione di giudice naturale
non si cristallizza soltanto nella
determinazione di una competenza generale, ma si
forma anche a seguito di tutte le disposizioni
di legge che possano derogare a tale competenza
in base a criteri che ragionevolmente valutino i
disparati interessi coinvolti nel processo»
(sentenza n. 452 del 1997).
La norma censurata violerebbe il
suindicato parametro costituzionale, in quanto
prevede anche per i giudizi ex lege n. 89 del
2001 concernenti i processi amministrativi e
contabili una deroga della generale disciplina
della competenza per territorio che sarebbe
priva di ragionevole giustificazione, non
apparendo tale al giudice a quo «la
ricostruzione teorica ontologicamente unitaria
della competenza operata dalle sezioni unite».
Siffatta deroga non sarebbe, infatti,
giustificata dall’esigenza di garantire
«l’imparzialità e terzietà del giudice», poiché,
in relazione a detti giudizi, non può
«verificarsi alcuna interferenza tra giudici
ordinari e le altre giurisdizioni» e l’art. 11
del codice di procedura penale riguarda «solo i
magistrati operanti nell’ambito della
giurisdizione ordinaria» (Cass., sez. un.
penali, del 15 dicembre 2004, depositata il 13
gennaio 2005, n. 292). Inoltre, questa Corte,
con la sentenza n. 287 del 2007, avrebbe fatto
proprio l’orientamento contrario
all’applicabilità dell’art. 11 c.p.p. ai giudizi
di equa riparazione concernenti processi non
celebrati davanti ai giudici ordinari. Ad avviso
del giudice a quo, detta sentenza avrebbe negato
l’ammissibilità dell’estensione dell’art. 11
c.p.p. ed escluso che essa sia
costituzionalmente obbligata; comunque, avrebbe
affermato che detta disposizione non può
comportare «una deroga generalizzata a plurime
specifiche regole di competenza, ciascuna
adeguata a garantire il pieno esercizio del
diritto delle parti di agire e di difendersi in
un singolo tipo di controversia». Peraltro, la
precedente esegesi del citato art. 3, comma 1,
sarebbe stata giustificata dalla considerazione
che «il pericolo per l’imparzialità del giudice
é talmente ipotetico che è giustificato
rimetterne comunque la valutazione alla
discrezionalità del legislatore».
L’esigenza di evitare che i giudici
ordinari chiamati a decidere le domande di equa
riparazione siano prossimi a quelli speciali che
hanno definito i processi presupposti neppure
sarebbe, poi, garantita dalla norma censurata.
L’organizzazione territoriale degli uffici dei
giudici non ordinari comporta, infatti, che –
come accade, ad esempio, nella Regione siciliana
– la sezione regionale della Corte dei conti
«copre territorialmente tutti i distretti di
Corte di appello ordinari, qualunque Corte
d’appello decida sul ritardo»; quindi, i giudici
che fanno parte di quest’ultima, «in ipotesi di
apertura di procedimenti di responsabilità,
saranno soggetti al giudice contabile», con la
conseguenza che «nessuno spostamento di
competenza, entro il territorio regionale, evita
astrattamente l’interferenza stessa», ma
incrementa la durata del giudizio. Quest’ultimo
risultato si verificherebbe nel caso in esame,
poiché la deroga della competenza per territorio
della Corte di appello di Palermo in favore
della Corte di appello di Caltanissetta
comporterebbe, in primo luogo, che la facoltà
delle parti di chiedere l’acquisizione degli
atti del giudizio presupposto cagionerebbe un
ritardo nello svolgimento di tale adempimento, a
causa della distanza geografica tra dette sedi
giudiziarie; in secondo luogo, determinerebbe la
concentrazione dei giudizi di equa riparazione
«presso una piccola Corte di appello come quella
di Caltanissetta», dato che la gran parte dei
giudizi presupposti sono celebrati davanti ad
uffici giudiziari (amministrativi e contabili)
ubicati nel distretto della Corte di appello di
Palermo. L’interpretazione divenuta regola di
diritto vivente provocherebbe, quindi, una
«disfunzione dello stesso giudizio che deve
riparare all’irragionevole durata del processo
presupposto», in violazione sia dei principi di
ragionevolezza e di ragionevole durata del
processo, sia dell’art. 3, comma 6, della legge
n. 89 del 2001, poiché l’elevato numero dei
giudizi di equa riparazione non permetterebbe
alla Corte rimettente di definirli entro il
termine stabilito da quest’ultima disposizione.
Ad avviso del giudice a quo, la norma
in esame neppure «favorirebbe l’intera
diffusione del contenzioso presso tutte le Corti
d’appello, alleggerendo il distretto di Roma ove
si trovano gli organi di vertice». La
circostanza che il TAR per la Sicilia «ha
giurisdizione per l’intero territorio Regionale»
comporta, infatti, la concentrazione di tutte le
domande di equa riparazione concernenti processi
celebrati da tale ufficio giudiziario davanti
alla Corte d’appello di Caltanissetta. Inoltre,
detta interpretazione neanche garantirebbe una
riduzione del carico di lavoro della Corte di
appello di Roma, in riferimento ai giudizi per i
quali «un segmento del ritardo sia relativo al
giudizio di cassazione» ed a quello definito
dagli altri organi giurisdizionali di vertice.
2.1.— La norma censurata violerebbe
anche l’art. 3, primo comma, Cost., poiché la
deroga della competenza per territorio stabilita
dall’art. 11 c.p.p. non è applicabile neppure ai
processi penali concernenti i magistrati
amministrativi e contabili e neanche sono
stabilite eccezioni alle ordinarie regole di
competenza concernenti i giudizi civili dei
quali questi siano parte, sicché non sarebbe
ragionevole la previsione di una deroga per il
solo giudizio di equa riparazione.
Inoltre, essa recherebbe vulnus
all’art. 111, secondo comma, Cost. ed al
principio di ragionevole durata del processo,
dato che la Corte rimettente non sarebbe in
condizione di decidere le domande di equa
riparazione entro il termine stabilito dall’art.
3, comma 6, della legge n. 89 del 2001 e ciò
rischierebbe di dare vita ad un ulteriore
contenzioso, influendo negativamente l’elevato
numero di detti processi sulla ragionevole
durata di tutti gli altri giudizi attribuiti
alla medesima.
La norma censurata violerebbe, poi,
l’art. 24 Cost., poiché la pregressa esegesi del
citato art. 3, comma 1, non ledeva il principio
di imparzialità e terzietà del giudice,
garantito dall’«appartenenza dei giudici
controllori e controllati ad ordini
giurisdizionali diversi» (sentenza n. 287 del
2007) e dagli istituti dell’astensione e della
ricusazione. Inoltre, essa determinerebbe «uno
sbilanciamento, non necessario, in favore
dell’interesse garantito dall’art. 108, comma
secondo, Cost.» ed una «non giustificata
compressione del diritto di difesa sancito
dall’art. 24 Cost.», dato che, nei giudizi ex
lege n. 89 del 2001, la parte attrice sarebbe
costretta ad adire la Corte di appello
geograficamente più distante, individuata ai
sensi dell’art. 11 c.p.p.
La questione, conclude il rimettente,
sarebbe, infine, rilevante, poiché il suo
eventuale accoglimento comporterebbe
l’incompetenza per territorio della Corte di
appello di Caltanissetta a decidere la domanda
proposta nel giudizio principale.
3.— Nel giudizio davanti a questa
Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo
che la questione sia dichiarata manifestamente
infondata.
La norma censurata non violerebbe,
infatti, l’art. 25, primo comma, Cost., poiché
la scelta con essa realizzata sarebbe
ragionevole, tenuto conto delle argomentazioni
svolte dalle sezioni unite civili della Corte di
cassazione nell’ordinanza n. 6306 del 2010, in
larga misura riprodotte nell’atto di intervento.
La considerazione unitaria del giudizio
presupposto sotto il profilo della competenza
garantirebbe, inoltre, un’uniforme applicazione
del citato art. 3, comma 1, a tutti i giudizi di
equa riparazione e l’esigenza di un giudice
terzo ed imparziale. L’interpretazione in esame
non sarebbe, inoltre, irragionevole e non si
porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. anche
perché le situazioni poste a confronto dal
rimettente non sarebbero omologhe.
L’art. 111, secondo comma, Cost. non
sarebbe leso, in quanto tale parametro
«concepisce un giusto processo come canone
“oggettivo”», in virtù del quale ciò che è
«imprescindibile è la possibilità di esercizio
della giurisdizione a tutela di situazioni
meritevoli, ma non l’imposizione di un modello
unico e valido in assoluto». La garanzia di
imparzialità del giudice, tutelata dalla
disciplina della competenza per territorio
stabilita dalla norma censurata, sarebbe
rispettosa di detto canone e favorirebbe la
diffusione del contenzioso, evitandone la
concentrazione presso la Corte di appello di
Roma ed assicurando in tal modo la durata
ragionevole dei giudizi.
Secondo l’Avvocatura generale,
sarebbe, infine, infondata la censura riferita
all’art. 24 Cost., poiché è «irrazionale
ritenere che la violazione del diritto di difesa
sussista o meno a seconda che il giudizio
presupposto sia [celebrato] dinanzi al giudice
ordinario oppure dinanzi a quello
amministrativo».
L’applicazione di uno stesso criterio di
competenza a tutti i giudizi di equa riparazione
permetterebbe, invece, «di razionalizzare ed
uniformare il riparto, senza in alcun
modo comprimere la tutela giurisdizionale del
cittadino».
Considerato in diritto
1.— La Corte di appello di
Caltanissetta dubita, in riferimento agli
articoli 3, primo comma, 24, 25, primo comma, e
111, secondo comma, della Costituzione, della
legittimità costituzionale dell’articolo 3,
comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89
(Previsione di equa riparazione in caso di
violazione del termine ragionevole del processo
e modifica dell’articolo 375 del codice di
procedura civile), nella parte in cui, secondo
l’interpretazione assunta come diritto vivente,
«dispone che la competenza territoriale
funzionale della Corte di appello determinata ai
sensi dell’art. 11 c.p.p. si estende anche ai
procedimenti iniziati avanti alla Corte dei
conti ed alle altre giurisdizioni di cui
all’art. 103 Cost.».
2.— Ad avviso del rimettente, detta
norma violerebbe l’art. 25, primo comma, Cost.,
in quanto la disciplina della competenza per
territorio sarebbe preordinata a garantire il
principio del giudice naturale precostituito per
legge, il quale esige che l’organo giudicante
non sia istituito sulla base di criteri fissati
in vista di singole controversie. Siffatto
parametro costituzionale sarebbe leso, poiché la
norma censurata, per i giudizi di equa
riparazione concernenti l’irragionevole ritardo
dei processi amministrativi e contabili, prevede
una deroga dell’ordinaria disciplina della
competenza per territorio non sorretta da una
ragionevole giustificazione, dato che per essi
l’esigenza di garantire «l’imparzialità e
terzietà del giudice» non renderebbe necessaria
l’applicabilità della regola stabilita dal
citato art. 3, comma 1, come, peraltro, sarebbe
stato affermato da questa Corte con la sentenza
n. 287 del 2007. Inoltre, essa provocherebbe un
incremento della durata di detti giudizi, in
contrasto con la finalità degli stessi, sia a
causa della maggiore difficoltà di acquisire gli
atti del processo presupposto, sia perché
determinerebbe la concentrazione di un elevato
numero di processi presso una Corte di appello
di ridotte dimensioni qual è quella di
Caltanissetta.
La norma in esame recherebbe vulnus
anche all’art. 3, primo comma, Cost., poiché la
deroga della competenza per territorio stabilita
dall’art. 11 c.p.p. non è applicabile neppure ai
processi penali che concernono i magistrati
amministrativi e contabili e neanche sono
previste eccezioni all’ordinaria disciplina di
tale criterio di competenza per i processi
civili dei quali questi sono parte e, quindi,
non sarebbe ragionevole la previsione di una
deroga per il giudizio di equa riparazione.
Inoltre, essa si porrebbe in
contrasto con l’art. 111, secondo comma, Cost. e
con il principio di ragionevole durata del
processo, dato che determinerebbe
l’impossibilità per la Corte rimettente di
decidere le domande di equa riparazione entro il
termine stabilito dall’art. 3, comma 6, della
legge n. 89 del 2001, e ciò rischierebbe di dare
luogo ad un ulteriore contenzioso, mentre
l’elevato numero di tali processi influirebbe
negativamente anche sulla ragionevole durata di
tutti gli altri giudizi ad essa attribuiti.
La norma censurata violerebbe,
infine, l’art. 24 Cost., in quanto il principio
di imparzialità e terzietà del giudice sarebbe
garantito dall’«appartenenza dei giudici
controllori e controllati ad ordini
giurisdizionali diversi» e dagli istituti
dell’astensione e della ricusazione. Inoltre,
essa determinerebbe «uno sbilanciamento, non
necessario, in favore dell’interesse garantito
dall’art. 108 comma secondo, Cost.» ed una «non
giustificata compressione del diritto di difesa
sancito dall’art. 24 Cost.», dato che, nei
giudizi in esame, la parte attrice sarebbe
costretta ad adire la Corte di appello
geograficamente più distante, individuata ai
sensi dell’art. 11 c.p.p.
3.— In linea preliminare, va
precisato che il giudizio principale ha ad
oggetto una domanda diretta ad ottenere l’equa
riparazione per l’irragionevole durata di un
processo in corso davanti al TAR per la Sicilia;
la questione di legittimità costituzionale è,
dunque, rilevante esclusivamente nella parte
concernente l’applicabilità della norma
censurata ai giudizi ex lege n. 89 del 2001
relativi a processi celebrati davanti al giudice
amministrativo.
Inoltre, occorre osservare che le
sezioni unite civili della Corte di cassazione,
investite della questione dell’interpretazione
del citato art. 3, comma 1, hanno ritenuto che
il criterio di collegamento stabilito da questa
disposizione concerne anche detti giudizi
(ordinanza 16 marzo 2010, n. 6307; le ordinanze
n. 6306 – richiamata dal giudice a quo – e n.
6308, rese nella stessa data, hanno, invece,
deciso la questione della riferibilità di detto
criterio alle domande relative all’irragionevole
ritardo dei giudizi ordinari definiti in sede di
legittimità, benché abbiano anche confermato il
principio enunciato dalla prima ordinanza).
Siffatta interpretazione costituisce regola di
diritto vivente, in quanto enunciata dalle
sezioni unite nell’esercizio della propria
funzione nomofilattica (sentenza n. 338 del
2011) e, in seguito, costantemente ribadita
dalla stessa Corte (ex plurimis, ordinanze 30
dicembre 2011, n. 30111; 31 agosto 2011, n.
17908; 29 novembre 2010, n. 24171). La premessa
interpretativa dalla quale muove il rimettente
è, dunque, corretta e, costituendo la
valutazione se uniformarsi o meno a tale
orientamento una facoltà del medesimo (sentenza
n. 91 del 2004), la questione di legittimità
costituzionale è ammissibile. Essa non mira,
infatti, ad ottenere un avallo
dell’interpretazione ritenuta preferibile dal
giudice a quo, ma consiste nella denuncia del
contrasto della stessa con i parametri
costituzionali sopra richiamati (tra le più
recenti, sentenze n. 293, n. 236 e n. 3 del
2010).
4.— Nel merito, la questione non è
fondata.
4.1.— In relazione alle censure
riferite all’art. 25, primo comma, Cost.,
occorre premettere che il principio del giudice
naturale deve ritenersi osservato quando
«l’organo giudicante sia stato istituito dalla
legge sulla base di criteri generali fissati in
anticipo e non in vista di singole controversie»
(da ultimo, sentenza n. 30 del 2011) e la
competenza venga determinata attraverso atti di
soggetti ai quali sia attribuito il relativo
potere, nel rispetto della riserva di legge
esistente in tale materia (ordinanze n. 417 e n.
112 del 2002), come accade nella specie. La
regola di determinazione della competenza per
territorio relativa ai giudizi in esame è,
infatti, stabilita in via generale e preventiva
dall’art. 3, comma 1, della legge n. 89 del
2001, disposizione questa che, evidentemente,
può e deve costituire oggetto di interpretazione
da parte dei giudici; l’eventuale sussistenza di
un contrasto in ordine al significato da
attribuire alla medesima non può, per ciò solo,
farla ritenere lesiva del suindicato principio,
come, invece, adombra il rimettente.
Secondo la costante giurisprudenza
costituzionale, il legislatore dispone, inoltre,
di ampia discrezionalità nella conformazione
degli istituti processuali (tra le più recenti,
sentenza n. 304 del 2011) e, quindi, anche nella
fissazione dei criteri attributivi della
competenza, con il solo limite della manifesta
irragionevolezza delle scelte compiute (ex
plurimis, sentenze n. 52 del 2010; n. 237 del
2007; n. 341 del 2006), che non è violato dalla
norma censurata.
La tesi contraria è stata argomentata
dal rimettente essenzialmente richiamando la
sentenza di questa Corte n. 287 del 2007, della
quale ha, tuttavia, offerto una lettura non
corretta. Questa pronuncia ha, infatti, deciso
la questione di legittimità costituzionale del
citato art. 3, comma 1, proposta in riferimento
agli artt. 97, primo comma, e 108, primo e
secondo comma, Cost., nella parte in cui,
secondo l’interpretazione sostenuta dal
precedente (allora prevalente) orientamento
della giurisprudenza, il criterio di
determinazione della competenza per territorio
dallo stesso stabilito non era applicabile ai
giudizi di equa riparazione concernenti i
processi celebrati davanti ai giudici non
ordinari. La sentenza, nel dichiarare infondata
la questione, ha escluso che detta esegesi
recasse vulnus alla «garanzia della terzietà e
imparzialità del giudice», ma non ha affatto
affermato che essa fosse la sola compatibile con
le norme della Costituzione (tanto meno con
quelle richiamate dal giudice a quo).
L’interpretazione ora divenuta regola
di diritto vivente – censurata dalla Corte di
appello di Caltanissetta – è stata, quindi,
motivata, sottolineando, tra l’altro, che essa
non è impedita, «sul piano lessicale»,
dall’utilizzo nel citato art. 3, comma 1, «di un
termine (distretto) che è proprio della
distribuzione sul territorio delle corti di
appello», non dei giudici amministrativi. Detto
termine può, infatti, «funzionare in modo
identico» in relazione a questi ultimi, venendo
«in rilievo la sede e non l’ambito territoriale
di competenza». Il legislatore ha, quindi,
inteso «regolare gli effetti del fenomeno della
durata non ragionevole del processo, quale che
sia il giudice davanti al quale si svolge»,
esprimendo la volontà di stabilire una specifica
disciplina della competenza per territorio,
mediante l’impiego della parola «distretto». La
ratio della norma censurata è stata,
conseguentemente, identificata in quella di
stabilire un’unica regola di disciplina della
competenza per territorio, valida in relazione a
tutti i processi dei quali si denuncia
l’irragionevole durata e, a questo scopo, è
stato recepito il criterio di collegamento
stabilito dall’art. 11 c.p.p. È stata in tal
modo realizzata la concentrazione davanti ad uno
stesso giudice dei giudizi ex lege n. 89 del
2001 concernenti tutti i processi celebrati in
una stessa sede, favorendo una tendenziale
omogeneità di valutazioni in ordine alle ragioni
del ritardo ed alla liquidazione dei danni
(specie, tra l’altro, nel caso di giudizi
seriali, ovvero con pluralità di parti, non
infrequenti in materia amministrativa), al fine
di soddisfare un’esigenza non garantita dalla
pregressa esegesi, divenuta particolarmente
pressante anche a causa dell’elevato numero dei
giudizi di equa riparazione, «che fa ricadere
sul bilancio dello Stato un onere sempre più
gravoso».
A conforto della regola di diritto
vivente in esame sono stati, quindi, addotti
argomenti ulteriori rispetto a quello di
garantire l’imparzialità e la terzietà del
giudice dell’equa riparazione, idonei a fare
escludere la manifesta irragionevolezza della
scelta con essa realizzata, anche perché la
fissazione di una determinata regola di
competenza territoriale bene può essere
giustificata dall’esigenza di assicurare
l’uniformità della giurisprudenza in relazione a
determinate controversie (sentenza n. 189 del
1992).
Le deduzioni del rimettente, secondo
le quali la norma provocherebbe «un abnorme
allungamento dei tempi di definizione del
processo», sia in quanto renderebbe meno agevole
l’acquisizione degli atti del processo
presupposto da parte di un ufficio giudiziario
ubicato in una località diversa da quella
dell’ufficio davanti al quale esso è stato
celebrato, sia perché determinerebbe un aumento
del numero di affari giudiziari attribuiti ad
«una piccola Corte di appello come quella di
Caltanissetta», sono manifestamente incongrue ed
inconferenti rispetto alla censura diretta a
denunciare la violazione dell’art. 25, primo
comma, Cost. In ogni caso, si risolvono nella
denuncia di asseriti (ed eventuali)
inconvenienti di mero fatto, che, secondo la
consolidata giurisprudenza di questa Corte, non
rilevano ai fini del controllo di
costituzionalità (per tutte, sentenze n. 303 del
2011 e n. 230 del 2010; ordinanze n. 290 e n.
102 del 2011).
4.2.— Quest’ultima considerazione
conduce a ritenere non fondata anche la
questione proposta in relazione all’art. 111,
secondo comma, Cost., sostenendo che la norma in
esame porrebbe la Corte rimettente
nell’impossibilità di definire i giudizi di equa
riparazione entro il termine fissato dall’art.
3, comma 6, della legge n. 89 del 2001, con il
rischio di alimentare un ulteriore contenzioso e
di incidere sulla durata degli ulteriori affari
alla stessa assegnati.
Siffatta argomentazione consiste,
infatti, nella prospettazione di asserite
difficoltà che non discendono in via diretta ed
immediata dalla norma in esame, ma deriverebbero
da una situazione e da inconvenienti di fatto,
irrilevanti in quanto tali ai fini del giudizio
di legittimità costituzionale, ai quali va
eventualmente posto rimedio (qualora
effettivamente sussistano), approntando le
idonee ed opportune misure organizzative.
4.3.— Le censure riferite all’art. 3
Cost. non sono fondate, anzitutto perché le
considerazioni dianzi svolte hanno permesso di
negare la manifesta irragionevolezza della
scelta realizzata dalla norma. Inoltre, il
giudice che ha celebrato il processo presupposto
non è parte del giudizio (civile) di equa
riparazione e, quindi, è chiara la diversità (e
non comparabilità) di detta situazione con
quella costituita sia dal giudizio penale, sia
dal giudizio civile avente diverso oggetto, del
quale sia, invece, parte il giudice
amministrativo. La disciplina dell’art. 11
c.p.p. è, poi, richiamata dalla norma in esame
per stabilire una regola di individuazione della
competenza per territorio unica per tutti i
giudizi ex lege n. 89 del 2001, valida
indipendentemente dalla giurisdizione davanti
alla quale è stato celebrato il processo
presupposto, allo scopo di assicurare, all’esito
di un non irragionevole bilanciamento degli
interessi in gioco, il soddisfacimento anche
delle rilevanti esigenze sopra richiamate,
ulteriori rispetto a quella di garantire
l’imparzialità e la terzietà del giudice.
4.4.— Infine, anche la censura
proposta in relazione all’art. 24 Cost. non è
fondata.
Secondo la costante giurisprudenza di
questa Corte, siffatto parametro costituzionale
è vulnerato quando le norme processuali pongano
«condizioni “di sostanziale impedimento
all’esercizio del diritto di azione”» (tra le
più recenti, sentenza n. 30 del 2011), ovvero
prevedano deroghe non ragionevoli della
regolamentazione della competenza per territorio
(sentenza n. 231 del 1994). Nella specie, la
disciplina in esame, all’evidenza, non integra
un impedimento di tale natura, e ciò anche alla
luce sia della non irragionevolezza delle
motivazioni costituenti la ratio della regola
divenuta diritto vivente e delle esigenze che
essa mira a garantire, dianzi esaminate, sia dei
caratteri di semplicità e rapidità che
improntano il giudizio di equa riparazione
(tenuto conto, altresì, delle agevolazioni
previste per il ricorrente in ordine
all’acquisizione degli atti del processo
presupposto, art. 3, comma 5, della legge n. 89
del 2001).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 3,
comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89
(Previsione di equa riparazione in caso di
violazione del termine ragionevole del processo
e modifica dell’articolo 375 del codice di
procedura civile), sollevata, in riferimento
agli articoli 3, primo comma, 24, 25, primo
comma, e 111, secondo comma, della Costituzione,
dalla Corte di appello di Caltanissetta, con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 7 maggio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10
maggio 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI |