Ultime pronunce pubblicate deposito del 31-05-2012 |
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133/2012 pres. QUARANTA, red. NAPOLITANO |
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134/2012 pres. QUARANTA, red. NAPOLITANO |
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135/2012 pres. QUARANTA, red. GALLO F. |
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136/2012 pres. QUARANTA, red. GALLO F. |
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137/2012 pres. QUARANTA, red. GALLO F. |
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138/2012 pres. QUARANTA, red. MORELLI |
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Deposito del 31-05-2012 (dalla 133 alla 138) |
S.133/2012 del 21/05/2012 |
S.134/2012 del 21/05/2012 |
S.135/2012 del 21/05/2012 |
O.136/2012 del 21/05/2012 |
O.137/2012 del 21/05/2012 |
O.138/2012 del 21/05/2012 |
SENTENZA N. 133 ANNO 2012 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Liguria 5 luglio 2011, n. 17, recante ?Modifica alla legge regionale 21 giugno 1999, n. 18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia) e successive modificazioni ed integrazioni?, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 1?-5 settembre 2011, depositato in cancelleria il 7 settembre 2011 ed iscritto al n. 86 del registro ricorsi 2011. Udito nell’udienza pubblica del 3 aprile 2012 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano; udito l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.–– Con ricorso spedito per la notifica il 1? settembre 2011, ricevuto il successivo 5 settembre e depositato in cancelleria il successivo 7 settembre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Liguria 5 luglio 2011, n. 17, recante ?Modifica alla legge regionale 21 giugno 1999, n. 18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia) e successive modificazioni ed integrazioni?, per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. 2.–– Il ricorrente premette che la sopra indicata legge regionale – composta, peraltro, del solo articolo 1 – è venuta a modificare la legge regionale 21 giugno 1999, n. 18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia), aggiungendo, all’art. 85 della medesima, dopo il comma 3, il comma 3-bis, il quale prevede che: ?Le autorizzazioni agli scarichi domestici e assimilati, ad esclusione di quelli di cui all’articolo 74, comma 1, lettera h), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e successive modificazioni ed integrazioni, sono valide per quattro anni dal momento del rilascio e, qualora ne sussistano gli stessi presupposti e requisiti, si intendono tacitamente rinnovate di quattro anni in quattro anni?. Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la norma impugnata violerebbe l’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost., in quanto sarebbe in contrasto sia con l’art. 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), sia con l’art. 124, comma 8, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Secondo il ricorrente, infatti, la disposizione regionale impugnata, prevedendo un rinnovo tacito, di quattro anni in quattro anni, delle autorizzazioni agli scarichi domestici ed assimilati, ?nel caso l’Amministrazione non abbia provveduto espressamente sull’istanza di rinnovo?, si porrebbe in contrasto con la prima delle due norme, la quale stabilisce che ?il silenzio? della pubblica amministrazione (inteso quale comportamento volto a significare assenso o dissenso al rilascio di provvedimenti autorizzativi) non può essere in nessun caso applicato alla materia ?ambiente?. 2.1.–– La norma in esame, inoltre, così disponendo, verrebbe anche a violare il principio in materia ambientale dettato dall’art. 124, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui l’autorizzazione relativa agli scarichi è valida per quattro anni dal momento del rilascio, con obbligo del rinnovo della stessa un anno prima della scadenza, ?così escludendo ogni possibilità di rinnovo tacito?. Né si potrebbe ritenere, prosegue il ricorrente, che la norma regionale sospettata sarebbe legittima in forza del dettato dell’ultimo capoverso del citato art. 124, comma 8, secondo il quale ?la disciplina regionale di cui al comma 3 può prevedere per specifiche tipologie di scarichi di acque reflue domestiche, ove soggetti ad autorizzazione, forme di rinnovo tacito della medesima?. Tale disposizione legislativa statale, difatti, correttamente intesa, prevede non ?un generalizzato rinnovo tacito delle autorizzazioni agli scarichi di acque reflue domestiche ed assimilate, così come disposto dal legislatore regionale?, ma stabilisce solo la possibilità di un tale rinnovo ?esclusivamente? per specifiche tipologie di scarichi, che il legislatore regionale, conclude l’Avvocatura generale dello Stato, ?avrebbe dovuto individuare in modo puntuale?. 2.2.–– Pertanto, conclude il ricorrente, la norma in esame – prevedendo, diversamente da quella statale, un generico e tacito rinnovo per l’autorizzazione degli scarichi di acque reflue, in una materia afferente (per giurisprudenza costituzionale consolidata e costante) alla ?tutela dell’ambiente?, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, non derogabile da parte del legislatore regionale – sarebbe illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 3.–– La Regione Liguria non si è costituita. Considerato in diritto 1.–– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Liguria 5 luglio 2011, n. 17, recante ?Modifica alla legge regionale 21 giugno 1999, n.18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia) e successive modificazioni ed integrazioni?, per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. 2.–– L’art. 1 della sopra indicata legge regionale (peraltro composta di questo solo articolo), rileva il ricorrente, è venuto a modificare l’art. 85 della legge regionale 21 giugno 1999, n. 18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia), inserendo, dopo il comma 3 di quest’ultimo, il comma 3-bis, il quale prevede la possibilità che le autorizzazioni agli scarichi domestici ed assimilati, valide per quattro anni dal momento del rilascio, ?qualora ne sussistano gli stessi presupposti e requisiti, si intendono tacitamente rinnovate di quattro anni in quattro anni?. 2.1.–– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la norma regionale, prevedendo ?un generico tacito rinnovo? dell’autorizzazione degli scarichi di acque reflue domestiche e assimilate, viene a violare l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dettando, in una materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato, una disciplina in contrasto sia con l’art. 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), sia con il principio in materia di ambiente dettato dall’art. 124, comma 8, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). In particolare, quanto alla prima disposizione indicata, la normativa impugnata si discosterebbe da quella statale, là dove essa stabilisce che ?il silenzio? della Pubblica amministrazione (inteso come comportamento volto a significare assenso o dissenso al rilascio di provvedimenti autorizzativi) non può essere in nessun caso applicato alla materia ?ambiente?; quanto alla seconda norma statale, nella parte in cui quest’ultima prevede che ?l’autorizzazione agli scarichi ha validità per quattro anni dal momento del rilascio ed impone di chiederne il rinnovo un anno prima della scadenza, così escludendo ogni possibilità di rinnovo tacito?, salvo la possibilità di tale rinnovo esclusivamente per specifiche tipologie di scarichi domestici, che, peraltro, il legislatore regionale ?avrebbe dovuto individuare in modo puntuale?. 3.–– Ritiene prioritariamente questa Corte di esaminare la legittimità costituzionale della disposizione impugnata in riferimento alla sua coerenza con l’art. 124, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, ritenuto espressione della tutela approntata dallo Stato in tema di autorizzazione agli scarichi idrici, peraltro ascrivibile, per giurisprudenza costituzionale consolidata, alla materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (ex multis: sentenze nn. 187 e 44 del 2011, n. 234 del 2010, n. 254 e n. 251 del 2009). 4.–– La questione di legittimità costituzionale è fondata. 4.1.–– È da premettere che la disciplina degli scarichi idrici, per costante giurisprudenza di questa Corte, si colloca nell’ambito della ?tutela dell’ambiente e dell’ecosistema?, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Lo Stato, nell’esercizio di tale competenza – al fine di dettare, su tutto il territorio nazionale, una disciplina unitaria ed omogenea che superi gli interessi locali e regionali – ha adottato una propria normativa, stabilendo ?standard minimi di tutela? volti ad assicurare – come anche di recente si è ribadito – una tutela ?adeguata e non riducibile dell’ambiente?, ?non derogabile dalle Regioni? (da ultimo, sentenza n. 187 del 2011), neppure se a statuto speciale, o dalle Province autonome (sentenza n. 234 del 2010). 4.1.1.–– Nel caso di specie, la norma regionale censurata, prevedendo un generico e tacito rinnovo, peraltro di quattro anni in quattro anni, dell’autorizzazione agli scarichi domestici ed assimilati senza una ulteriore e specifica individuazione, si discosta da quanto stabilito dalla normativa statale di riferimento. Il legislatore statale, infatti, dopo aver affermato, al comma 1 dell’art. 124 del d.lgs. n. 152 del 2006, che ?Tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati?, al comma 8 del medesimo articolo, stabilisce che tale ?autorizzazione è valida per quattro anni dal momento del rilascio. Un anno prima della scadenza ne deve essere chiesto il rinnovo?. Diversamente dall’enunciato principio, il comma 3-bis dell’art. 85 della legge regionale della Liguria n. 18 del 1999, come introdotto dalla successiva legge regionale n. 17 del 2011, ha previsto che ?le autorizzazioni agli scarichi domestici e assimilati, (…), valide per quattro anni dal momento del rilascio, nel caso che sussistano gli stessi presupposti e requisiti?, possano intendersi ?tacitamente rinnovate di quattro anni in quattro anni?. Né vale a salvare dalla censura di illegittimità costituzionale la norma impugnata quanto stabilito dall’ultimo capoverso del comma 8 dell’art. 124 del codice dell’ambiente, il quale – ai sensi del comma 3 del medesimo articolo – consente al legislatore regionale di prevedere forme di rinnovo tacito di autorizzazioni agli scarichi idrici esclusivamente ?per specifiche tipologie di scarichi “di acque reflue domestiche”? individuate ?in modo puntuale?. La norma regionale censurata, al contrario, prevede un generalizzato rinnovo tacito delle autorizzazioni agli scarichi non solo ?domestici?, ma anche di quelli a questi ?assimilati?, e, quindi, non meglio individuati, discostandosi, altresì, anche dal dettato dell’art. 101 del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, che, a sua volta, fissando i criteri generali della disciplina degli scarichi, al comma 7, lettera e), recita: ?ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue (…) aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale?. 4.1.2.–– Così disponendo, inoltre, la normativa regionale censurata sottrarrebbe, di fatto, all’autorità competente la possibilità di verifica del perdurare delle condizioni richieste per ottenere il rinnovo dell’autorizzazione, venendo, conseguentemente, a vanificare lo scopo che il legislatore statale vuole perseguire con il comma 8 dell’art. 124 del sopra ricordato decreto legislativo, cioè quello di verificare periodicamente la presenza delle condizioni individuate come necessarie per la concessione dell’autorizzazione allo scarico idrico richiesto, al fine di assicurare forme di protezione ambientali adeguate e ?standard? uniformi di tutela delle medesime sull’intero territorio nazionale. 4.2.–– Ad ulteriore conferma dell’illegittimità costituzionale della norma impugnata per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., si ricorda che questa Corte ha ripetutamente affermato la necessità che il provvedimento autorizzatorio in tema di scarichi idrici (più in generale, di smaltimento dei rifiuti), ?venga concesso previa positiva verifica della esistenza dei requisiti necessari al rilascio? dello stesso (sentenze n. 234 del 2010 e n. 62 del 2008), dichiarando l’illegittimità costituzionale di norme delle Regioni che prevedevano forme di ?prorogatio destinat[e] a surrogare, ex lege ed in forma automatica, i controlli tipici dei procedimenti amministrativi di rinnovo delle autorizzazioni?, in quanto tale disciplina, da un lato, non ?garantisce che le autorizzazioni in corso di “esercizio” (originario o prorogato) [siano] state – ab origine o in sede di proroga – assoggettate a valutazione di impatto ambientale; dall’altro, il perdurante regime normativo di mantenimento dello status quo cristallizza, ex lege, l’elusione dell’obbligo e, con esso, attraverso il meccanismo della legge-provvedimento, il mancato rispetto della normativa dettata in materia riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato? (sentenza n. 67 del 2010). 4.3.–– La norma in esame della Regione Liguria, pertanto, ponendosi in contrasto con il comma 8 dell’art. 124 del d.lgs. n. 152 del 2006 ed apprestando al predetto bene ambientale una tutela inferiore rispetto a quella assicurata dalla normativa statale (sentenza n. 234 del 2010), è costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 5.–– Restano assorbiti gli ulteriori motivi di censura. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Liguria 5 luglio 2011, n. 17, recante ?Modifica alla legge regionale 21 giugno 1999, n.18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia) e successive modificazioni ed integrazioni?, che aggiunge all’articolo 85 della legge della Regione Liguria 21 giugno 1999, n. 18, il comma 3-bis. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2012. F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2012. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI SENTENZA N. 134 ANNO 2012 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promossi dalla Corte d’appello di Trieste con ordinanza del 20 gennaio 2011 e dalla Corte di cassazione con ordinanza del 21 aprile 2011, rispettivamente iscritte ai nn. 77 e 251 del registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19 e 51, prima serie speciale, dell’anno 2011. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 4 aprile 2012 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano. Ritenuto in fatto 1.–– Con ordinanza del 20 gennaio 2011 la Corte d’appello di Trieste ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, 4, 27, terzo comma, e 41 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui prevede che, per ogni ipotesi di condanna per i fatti di bancarotta previsti nei commi precedenti del medesimo articolo, si applichino le pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni. La Corte rimettente premette che oggetto del giudizio è l’appello avverso la sentenza con la quale gli appellanti sono stati condannati dal Tribunale di Udine in ordine al ?delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale p. e p. dagli artt. 110 e 40, comma 2, c.p. e dagli artt. 216, comma 1 n. 1, 223, comma 1, e 219 R.D. 16.3.1942, n. 267 (l. Fall.), per avere (recte: perché), in concorso tra loro, quali componenti del consiglio di amministrazione, e quindi amministratori della società (omissis) con sede in Trivignano Udinese (UD) […] dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Udine n. 30/2006 del 26 giugno 2006, distraevano, dissipavano, ovvero non impedivano la distrazione e la dissipazione, di attività della società fallita?. La Corte rimettente evidenzia che il Tribunale di Udine, con la sentenza appellata, ha condannato tutti gli imputati, previa concessione delle attenuanti generiche ritenute prevalenti rispetto alle aggravanti contestate, alla pena principale di anni due di reclusione e alla pena accessoria, di cui all’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942, dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale per la durata di anni dieci e dell’incapacità, per la stessa durata, ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa. A tutti gli imputati è stato concesso, inoltre, il beneficio della sospensione condizionale della pena. All’udienza dibattimentale del giudizio di appello il difensore degli imputati ha rinunciato ai motivi d’appello diversi da quello afferente l’entità della pena principale e delle conseguenti pene accessorie, di cui all’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942 e ha concluso chiedendo la riduzione di entrambe le pene, quella principale e quella accessoria. Il Procuratore Generale della Repubblica ha chiesto la riduzione della pena inflitta agli imputati, tenuto conto ?dell’intervenuto, seppur tardivo, risarcimento del danno nei confronti del fallimento già costituitosi parte civile, costituzione revocata in apertura d’udienza, a quella di anni uno e mesi sei di reclusione e la conferma delle ulteriori statuizioni dell’impugnata sentenza, fra cui, l’irrogazione delle pene accessorie anzidette per la durata di anni dieci?. La Corte d’appello di Trieste, così delineata la vicenda processuale, precisa di aver esaminato i profili di responsabilità degli imputati, particolarmente per quanto attiene all’elemento soggettivo del reato e di ritenere che la pena inflitta agli imputati possa essere effettivamente ridotta come richiesto dalla pubblica accusa. In particolare, la rimettente valorizza, ai fini della riduzione della pena, i seguenti fatti: che la contestata bancarotta fraudolenta non sarebbe stata consumata con artifizi particolari – le condotte materiali risultano in termini trasparenti dalle stesse scritture contabili tanto che, non a caso, non è contestata la bancarotta documentale –, che la ?distrazione? ha connotati del tutto peculiari, e che gli imputati si sono adoperati, seppure tardivamente, per risarcire il danno, in modo da meritare l’applicazione dell’attenuante comune di cui all’art. 62, numero 6), del codice penale. Secondo la Corte rimettente, stante la ridotta gravità dei fatti, anche le pene accessorie dovrebbero, secondo equità, essere ridotte, ma osterebbe a tale riduzione il disposto dell’ultimo comma dell’art. 216 del r.d. n. 267 del 1942 che stabilisce la durata di tali pene in misura fissa (dieci anni). Anche la giurisprudenza di legittimità ha interpretato – anche se non univocamente – la norma in esame nel senso che non è possibile una rimodulazione della pena accessoria in relazione alla maggiore o minore gravità del fatto (Corte di cassazione, sezione V penale, 18 febbraio 2007, n. 39337; sezione V penale, 18 febbraio 2010, n. 17960). La Corte d’appello di Trieste cita anche la giurisprudenza contraria (Corte di cassazione, sezione V penale, 31 marzo 2010, n. 23720) che, se pur fondata su esigenze di equità e di conformità a Costituzione, ritiene di non poter seguire a fronte dell’inderogabile previsione normativa significativamente diversa, anche sul piano letterale, da quella dell’art. 217, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942. Secondo la rimettente, l’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942 non sarebbe conforme a molteplici principi costituzionali, da quello di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), a quelli che riconoscono il diritto al lavoro e che permettono ad ogni cittadino di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4 Cost.). La disposizione legislativa contrasterebbe, infine, con la finalità rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, Cost.), e con i principi che indirizzano a fini sociali l’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) e che ne riconoscono la libertà. La norma oggetto di censura, nel predeterminare in misura fissa la durata delle pene accessorie, non terrebbe conto del fatto che tali pene accessorie conseguono a comportamenti di gravità assolutamente diversa, essendo profondamente differenziate le varie condotte sussunte nella norma incriminatrice – bancarotta distrattiva, dissipativa, documentale, preferenziale – difformi fra loro sul piano oggettivo e che consentono al giudice di determinare la pena principale in un ampio ambito che va da tre a dieci anni di reclusione, riconoscendosi in tal modo implicitamente che la fattispecie astratta trova applicazione rispetto a condotte di gravità molto diversa tra loro. Lo spettro sanzionatorio sarebbe ancora più ampio, posto che le pene accessorie predeterminate nella durata trovano applicazione indifferentemente tanto nelle ipotesi aggravate che in quelle attenuate contemplate dall’art. 219 del r.d. n. 267 del 1942. Secondo la Corte rimettente, infine, una pena accessoria di tale durata – ?e che può prolungarsi ben oltre la durata della pena principale? – non sarebbe conforme alle esigenze di rieducazione e reinserimento sociale del condannato anche quale membro economicamente attivo della società, considerato che non gli è consentito di svolgere alcuna attività imprenditoriale di produzione di beni o servizi ovvero commerciale, anche come imprenditore individuale. Tale pena accessoria, pertanto, comprimerebbe significativamente, ?nell’ambito del solo lavoro dipendente e non dirigenziale?, le attitudini lavorative del condannato, per un tempo che potrebbe essere persino superiore di dieci volte la durata della pena principale inflitta. 2.–– È intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione. Secondo la difesa statale, lo stesso giudice a quo avrebbe dato atto dell’esistenza di un indirizzo giurisprudenziale secondo il quale l’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942 – lungi dall’aver stabilito la durata delle pene accessorie nella misura fissa ed inderogabile di dieci anni – ha solo individuato la misura massima delle stesse, lasciando al giudice la commisurazione della durata in concreto di tali pene accessorie, in applicazione dell’art. 133 cod. pen. (Corte di cassazione, sezione quinta penale, 31 marzo 2010, n. 23720). L’Avvocatura dello Stato prende atto che il rimettente afferma di non poter seguire tale indirizzo, a ciò ostando l’inderogabilità della previsione normativa, significativamente diversa, anche sul piano letterale, da quella dell’art. 217, ultimo comma, della legge fallimentare. Osserva, al riguardo, che l’opzione interpretativa autorevolmente avallata dalla più recente giurisprudenza della Suprema Corte trova il suo fondamento nella consapevolezza dell’incostituzionalità della disposizione in questione, ove interpretata in senso angustamente letterale, e della conseguente esigenza di darne una lettura costituzionalmente orientata. Sulla base di queste argomentazioni l’Avvocatura dello Stato chiede che la questione sia dichiarata infondata. 3.–– Con ordinanza del 21 aprile del 2011 la Corte di cassazione ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 111 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942, nella parte in cui prevede che, per ogni ipotesi di condanna per i fatti di bancarotta previsti nei commi precedenti del medesimo articolo, si applichino le pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni. La Corte rimettente premette, in fatto, di dover giudicare sul ricorso avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta nei confronti di alcuni imputati, a vario titolo, di fatti di bancarotta fraudolenta. Tra i motivi di impugnazione, prosegue la rimettente, vi è quello relativo all’applicazione delle sanzioni accessorie – non dedotte nell’accordo pattizio – in misura fissa, anziché pari alla durata della pena principale. Su questo motivo di ricorso, il Collegio dà atto di non poter decidere allo stato degli atti, ravvisando un contrasto di pronunce sul punto anche all’interno della stessa sezione della Corte di cassazione. Il contrasto attiene all’interpretazione dell’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942 e, segnatamente, alla durata della sanzione dell’inabilitazione ivi prevista. L’orientamento seguito pressoché costantemente dalla Corte in tema di bancarotta fraudolenta (rilevabile sin dalla sentenza della sezione V del 16 ottobre 1973, n. 126018) è nel senso che la pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di imprese commerciali ed alla incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, sia fissata inderogabilmente nella misura di dieci anni. Pertanto, non trattandosi di pena indeterminata, la sua durata si sottrae alla disciplina disposta dall’art. 37 cod. pen. Tuttavia, a fronte di siffatta lettura, recenti sentenze (Corte di cassazione, sezione V penale, 10 marzo 2010, n. 9672; sezione V penale, 31 marzo 2010, n. 23720) hanno ritenuto che la fissità della sanzione accessoria contrasti con ?il “volto costituzionale” dell’illecito penale?, e che il sistema normativo debba lasciare, comunque, adeguati spazi alla discrezionalità del giudice, al fine di permettere l’adeguamento della risposta punitiva alle singole fattispecie concrete: in tal senso sarebbe illegittima una previsione che lasci il giudice privo di sufficienti margini di adattamento del trattamento sanzionatorio alle peculiarità della singola ipotesi concreta. La Corte rimettente precisa che questo secondo indirizzo ermeneutico è ispirato da importanti pronunce della Corte costituzionale (ordinanze nn. 91 e 4 del 2008, n. 50 del 1980) nelle quali si è detto che: ?In linea di principio [...] previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in armonia con il “volto costituzionale” del sistema penale; ed il dubbio di illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionatorio e per la misura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato?. A parere della Corte di cassazione, la sottrazione del giudizio ai consueti criteri dettati dagli artt. 132 e 133 cod. pen. urta con le previsioni costituzionali degli artt. 3 e 27 Cost. Venendo alla motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza, la rimettente precisa, in primo luogo, che l’interpretazione costituzionalmente orientata si scontra con il dato testuale dell’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942 e che spetta alla Corte costituzionale l’eventuale affermazione di illegittimità della previsione legislativa. In questa prospettiva si ravvisa un contrasto tra l’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942, e gli artt. 3 e 27 della Carta fondamentale, attesa la rigidità dispositiva della prescrizione penale, a fronte del variare della situazione concreta, caratteristica che determina una sostanziale ingiustizia nel trattare allo stesso modo condotte di rilievo penale tra loro differenti e difformemente sanzionate dal legislatore mediante la pena principale. La Corte di cassazione si riferisce, in particolare, alla ipotesi di ?bancarotta preferenziale? nonché alla singolare ampiezza dell’escursione afflittiva contemplata dalle circostanze speciali di cui all’art. 219, primo e ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942. Inoltre, evidenzia la sproporzione che l’ordinamento appresta nei riti alternativi in cui – come nel caso in esame – la risposta della pena principale risulta grandemente inferiore rispetto a quella accessoria, a cagione della diminuzione premiale consentita o imposta dal legislatore. Anche in relazione all’art. 111 Cost. il ragionamento precedentemente svolto sembra, secondo la Corte rimettente, rafforzarsi. Tale norma costituzionale, nell’imporre all’ordinamento la celebrazione di processi ?giusti?, non pretende soltanto un corretto svolgimento degli stessi per il rispetto della legge, delle garanzie assegnate alle parti, del contraddittorio e per l’espletamento del processo in limiti di tempo ragionevoli. Essa prefigura anche la garanzia di un’equa soluzione, alla luce delle risultanze di causa che il giudice acquisisce nella varie fasi processuali. Risulterebbero vanificati gli strumenti di garanzia che assicurano equilibrio del dibattito e pienezza di poteri argomentativi per arrivare, in un processo ?giusto?, ad una decisone ?giusta?, se poi la soluzione che compete al giudice, terzo ed imparziale, fosse coartata nella fase decisionale in ordine ai dati correttamente versati in atti. In altri termini, non si comprenderebbe quale effettivo significato possa darsi ad un sistema che annovera un dettagliato paradigma valutativo negli artt. 132 e 133 cod. pen., ma, all’effetto pratico, impedisce al giudice di ricondurre siffatti esiti ad un’equa e adeguata considerazione sanzionatoria, ancorché ?accessoria?. In conclusione, la norma censurata sarebbe in contrasto con il principio del ?minore sacrificio necessario? nella risposta punitiva dell’ordinamento a fronte della violazione penale, quando nulla impedirebbe di estendere i parametri propri della pena principale alla misura della pena accessoria, assegnando al giudice, caso per caso, la più opportuna statuizione. 3.1.–– È intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione. Secondo la difesa statale lo stesso giudice a quo avrebbe dato atto dell’esistenza di un indirizzo giurisprudenziale secondo il quale l’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942, lungi dall’aver stabilito la durata delle pene accessorie nella misura fissa ed inderogabile di dieci anni, ha solo individuato la misura massima delle stesse, lasciando al giudice la commisurazione della durata in concreto di tali pene accessorie, in applicazione dell’art. 133 cod. pen. (in particolare, Corte di cassazione 31 marzo 2010, n. 23720). Il rimettente afferma di non poter seguire tale indirizzo a ciò ostando l’inderogabilità della previsione normativa, significativamente diversa, anche sul piano letterale, da quella dell’art. 217, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942. In realtà, l’opzione interpretativa autorevolmente avallata dalla più recente giurisprudenza della Suprema Corte risulta proprio dalla consapevolezza dell’incostituzionalità della disposizione in questione, ove interpretata in senso angustamente letterale, e della conseguente esigenza di darne una lettura costituzionalmente orientata. Sulla base di queste argomentazioni l’Avvocatura dello Stato chiede che la questione sia dichiarata infondata. Con memoria depositata in prossimità dell’udienza la difesa statale ribadisce la proprie argomentazioni circa la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma impugnata e conclude per l’infondatezza della questione sollevata. Considerato in diritto 1.–– La Corte d’appello di Trieste, con ordinanza del 20 gennaio 2011, e la Corte di cassazione, con ordinanza del 21 aprile del 2011, hanno sollevato – in riferimento agli articoli 3, 4, 27, terzo comma, 41 e 111 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui prevede che, per ogni ipotesi di condanna per i fatti di bancarotta previsti nei commi precedenti del medesimo articolo, si applichino le pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni. Secondo la Corte d’appello di Trieste la determinazione dell’entità della pena accessoria del delitto di bancarotta fraudolenta in misura fissa violerebbe gli artt. 3 e 27 Cost. perché non consentirebbe di tener conto del fatto che tali pene accessorie conseguono a condotte di gravità assolutamente diversa – bancarotta distrattiva, dissipativa, documentale, preferenziale – tanto da consentire al giudice di determinare la pena principale in un ampio ambito che va da tre a dieci anni di reclusione, riconoscendosi in tal modo implicitamente che la fattispecie astratta trova applicazione rispetto a condotte di gravità molto diverse tra loro. Inoltre, una pena accessoria di tale durata – e che ?può prolungarsi ben oltre la durata della pena principale? – non sarebbe conforme alle esigenze di rieducazione e reinserimento sociale del condannato quale membro economicamente attivo della società, violando, quindi, gli artt. 27, terzo comma, e 4 Cost. Infine, risulterebbe violato anche l’art. 41 Cost., in quanto una pena accessoria così modulata ?comprime significativamente, nell’ambito del solo lavoro dipendente e non dirigenziale le attitudini lavorative del condannato per un tempo che può essere persino superiore di dieci volte la durata della pena principale inflitta?. Anche la questione sollevata dalla Corte di cassazione si fonda sulla violazione degli artt. 3, 27 e 111 Cost. perché la rigidità della prescrizione, a fronte del variare della situazione concreta, determinerebbe una sostanziale ingiustizia nel trattare allo stesso modo condotte di rilievo penale tra loro differenti e difformemente sanzionate dal legislatore mediante la pena principale e, anche, una violazione del ?giusto processo?. 1.1.–– Le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione. I giudici a quibus dubitano, in riferimento a plurimi parametri, della legittimità costituzionale della disciplina che stabilisce la durata della pena accessoria, prevista, per il delitto di bancarotta fraudolenta dall’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942, nella misura fissa di dieci anni. 2.–– Premesso che la Corte intende ribadire (da ultimo, ordinanza n. 293 del 2008) l’opportunità che il legislatore ponga mano ad una riforma del sistema delle pene accessorie, che lo renda pienamente compatibile con i principi della Costituzione, ed in particolare con l’art. 27, terzo comma, tuttavia le questioni di legittimità costituzionale oggi all’esame sono inammissibili in considerazione del petitum formulato dai rimettenti. Infatti, in entrambe le ordinanze, si lamenta la non conformità a Costituzione della predeterminazione nella misura fissa di dieci anni della pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, di cui all’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942 per il delitto di bancarotta. La Corte d’appello di Trieste afferma che la predeterminazione in misura fissa della pena accessoria impedisce l’applicazione dell’art. 37 cod. pen. secondo il quale ?Quando la legge stabilisce che la condanna importa una pena accessoria temporanea, e la durata di questa non è espressamente determinata, la pena accessoria ha una durata eguale a quella della pena principale inflitta, o che dovrebbe scontarsi, nel caso di conversione, per insolvibilità del condannato?. Nello stesso senso la Corte di cassazione, ritenendo preclusa un’interpretazione dell’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942, che consenta di applicare l’art. 37 cod. pen., vuole giungere al medesimo risultato mediante una pronuncia di questa Corte. Le rimettenti, dunque, chiedono alla Corte di aggiungere le parole ?fino a? all’ultimo comma dell’art. 216 del r.d. n. 267 del 1942 al fine di rendere possibile l’applicazione dell’art. 37 cod. pen. Tuttavia, la soluzione prospettata è solo una tra quelle astrattamente ipotizzabili in caso di accoglimento della questione: infatti sarebbe anche possibile prevedere una pena accessoria predeterminata ma non in misura fissa (ad esempio da cinque a dieci anni) o una diversa articolazione delle pene accessorie in rapporto all’entità della pena detentiva. Risulta evidente che l’addizione normativa richiesta dai giudici a quibus non costituisce una soluzione costituzionalmente obbligata, ed eccede i poteri di intervento di questa Corte, implicando scelte affidate alla discrezionalità del legislatore. Pertanto deve farsi applicazione del principio, più volte espresso, secondo il quale sono inammissibili le questioni di costituzionalità relative a materie riservate alla discrezionalità del legislatore e che si risolvono in una richiesta di pronuncia additiva a contenuto non costituzionalmente obbligato. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevate – in riferimento agli articoli 3, 4, 27, terzo comma, e 41 della Costituzione – dalla Corte d’appello di Trieste e – in riferimento agli articoli 3, 27 e 111 della Costituzione – dalla Corte di cassazione, con le ordinanze indicate in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2012. F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2012. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI SENTENZA N. 135 ANNO 2012 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 21, e 40, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso dalla Regione siciliana con ricorso consegnato per la notificazione a mezzo posta il 13 settembre 2011, ricevuto il 14 settembre successivo dal destinatario Presidente del Consiglio dei ministri, depositato in cancelleria il 21 settembre 2011, iscritto al n. 103 del registro ricorsi 2011 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2011. Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 17 aprile 2012 il Giudice relatore Franco Gallo; uditi le avvocate Beatrice Fiandaca e Marina Valli per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Angelo Venturini per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.– Con ricorso consegnato per la notificazione a mezzo posta il 13 settembre 2011, ricevuto il 14 settembre successivo, depositato nella cancelleria di questa Corte il 21 settembre 2011 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 47 del 9 novembre 2011, la Regione siciliana, in persona del suo Presidente pro tempore, ha promosso – in riferimento al combinato disposto degli artt. 36 [rectius: 36, primo comma] del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e 2 [rectius: 2, primo comma] del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria) – questione principale di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 21, e 40, comma 2 [rectius: alinea e lettera a) del comma 2], del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 164 del 16 luglio 2011. 1.1.− L’impugnato comma 21 dell’art. 23 del decreto-legge n. 98 del 2011 stabilisce che: ?A partire dall’anno 2011, per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro dieci per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a duecentoventicinque chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato. A partire dall’anno 2012 l’addizionale erariale della tassa automobilistica di cui al primo periodo è fissata in euro 20 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a centottantacinque chilowatt. L’addizionale deve essere corrisposta con le modalità e i termini da stabilire con Provvedimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze, d’intesa con l’Agenzia delle Entrate, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. In caso di omesso o insufficiente versamento dell’addizionale si applica la sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, pari al 30 per cento dell’importo non versato?. Tale comma dell’art. 23 è richiamato dal parimenti impugnato comma 2, alinea e primo periodo, lettera a), dell’art. 40 dello stesso decreto-legge, il quale statuisce che, a copertura di alcuni interventi previsti dalla manovra, ?si provvede […]: a) quanto a 1.490,463 milioni di euro per l’anno 2011, a 1.314,863 milioni di euro per l’anno 2012, a 435,763 milioni di euro per l’anno 2013, a 654,563 milioni di euro per l’anno 2014, a 642,563 milioni di euro per l’anno 2015, a 542,563 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016, mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall’articolo 23 […]?. 1.2.− Nel ricorso si afferma che le denunciate disposizioni, in quanto applicabili − in mancanza di norme di salvaguardia − anche alla Regione siciliana, si pongono in contrasto con i due evocati parametri dello statuto siciliano d’autonomia, i quali stabiliscono, rispettivamente, che: 1) ?Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima? (art. 36, primo comma, dello statuto d’autonomia); 2) ?Ai sensi del primo comma dell’articolo 36 dello Statuto della Regione siciliana spettano alla Regione siciliana, oltre le entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime? (art. 2, primo comma, delle norme di attuazione statutaria in materia finanziaria). Tale contrasto sussiste, ad avviso della ricorrente, perché: a) in base allo statuto di autonomia spettano alla Regione siciliana non solo le entrate tributarie da essa istituite, ma anche quelle erariali – dirette o indirette, comunque denominate – riscosse nell’àmbito del suo territorio, con la sola eccezione di alcune entrate erariali nominativamente indicate (non rilevanti nella specie) o caratterizzate dal doppio requisito della “novità” e della destinazione del loro gettito (prevista da apposite leggi) alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato (specificate nelle leggi medesime); b) l’addizionale erariale introdotta dalle disposizioni impugnate è riferita alla tassa automobilistica, cioè ad un prelievo di integrale spettanza regionale, senza che siano precisate quella specifica destinazione e quelle finalità particolari richieste dallo statuto per l’eccezionale riserva allo Stato del gettito delle entrate tributarie riscosse nel territorio della Regione; c) in particolare, la destinazione del gettito dell’addizionale a copertura dei minori introiti elencati nell’alinea del denunciato comma 2 dell’art. 40 del decreto-legge n. 98 del 2011 ?non è idonea a rappresentare le “particolari finalità”? richieste dallo statuto d’autonomia per la suddetta riserva del gettito allo Stato; e) il gettito dell’addizionale, dunque, viene attribuito allo Stato nonostante la mancanza delle condizioni stabilite dallo statuto d’autonomia per tale attribuzione. 2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia respinto. Il resistente premette, in via generale, che le disposizioni impugnate costituiscono ?forme finanziarie “eccezionali”, finalizzate a fronteggiare una situazione economica “emergenziale”? ed alle quali sono chiamati a concorrere tutti i livelli di governo e, quindi, anche le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, ?non potendo la garanzia costituzionale dell’autonomia finanziaria alle stesse riconosciuta fungere da giustificazione per esentarle da tale partecipazione?. In questo quadro di straordinaria emergenza finanziaria, prosegue il resistente, lo Stato, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia di sistema tributario (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) ?ben può disporre in merito alla disciplina di tributi da esso istituiti, anche se il correlativo gettito sia di spettanza regionale, a condizione che non sia alterato il rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte?; circostanza, questa, che non ricorrerebbe nella specie. Posta tale premessa, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che sussistono tutti i presupposti richiesti dallo statuto siciliano per la riserva allo Stato dell’intero gettito relativo alla introdotta addizionale sulla tassa automobilistica, perché: a) l’addizionale – espressamente definita ?erariale? – ?possiede il carattere della novità, in quanto derivante da un atto impositivo nuovo in mancanza del quale l’entrata non si sarebbe verificata?; b) il tributo è stato introdotto per la copertura di oneri che sono dettagliatamente indicati nell’art. 40, comma 2, lettera a), del decreto-legge n. 98 del 2011 (tramite il richiamo, tra gli altri, degli artt. 13 e 17 dello stesso decreto-legge) e che sono destinati a coprire ?specifici importi di spesa ivi quantificati?; c) le spese al cui finanziamento è destinata l’addizionale presentano, inoltre, il carattere di ?nuove specifiche spese di carattere non continuativo?, in quanto ?dirette a sostenere […] settori sociali fondamentali per l’intera collettività (quale la sanità o la giustizia)?. Considerato in diritto 1.– La Regione siciliana ha promosso questione principale di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 23, comma 21, e 40, comma 2 [rectius: alinea e lettera a)], del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. L’art. 23, comma 21, prevede che, ?A partire dall’anno 2011, per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro dieci per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a duecentoventicinque chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato. A partire dall’anno 2012 l’addizionale erariale della tassa automobilistica di cui al primo periodo è fissata in euro 10 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a duecentoventicinque chilowatt. L’addizionale deve essere corrisposta con le modalità e i termini da stabilire con Provvedimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze, d’intesa con l’Agenzia delle Entrate, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. In caso di omesso o insufficiente versamento dell’addizionale si applica la sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, pari al 30 per cento dell’importo non versato?. Il comma è impugnato nella parte in cui stabilisce che l’addizionale deve essere versata ?alle entrate del bilancio dello Stato?. L’art. 40, comma 2 [rectius: alinea e lettera a) del comma 2], del medesimo decreto-legge è impugnato nella parte in cui prevede che, a copertura di alcuni interventi previsti dalla manovra (indicati nell’alinea dello stesso comma 2), ?si provvede […]: a) quanto a 1.490,463 milioni di euro per l’anno 2011, a 1.314,863 milioni di euro per l’anno 2012, a 435,763 milioni di euro per l’anno 2013, a 654,563 milioni di euro per l’anno 2014, a 642,563 milioni di euro per l’anno 2015, a 542,563 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016, mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall’articolo 23 […]? e, quindi, anche dell’addizionale erariale. Secondo la ricorrente, tali disposizioni violano il combinato disposto: 1) dell’art. 36 [rectius: art. 36, primo comma] del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, secondo cui ?Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima?; 2) dell’art. 2 [rectius: art. 2, primo comma] del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), secondo cui ?Ai sensi del primo comma dell’articolo 36 dello Statuto della Regione siciliana spettano alla Regione siciliana, oltre le entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime?. Ad avviso della Regione siciliana, infatti, il denunciato combinato disposto si pone in contrasto con gli evocati parametri perché attribuisce allo Stato l’intero gettito della suddetta addizionale erariale della tassa automobilistica regionale senza che ricorrano entrambe le condizioni che il menzionato primo comma dell’art. 2 delle norme di attuazione statutaria richiede per riservare allo Stato, in via di eccezione, le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del territorio siciliano. 2.– Preliminarmente, occorre prendere atto che, successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 16, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha modificato il secondo periodo dell’impugnato comma 21 dell’art. 23 del decreto-legge n. 98 del 2011, variando, a partire dal 2012, l’importo dell’addizionale da 10 euro per ogni chilowatt superiore ai 225 a 20 euro per ogni chilowatt eccedente i 185 (?A partire dall’anno 2012 l’addizionale erariale della tassa automobilistica di cui al primo periodo è fissata in euro 20 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a centottantacinque chilowatt.?). Detto ius superveniens, tuttavia, non ha comportato la cessazione della materia del contendere sia perché la disciplina relativa all’anno 2011 (primo periodo del comma 21) è rimasta immutata sia perché la censura della Regione è rivolta alla prevista riserva allo Stato del gettito dell’addizionale, indipendentemente dall’entità dell’addizionale stessa e dall’importo del suo gettito. Ne segue che la questione deve ritenersi estesa alla nuova formulazione dell’art. 23, comma 21, del decreto-legge n. 98 del 2011. 3.− Nel merito, la questione non è fondata, perché, contrariamente a quanto affermato dalla Regione, ricorrono nella specie tutte le condizioni richieste dalla normativa di attuazione statutaria per l’attribuzione allo Stato del gettito dell’addizionale erariale della tassa automobilistica riscossa nel territorio della Regione siciliana e cioè: a) la novità dell’entrata tributaria; b) la destinazione del gettito, con apposite leggi, alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime. 3.1.− Occorre premettere, al riguardo, che la ricorrente non mette in dubbio la legittimità della istituzione, con la normativa statale denunciata, dell’addizionale erariale e neppure nega che questa si innesti su un tributo (la tassa automobilistica regionale riscossa in Sicilia) rientrante tra quelli regionali ?propri derivati?, nel senso indicato dall’art. 7, comma 1, lettera b), numero 1), della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione), cioè tra i tributi ?istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni?. La contestazione della ricorrente verte esclusivamente sulla sussistenza, nella specie, delle condizioni richieste dallo statuto siciliano e dalle sue norme di attuazione per riservare allo Stato un tributo erariale riscosso in Sicilia. I termini della questione, cosí promossa, non sono influenzati dal comma 2 dell’art. 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), secondo cui, ?Fermi restando i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione statale, le regioni disciplinano la tassa automobilistica regionale?. A parte ogni altra considerazione, infatti, il citato comma 2 dell’art. 8: a) non riguarda l’introduzione di addizionali erariali della tassa automobilistica regionale; b) si applica esclusivamente alle regioni a statuto ordinario (come risulta dallo stesso titolo del decreto) e non a quelle a statuto speciale (tra le quali rientra, invece, la Regione ricorrente). 3.2.− Cosí delimitato il thema decidendum, va rilevato che – come espressamente riconosciuto da entrambe le parti del giudizio – la suddetta addizionale erariale non rientra tra le entrate tributarie che lo statuto siciliano e le sue norme di attuazione riservano nominativamente allo Stato. Occorre accertare, perciò, se la riserva allo Stato del gettito del prelievo disposta dalla normativa denunciata, secondo cui l’addizionale deve essere versata ?alle entrate del bilancio dello Stato?, ai sensi del primo periodo del comma 21 dell’art. 23 del decreto-legge n. 98 del 2011, e va utilizzata, ai sensi della lettera b dell’alinea del comma 2 dell’art. 40 del medesimo decreto-legge, per provvedere ?alle minori entrate ed alle maggiori spese? dettagliatamente elencate nell’alinea di tale comma dell’art. 40) sia legittimata dai parametri evocati dalla ricorrente. In particolare, occorre verificare se sussistano entrambe le condizioni di cui al punto 3, previste dagli indicati parametri, per l’attribuzione del gettito all’erario statale. 3.2.1.− Con riferimento alla condizione della “novità dell’entrata tributaria”, la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che, perché si realizzi tale condizione, deve verificarsi un ?incremento di gettito? (sentenza n. 198 del 1999), cioè una entrata aggiuntiva. Rileva quindi la novità del provento, non la novità del tributo (sentenze n. 47 del 1968 e n. 49 del 1972, che hanno ritenuto “nuova” l’entrata derivante da un’addizionale). Ne deriva che l’addizionale erariale introdotta dalla denunciata normativa (sia essa qualificabile come un’addizionale in senso stretto oppure come una sovrimposta), in quanto comporta una maggiore entrata, deve essere considerata una ?nuova entrata tributaria?, ai sensi del primo comma dell’art. 2 delle norme di attuazione in materia finanziaria dello statuto siciliano. 3.2.2.− Con riferimento alla ulteriore condizione della “specificità della destinazione del gettito della nuova entrata”, va osservato che, in base agli evocati parametri, essa è soddisfatta quando la legge statale stabilisce che il gettito sia utilizzato per la copertura di oneri diretti a perseguire ?particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate? nella legge stessa. Nella specie, l’alinea e la lettera a) dell’impugnato comma 2 dell’art. 40 del decreto-legge n. 98 del 2011 stabiliscono che ?Alle minori entrate e alle maggiori spese derivanti dall’articolo 13, comma 1, dall’articolo 17, comma 6, dall’articolo 21, commi 1, 3 e 6, dall’articolo 23, commi 8, da 12 a 15, 44 e 45, articolo 27, articolo 32, comma 1, articolo 33, comma 1, articolo 31, articolo 37, comma 20, articolo 38, comma 1, lettera a), e dal comma 1 del presente articolo, pari complessivamente a 1.817,463 milioni di euro per l’anno 2011, a 4.427,863 milioni di euro per l’anno 2012, a 1.435,763 milioni di euro per l’anno 2013, a 1.654,563 milioni di euro per l’anno 2014, a 1.642,563 milioni di euro per l’anno 2015, a 1.542,563 milioni di euro per l’anno 2016, a 542,563 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017, si provvede rispettivamente: a) quanto a 1.490,463 milioni di euro per l’anno 2011, a 1.314,863 milioni di euro per l’anno 2012, a 435,763 milioni di euro per l’anno 2013, a 654,563 milioni di euro per l’anno 2014, a 642,563 milioni di euro per l’anno 2015, a 542,563 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016, mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall’articolo 23 […]?. Secondo l’interpretazione piú ragionevole, conforme a Costituzione, tale disposizione va intesa nel senso che il gettito dell’addizionale è interamente destinato alla copertura delle minori entrate e delle maggiori spese indicate nell’alinea ed è ripartito (?quota parte?) tra le svariate voci di tali minori entrate e di maggiori spese, indipendentemente dall’evenienza che il gettito dell’addizionale non sia sufficiente per provvedere all’intera copertura. Le minori entrate e le maggiori spese dettagliatamente indicate nell’alinea del denunciato comma 2 dell’art. 40 rispondono ad esigenze specifiche, tra loro eterogenee, di carattere ora contingente ed ora continuativo. Rientrano tra le esigenze contingenti quelle indicate dai seguenti articoli del decreto-legge n. 98 del 2011 (richiamati dal citato alinea del comma 2 dell’art. 40): a) 13, comma 1 (riduzione nel 2011 e incremento nel 2015 della dotazione del fondo di cui all’art. 1, comma 343, della legge n. 266 del 2005); b) 17, comma 6 (incremento, nel 2011 del finanziamento statale del Servizio sanitario nazionale); c) 21, commi 1 (proroga a tutto il 2011 del piano d’impiego di cui all’art. 7-bis, comma 1, terzo periodo, del decreto-legge n. 92 del 2008), 3 (istituzione e dotazione, nel 2011, del fondo per la promozione del trasporto pubblico locale), 6 (spese del 2011 per la partecipazione dello Stato a banche e fondi internazionali); d) 23, comma 44 (proroga al 30 giugno 2012 della sospensione, per quanto attiene all’isola di Lampedusa, del versamento dei tributi, dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi INAIL); e) 32, comma 1 (dotazione e finanziamento dal 2012 al 2016 di un fondo per infrastrutture finanziarie, stradali, e relativo ad opere di interesse strategico, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti); f) 33, comma 1 (istituzione nel 2012, di una società di gestione del risparmio, con capitale sociale di 2 milioni di euro); g) 38, comma 1, lettera a) (estinzione di diritto, in favore del ricorrente, del contenzioso con l’INPS per controversie previdenziali di valore fino ad € 500,00, pendenti in primo grado al 31 dicembre 2010); h) 40, comma 1 (incremento della dotazione del fondo per interventi strutturali di politica economica per gli anni 2011 e 2012). Rientrano, invece, tra le esigenze continuative quelle indicate dai seguenti articoli del medesimo decreto-legge n. 98 del 2011 (richiamati anch’essi dal citato alinea del comma 2 dell’art. 40): a) 23, comma 8 (riduzione dal 10 al 4 per cento della ritenuta di acconto dell’imposta sul reddito); b) 23, comma 45 (istituzione della zona franca di Lampedusa, a condizione della previa autorizzazione comunitaria); c) 31 (esclusione da imposizione di alcuni proventi derivanti dalla partecipazione ai ?Fondi per il Venture Capital?); d) 23, commi da 12 a 15 (riallineamento di valori fiscali e civilistici relativi all’avviamento ed alle altre attività immateriali); e) art. 27 (agevolazioni di imposta per l’imprenditoria giovanile e i lavoratori in mobilità); f) art. 37, comma 20 (spese di funzionamento, a decorrere dall’anno 2011, del Collegio dei revisori dei conti, chiamato ad esercitare il controllo sulla regolarità della gestione finanziaria e patrimoniale del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e il Consiglio della magistratura militare). In forza di tali dati normativi deve concludersi che il gettito dell’addizionale è legittimamente attribuito allo Stato perché, nel rispetto degli evocati parametri statutari, è interamente vincolato alla copertura di oneri diretti a soddisfare ?particolari finalità? contingenti o continuative dello Stato, specificate nella legge. 4.− In base all’interpretazione qui accolta dell’impugnata normativa, va dunque esclusa la denunciata illegittimità costituzionale, fermo restando che, nell’ipotesi in cui, dopo l’integrale soddisfacimento delle ?particolari esigenze? di copertura elencate nell’alinea del comma 2 dell’art. 40, residui una quota del gettito dell’addizionale erariale, la Regione potrà legittimamente rivendicare l’attribuzione di detto residuo, eventualmente sollevando conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 21 (sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall’art. 16, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante ?Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici?, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), e 40, alinea e lettera a) del comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, promossa – in riferimento al combinato disposto dell’art. 36, primo comma, del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e dell’art. 2, primo comma, del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello statuto della Regione siciliana in materia finanziaria) − dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe. Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2012. F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Franco GALLO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2012. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI ORDINANZA N. 136 ANNO 2012 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, ha pronunciato la seguente ORDINANZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossi dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/S?dtirol e dalla Provincia autonoma di Trento, notificati il 28 settembre 2010, depositati nella cancelleria il 6 ottobre 2010, ed iscritti al n. 104 e al n. 105 del registro ricorsi 2010. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 22 novembre 2011 il Giudice relatore Franco Gallo; uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/S?dtirol e per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto che, con ricorsi notificati il 28 settembre 2010 e depositati il successivo 6 ottobre, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/S?dtirol (ricorso n. 104 del 2010) e la Provincia autonoma di Trento (ricorso n. 105 del 2010), hanno promosso questioni principali di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica 30 luglio 2010, n. 176, supplemento ordinario; che tra le disposizioni impugnate è compreso l’art. 5, comma 5, del decreto-legge n. 78 del 2010, secondo cui: ?Ferme le incompatibilità previste dalla normativa vigente, nei confronti dei titolari di cariche elettive, lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, inclusa la partecipazione ad organi collegiali di qualsiasi tipo, può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute; eventuali gettoni di presenza non possono superare l’importo di 30 euro a seduta?; che secondo entrambe le ricorrenti, il riferimento alle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), contenuto nella norma denunciata, comporta che quest’ultima è applicabile anche alla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/S?dtirol ed alla Provincia autonoma di Trento; che, sempre ad avviso delle ricorrenti − le cui censure sono sostanzialmente identiche − la disposizione impugnata, dettando una norma puntuale di coordinamento finanziario applicabile anche ad esse, víola anzitutto l’art. 79 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e, in particolare, i commi 1, 2, 3, secondo e terzo periodo, e 4, primo periodo, di tale articolo 79, i quali stabiliscono che la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/S?dtirol e la Provincia autonoma di Trento, nonché gli enti locali trentini e gli enti pubblici collegati alla Provincia e a detti enti locali, sono sottratti alle misure di coordinamento finanziario che valgono per le altre Regioni e gli altri enti nel restante territorio nazionale; che, in via subordinata, le ricorrenti denunciano che il comma 5 dell’art. 5 del decreto-legge n. 78 del 2010, ponendo un limite ad una voce minuta di spesa e fissando la specifica modalità di contenimento della stessa, víola anche l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, che, nella materia del coordinamento della finanza pubblica, attribuisce allo Stato la sola determinazione dei princípi fondamentali; che la disposizione impugnata, stabilendo una norma di dettaglio autoapplicativa in materie di competenza della Regione autonoma o della Provincia autonoma – sono citate le materie di competenza regionale ?autonomia organizzativa e finanziaria? (artt. 4, numero 1, dello statuto speciale e l’?intero Titolo VI? dello stesso statuto) e ?ordinamento degli enti locali e delle camere di commercio? (art. 4, numero 3 e numero 8 dello statuto speciale) e la materia di competenza provinciale ?autonomia organizzativa e finanziaria? (art. 8, numero 1, dello statuto speciale e l’?intero Titolo VI? dello stesso statuto), ivi compresa la finanza locale (art. 80 dello statuto speciale e art. 17 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, recante ?Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale?), nonché le materie del ?coordinamento della finanza pubblica? (artt. 117, terzo comma, Cost. e 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante ?Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione?) e dell’?organizzazione regionale e degli enti collegati? (artt. 117, quarto comma, Cost. e 10 della legge cost. n. 3 del 2001) −, violerebbe, infine, anche l’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); che con distinti atti, di analogo contenuto, si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni promosse siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate; che, in via preliminare, la difesa dello Stato ha eccepito la tardività dei due ricorsi, in quanto essi sono stati proposti avverso una disposizione del decreto-legge n. 78 del 2010 che non è stata modificata in sede di conversione e che, pertanto, avrebbe dovuto essere impugnata immediatamente – nei termini dell’art. 127, secondo comma, Cost. – senza attendere la conversione in legge; che la parte resistente sottolinea, poi, che il decreto-legge n. 78 del 2010 è stato adottato dal Governo nel pieno di una grave crisi economica internazionale, al fine di assicurare stabilità finanziaria all’Italia e di rafforzarne la competitività sui mercati economici e finanziari; che, quanto al merito delle censure, l’Avvocatura generale dello Stato osserva anzitutto, in via generale, che l’art. 79, comma 3, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige – il quale, secondo le ricorrenti, individua nell’accordo con il Ministro dell’economia e delle finanze l’unico strumento idoneo ad assicurare il concorso della Regione e della Provincia autonoma agli obiettivi di finanza pubblica – fa riferimento alle misure amministrative da adottare per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e non a quelle legislative, alle quali ultime si riferisce, invece, il secondo periodo del comma 4 dello stesso art. 79, secondo cui ?La regione e le province provvedono alle finalità di coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando la propria legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5?; che, comunque, sempre ad avviso della difesa erariale, l’eccezionale necessità ed urgenza di far fronte ad una gravissima crisi economica consente di derogare ?anche alle procedure statutarie, come alle altre sinanco costituzionali, in ragione dell’esigenza di salvaguardare la salus rei publicae e in applicazione dei principi costituzionali fondamentali della solidarietà economica e sociale (art. 2), dell’unità della Repubblica (art. 5) e della responsabilità internazionale dello Stato (art. 10)?; che, con riguardo all’impugnato comma 5 dell’art. 5 del decreto-legge n. 78 del 2010, la difesa dello Stato assume che detto comma non riguarda, in realtà, le strutture amministrative, ma solo quelle politiche e di governo, in quanto prevede una particolare ipotesi di incompatibilità per i titolari di cariche elettive, e, pertanto, può essere considerato un principio fondamentale della materia elettorale e ricondotto alla competenza legislativa statale di cui all’art. 122, primo comma, Cost.; che, comunque, la disposizione impugnata esprimerebbe anche un principio di coordinamento della finanza pubblica avente il suo fondamento nei princípi di ?solidarietà, unitarietà e responsabilità, sanciti dalla prima parte della Costituzione? e, come tale, sarebbe autorizzata ad incidere sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di organizzazione e funzionamento della Regione; che, in prossimità dell’udienza pubblica dell’8 giugno 2011, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria illustrativa, unica per entrambi i ricorsi (oltre che per i ricorsi iscritti ai nn. 99, 102, 106 e 107 del 2010), nella quale ribadisce la richiesta di dichiarare la questione promossa inammissibile o infondata; che, in particolare, l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce la natura di principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica dell’impugnato comma 5 dell’art. 5 del decreto-legge n. 78 del 2010; che, sempre in prossimità della medesima udienza pubblica, anche la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/S?dtirol ha depositato una memoria nella quale contesta la tesi della difesa del Presidente del Consiglio secondo cui la disposizione oggetto di censura stabilisce una particolare incompatibilità per i titolari degli organi elettivi ed è riconducibile alla competenza legislativa statale di cui all’art. 122, primo comma, Cost.; che, infatti, ad avviso della difesa regionale, la disposizione denunciata non ha nulla a che fare con le incompatibilità dei titolari di cariche elettive, che vengono semplicemente tenute ?ferme?, né con la materia elettorale, e non si rivolge ai titolari degli organi elettivi, ma alle amministrazioni che conferiscono loro degli incarichi, limitando la possibilità di compensarli; che emergerebbe chiaramente, perciò, la finalità della norma impugnata di contenere i costi – finalità perseguita, tuttavia, illegittimamente – con conseguente ripercussione sull’autonomia organizzativa della Regione, degli enti locali e delle camere di commercio; che con istanze depositate, rispettivamente, in data 20 maggio 2011 e in data 18 maggio 2011, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/S?dtirol e la Provincia autonoma di Trento, dato conto dei contatti in corso con la Presidenza del Consiglio dei ministri al fine di una composizione consensuale delle controversie, hanno chiesto di rinviare a nuovo ruolo la discussione dei ricorsi; che l’Avvocatura generale dello Stato ha aderito a dette istanze a mezzo di due fax pervenuti, rispettivamente, in data 23 maggio 2011 e in data 19 maggio 2011; che, con decreto del 26 maggio 2011, il Presidente della Corte costituzionale ha disposto il rinvio a nuovo ruolo della questione oggetto dei presenti giudizi (oltre che delle questioni promosse con i ricorsi iscritti ai nn. 96, 99, 102, 106 e 107 del 2010), fissandone la trattazione, con decreto del 21 giugno 2011, nell’udienza pubblica del 23 novembre 2011; che, in prossimità di tale udienza pubblica, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria nella quale afferma che la disposizione denunciata attiene alla materia ?ordinamento civile?; che, con decreto del 10 novembre 2011, il Presidente della Corte costituzionale ha disposto l’anticipazione della discussione dei presenti giudizi all’udienza pubblica del 22 novembre 2011; che, in data 9 novembre 2011, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/S?dtirol, considerato che la legge regionale 14 dicembre 2010, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige − legge finanziaria), ha introdotto nell’art. 2, comma 7, ai sensi dell’art. 79 dello statuto speciale, misure idonee a realizzare finalità di contenimento della spesa, ?precisando che tali misure tengono luogo, per la Regione, delle specifiche misure e disposizioni previste a tal fine dalla normativa statale, comprese quelle contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010?, ha rinunciato parzialmente al ricorso in relazione all’impugnazione, tra gli altri articoli e per quanto qui interessa, dell’art. 5, comma 5, del decreto-legge n. 78 del 2010; che, sempre in data 9 novembre 2011, anche la Provincia autonoma di Trento, considerato che la legge provinciale 27 dicembre 2010, n. 27 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Provincia autonoma di Trento − legge finanziaria provinciale 2011) ha introdotto misure idonee a realizzare finalità di contenimento della spesa, precisando che tali misure ?tengono luogo, per la Provincia e gli enti e gli organismi indicati nell’art. 1, comma 1, delle specifiche misure e disposizioni previste a tal fine dalla normativa statale, comprese quelle contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010?, tra cui, in particolare, quelle previste dall’art. 5, ha rinunciato anch’essa all’impugnazione del comma 5 di tale articolo; che con distinti atti, depositati il 22 novembre 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha dichiarato di accettare dette rinunce. Considerato che la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/S?dtirol (ricorso n. 104 del 2010) e la Provincia autonoma di Trento (ricorso n. 105 del 2010), hanno promosso questioni principali di legittimità di numerose disposizioni del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122; che, riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010, viene qui esaminata la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto il comma 5 dell’art. 5 di detto decreto, a norma del quale: ?Ferme le incompatibilità previste dalla normativa vigente, nei confronti dei titolari di cariche elettive, lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, inclusa la partecipazione ad organi collegiali di qualsiasi tipo, può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute; eventuali gettoni di presenza non possono superare l’importo di 30 euro a seduta?; che secondo la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/S?dtirol e la Provincia autonoma di Trento, tale disposizione, dettando una norma puntuale di coordinamento finanziario applicabile ad esse, oltre che agli enti locali trentini e gli enti pubblici collegati alla Provincia e a detti enti locali, víola anzitutto l’art. 79 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e, in particolare i commi 1, 2, 3, secondo e terzo periodo, e 4, primo periodo, di tale articolo, i quali stabiliscono che la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/S?dtirol, la Provincia autonoma di Trento e gli altri enti sopra menzionati sono sottratti alle misure di coordinamento finanziario che valgono per le altre Regioni e gli altri enti nel restante territorio nazionale; che, in via subordinata, le ricorrenti denunciano che il comma 5 dell’art. 5 del decreto-legge n. 78 del 2010, ponendo un limite ad una voce minuta di spesa e fissando la specifica modalità di contenimento di essa, víola anche l’art. 117, terzo comma, Cost., che, nella materia del coordinamento della finanza pubblica, attribuisce allo Stato la determinazione soltanto dei princípi fondamentali; che la disposizione impugnata, stabilendo una norma di dettaglio autoapplicativa in materie di competenza regionale o provinciale, violerebbe infine l’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); che in considerazione dell’identità della norma impugnata e delle censure proposte con i suddetti ricorsi, i giudizi, come sopra delimitati, devono essere riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica pronuncia; che, in prossimità dell’udienza pubblica, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/S?dtirol e la Provincia autonoma di Trento hanno depositato atti di rinuncia parziale ai ricorsi in relazione all’impugnazione dell’art. 5, comma 5, del decreto-legge n. 78 del 2010; che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha dichiarato di accettare dette rinunce; che, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la rinuncia al ricorso, accettata da tutte le parti costituite, estingue il processo. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010; riuniti i giudizi, 1) dichiara estinto il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso, in riferimento all’art. 79 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, e all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/S?dtirol con il ricorso n. 104 del 2010 indicato in epigrafe; 2) dichiara estinto il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, promosso, in riferimento all’art. 79 del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 117, terzo comma, Cost., e all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso n. 105 del 2010 indicato in epigrafe. Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2012. F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Franco GALLO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2012. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI ORDINANZA N. 137 ANNO 2012 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 14, 15, comma 1 (limitatamente alle parole: ?ovvero all’ISMEA previa stipula di apposita convenzione?), 17, comma 1, 19, 20, 22, 25, 26 (nella parte in cui inserisce la lettera e nel comma 1 dell’art. 39-bis della legge della Regione siciliana 3 novembre 1993, n. 30, recante: ?Norme in tema di programmazione sanitaria e di riorganizzazione territoriale delle unità sanitarie locali?), 35, 36, 38, 40 e 41 della delibera legislativa relativa al disegno di legge n. 732-672-699-700-713 (Interventi per lo sviluppo dell’agricoltura e della pesca. Norme in materia di artigianato, cooperazione e commercio. Variazioni di bilancio), approvata dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta n. 297 del 9 novembre 2011, promosso dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana con ricorso notificato il 17 novembre 2011, depositato in cancelleria il 28 novembre 2011, ed iscritto al n. 164 del registro ricorsi 2011. Udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2012 il Giudice relatore Franco Gallo. Ritenuto che, con ricorso notificato il 17 novembre 2011 e depositato il 28 novembre 2011, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha proposto − in riferimento agli artt. 3, 51, 81, quarto comma, 97, 117, primo comma e secondo comma, lettere e), l) e s), e 120, primo comma, della Costituzione, nonché all’art. 14 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 − questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della delibera legislativa relativa al disegno di legge n. 732-672-699-700-713 (Interventi per lo sviluppo dell’agricoltura e della pesca. Norme in materia di artigianato, cooperazione e commercio. Variazioni di bilancio), approvata dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta n. 297 del 9 novembre 2011 e, in particolare, degli artt. 14, 15, comma 1 (limitatamente alle parole: ?ovvero all’ISMEA previa stipula di apposita convenzione?), 17, comma 1, 19, 20, 22, 25, 26 (nella parte in cui inserisce la lettera e nel comma 1 dell’art. 39-bis della legge della Regione siciliana 3 novembre 1993, n. 30, recante: ?Norme in tema di programmazione sanitaria e di riorganizzazione territoriale delle unità sanitarie locali?), 35, 36, 38, 40 e 41; che il ricorrente impugna anzitutto, in riferimento all’art. 81, quarto comma, Cost., l’art. 14, il quale dispone che: ?Alle imprese viticole siciliane, che hanno aderito nella vendemmia relativa all’anno 2011, alla misura della vendemmia verde, in conformità all’articolo 103 noviesdecies del regolamento (CE) 22 ottobre 2007, n. 1234/2007 del Consiglio, (regolamento unico OCM), pubblicato in g.u.u.e. del 16 novembre 2007, L 299, ed all’articolo 12 del regolamento (CE) 27 giugno 2008 n. 555/2008 della Commissione, pubblicato in g.u.u.e. del 30 giugno 2008, L 170, socie di cantine iscritte all’Albo delle cooperative a mutualità prevalente operanti quali imprese attive nel settore della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli così come definite dall’articolo 1, comma 2, lettere b) e c) del regolamento (CE) 15 dicembre 2006, n. 1998/2006 della Commissione, pubblicato in g.u.u.e. del 28 dicembre 2006, L 379, che deliberano una compartecipazione alle spese di gestione per il relativo mancato conferimento, è concesso un aiuto fino ad euro 250 per ettaro sottoposto a vendemmia verde? [comma 1]; ?Con decreto del Dirigente generale del dipartimento regionale interventi strutturali per l’agricoltura dell’Assessorato regionale delle risorse agricole ed alimentari sono stabilite le procedure per la concessione dell’aiuto di cui al comma 1, ivi comprese le modalità di controllo del cumulo per evitare sovrapposizione di interventi. L’importo massimo concedibile a ciascun beneficiario ai sensi del presente articolo a titolo di “de minimis” è di euro 3.750,00 e può essere presentata un’unica istanza per ogni cantina sociale cooperativa? [comma 2]; ?Gli aiuti di cui al comma 1 sono concessi alle condizioni e nei limiti previsti dal Regolamento (CE) 20 dicembre 2007, n. 1535/2007 della Commissione, pubblicato in g.u.u.e. 21 dicembre 2007, n. L 337? [comma 3]; ?All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, determinato in 2.500 migliaia di euro, per l’esercizio finanziario 2011, si provvede con le riduzioni di spesa derivanti dalle seguenti modifiche normative: a) alla lettera f) del comma 1 dell’articolo 4 della legge regionale 22 dicembre 2005, n. 19, le parole “3.000 migliaia di euro” sono sostituite dalle seguenti: “2.500 migliaia di euro”; b) alla lettera h) septies del comma 1 dell’articolo 4 della legge regionale 22 dicembre 2005, n. 19, le parole “3.000 migliaia di euro” sono sostituite dalle seguenti: “1.000 migliaia di euro”? [comma 4]; che il Commissario dello Stato per la Regione siciliana richiama anzitutto la giurisprudenza della Corte costituzionale in ordine alla necessità che le leggi istitutive di nuove spese rechino ?una esplicita indicazione del mezzo di copertura? (sentenza n. 386 del 2008) nonché in ordine all’obbligo dell’Assemblea regionale siciliana di rispettare, nell’esercizio della potestà legislativa attribuitale dall’art. 17 dello statuto speciale, la ?fondamentale esigenza di chiarezza e solidità del bilancio cui l’art. 81 Cost. si ispira? (sentenza n. 359 del 2007); che con riguardo, in particolare, all’articolo impugnato, il ricorrente osserva che lo stesso prevede che agli oneri da esso derivanti si provveda attraverso le riduzioni degli stanziamenti di cui alle lettere f) e h-septies) del comma 1 dell’art. 4 della legge della Regione siciliana 22 dicembre 2005, n. 19 (Misure finanziarie urgenti e variazioni al bilancio della Regione per l’esercizio finanziario 2005. Disposizioni varie), i quali gravavano sul capitolo n. 613940 dell’esercizio finanziario 2005, avente una dotazione di 100.000 migliaia di euro (comma 4): stanziamenti che, tuttavia, per una parte sono stati utilizzati e, per l’altra − quella non impegnata entro l’esercizio 2005 − hanno costituito economie di spesa e, in séguito all’approvazione del rendiconto regionale, hanno contribuito a determinare l’avanzo di amministrazione applicato nel 2006; che ciò premesso, il ricorrente afferma che la riduzione di spese relative ad un esercizio ormai definitivamente chiuso, ?in contrasto con il principio costituzionale dell’annualità del bilancio?, non costituisce ?idonea e puntuale copertura? degli oneri derivanti dalla disposizione impugnata, che si pone perciò in contrasto con l’art. 81, quarto comma, Cost.; che una seconda censura ha ad oggetto l’art. 15, comma 1 − secondo cui: ?Al fine di agevolare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese operanti nel settore della produzione, trasformazione e commercializzazione delle produzioni agricole, è istituito un fondo denominato “Fondo regionale di garanzia” la cui gestione è affidata ad una banca o ad un intermediario finanziario in possesso dei necessari requisiti tecnici ed organizzativi, individuati nel rispetto delle procedure di evidenza pubblica, ovvero all’ISMEA previa stipula di apposita convenzione? − il quale è impugnato, in riferimento agli artt. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost., limitatamente alle parole ?ovvero all’ISMEA previa stipula di apposita convenzione?; che il ricorrente svolge preliminarmente alcuni rilievi – alla luce anche della giurisprudenza della Corte costituzionale (sono citate le sentenze n. 221 e n. 45 del 2010) − in ordine al riparto delle competenze legislative tra lo Stato e la Regione siciliana nel settore degli appalti pubblici; che egli afferma, anzitutto, che la legislazione esclusiva spettante alla Regione, ai sensi dell’art. 14, lettera g), dello statuto speciale, in materia di ?lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale?, deve essere esercitata nei limiti delle leggi costituzionali e senza pregiudizio delle riforme economico-sociali; che in tale prospettiva, verrebbero in rilievo i limiti derivanti dai princípi di tutela della concorrenza, strumentali ad assicurare le libertà comunitarie e, quindi, le disposizioni del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) che costituiscono attuazione dei princípi generali del diritto dell’Unione europea e delle disposizioni del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) in tema di concorrenza; che detti princípi e disposizioni dell’Unione europea vincolerebbero, peraltro, la Regione, anche ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., in quanto vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario; che la stessa nozione di concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., del resto, non potrebbe che riflettere, come affermato anche dalla Corte costituzionale (è citata la sentenza n. 401 del 2007), quella operante in àmbito comunitario, nella quale vanno comprese le disposizioni legislative che perseguono il fine di disciplinare procedure concorsuali idonee ad assicurare la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici; che da ciò consegue, ad avviso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana, che la Regione, nel dettare norme in materia di lavori pubblici di interesse regionale, deve rispettare le disposizioni del Codice dei contratti pubblici che attengono alla scelta del contraente, oltre che quelle concernenti il perfezionamento del vincolo negoziale e la sua esecuzione, e non può adottare una disciplina difforme da quella posta dal legislatore statale nello stesso d.lgs. n. 163 del 2006; che, nel caso di specie, l’affidamento diretto all’ISME (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) della gestione del Fondo regionale di garanzia di cui al comma 1 dell’art. 15, previa stipula di una convenzione, si pone in contrasto, sempre secondo il ricorrente, con il combinato disposto dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’Allegato IIA a tale decreto, il quale assoggetta gli appalti di servizi bancari e finanziari (categoria 6 dell’Allegato IIA) − tra i quali deve ritenersi compresa la gestione del Fondo − alle disposizioni del Codice e, quindi, anche a quelle del capo III del titolo I della parte II dello stesso in tema di procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente: disposizioni che escludono la possibilità di fare ricorso ad affidamenti diretti del servizio mediante convenzione e che impongono, viceversa, di indire, ai fini dell’affidamento, una gara; che la disposizione denunciata, nel prevedere l’affidamento diretto del servizio, si porrebbe in contrasto anche con gli artt. 43 e 49 del Trattato che istituisce la Comunità europea (ora artt. 49 e 56 TFUE), come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (sono citate, in particolare, le sentenze della Corte di giustizia 13 settembre 2007, causa C-260/04; 13 ottobre 2005, causa C-458/03; 10 novembre 2005, causa C-29/04); che da ciò deriva, secondo il ricorrente, la violazione del citato parametro statutario di cui all’art. 14 dello statuto speciale e dell’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost.; che una terza censura ha ad oggetto l’art. 17, comma 1, il quale dispone che: ?Dopo il comma 3 dell’articolo 27 della legge regionale 6 febbraio 2008, n. 1, è aggiunto il seguente comma: “3 bis. Fermo restando lo stanziamento autorizzato dal Consiglio dell’Unione europea con decisione 2003/277/CE dell’8 aprile 2003, nel caso in cui, in relazione alla garanzia prestata dal socio, il creditore non sia stato ammesso, in tutto o in parte, nello stato passivo della cooperativa e tuttavia abbia promosso azioni esecutive nei confronti dei soci garanti, gli importi dei debiti garantiti, ai fini della presente legge, sono quelli risultanti dai provvedimenti giudiziari passati in giudicato. Eventuali transazioni sono concluse nei limiti previsti dal comma 2. Non hanno diritto a fruire dell’intervento esclusivamente i soggetti che abbiano concorso alla insolvenza della cooperativa, la cui responsabilità sia stata accertata, nei modi e nelle forme previste dall’articolo 2393 e seguenti del codice civile, o con sentenze penali di condanna definitiva, con esclusione delle sentenze che abbiano definito il procedimento ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. Resta salvo il diritto della Regione di ripetere quanto corrisposto a seguito dell’intervento, nei confronti dei soci che non abbiano titolo a beneficiare dell’intervento, subentrando nelle relative garanzie”?; che tale articolo è impugnato in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, primo comma, Cost.; che ad avviso del ricorrente, lo stesso estenderebbe ad altri destinatari i benefici finanziari a carico della Regione previsti dall’art. 2 della legge della Regione siciliana 10 ottobre 1994, n. 37 (Provvedimenti in favore delle cooperative): benefici che il Consiglio dell’Unione europea, con decisione dell’8 aprile 2003, n. 2003/277/CE, aveva ritenuto compatibili − insieme a quelli previsti dalla legislazione statale in materia – con l’art. 88, paragrafo 2, del Trattato istitutivo della Comunità europea, solo in quanto esistevano circostanze eccezionali tali da consentire di ritenerli, appunto, compatibili ?a titolo di deroga e nella misura strettamente necessaria?; che ne conseguirebbe, secondo il Commissario dello Stato per la Regione siciliana, che l’attribuzione, ad opera della disposizione denunciata, di detti benefici ?per situazioni? originariamente non contemplate dalla citata legge reg. n. 37 del 1994, ponendosi in contrasto con la citata decisione del Consiglio dell’Unione europea, esporrebbe l’Italia ad una procedura di infrazione e configurerebbe una violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.; che la disposizione impugnata violerebbe inoltre l’art. 3 Cost. perché determinerebbe una disparità di trattamento sia rispetto a ?coloro i quali, nelle medesime condizioni di quelli ora considerati dalla norma testé approvata, non presentarono nei termini l’istanza di ammissione perché sforniti dei requisiti richiesti? sia ?rispetto ai numerosi richiedenti nelle medesime condizioni degli attuali beneficiari nei confronti dei quali si è già concluso negativamente il procedimento amministrativo per l’attribuzione del beneficio?; che l’art. 17, comma 1, violerebbe, infine, anche l’art. 97 Cost., perché ?comporterebbe l’obbligo per gli uffici competenti di riformulare una nuova graduatoria dei beneficiari a modifica di quella già definitiva ed operante con innegabile aggravio di procedure?; che con una quarta censura il ricorrente impugna, in riferimento all’art. 97 Cost., l’art. 19, a norma del quale: ?Al fine di venire incontro alle difficoltà finanziarie degli enti locali territoriali, esclusivamente per il triennio 2011/2013, non trova applicazione la disposizione di cui al comma 4 dell’articolo 1 della legge regionale 31 agosto 1998, n. 16?; che secondo il ricorrente tale articolo, col prevedere il rinvio per un triennio della riorganizzazione, da parte dell’Ente di sviluppo agricolo, del servizio di meccanizzazione agricola prevista dal comma 4 dell’art. 1 della legge della Regione siciliana 31 agosto 1998, n. 16 (Disposizioni per l’Ente di sviluppo agricolo ed altri interventi urgenti per l’agricoltura), crea un vulnus al buon andamento della pubblica amministrazione, tutelato dall’art. 97 Cost., il quale ?verrebbe compromesso dalla prosecuzione di una gestione inefficace, inefficiente ed antieconomica, riconosciuta come tale dal legislatore sin dal 1998 e bisognosa di un sollecito processo di riorganizzazione?; che una quinta censura è proposta, in riferimento all’art. 81, quarto comma, Cost., nei confronti dell’art. 20, il quale prevede che: ?Al comma 1 dell’articolo 60 della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2, le parole “31 dicembre 2011” sono sostituite dalle parole “31 dicembre 2013”? [comma 1]; ?La disposizione del presente articolo trova applicazione con decorrenza 1 gennaio 2012? [comma 2]; che ad avviso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana, detta disposizione, nell’estendere per due anni le agevolazioni e le esenzioni fiscali di cui all’art. 60 della legge della Regione siciliana 26 marzo 2002, n. 2 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002), omette sia di quantificare le minori entrate per il biennio 2012-2013, sia di indicare le risorse con cui farvi fronte; che da tanto deriverebbe la violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., il cui precetto dovrebbe essere considerato valido, secondo il ricorrente, non solo per l’esercizio in corso ma anche per quelli futuri (è citata, al riguardo, al sentenza della Corte costituzionale n. 25 del 1993); che con una sesta censura il ricorrente impugna l’art. 22 – secondo cui: ?La disciplina di cui alla legge regionale 28 novembre 2002, n. 21, va interpretata nel senso che la stessa si applica al personale dei consorzi agrari in servizio alla data del 31 dicembre 2009 e che cessano dal medesimo servizio in conseguenza dello scioglimento del consorzio o della chiusura definitiva di settori di attività? −, denunciando, anche in tale caso, la violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost.; che secondo il ricorrente l’effetto della disposizione impugnata è quello di fare sì che i dipendenti dei consorzi agrari in essa indicati siano trasferiti, ai sensi dell’art. 1 della legge della Regione siciliana 28 novembre 2002, n. 21 (Disposizioni sul personale di cooperative agricole, cantine sociali, loro consorzi e consorzi agrari), nell’apposita area speciale transitoria ad esaurimento istituita presso la s.p.a. RESAIS, società a totale partecipazione regionale finanziata a mezzo di trasferimenti annuali dal bilancio regionale, sino al raggiungimento dell’età pensionabile; che, poiché l’art. 22 non quantifica gli oneri derivanti dalla sua applicazione né indica le risorse con le quali farvi fronte (dati che non sono ricavabili neppure dai lavori dell’Assemblea regionale), esso violerebbe l’art. 81, quarto comma, Cost. (applicabile anche alle Regioni a statuto speciale ed all’ipotesi di spese pluriennali); che l’esigenza dell’indicazione dei mezzi per fare fronte alle nuove spese derivanti dalla disposizione impugnata non potrebbe, del resto, ritenersi soddisfatta − sempre secondo il Commissario dello Stato per la Regione siciliana − dall’esistenza nel bilancio della Regione del capitolo 242525, atteso che le disponibilità di tale capitolo sarebbero state già totalmente utilizzate per attuare la legge reg. n. 21 del 2002; che la censura proposta non sarebbe superabile neppure alla stregua dei chiarimenti forniti dall’amministrazione regionale ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 4 giugno 1969, n. 488 (Norme di attuazione dello statuto della Regione siciliana, integrative del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 10 maggio 1947, n. 307, concernente il commissario dello Stato), atteso che detti chiarimenti non contengono né la proiezione decennale della spesa, in relazione anche alle dinamiche salariali ed al raggiungimento dell’età pensionabile, né garanzie idonee in ordine alla capienza del capitolo 242525; che una settima censura è proposta nei confronti dell’art. 25, il quale dispone che: ?In attuazione della lettera f), dell’art. 185 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come sostituito dal comma 1 dell’art. 13 del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, nella Regione è ammessa la bruciatura di paglia, sfalci e potature nonché di altro materiale agricolo, forestale naturale non pericoloso, utilizzati in agricoltura come pratica agricola, nell’ambito dell’azienda in cui si producono e fermo restando il divieto per le aree individuate ai sensi della Direttiva 30 novembre 2009, n. 2009/147/CE pubblicata nella g.u.u.e. 26 gennaio 2010, n. L 20 e della Direttiva 21 maggio 1992, n. 92/43lCEE, pubblicata nella g.u.u.e. 22 luglio1992, n. L 206? [comma 1]; ?L’Assessore regionale per le risorse agricole ed alimentari, d’intesa con l’Assessore regionale per il territorio e l’ambiente, con decreto da adottarsi entro il termine tassativo di 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disciplina l’utilizzzo del 'debbio' quale buona e normale pratica agricola, in conformità a quanto previsto dall’art. 2 lettera f) della Direttiva 19 novembre 2008, n. 2008/98/CE, pubblicata nella g.u.u.e. 22 novembre 2008, n. L 312? [comma 2]; che detto articolo è censurato in riferimento all’art. 117, primo comma e secondo comma, lettere l) e s), Cost.; che secondo il ricorrente l’art. 185, comma 1, lettera f), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nel testo sostituito dal comma 1 dell’art. 13 del d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive), escludendo dal campo di applicazione del d.lgs. n. 152 del 2006 (rectius: della parte quarta di tale decreto legislativo) ?paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana?, non consente la combustione di tali residui colturali senza la relativa produzione di energia: combustione che, pertanto, ai sensi della normativa statale, si configurerebbe come smaltimento di rifiuti al quale è applicabile la parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006 e che integrerebbe la violazione dell’art. 256 dello stesso decreto legislativo, che sanziona penalmente l’attività di smaltimento non autorizzata; che il ricorrente afferma quindi che, poiché il recepimento nell’ordinamento nazionale della direttiva 2008/98/CE – che il legislatore statale ha operato con il d.lgs. n. 152 del 2006 − non è riconducibile ad alcuna delle competenze legislative della Regione siciliana ma rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la disposizione impugnata, escludendo l’applicazione in Sicilia di disposizioni adottate dallo Stato nell’esercizio di detta competenza esclusiva, víola il parametro indicato; che l’art. 25, inoltre, rendendo lecita una condotta sanzionata dall’art. 256 del d.lgs. n. 152 del 2006 con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o dell’ammenda da € 2.600,00 ad € 26.000,00, invaderebbe anche l’àmbito della competenza legislativa dello Stato in tema di ordinamento penale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.; che con una settima impugnativa il ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. e all’art. 14 dello statuto della Regione siciliana, l’art. 26, nella parte in cui inserisce la lettera e) del comma 1 dell’art. 39-bis della legge della Regione siciliana 3 novembre 1993, n. 30 (Norme in tema di programmazione sanitaria e di riorganizzazione territoriale delle unità sanitarie locali); che tale lettera e) prevede che all’Istituto sperimentale zootecnico della Sicilia, nell’àmbito dei propri fini istituzionali e nell’interesse della Regione, è attribuita la funzione di ?curare ed assicurare le azioni di miglioramento zootecnico, libri genealogici, registri anagrafici e controlli funzionali per le specie e le razze allevate in Sicilia in attuazione dei commi 7 e 8 dell’art. 6 della legge regionale 5 giugno 1989 n. 12, introdotti dall’articolo 15 della legge regionale 18 maggio 1996, n. 33?; che secondo il Commissario dello Stato per la Regione siciliana tale disposizione, assegnando all’Istituto sperimentale zootecnico della Sicilia la cura dei libri genealogici e dei registri anagrafici delle razze allevate nella Regione, si pone in contrasto con l’art. 3 della legge 15 gennaio 1991, n. 30 (Disciplina della riproduzione animale) – secondo cui i libri genealogici sono istituiti e tenuti dalle associazioni nazionali di allevatori di specie o di razza, dotate di personalità giuridica ed in possesso dei requisiti stabiliti con decreto del Ministro dell’agricoltura e delle foreste – il quale, costituendo norma fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica, vincola il legislatore regionale nell’esercizio della propria competenza legislativa esclusiva di cui all’art. 14, lettera q), dello statuto speciale: da ciò la violazione, secondo il ricorrente, dell’art. 14 di detto statuto; che la disposizione impugnata si porrebbe inoltre in contrasto con le direttive 2009/157/CE (Direttiva del Consiglio relativa agli animali della specie bovina riproduttori di razza pura), 89/361/CE (Direttiva del Consiglio relativa agli animali delle specie ovina e caprina riproduttori di razza pura), 88/661/CEE (Direttiva del Consiglio relativa alle norme zootecniche applicabili agli animali riproduttori della specie suina), 90/427/CEE (Direttiva del Consiglio relativa alle norme zootecniche e genealogiche che disciplinano gli scambi intracomunitari di equidi) e 91/174/CEE (Direttiva del Consiglio relativa alle condizioni zootecniche e genealogiche che disciplinano la commercializzazione degli animali di razza e che modifica le direttive 77/504/CEE e 90/425/CEE), le quali demandano la tenuta dei registri genealogici ad organizzazioni od associazioni di allevatori riconosciute ufficialmente dagli Stati membri ovvero ad un servizio ufficiale dello Stato membro, con conseguente violazione anche dell’art. 117, primo comma, Cost.; che un’ottava censura ha ad oggetto l’art. 35 il quale dispone che: ?L’Agenzia per il Mediterraneo, società a responsabilità limitata con scopo consortile non lucrativo, con sede legale in Palermo, costituita nel 2008 dai Gruppi di azione locale siciliani, organismi intermedi nell’attuazione dei programmi operativi regionali dei fondi strutturali, con un progetto finanziato dall’Unione europea, dallo Stato e dalla Regione, quale soggetto giuridico comune per la cooperazione regionale ed extraregionale, fornisce il supporto operativo alla realizzazione di politiche di rete per superare la frammentazione delle competenze in materia di sviluppo locale; per dare efficacia ed efficienza al processo di animazione, programmazione, gestione e monitoraggio degli interventi per lo sviluppo; per realizzare l’integrazione e la complementarietà degli strumenti finanziari e dei progetti di cooperazione, ricerca e sviluppo, promossi dai dipartimenti regionali, dagli organismi intermedi ed altri soggetti istituzionali e non? [comma 1]; ?Entro il primo semestre di ogni anno, l’Agenzia per il Mediterraneo presenta al Governo il rapporto di monitoraggio sull’integrazione e complementarietà delle politiche di sviluppo locale? [comma 2]; ?Per l’espletamento dell’attività istituzionale dell’Agenzia per il Mediterraneo è autorizzata, per l’esercizio finanziario 2011, la concessione di un contributo di 100 migliaia di euro, cui si fa fronte con risorse disponibili trasferite dallo Stato per gli anni dal 2002 al 2010, ai sensi della legge 23 dicembre 1999, n. 499? [comma 3]. che secondo il Commissario dello Stato per la Regione siciliana la disposizione impugnata víola anzitutto l’art. 81, quarto comma, Cost., perché − in mancanza dell’indicazione di altre modalità di copertura − prevede, a copertura degli oneri da essa derivanti, l’utilizzo delle risorse trasferite dallo Stato, per gli anni dal 2002 al 2010, ai sensi della legge 23 dicembre 1999, n. 499 (Razionalizzazione degli interventi nei settori agricolo, agroalimentare, agroindustriale e forestale): risorse che, in quanto assegnate alle Regioni per interventi tassativamente indicati, sono inutilizzabili per le diverse finalità di cui all’articolo impugnato; che l’art. 35 si porrebbe inoltre in contrasto con l’art. 97 Cost. ?giacché non può ritenersi indice di buona amministrazione distogliere risorse destinate ad interventi strutturali ed in conto capitale per finanziare le spese correnti di un organismo privato per lo svolgimento della propria attività istituzionale?; che con una nona censura il ricorrente impugna l’art. 36, secondo cui: ?Dopo il comma 5 quater dell’articolo 3 della legge regionale 21 settembre 2005, n. 11, è aggiunto il seguente: “5 quinquies. Per gli anni 2010, 2011 e 2012 le agevolazioni della presente legge si applicano ai confidi che abbiano già ottenuto il riconoscimento regionale degli Statuti anche se non in possesso dei parametri e dei punteggi di cui ai commi 5 bis e 5 ter”?; secondo il Commissario dello Stato per la Regione siciliana, tale articolo, consentendo l’erogazione a carico del bilancio regionale delle agevolazioni previste dalla legge della Regione siciliana 21 settembre 2005, n. 11 (Riordino della disciplina dell’attività di garanzia collettiva dei fidi) indipendentemente dal possesso dei parametri e dei punteggi previsti dai commi 5-bis e 5-ter dell’art. 3 di detta legge regionale, violerebbe l’art. 97 Cost., perché autorizza ?l’erogazione di risorse pubbliche per un triennio in assenza di un preventivo indispensabile riscontro sull’attività svolta dai confidi che, in ipotesi potrebbe pure essere stata inesistente, inefficace ed antieconomica?; che una decima censura ha ad oggetto l’art. 38, il quale stabilisce che: ?Nelle scuole di ogni ordine e grado ubicate nel territorio della Regione, allo scopo di contrastare la crescente obesità giovanile, è autorizzata la somministrazione, presso i distributori automatici, di spremuta di arance fresche, confezioni di frutta fresca tagliata e altre produzioni ortofrutticole siciliane. Nei distributori automatici è vietata la somministrazione di bevande gassate di ogni tipologia? [comma 1]; ?L’Assessorato regionale dell’istruzione e della formazione professionale, di concerto con l’Assessorato regionale della salute e con l’Assessorato regionale delle risorse agricole e alimentari, disciplina i criteri e le modalità di attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 a decorrere dall’anno scolastico 2012-2013? [comma 2]; che, secondo il ricorrente, la disposizione censurata víola l’art. 120, primo comma, Cost., perché ostacola la libera circolazione delle merci, discriminando i produttori di bevande gassate; che la stessa disposizione, ponendosi in contrasto con l’art. 110 TFUE − il quale vieta agli Stati membri di introdurre restrizioni volte a proteggere le merci prodotte al proprio interno − violerebbe anche l’art. 117, primo comma, Cost.; che con un’undicesima censura il ricorrente impugna, in riferimento agli artt. 81, quarto comma, e 117, secondo comma, lettera l), Cost., l’art. 40 il quale stabilisce che: ?Le somme oggetto di contributi straordinari finalizzati al pagamento di salari, stipendi competenze ed oneri accessori, erogati dall’Amministrazione regionale in favore del personale dell’Ente autonomo Fiera del Mediterraneo, sono assoggettate alla disciplina di cui all’articolo 159 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267? [comma 1]; ?La disposizione di cui al comma 1 si applica altresì ai dipendenti dei Consorzi di bonifica? [comma 2]; ?Per sopperire ai compiti istituzionali degli enti, le disposizioni di cui al comma 1 dell’articolo 1 della legge regionale 28 giugno 2010, n. 14, si applicano, sino al 31 dicembre 2011, anche a coloro che hanno svolto funzioni amministrative nel triennio 2007/2009, per la prosecuzione delle medesime funzioni. Per le finalità del presente comma, è autorizzata, per l’esercizio finanziario 2011, la spesa di 200 migliaia di euro, cui si provvede con parte delle disponibilità dell’U.P.B. 4.2.1.3.2 - capitolo 212527? [comma 3]; che ad avviso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana la disposizione denunciata, assoggettando i contributi straordinari finalizzati al pagamento di salari, stipendi competenze ed oneri accessori erogati dall’amministrazione regionale in favore del personale dell’Ente autonomo Fiera del Mediterraneo alla disciplina di cui all’art. 159 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), ne comporta l’impignorabilità da parte dei creditori e la conseguente limitazione della responsabilità patrimoniale del debitore, così invadendo l’àmbito della competenza legislativa esclusiva nella materia ordinamento civile spettante allo Stato, unico competente a stabilire l’impignorabilità di determinati beni o a fissare vincoli di destinazione di somme erogate dall’amministrazione pubblica; che il comma 3 dell’art. 40 violerebbe inoltre l’art. 81, quarto comma, Cost., perché tale norma costituzionale, pur consentendo che alle nuove o maggiori spese si faccia fronte con somme già iscritte in bilancio, purché rientrino in un capitolo che abbia capienza per l’aumento di spesa, subordina tale possibilità alla condizione che, preventivamente o contestualmente, si proceda alla riduzione delle somme assegnate ad uno o più capitoli con uno “storno” e si assegni la differenza a nuovi capitoli o a capitoli esistenti, autorizzando con apposita disposizione di legge le necessarie variazioni di bilancio (il ricorrente cita, in proposito, la sentenza della Corte costituzionale n. 30 del 1959); che il Commissario dello Stato per la Regione siciliana impugna infine l’art. 41, a norma del quale: ?Per gli anni 2011, 2012 e 2013 gli enti regionali e le società a totale partecipazione regionale, per sopperire al bisogno di esperti e/o dirigenti devono prioritariamente attingere al proprio personale? [comma 1]; ?Per le finalità di cui al comma 1, l’Amministrazione regionale può fare ricorso al personale del predetto comma 1? [comma 2]; che secondo il ricorrente tale articolo víola gli artt. 3, 51 e 97 Cost. ?in materia di accesso al pubblico impiego?, perché ?dà origine a una promiscuità di utilizzo dei dipendenti provenienti da amministrazioni, enti e società diversi, senza peraltro distinguere se gli stessi siano titolari di contratti di lavoro a tempo indeterminato e/o determinato instaurati o meno in base a procedure di selezione pubblica e comporta la non remota evenienza di immissione nei ruoli regionali di personale assunto con procedure civilistiche e non sottoposto a verifica preventiva e comparativa dei requisiti e della capacità professionale posseduti?; che la Regione siciliana non si è costituita in giudizio. Considerato che il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha proposto questioni di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3, 51, 81, quarto comma, 97, 117, primo comma e secondo comma, lettere e), l) e s), e 120, primo comma, della Costituzione, nonché all’art. 14 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 – degli artt. 14, 15, comma 1 (limitatamente alle parole ?ovvero all’ISMEA previa stipula di apposita convenzione?), 17, comma 1, 19, 20, 22, 25, 26 (nella parte in cui inserisce la lettera e nel comma 1 dell’art. 39-bis della legge della Regione siciliana 3 novembre 1993, n. 30, recante: ?Norme in tema di programmazione sanitaria e di riorganizzazione territoriale delle unità sanitarie locali?), 35, 36, 38, 40 e 41 della delibera legislativa relativa al disegno di legge n. 732-672-699-700-713 (Interventi per lo sviluppo dell’agricoltura e della pesca. Norme in materia di artigianato, cooperazione e commercio. Variazioni di bilancio), approvata dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta n. 297 del 9 novembre 2011; che, successivamente all’impugnazione, la predetta delibera legislativa è stata promulgata e pubblicata come legge della Regione siciliana 24 novembre 2011, n. 25 (Interventi per lo sviluppo dell’agricoltura e della pesca. Norme in materia di artigianato, cooperazione e commercio. Variazioni di bilancio), con omissione di tutte le disposizioni oggetto di censura; che questa Corte, pur avendo chiarito che, attraverso l’istituto della promulgazione parziale, il Presidente della Regione siciliana ?non viene investito di un arbitrario potere di determinare autonomamente la definitiva non operatività di singole parti del testo approvato dall’Assemblea regionale, in contrasto con la ripartizione delle funzioni tra gli organi direttivi della Regione stabilita da norme di rango costituzionale? (sentenza n. 205 del 1996), ha tuttavia costantemente affermato che, sul piano processuale, ?l’intervenuto esaurimento del potere promulgativo, che si esercita necessariamente in modo unitario e contestuale rispetto al testo deliberato dall’Assemblea regionale, preclude definitivamente la possibilità che le parti della legge impugnate ed omesse in sede di promulgazione acquistino o esplichino una qualsiasi efficacia, privando cosí di oggetto il giudizio di legittimità costituzionale? (ordinanze n. 251 e n. 166 del 2011; nello stesso senso, ex plurimis, ordinanze n. 28, n. 27, n. 12 e n. 11 del 2012); che si è determinata, pertanto, la cessazione della materia del contendere. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara cessata la materia del contendere in ordine al ricorso indicato in epigrafe. Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2012. F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Franco GALLO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2012. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI ORDINANZA N. 138 ANNO 2012 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale ordinario di Trani – sezione distaccata di Andria, nel procedimento vertente tra D’Avanzo Maria e Capogna Francesca ed altra, con ordinanza del 12 luglio 2011, iscritta al n. 282 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2012. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2012 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli. Ritenuto che il Tribunale ordinario di Trani – sezione distaccata di Andria, ha sollevato, con ordinanza del 12 luglio 2011, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, ?nella parte in cui non preveda che la parte soccombente o entrambe le parti, che abbiano agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave possano essere condannate, d’ufficio, al risarcimento dei danni nei confronti dello Stato ed, in particolare del Ministero della Giustizia, per manifesta temerarietà della lite?, denunciandone il contrasto con gli articoli 3, primo e secondo comma, 24, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione; che, come emerge dall’atto di promovimento del presente giudizio, il rimettente è chiamato a pronunciarsi in una controversia civile in materia possessoria, in relazione alla quale la ricorrente per manutenzione del possesso – in quanto proprietaria pro quota del primo piano di uno stabile condominiale – ha chiesto, nei confronti della cognata e dei nipoti – quali comproprietari dell’altra quota del medesimo primo piano – il ripristino stato del colore della facciata del fabbricato, con ordine di astensione da successive turbative, oltre al risarcimento di tutti i danni patiti; che, in punto di rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che sussisterebbero i presupposti per applicare l’art. 96, primo comma, cod. proc. civ., a carico di entrambe le parti, vertendo la anzidetta controversia su una questione di natura puramente emulativa, ?che pur se fondata su un comportamento di per sé abusivo, quale quello posto in essere in concreto da parte resistente, si innesta chiaramente su un pregresso presupposto di litigiosità intrafamiliari che hanno ritenuto di dover trovare la loro valvola di sfogo dinanzi? ad esso Tribunale; che, tuttavia, il riconoscimento della responsabilità aggravata a carico di entrambe le parti determinerebbe ?una inammissibile e manifestamente irragionevole elisione reciproca della responsabilità, non avendo alcuna concreta utilità sanzionatoria la pronuncia di due condanne contestuali ex art. 96, primo comma, c.p.c. di una parte nei confronti dell’altra e viceversa?; che, tanto premesso, il rimettente dubita, quindi, della legittimità costituzionale della norma denunciata anzitutto per asserito contrasto con l’art. 3, primo e secondo comma, Cost., in ragione della ?palese disparità di trattamento fra lo Stato, inteso come persona giuridica, con particolare riguardo alla sua articolazione funzionale del Ministero della Giustizia, e le ordinarie parti private del processo civile?; il primo, infatti, ?pur subendo direttamente gli effetti negativi dell’introduzione di una lite temeraria, non può essere in alcun modo beneficiario di una pronuncia di condanna in suo favore in casi come quello oggetto della fattispecie di cui al presente procedimento, in cui la temerarietà della lite sia bilaterale o in altre analoghe ipotesi, (…) restando soltanto a carico dell’erario, ed in particolare del Ministero della Giustizia, tutto l’onere organizzativo ed i costi indiretti del materiale “smaltimento” di una controversia temeraria?; che sussisterebbe, altresì, un vulnus all’art. 24, primo comma, Cost., giacché, ?nel contesto di un sistema giudiziario a cui vengono destinate risorse umane e materiali sempre più scarse?, dovrebbe operarsi ?un radicale ripensamento del concetto di accesso alla giustizia?, tanto da circoscriverlo soltanto a ?controversie non manifestamente emulative?, così da evitare l’abuso del processo ed il conseguente danno patrimoniale per la collettività, ?di per sé irragionevolmente irrisarcibile in favore della medesima in base alla attuale struttura dell’art. 96, primo comma, c.p.c.?; che, infine, sarebbe violato anche l’art. 111, secondo comma, Cost., per l’?evidente squilibrio nella struttura del processo civile, in quanto per le finalità di gestione di controversie di natura emulativa, può determinarsi – come in concreto si determina – un irragionevole allungamento dei tempi processuali per l’insieme complessivo delle controversie iscritte a ruolo civile?, con conseguenti costi indiretti per la collettività e diretti per il Ministero della giustizia in base alla legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile); che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la infondatezza della questione, adducendo che la norma censurata è frutto di una scelta legislativa non viziata dai profili di incostituzionalità prospettati dal rimettente. Considerato che, al di là di talune incoerenze dell’ordinanza di rimessione (e segnatamente, di quella che attiene alla reputata fondatezza della domanda attrice, dalla quale non si fa seguire la concentrazione del giudizio di responsabilità per cosiddetta “lite temeraria” in capo alla sola parte resistente), è comunque assorbente il rilievo che la questione sollevata presenta una pluralità di soluzioni in ordine al possibile contenuto della richiesta pronuncia additiva, nessuna delle quali costituzionalmente vincolata e la cui scelta è, quindi, rimessa alla discrezionalità del legislatore (tra le altre, ordinanze n. 7 del 2012, n. 70 del 2009; sentenza n. 251 del 2008), nelle specie ancor più ampia vertendosi in tema di disciplina degli istituti processuali, modulabili dal legislatore con il solo limite di un intervento non manifestamente irragionevole o arbitrario (ex plurimis, ordinanza n. 141 del 2011); che, pertanto, la soluzione auspicata dal rimettente è, all’evidenza, una della tante possibili in tema di conformazione della disciplina sulla responsabilità aggravata “per lite temeraria”, palesandosi, inoltre, del tutto eccentrica rispetto al sistema processuale civile in essere, così da assurgere piuttosto a proposta di politica legislativa in materia processuale anche al fine di ovviare ad esigenze deflattive del relativo contenzioso; che, difatti, deviando dal principio che vuole, in detta disciplina, coinvolte esclusivamente le parti del processo, anche nel caso della condanna d’ufficio alla pena pecuniaria, il rimettente intende aprire ad una sorta di sanzione “amministrativa” per il pregiudizio recato ad un interesse pubblico, quello alla celerità del processo ed alla sostenibilità dei suoi costi; che, dunque, la prospettata questione va dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articoli 3, primo e secondo comma, 24, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trani – sezione distaccata di Andria, con l’ordinanza di cui in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2012. F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Mario Rosario MORELLI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2012. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI |